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Discussione: Russia-Georgia-Ossezia

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    In fondo la dichiarazione dei comunisti georgiani di metà agosto.



    E' la Russia che sfida il mondo?
    di Fosco Giannini
    su Liberazione del 30/08/2008
    "La Russia sfida il mondo" è il più ricorrente titolo dei giornali in questi giorni. Con poche variazioni sul tema, l'obbiettivo dell'impressionante e martellante campagna mediatica di agosto è quello di dimostrare la natura aggressiva e imperiale dei "nuovi zar" che governano Mosca. Nel giro di pochi giorni la sacrosanta risposta dei russi alla scellerata aggressione, scatenata contro l'Ossezia del Sud, su suggerimento degli Usa, dal regime satrapico di Saakashvili, e costata migliaia di vittime civili e distruzioni di interi villaggi e quartieri della sua capitale (l'ultima delle decine di provocazioni e tentativi di "pulizia etnica" che si protraggono da anni senza aver mai ricevuto una condanna della "comunità internazionale"), si è trasformata nella volontà russa di "fare di Tbilisi un'altra Sarajevo".
    Ma ciò che ha spiazzato gli esperti della propaganda occidentale è stato il fatto che per la prima volta l'ennesima provocazione degli amici della Nato, che fa seguito all'infinita trafila di provocazioni che la Russia ha dovuto subire alle sue frontiere, ha ricevuto una risposta immediata e in grado di rintuzzare l'ennesimo tentativo del regime georgiano di risolvere con la forza la questione delle minoranze nazionali presenti entro i confini di uno Stato peraltro nato nell'illegalità del colpo di stato eltsiniano, in aperta violazione dei risultati del referendum sovietico del marzo 1991, promosso dallo stesso Gorbaciov, in cui il voto popolare aveva sancito il diritto ad esistere dell'Unione Sovietica.
    Questa volta la Russia non si è limitata alle dichiarazioni e ai passi diplomatici: questa volta ha rivendicato il suo diritto a difendersi, reagendo rapidamente e vittoriosamente.
    E' dal momento in cui le potenze imperialiste hanno percepito la natura della svolta profonda impressa da Vladimir Putin alla politica del proprio paese, affrancandola dalla subalternità a cui l'aveva costretta negli anni '90 il suo predecessore, che ha cominciato a delinearsi una precisa strategia tesa a contenere e ad annientare questa nuova, inaspettata "minaccia".
    Fin dall'inizio della gestione Putin, alle elites imperialiste non è certo sfuggita la dirompenza delle novità introdotte dal presidente chiamato a far fronte ai disastri della precedente amministrazione, che aveva letteralmente fatto a pezzi ciò che rimaneva della potenza sovietica, rischiando di ridurre la Russia allo stato di colonia dei nuovi "padroni del mondo". Ed è un fatto incontestabile che, sulla base dei risultati conseguiti, il nuovo presidente, seppur tra innumerevoli contraddizioni, abbia saputo dare l'impressione di voler imprimere una svolta negli indirizzi di fondo della politica russa.
    Da subito, per porre un freno alle tendenze separatiste, che rischiavano di sottoporre la Federazione Russa a un processo di disgregazione analogo a quello subito dall'Urss, Putin non si è limitato ad intervenire con energia in Cecenia, ma ha avviato la riorganizzazione del sistema federale, che ha limitato fortemente le pretese dei potentati locali, appoggiati dalle "lobby" straniere interessate al controllo delle materie prime.
    Tale processo si è accompagnato ad un'operazione di recupero di quei valori relativi all'unità, all'autonomia, alla dignità, al ruolo della Russia e di richiamo all'orgoglio del popolo russo, umiliato nel decennio eltsiniano da una pratica di totale subordinazione, anche culturale, all'Occidente e all'avvio di un nuovo corso di politica internazionale (attraverso l'elaborazione, nell'estate del 2001, della cosiddetta "Dottrina della politica estera della Federazione Russa") che si è fin dall'inizio proposta di mettere al primo posto la difesa degli "interessi nazionali" del paese, in evidente rotta di collisione con gli indirizzi strategici di egemonia globale dell'imperialismo Usa che, fin dal momento della caduta dell'Urss, avevano puntato all'indebolimento e alla disgregazione dell'antico nemico.
    In questi anni non sono mai state rinnegate le linee portanti di una politica estera che, in piena sintonia con altri protagonisti della scena mondiale, come la Cina, l'India e le potenze emergenti del Sud del mondo (valga per tutti, lo stato felice delle attuali relazioni della Russia con il Venezuela), affermano, in ogni occasione e in aperta polemica con le pretese egemoniche dell'amministrazione Usa, la realizzazione di un clima di "coesistenza pacifica" che favorisca il "multipolarismo", la non ingerenza negli affari interni di ogni paese, la negazione dell'esistenza di "stati canaglia", la denuncia della politica del "doppio standard".
    Inoltre, pur proseguendo sul cammino delle "riforme", Putin finora non ha mai ceduto alla richiesta di procedere allo scorporo e alla privatizzazione delle più importanti tra le aziende strategiche, in particolare nel settore energetico. Al contrario, abbiamo assistito ad una progressiva accelerazione del controllo da parte delle aziende di stato sulle immense ricchezze naturali del paese. Questo processo è analizzato in Occidente alla stregua di una nazionalizzazione mascherata, di un ritorno strisciante al collettivismo statalista, che insidia gli investimenti di Wall Street e delle altre borse occidentali.
    Per questo, nel corso di questi anni, tra le elites imperialiste è andata aprendosi la strada all'idea che occorreva sbarazzarsi dell'incomodo concorrente, facendo di tutto per favorire la destabilizzazione della Russia. In questa operazione, non si è certamente badato a spese, con investimenti colossali a favore di istituzioni americane, russe e internazionali. Elargendo sovvenzioni miliardarie ad opposizioni interne guidate dagli uomini politici più screditati di Russia (non si è esitato a concedere patenti di rispettabilità persino ai fascisti del Partito nazi-bolscevico), si è cercato senza successo di creare gli scenari delle "rivoluzioni colorate" che hanno caratterizzato alcuni stati confinanti con la Russia. Alla "benedizione" di questa lotta senza quartiere contro il gruppo dirigente moscovita ha contribuito anche la "lettera aperta" firmata da un centinaio di illustri personalità americane ed europee del blocco atlantico, indirizzata nel 2004 "ai capi di stato e di governo dell'Unione Europea e della Nato", in cui andando brutalmente al "nocciolo" della questione, non si mascherava la preoccupazione per la "pretesa" della Russia di esercitare il pieno controllo sulle sue ricchezze energetiche e la loro destinazione, attribuendo a Putin "un atteggiamento minaccioso… nei confronti della sicurezza energetica europea", si affermava che era "giunto il momento di ripensare i termini del nostro impegno con la Russia di Putin" e si invitava esplicitamente a schierarsi dalla parte delle "decine di migliaia di democratici russi che stanno ancora combattendo per difendere la libertà e la democrazia nel loro paese". Tra i firmatari della missiva, promossa dai peggiori arnesi dell'anticomunismo mondiale, troviamo anche Massimo D'Alema…
    Ma è alle frontiere della Russia che si è esercitata la maggiore pressione. Negli ultimi anni un'autentica scalata (nell'indifferenza della "società civile" occidentale). Si pensi solo alle cosiddette "rivoluzioni colorate" che hanno sconvolto alcune repubbliche confinanti con la Russia e facenti parte della Confederazione degli Stati Indipendenti (Ucraina, Georgia, Kirghizia), veri e propri "colpi di stato", per installare al potere dirigenti graditi all'amministrazione Usa e disposti ad allineare i propri paesi nei meccanismi delle alleanze occidentali. Ai ripetuti tentativi di rovesciare il governo della "non allineata" Bielorussia, falliti in ragione del plebiscitario consenso popolare di cui gode il suo attuale presidente. Alla accelerata militarizzazione delle repubbliche baltiche, accompagnata dalla discriminazione delle minoranze russe e dalla brutale repressione delle organizzazioni comuniste. Alle pressioni sulla Moldavia, affinché aderisca alla Nato. Al riconoscimento del Kosovo, sottratto alla Serbia legata storicamente alla Russia, con lo smembramento definitivo di ciò che restava della ex Jugoslavia (e con il consenso unanime dei dirigenti Pd e Pdl, gli stessi che oggi si stracciano le vesti "in difesa dell'integrità territoriale della Georgia"). E, infine, alla provocatoria e intollerabile decisione di procedere all'installazione dello "scudo missilistico" ai confini occidentali della Russia, in Polonia e Repubblica Ceca. Senza il consenso delle popolazioni locali, ma con quello di tutti i governi dell'Alleanza Atlantica (compreso quello di centro-sinistra, in carica al momento dello svolgimento dell'ultimo vertice Nato di Bucarest che al progetto ha dato il via definitivo).
    I diversi piani di destabilizzazione della situazione in Russia sono comunque sempre caduti nel vuoto. E oggi, il gruppo dirigente russo e la stessa opposizione parlamentare (in primo luogo, il forte partito comunista), in cui è stata cancellata dal voto popolare la presenza dei settori subalterni all'imperialismo, sembrano sostanzialmente uniti di fronte alle continue ingerenze imperialiste.
    E che il modo come la Russia ha saputo fronteggiare la crisi caucasica abbia rappresentato non un semplice episodio dello scontro tra potenze per i reciproci interessi espansionistici, ma una manifestazione di resistenza vittoriosa da parte di una grande potenza alle pretese egemoniche globali dell'imperialismo Usa, non è certamente sfuggito ai settori più consapevoli del fronte antimperialista mondiale (Cuba e Venezuela, in primo luogo). Francamente stupisce che tale consapevolezza ritardi tanto a farsi strada anche tra la sinistra alternativa del nostro paese.




    Declaration
    of the Central Committee of Unified Communist Party of Georgia
    and Georgian Peace Committee

    Once more Georgia was launched into a situation of chaos and bloodshed. A new fratricidal war exploded with renewed strength on Georgian soil.
    To our great disappointment, the alerts of the Unified Communist Party of Georgia, of Georgian Peace Committee and of progressive personalities of Georgia on the pernicious character of the militarization of the country and on the danger of a pro-fascist and nationalist policy had no effect.
    The authorities of Georgia once again organized a bloody war, feeling the support of some western countries and of regional and international organizations. It will take decades to cleanse the shame poured by the current holders of the power over the Georgian people.
    The Georgian army--armed and trained by U.S. instructors and using also U.S. armaments--subjected the city of Tskhinvali to a barbaric destruction. The bombings killed Ossetian civilians, our brothers and sisters, children, women and elderly people. Over 2,000 inhabitants of Tskhinvali and of its surroundings died.
    Hundreds of civilians of Georgian nationality also died, both in the conflict zone as well as on the entire territory of Georgia.
    The UCPG and Peace Committee of Georgia expresses its deep condolences to the relatives and friends of those who have perished.
    The entire responsibility for this fratricidal war, for thousands of children, women and elderly dead people, for the inhabitants of South Ossetia and of Georgia falls exclusively on the current President, on the Parliament and on the Government of Georgia. The irresponsibility and the adventurism of the Saakachvili regime have no limits. The President of Georgia and his team, undoubtedly, are criminals and must be held responsible.
    The Central Committee of UCPG and PCG, together with all the progressive parties and social movements of Georgia, will struggle to assure that the organizers of this monstrous genocide have a severe and legitimate punishment.
    The Central Committee UCPG and PCG declares and asks broad public opinion not to identify the current Georgian leadership with the people of Georgia, with the Georgian nation, and appeals to all to support the Georgian people in the struggle against the criminal regime of Saakashvili.
    We appeal to all the political forces of Georgia, the social movements and the people of Georgia to unit in order to free the country of the anti popular regime, russianfobic and pro-fascist of Saakashvili!

    Temur Pipia
    Secretary of the Central Committee of Unified Communist Party of Georgia;
    Executive Secretary of the Peace Committee of Georgia
    Tbilisi, Aug. 11, 2008

    Declaration of the Georgian Peace Committee

  2. #2
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    Già postato e manca il maledetto link!

 

 

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