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    Monarchico da sempre !
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    EDGARDO SOGNO

    Introduzione alla Commemorazione

    Il lettore noterà, forse, una certa “cesura” nel mio intervento qui stampato, fra la parte in cui si narra l’avventura patriottica di Edgardo Sogno e quella in cui si fa un discorso più generale sulla Resistenza monarchica e sulla Monarchia, sia pure mantenendo Sogno come personaggio centrale.
    In realtà, la spiegazione è abbastanza semplice.
    In linea di massima, io avrei dovuto limitarmi a presentare, il 10 dicembre a Bergamo, l’oratore ufficiale, lo scrittore e giornalista Luciano Garibaldi, amico personale del grande Scomparso. La seconda parte del mio discorso era appunto, in origine, la mia presentazione della commemorazione vera e propria.
    Ma un improvviso impedimento di Garibaldi, quasi all’ultimo istante, mi ha costretto a sostituirlo completamente, sia pure - ne sono certo - in maniera inadeguata; ed ecco la prima parte, frutto di improvvisazione personale, anche se, almeno spero, abbastanza fedele alla verità. Mi scuso in anticipo di eventuali imprecisioni od errori, attribuibili alla fretta, che è sempre cattiva consigliera!
    Comunque, va detto che, proprio nell’ultima settimana prima dell’incontro al “Donizetti”, vi era stato il fatto nuovo, non irrilevante, delle polemiche insorte in occasione delle anticipazioni di stampa sul libro “Testamento di un anticomunista” (poi uscito in libreria), edito dalla Mondadori sotto forma di interviste di Sogno, nell’ultimo periodo della sua vita, al giornalista Aldo Cazzullo.
    Le anticipazioni, concentrandosi soprattutto sulla cosiddetta vicenda del “golpe bianco” del 1975, avevano dato l’impressione di una confessione dell’intervistato, intesa quasi ad autoaccusarsi di un attentato alla democrazia, ed avevano dunque consentito al solito coro mercenario di servitori del regime repubblicano di intonare il “crucifige”, esaltando con disgustosa piaggeria l’attuale presidente della Camera dei Deputati, Luciano Violante, che all’epoca dei fatti, come magistrato, lo aveva fatto arrestare.
    La mia commemorazione, perciò, dovette necessariamente inserire una breve e sommaria trattazione dell’argomento, che peraltro non mi riuscì particolarmente difficile, in quanto sostanzialmente conoscevo il pensiero “vero” di Edgardo Sogno, e prevedevo che la lettura nel suo complesso del libro-intervista non avrebbe confermato le affrettate interpretazioni degli esegeti di parte avversaria. Come è puntualmente avvenuto.
    Sogno era antitotalitario per profonda convinzione, e mai avrebbe pensato di compiere un “golpe” per uccidere la libertà e la democrazia. Soltanto, aveva individuato, e giustamente, i due grandi nemici della libertà e della democrazia, durante il Ventesimo Secolo, nel comunismo e nel nazionalsocialismo, e riteneva che la difesa della libertà e della democrazia contro questi due tremendi pericoli, e contro gli inauditi massacri che gli stessi stavano causando, giustificasse una reazione adeguata, anche forte.
    Reazione forte? Diciamo meglio, guerra.
    Che cosa hanno fatto, e tuttora fanno, nazisti e comunisti, se non la guerra? Non era guerra tutta l’azione di Hitler, e non è guerra, ancora oggi, l’azione del comunismo mondiale? Come ci si può opporre, ai nemici che ci fanno la guerra, se non combattendo e sconfiggendoli?
    La Resistenza italiana successiva all’8 settembre, dopo l’aggressione militare nazista, ha cercato, nei limiti delle sue possibilità, di fare la guerra contro l’occupante. Sogno è stato un importante esponente di questa battaglia, e per questo, pur restando escluso (a differenza di altri) da ogni vantaggio politico, è stato insignito di Medaglia d’Oro.
    Nel dopoguerra, debellato il nazionalsocialismo a prezzo di molti milioni di vite umane, si è presentata nella sua imponenza l’altra minaccia, quella comunista. Predicando l’odio, la violenza e la dittatura, il comunismo era arrivato, nel 1975, al culmine della sua potenza, e gli spiriti liberi, in ogni parte del mondo, si chiedevano come sarebbe stato possibile arrestare la sua marcia inesorabile. Ebbene, in quell’emergenza Edgardo Sogno ritenne suo dovere essere in prima linea per lottare, e cercò disperatamente alleati e proseliti, disposto com’era ad associarsi con chiunque. Non trovò nessuno. Sui muri stava scritto “meglio rossi che morti”. Lui preferiva, invece, essere morto che rosso.
    Progettò, forse, piani di guerra. Ma un magistrato dichiaratamente comunista fece la guerra a lui, e lo mise in manette.
    Legittimo, probabilmente, come ho detto nella mia conferenza. Legittimo, tuttavia, quale atto di guerra, non quale atto di giustizia, perché successivamente giudici non comunisti negarono fondatezza alle accuse. E le sentenze vanno accettate sempre, non solo quando fa comodo; purchè siano definitive, e purchè non sia chiara la parzialità del giudice.
    Che c’entra tutto questo con il Sogno monarchico? Possono i monarchici approvare la lunga “sbandata” repubblicana e presidenzialista che questo valoroso subì durante la lunga notte del dopoguerra consociativo, dominata dal patto costituzionale tra i vecchi partiti del CLN congruamente ritoccati ed adattati?
    Naturalmente, nessun monarchico ha mai avuto a che fare con quella fase della vita del Nostro. L’errore fondamentale stava nel credere che il gollismo francese, o, peggio, le soluzioni autoritarie tipo Cile e Grecia, potessero risolvere il male profondo dello Stato italiano. Allearsi con Randolfo Pacciardi, o con strani personaggi spesso manovrati dai servizi segreti, italiani e stranieri, non portava da nessuna parte, o addirittura faceva il gioco del nemico.
    E d’altra parte, anche noi monarchici dobbiamo fare un buon esame di coscienza. Che cosa abbiamo fatto noi, che cosa hanno fatto gli uomini politici - e non politici - che abbiamo espresso in tutto questo tempo, per portare avanti in concreto, con energia e durezza, le ragioni della Monarchia, che brillavano luminose nel cielo della Storia, e sono state invece schiacciate brutalmente prima dal nazismo e poi dal comunismo?
    Certo, la soluzione, la sola soluzione, come Sogno ha compreso in punto di morte, dopo le interviste a Cazzullo, era là, nella guerra “con bandiera”, con la bandiera sabauda, perché, come diceva la vecchia maestra di Guareschi, “i Re non si mandano via”. Questa guerra Sogno l’ha fatta fino a che ha potuto, e non l’ha proseguita nel dopoguerra perché noi non siamo stati capaci di reagire al sopruso, e lui non sopportava la debolezza, l’attendismo, il compromesso.
    Ha pensato a noi, forse, come a gente senza nerbo, senza coraggio, senza spina dorsale, e ci ha abbandonati per una lunga, triste stagione.
    Oggi è tornato al nostro fianco..
    Eddy, abbiamo seguito per decenni strade diverse, in piena buona fede. Noi credevamo di doverci adeguare al sacrificio sublime, ma perdente, del nostro legittimo Re Umberto II°, e non abbiamo capito che toccava a noi, maggioranza tradita del popolo italiano, sventare la truffa con la nostra vigilanza, con il nostro controllo, con la nostra reazione. Il Re non poteva essere lasciato solo a decidere, doveva essere aiutato, e se necessario obbligato, a replicare, proprio in nome delle decine di morti che in quel tragico giugno avevano insanguinato il nostro Mezzogiorno. Si combatte per vincere, nessuno ha pietà per il vinto, anche se aveva ragione. Il tuo sdegno, caro Eddy, era lo sdegno del giusto che si ribella all’ingiustizia. Forse ti sei mosso fuori tempo, e hai pagato di persona, ma noi non abbiamo il diritto di censurarti.
    La Storia non è finita, la Patria non è morta, le nuove generazioni sono una “tabula rasa” sulla quale, se ci impegneremo tutti, potranno essere riscritte le innumerevoli verità taciute o distorte.
    In umiltà, senza pregiudizi, nel rispetto di tutte le idee professate onestamente, riconoscendo i nostri errori e le nostre carenze, pretendendo giustizia laddove è negata, distruggeremo una dopo l’altra tutte le menzogne, e difenderemo la libertà. Come voleva il patriota “Franchi”, alias conte Edgardo Sogno Rata del Vallino, primula rossa, anzi azzurra, della Resistenza Italiana contro i “repubblichini”, anzi “repubblicani”.

    FRANCO MALNATI


    Commemorazione

    Cari amici,
    purtroppo, siamo di fronte ad una improvvisa emergenza.
    Lo scrittore e giornalista Luciano Garibaldi, che si apprestava a venire tra noi per commemorare Edgardo Sogno, ha dovuto sottoporsi ad un intervento chirurgico, e, prima di entrare in ospedale, mi ha telefonato chiedendomi se era possibile spostare l’appuntamento ad altra data.
    Gli ho spiegato che, a così breve distanza, non era possibile, ed allora mi ha suggerito di provvedere io stesso alla commemorazione.
    Data l’eccezionalità delle circostanze, ho ritenuto di non potere sottrarmi a questo dovere, e, per adempierlo nei limiti delle mie possibilità, ho steso una relazione scritta nella quale ho cercato di affrontare al meglio il complesso argomento, che si è ulteriormente complicato in questi ultimi giorni a causa delle polemiche suscitate dalle memorie postume del personaggio, pubblicate da Aldo Cazzullo per i tipi della Mondadori.
    Sogno è oggi un simbolo. Il simbolo della “vera” revisione della storia recente. “Vera” perché quella che è in corso è ancora una revisione fasulla, alterata dal fatto che una delle “tre” parti coinvolte nella importantissima e cruciale vicenda 1943-45, quella monarchica, è rimasta senza voce nella pubblicistica del dopoguerra, monopolizzata in prevalenza dal grande ed assordante coro dell’antifascismo comunista e filocomunista, e, in subordine (ma non poi così tanto in subordine come si vorrebbe far credere), dal graduale e sottile inserirsi di numerose voci sensibili agli argomenti del fascismo repubblicano.
    Farò forse scandalo. Ma io proclamo altamente, qui davanti a voi, che la scelta degli italiani, nel tragico settembre 1943, non fu affatto una scelta ideologica tra fascismo e antifascismo, bensì tra un governo repubblicano imposto dall’invasore nazista e il governo legittimo del Re, che si era trasferito da Roma a Brindisi in adempimento di un preciso dovere istituzionale.
    Lo scandalo è di oggi, quando le carte sono state falsate dai manipolatori di parte. Allora, nessuno si sarebbe sognato di avanzare dubbi. Le cose erano molto chiare. I sostenitori del nazismo da un lato, e dell’antifascismo di estrema sinistra dall’altro, furono due piccole minoranze. L’enorme maggioranza degli italiani scelse il governo legittimo, e lo fece proprio perché il governo legittimo c’era, sia pure a Brindisi e dimezzato dalle clausole di armistizio, e non era stato catturato dai nazisti. Non solo. Chi fece quella scelta non pensò neppure lontanamente, in quel momento, di accusare il Re e il Governo di fuga e di tradimento. Al contrario, fu ben contento di apprendere che fosse stata posta in salvo la continuità dello Stato.
    Furono, in seguito, le propagande di parte ad accreditare leggende, accuse, invenzioni, offese ingiuste e calunniose. Che oggi, purtroppo, vanno per la maggiore.
    Sogno, all’armistizio, era in Piemonte, in licenza. Tenente del Nizza Cavalleria, ascoltando alla radio il proclama di Badoglio capì perfettamente che esso conteneva l’ordine di reagire qualora Hitler avesse aggredito l’Italia. E vedendo che i generali che comandavano a Torino, disobbedendo all’ordine, si erano accordati con i tedeschi, e che mancava la possibilità di combattere immediatamente, con alcuni amici si organizzò per andare al Sud, a Brindisi, attraverso le linee.
    Non era un’impresa facile, partendo dall’Alta Italia. Bisognava passare da un treno all’altro, preoccuparsi delle retate tedesche e degli allarmi aerei con relativi mitragliamenti, studiare i percorsi più adatti, e infine, quando non c’erano più mezzi di trasporto, incamminarsi a piedi, montagna dietro montagna, per sentieri da capre, procurando di affrettarsi perché bisognava arrivare al fronte finchè lo stesso non era ancora stabilizzato e quindi tanto fluido da consentire infiltrazioni. Sogno lo fece. Il treno lo portò, a tappe faticose, da Torino a Milano, quindi a Roma, e da Roma a Sulmona, per infilarsi, dopo Sulmona, nelle gallerie dell’Appennino, ed alla fine arrestarsi definitivamente, passato Vinchiaturo, perché i binari non c’erano più, distrutti dalle bombe. Allora cominciò la camminata sui monti, di cascinale in cascinale, per decine di chilometri. Ad un certo punto, in Basilicata, tra Muro Lucano e Potenza, incontrò gli inglesi, che lo portarono a Brindisi.
    Come lui, migliaia e migliaia di altri giovani fecero la stessa cosa; molti, naturalmente, erano soltanto meridionali che volevano tornare a casa, ma il fenomeno ebbe una sua consistenza autonoma, meritevole almeno della stessa attenzione che oggi si dedica ai “giovani che andarono a Salò”.
    A Brindisi, fu la delusione. Il libro di memorie che scrisse Sogno su quel periodo si intitola “Guerra senza bandiera”. Non perchè la bandiera non vi fosse. Era la gloriosa bandiera sabauda, all’ombra della quale tanti italiani, per un secolo almeno, avevano vissuto, amato, sofferto. Ma gli anglo-americani, che detenevano il potere, non vollero che essa sventolasse in segno di lotta contro i nazisti. Temevano di disturbare la manovra di coloro che dovevano sovvertire le istituzioni italiane.
    Il giovane tenente, però, voleva combattere per la libertà, allora contro Hitler, come trent’anni dopo contro le Brigate Rosse. Riuscì ad acquistarsi la fiducia di singoli ufficiali inglesi ed americani. Venne addestrato, in Algeria, alle imprese più difficili, e presto fu lanciato col paracadute nel Biellese, presso Valdengo, con una missione segreta, per contribuire all’organizzazione della guerriglia partigiana.
    La sua storia, così come la raccontò lui stesso in “Guerra senza bandiera”, è un romanzo a puntate, che si legge di un fiato.
    Arrivato a terra, trova subito gente che lo aiuta. Ricupera tutto quello che si era portato dietro, tranne una cosa preziosissima, la radio che doveva servire per comunicare con Algeri. Mentre ricerca un mezzo di collegamento sostitutivo, avvia i contatti con le sue numerose amicizie nel Biellese ed a Torino - dedicando ai genitori, residenti a Camandona, solo una rapida visita - ed entra, presentato da Cornelio Brosio, nel Comitato Militare Piemontese di Torino. Da quel punto di riferimento, parte un’attività frenetica, che si sviluppa durante i mesi dal dicembre 1943 al 29 marzo 1944.
    Sogno comincia a creare dal nulla l’organizzazione dei lanci di rifornimento alle formazioni partigiane della Lombardia, del Piemonte e della Liguria, organizzazione che prenderà il nome “Franchi” dal suo pseudonimo di battaglia, e che si allargherà, col tempo, a tutto il Nord. Essa era estremamente complessa e delicata, anche perché era necessario fare in modo che non si verificassero disparità di trattamento tra le varie formazioni a seconda della loro collocazione politica; ma nessuno ebbe mai motivo di lamentare ingiustizie in questo senso, nonostante che le formazioni di sinistra fossero sempre sul “chi vive” temendo di essere discriminate. Alla fine, la “Franchi” era un mito intoccabile.
    Ma, accanto a questa sua opera esclusiva, per la quale è divenuto giustamente famoso, ogni suo atto ha del rocambolesco, e vale la pena di rievocare in dettaglio la successione cronologica degli avvenimenti.
    La sua missione era stata paracadutata al Nord ad opera della “Special Force” inglese, la quale operava parallelamente, quasi in singolare concorrenza, con l’analogo servizio americano, chiamato OSS. Il compito era essenzialmente informativo, e consisteva nel tenere contatti via radio col Sud per informare di quanto veramente accadeva nei territori sotto controllo tedesco.
    Perduta la radio, la missione non potè adempiere a questo compito se non saltuariamente, chiedendo ospitalità a singoli soggetti amici in grado di trasmettere.
    D’altra parte, appena arrivato, Sogno si accorse che, a parte la radio, vi era ben altro da fare. Occorreva organizzare l’intera Resistenza, che, in quel primo periodo, si presentava priva di coordinamento, essendo sorta dalla somma confusa di numerose iniziative individuali. Il Comitato militare di Torino, il cui maggiore esponente era il generale Perotti, aveva discreti mezzi finanziari, che venivano dalle casse della IV Armata, messe a disposizione della Resistenza dal generale Operti (il quale, però, da qualche tempo agiva per conto suo, avendo lasciato il Comitato per dissensi coi comunisti), e li usava per tentare di mettere in piedi un blocco concorde che operasse concretamente contro i nazisti. Era una faccenda molto complessa, in quanto continuamente, nelle frequenti e rischiose riunioni clandestine, nascevano discussioni e polemiche, quasi sempre causate dal fatto che le bande di osservanza comunista erano ribelli a qualunque disciplina, e tendevano ad agire per conto proprio, con criteri indipendenti. Spesso e volentieri i membri del Comitato dovevano spostarsi da un lato all’altro del Piemonte, con la necessità di prendere mille precauzioni e di ricorrere a travestimenti (Sogno girava sotto il nome di Ing. Mosca della FIAT), per dirimere controversie, portare armi e denaro, trasmettere direttive.
    Una volta, gli capitò bella, come si dice. Una formazione comunista del Biellese non lo riconobbe, e, sospettandolo di essere una spia, lo tenne come prigioniero. Ogni spiegazione fu inutile, non lo volevano lasciare andare. Allora, di notte, mentre tutti dormivano, riuscì tranquillamente ad evadere, e se ne andò a Torino. Ma i comunisti, per rappresaglia, andarono a Camandona, dai suoi genitori, e li sequestrarono. Ci volle l’intervento del CLN di Torino per liberarli. Tuttavia, poco dopo, Sogno tornò in montagna a trovare quei partigiani, e li trovò in grave difficoltà per un rastrellamento tedesco, durante il quale il loro capo era rimasto ucciso. Ne assunse il comando, e li portò in salvo.
    Era anticomunista, ma riconosceva ai comunisti l’inflessibilità nella .lotta al nazismo, che era preminente, e in nome di quella era disposto, allora, a battersi al loro fianco.
    A fine marzo 1944, dopo quattro mesi di lavoro, cominciava a delinearsi una certa rete organizzativa. Ma il 29 marzo esplose il dramma.
    Sogno era andato a Genova, onde perfezionare il collegamento con il gruppo che operava in Liguria sotto il nome di “organizzazione Otto”, e che si occupava in prevalenza del trasporto di persone e di cose, per mare, nella Corsica occupata dagli anglo-americani. Essa faceva capo al professor Otto Balduzzi, primario ospedaliero, di idee liberali, ed era molto efficiente.
    Era stata concordata tutta una serie di appuntamenti, ma in piazza Banchi, dietro il porto di Genova, tutti caddero in trappola, proprio mentre la stessa cosa accadeva a Torino, in piazza Duomo, all’intero Comitato militare del generale Perotti. Evidente che vi era stato un tradimento, e che era stato inferto un duro colpo all’intero movimento nel Nord-Ovest italiano. Vi furono numerose fucilazioni, precedute dal drammatico pubblico processo di Torino. Perotti ordinò personalmente il fuoco al plotone d’esecuzione..
    Credete che Sogno si sia rassegnato?
    Vi sbagliate. Mentre, nella sede della polizia di Genova, attendeva di essere tradotto altrove, chiese di andare al gabinetto, e, accortosi che un finestrino dava sulla strada, ed era chiuso da una sbarra che poteva essere divelta, mise in atto una quantità di abili manovre, finchè riuscì ad aprirsi un passaggio; si infilò nel cunicolo, magrissimo com’era, saltò fuori con un’acrobazia, e si trovò libero nel “carrugio”.
    Naturalmente, non era finita. Bisognava uscire da Genova. Usando le linee tranviarie che portavano nella vasta e complicata periferia collinare della città, attraversò, dopo incredibili peripezie, tutta la zona fino alla stazione ferroviaria di Busalla, dove prese un treno per Mortara e Milano, raggiungendo infine un rifugio sicuro, presso un amico, a Novedrate, in Brianza.
    Il rifugio era, però, solo un espediente momentaneo. L’indomito combattente mordeva il freno. Per ricominciare daccapo e ricostruire quello che era andato distrutto era necessario riprendere i contatti con la base della “Special Force”, e questo non poteva farsi che attraverso i rappresentanti britannici in Svizzera. Dunque, andiamo in Svizzera; non per scappare, ma, anzi, per ritornare in forze.
    L’uomo giusto per organizzare il passaggio del confine si chiamava “Alfredo”, e stava a Milano. Alfredo era Alfredo Pizzoni, presidente del CLN lombardo, indipendente di area liberale e alto funzionario della Banca Credito Italiano. Pizzoni gli diede credenziali per la Svizzera, raccomandandogli di passare attraverso il CLN di Lugano.
    Eccoci così al primo passaggio di confine, con l’aiuto a pagamento dei contrabbandieri locali, strisciando sotto la rete divisoria.
    A Lugano, l’uomo di Pizzoni era Luigi Casagrande, lui pure funzionario del Credito Italiano, che l’8 settembre aveva dovuto rifugiarsi in Svizzera perché si era esposto durante i 45 giorni di Badoglio. Pensate che questo signore lo ricordo anch’io personalmente, perché quando ero ragazzo fu a Bergamo come vice-direttore, alle dirette dipendenze di mio padre che dirigeva la filiale di Bergamo della Banca.
    Casagrande gli spiegò i pasticci politici di Lugano. C’era un clan di italiani esuli, tutti del partito d’azione, che invece di combattere i nazifascisti lottavano contro il governo di Badoglio. Costoro monopolizzavano tutti i rapporti con gli anglo-americani, i quali, addirittura, credevano che il CLN e il partito d’azione fossero la stessa cosa. Sogno rispose che lui non dipendeva dal CLN, e meno ancora dal partito d’azione, ma dal governo del Re e, semmai, dalla “Special Force” inglese, per cui gli interessava solo andare a Berna, dove era atteso presso l’Ambasciata del Regno Unito, e chiarire colà la situazione.
    Infatti, a Berna incontrò lo scozzese Mc. Caffery, con il quale ebbe ampi ed esaurienti colloqui. Mc. Caffery gli diede carta bianca al fine di riorganizzare totalmente il sistema, fornendogli istruzioni e denaro per il passaggio dal ramo informativo a quello attivistico, ed assicurandogli che per l’avvenire gli anglo-americani avrebbero aperto gli occhi nei confronti dei circoli salottieri ed inutili di Lugano.
    Ritorno in Italia, secondo passaggio di frontiera.
    Il nuovo incarico, molto impegnativo, comportava il ricupero dei patrioti sfuggiti alla grande retata, l’arruolamento di nuove reclute, l’addestramento di tutti, le precauzioni contro gli infiltrati e i doppiogiochisti, la creazione di squadre addette al sabotaggio di obbiettivi strettamente militari, il controllo di queste ultime affinchè dai sabotaggi, in quanto possibile, non derivassero danni alle popolazioni civili. Particolarmente urgente appariva il ripristino della disciolta “organizzazione Otto”: si sapeva che un buon elemento facente parte della rete, tale Conforti, si era salvato dagli arresti, ma nessuno sapeva dove fosse. Sogno si mise alla ricerca, lo trovò presso Stradella, e lo convinse a rimettersi all’opera organizzando una traversata verso la Corsica per il 10 agosto.
    Per questo viaggio, al quale intendeva prendere parte personalmente, egli doveva chiedere almeno l'opinione di Mc. Caffery, e pertanto si apprestò a superare il confine svizzero per la terza volta. Il passaggio, nell’andata, fu facile, perché il comunista Cino Moscatelli controllava la frontiera nella zona dell’alta Val Sesia, da Varallo. L’incontro fra i due fu cordiale, e Moscatelli fornì, correttamente, tutta l’assistenza del caso.
    Ma, in Svizzera, non tutto andò liscio con Mc. Caffery. A Berna vi fu una vera e propria lite, e quasi una rottura, perché Mc. Caffery non voleva che Sogno tornasse alla “Special Force”. L’italiano disse che sarebbe andato egualmente, e partì per l’Italia. Ma poco prima del confine gli arrivò un biglietto di Mc. Caffery, con il quale questi si scusava, e diceva di essersi convinto dell’utilità della decisione.
    Appena finito di rallegrarsi per questo successo, il nostro eroe si trovò di fronte ad una sorpresa, brutta ed inaspettata. La Val Sesia era in fiamme per un rastrellamento tedesco, Varallo stessa era stata rioccupata, Moscatelli era introvabile. Il rientro, ossia il quarto attraversamento di frontiera, si presentava problematico. Niente da fare. Bisogna rientrare ad ogni costo, ed allora, via, passando fra un presidio tedesco e l’altro, eliminando due tedeschi che per caso si sono trovati sulla strada. Alla fine, ecco Moscatelli, che si è ritirato a Valduggia. Da lì, di nuovo a Torino.
    Adesso, si deve andare a Riva Trigoso, presso Sestri Levante, dove Conforti ha preparato la barca. Però, improvvisa, compare una emergenza.
    Un biglietto disperato di Pizzoni, da Milano, invoca l’urgenza di fare prigioniera una personalità germanica per ottenere uno scambio e salvare la vita a italiani che stanno per essere fucilati.
    Che fare?
    Bisogna decidere in pochi attimi. E l’idea viene fuori, anche se con riluttanza, perché si tratta di tradire un’amicizia. Ma vi sono vite umane, e non si può esitare.
    “Usci” Von Langen è una bella ragazza tedesca, figlia del console generale del Reich a Torino. Eddy l’ha conosciuta negli ambienti eleganti della capitale piemontese, ha ballato con lei in tempo di pace, le dà del tu. Adesso è fidanzata con un altro suo amico personale. L’idea è di sequestrarla e di usarla per lo scambio.
    Tutto va a meraviglia. Attirata in una casa privata insieme col fidanzato ignaro, “Usci” viene catturata e tenuta in ostaggio, sia pure con mille riguardi. Poi la questione viene “girata” al CLN, il quale adesso fa lo schizzinoso, e si permette di criticare. D’altra parte, ai tedeschi furibondi si è opposto il padre della fanciulla, il console Von Langen, il quale corre a Verona al Comando militare, ed ottiene che si ceda al ricatto. Sono salvi un comunista, Coggiola, una militante del partito d’azione, Ester Cardini, e la moglie del colonnello Ratti. “Usci” riabbraccia il padre.
    Ed arriviamo all’avventura della barca a motore.
    In apparenza, è una barca da pesca, autorizzata a partire per rifornire di pesce il Levante ligure in crisi alimentare. Destinazione ufficiale, Sanremo, che si può raggiungere navigando sotto costa. Ovviamente, a metà strada l’imbarcazione piega a Sud-Ovest verso Capo Corso. Semplice? Semplice solo a parole, perché, a parte i “raid” aerei continui che portano con sè il rischio di spiacevoli mitragliamenti, in alto mare il motore si guasta, e a un certo punto non si va più nè avanti nè indietro. Miracolo: dopo alcune ore di angoscia, il motore si rimette a funzionare. A marcia indietro, e di poppa, ma la barca va, e porta i passeggeri a Bastia.
    Da Bastia a Monopoli, presso Bari, pensano gli inglesi a traghettare l’inviato della Resistenza del Nord, e lo utilizzano subito per aggiornarsi sulle infinite e mutevoli situazioni delle formazioni in lotta. Siamo in luglio, la guerra partigiana è in piena espansione; sulla carta, gli ufficiali britannici cercano di seguire quanto accade in base alle trasmissioni radio, ma hanno le idee confuse. Sogno porta notizie fresche e sicure, i colleghi lo apprezzano moltissimo e vorrebbero trattenerlo, ma lui rifiuta. Deve tornare al Nord, perché non può abbandonare le redini, e teme che i suoi si sbandino senza una guida continua e sicura.
    Intanto, fa una “puntata” a Roma, e constata il rapido deterioramento della situazione politica. I partiti del CLN hanno preso il potere escludendo Badoglio e sostituendolo con Bonomi, e la pressione delle sinistre filocomuniste si fa sentire. Questo gli fa comprendere quello che già gli era apparso come un serio pericolo nel Nord, ossia la tendenza dei comunisti ad impadronirsi della Resistenza. Allora, propone agli anglo-americani di mandare al Nord, per dirigere militarmente il Corpo Volontari della Libertà, un generale dell’Esercito che si possa considerare “super partes”. L’idea viene accolta, e la persona designata è il generale Cadorna.
    Così, a metà agosto, devono partire per il Nord sia Sogno che Cadorna. Da due aerei separati, i due vengono lanciati col paracadute. Sogno arriva nel basso Biellese, nella zona occupata da una formazione partigiana indipendente, al comando di certo Monti. Con lui, sono scesi dodici contenitori, quattro suoi con materiali e documenti, e otto con armi e munizioni per la banda di Monti. Che è, che non è, la mattina dopo si trovano solo due contenitori. Dove sono gli altri? Li ha presi una banda comunista confinante. Monti, inferocito, vorrebbe fare subito la guerra contro i ladri. Sogno lo calma, e lo accompagna presso il comando comunista. Compromesso: i comunisti tratterranno metà delle armi e delle munizioni, e restituiranno il resto!
    Adesso, nel CLN dell’Alta Italia, Sogno è diventato uno dei massimi esponenti, in rappresentanza della componente non comunista, e, soprattutto, come uomo di fiducia degli anglo-americani (specie degli inglesi). La questione sul tappeto è quella di Cadorna, che le sinistre non vogliono assolutamente. Riunioni su riunioni, spaccatura netta. Marazza, democristiano, Sogno, monarchico, e Pizzoni, indipendente, premono per la nomina, mentre Parri, per il partito d’azione, e Pajetta, per i comunisti, rifiutano ogni accordo. Cadorna non prende posizione, si limita a stare a sentire.
    Sogno pensa di far leva sul più bravo e più indiscusso dei comandanti partigiani, Enrico Martini Mauri.
    Questo maggiore del Regio Esercito, dal settembre 1943, aveva condotto una battaglia aperta, cavalleresca, tradizionale, contro l’invasore nazista, giungendo a controllare gran numero di divisioni e brigate (mediamente fra i cinque e diecimila patrioti), a mantenere sotto la propria occupazione vaste zone delle Langhe - compresa, per 23 giorni, la città di Alba - , e ad organizzarsi secondo i cànoni militari più ortodossi. Sarebbe, io penso, un altro personaggio da studiare a fondo, totalmente snobbato dagli istituti resistenziali del dopoguerra per il solo fatto che era monarchico dichiarato. Solo da poco è uscito, per opera dell’avvocato Marco Grandi di Genova, un bellissimo libro che descrive, giorno per giorno, con assoluta precisione, la sua attività militare. Dal “quadro riepilogativo finale” risulta che il cosiddetto “Primo gruppo di Divisioni Alpine” ebbe, durante i venti mesi della Resistenza, 950 morti, ed inflisse, a tedeschi e “repubblicani” (sì, proprio così sta scritto nei bollettini di guerra, cari sostenitori della “Repubblica nata dalla Resistenza”….), 5.723 morti accertati, 4.893 prigionieri, e 292 automezzi distrutti o catturati. Mi permetto raccomandarlo ad attenta lettura.
    Dunque, Sogno e Cadorna vanno da Mauri, e ne traggono ottima impressione. Sogno ricorda a Cadorna la discussione che vi era stata nell’ultima riunione del CLN: Paietta aveva osato sostenere che Mauri era un traditore, solo perché, in un patto concluso con un vicino gruppo del partito d’azione. (accordo di Certosa di Pesio), si era dichiarato, ad un tempo, antinazista ed anticomunista. Gli spiega che la grande questione è l’anticomunismo, e che è essenziale spuntare la sua nomina, come prospettatogli al Sud, proprio per impedire che l’Italia cada dalla padella fascista nella brace comunista. Se l’otterrà, non sarà solo; al suo fianco vi sarà gente come Mauri.
    Cadorna, però, purtroppo, non si sbilancia, non si impegna. Lascia fare agli altri. Forse, ha annusato l’aria, e si è accorto che il Vento del Nord soffia verso sinistra. Ma allora, perché è stato paracadutato al Nord?
    D’altra parte, non è forse vero che in Italia le Forze Armate non fanno politica, e cioè stanno, senza pensarci troppo, col politico che vince?
    Fatto sta che non si conclude nulla. Bisogna andare al Sud per uscire dall’incertezza sulle principali questioni in sospeso. Si decide di passare dalla Svizzera, stabilire chi porterà a Roma le ragioni delle parti, ed organizzare il trasferimento dei mandatari attraverso la Francia già in mani “alleate”.
    Adesso è Sogno che deve preparare il passaggio del confine. Ormai è un esperto, perché nel frattempo è andato avanti e indietro ancora una volta - per riferire a Mc. Caffery l’esito della missione a Monopoli - passando sui monti fra il Lago di Como e il Canton Ticino. Questo è, dunque, il settimo sconfinamento. Va avanti, per accordarsi con una certa Lina che tiene le fila di simili operazioni, e cade dritto dritto in un posto di blocco della “Muti”. Viene arrestato perché non si fidano dei suoi documenti. Si preparano a portarlo a Como, dove verrà senza dubbio riconosciuto come il ricercatissimo “Franchi”. Allora, che fa? Approfitta di una disattenzione di uno dei carcerieri, si impadronisce della sua pistola, minaccia tutti con quella, e se ne va insalutato ospite. L’ha scampata per un soffio..
    Superato l’incidente, tutto procede bene. In Svizzera si raggiunge l’accordo almeno sulla composizione della delegazione del CLN dell’Alta Italia: Sogno, Pizzoni, Parri, Pajetta. Due a due. Svizzera-Francia con documenti falsi preparati dagli inglesi. Sosta a Lione, aereo per Napoli. Da Napoli, appuntamento telefonico col governo di Roma. A Roma, inconcludente colloquio con Bonomi, che è alle prese con una imminente crisi ministeriale, e rimanda tutti al Comando “alleato” del Mediterraneo, ora diretto dal generale Maitland Wilson.
    I problemi da affrontare sono grossi. Quello di Cadorna si innesta sulla futura posizione dell’Italia nel dopoguerra: al di qua, o al di là, della linea divisoria tra Occidente ed Unione Sovietica? I militari anglosassoni, come Sogno, hanno capito che i comunisti hanno mire ben precise, e che contano sulla caduta del Nord per costituire colà un governo sullo schema del CLN dell’Alta Italia, che essi sono sicuri di potere controllare facilmente, schiacciando le altre forze della Resistenza, specie i monarchici. Quindi, si deve dibattere sul passaggio dei poteri all’atto dell’occupazione anglo-americana della Pianura Padana.
    Intanto, vi è da cercare di comprendere quando gli “alleati” si decideranno a riprendere l’offensiva, ferma sulla Linea Gotica. In novembre, il generale inglese Alexander ha trasmesso ai partigiani italiani uno strano messaggio, in cui sostanzialmente li ha invitati ad andarsene a casa durante l’inverno, perché fino a primavera non si farà nulla. Una doccia gelata per i filo-occidentali, un incoraggiamento per i comunisti, i quali puntano sull’arrivo di Tito dalla Jugoslavia e dell’Armata Rossa dall’Austria. Cosa succederà?
    Infine, chi pagherà gli esborsi finanziari della Resistenza?
    Finora hanno anticipato le Banche italiane, con un acrobatico marchingegno escogitato da Pizzoni, ma ormai è necessario mettere un punto fermo.
    Questa problematica porta, dopo penose discussioni, all’accordo formale del 7 dicembre 1944, firmato a Roma dal generale inglese e dai quattro inviati del Nord. Gli “alleati” pagheranno 160 milioni di lire (vittoria di Pizzoni); il Nord verrà occupato dagli anglo-americani, e non da Tito nè dall’Armata Rossa; il CLN dell’Alta Italia eserciterà poteri di governo solo nell’intervallo fra la ritirata tedesca e l’arrivo degli “alleati”; la scelta di Cadorna al comando del CVL è implicitamente confermata.
    Di fatto, possiamo anticipare, accadrà che, a parte Cadorna (il quale rimarrà ai margini), questo accordo salverà l’Italia dal comunismo, in quanto Tito verrà ricacciato da Trieste, dove si era spinto, e, soprattutto, l’intervallo di trapasso verrà quasi cancellato dalla spontanea resa dei tedeschi in Italia, stipulata in Svizzera, per opera dei servizi segreti inglesi ed americani, prima ancora del fatidico 25 aprile.
    Ora Sogno e Parri vogliono e devono rientrare al Nord. Gli “alleati” li riportano fino in Svizzera, ma dalla Svizzera all’Italia bisogna arrangiarsi. Ottavo passaggio di frontiera, questa volta da Ascona, sul Lago Maggiore, alla Valle Canobina e poi a Verbania. Qui il guaio capita a causa dell’altitudine e delle bufere di neve. Parri ha mal di cuore, sta male, vuole restare lì a morire. Sogno non ne vuol sapere. Gli dà certe pillole miracolose, e se lo trascina dietro, a salvamento. E questo, badate, con un acerrimo avversario politico!
    Riprende la vita clandestina. “Franchi” è diventato il medico svizzero dottor Tramer. Gli arresti di amici e collaboratori si susseguono. La guerra partigiana non è più in montagna, i tedeschi e i “repubblicani”, dopo il proclama di Alexander, hanno rioccupato quasi tutte le “zone libere”; adesso tutto si svolge nelle città, fra agguati reciproci ed uccisioni a tradimento, mentre molta gente fa il doppio gioco.
    Viene arrestato anche Parri, e il CLN scongiura Sogno di fare qualcosa per liberarlo. Sogno ha già liberato il democristiano Mentasti, ed è in contatto con tale “Ugo”, ufficiale delle SS italiane, che fa, appunto, il doppio gioco, e gli fornisce le divise per travestirsi da SS.
    Con queste, fa una specie di prova generale, salvando due suoi uomini che erano stati arrestati, e poi, il 2 febbraio 1945, si introduce in un abbaino di un edificio a fianco dell’Albergo Regina di Milano, requisito dalle SS, che tenevano Parri rinchiuso in una stanza all’ultimo piano. L’idea è quella di passare nel solaio dell’albergo, e da lì all’ultimo piano, per arrivare al “leader” del partito d’azione.
    Ma c’è qualcosa che non va.. Le SS, evidentemente, sanno cosa sta accadendo. Chi le abbia informate, è ancora oggi un mistero. Fatto sta che arrivano nel rifugio di Sogno prima ancora che questi abbia potuto iniziare il tentativo. Sparatoria, in presenza di civili terrorizzati ed ignari, resa spontanea per evitare di coinvolgerli.
    Sogno dichiara subito di essere “Franchi”. E’ stato catturato in divisa sottratta ai nazisti, per cui è passibile di fucilazione immediata. Invece le SS lo picchiano, lo torturano, lo chiudono in cella, ma non lo fucilano. Lui tenta di scappare, lo riprendono subito. Altre botte, trasferimento a Verona, e poi a Bolzano.
    Mentre lui è in prigione, la Storia corre. Il CLN libera Parri, facendo uno scambio con i generali tedeschi (SS compresa) che devono dare garanzie per la resa svizzera. Di Sogno nessuno si preoccupa. Arriva aprile. Insurrezione, Mussolini appeso per i piedi, 30.000 gregari fascisti, disarmati e abbandonati, uccisi dai partigiani comunisti ed azionisti, Pizzoni esautorato ed escluso, i monarchici cancellati. Sogno è tagliato fuori, perché Bolzano è una delle ultime roccheforti tedesche, e cade solo ai primi di maggio. Se vorrà tornare a Milano, dovrà approfittare di trasporti di fortuna.
    Il 9 maggio, a Milano, si presenta in un luogo che è la sede della “Franchi”. Vi sono degli sconosciuti, non lo vogliono lasciare entrare. Si sente un estraneo.
    “Allora, senza dir nulla a nessuno, ritornai nella strada, e mi avviai solo verso il centro della città.” Così finisce “Guerra senza bandiera”.
    E finisce il Sogno guerriero, per dar spazio al Sogno politico.
    Il Sogno politico ha una prima fase in piena coerenza con l’impegno militare. Resta fermamente monarchico.
    Affianca Umberto di Savoia, prima Luogotenente e poi Re. All’interno del partito liberale si sente minoranza, perché i politici di professione trescano, chi più chi meno, con la repubblica. Si batte, è contestato, non molla. Il partito si pronuncia, alla fine, per la monarchia, ma in modo molto timido.
    Dopo il referendum, percepisce che c’è del marcio, anche se non è in grado di capire dove si nasconde, e vorrebbe consigliare al Re di tenere duro. Ma il consiglio non verrebbe seguito, perché, anche fra i monarchici, prevalgono le “colombe”, e demonizzano i “falchi”. Il “falco” capisce che non è aria, e si adegua: “non una goccia di sangue” per difendere il trono!
    Resta sconcertato, e per qualche tempo non fa politica. Entra in diplomazia, brilla subito, la carriera lo attrae.
    Nel 1953 sembra che vi siano serie speranze di restaurazione. Il PNM di Covelli e Lauro lo candida a Milano per la Camera. Lo ricordo perfettamente, in Piazza del Duomo, al comizio di Achille Lauro, davanti a 20.000 persone plaudenti, declamare versi abbastanza orribili per far votare “Stella e Corona”.
    Nella circoscrizione riescono due soli deputati monarchici, lui rimane fuori..
    Inizia allora una seconda fase. Sogno cerca disperatamente nuove vie. Si è reso conto che il partito monarchico, con le “mani pulite”, col rifiuto di piegarsi ai compromessi della politica dei favori e dei giochi di potere, non ha un avvenire nel sistema repubblicano, e verrà buttato fuori dal Parlamento. Stima ed apprezza Re Umberto, riconosce la nobiltà del suo sacrificio, ma ritiene urgente sconfiggere a qualunque costo il comunismo, rimasto in agguato per riprendere l’avanzata verso il potere.
    Allora, accortosi che neppure in diplomazia potrà combattere questa battaglia, lascia la carriera col grado di Ambasciatore, ed abbraccia l’ipotesi presidenzialista, ispirandosi all’esempio francese del generale de Gaulle.
    Per decine di anni escogiterà, ora solitario, ora con sempre nuovi e strani compagni di viaggio, soluzioni del “caso italiano”, quasi sempre rimaste sulla carta ed a livello progettuale, talora ardite, talaltra attuabili ma solo a certe condizioni che poi non si verificavano mai, e gli davano un comprensibile senso di frustrazione.
    In realtà, nessuna soluzione repubblicana poteva sostituire quella difesa della Monarchia che lui, più coraggiosamente di ogni altro, aveva tentato senza riuscire. La repubblica doveva portare, inevitabilmente, o allo sfacelo delle istituzioni dello Stato (come è avvenuto, e sta avvenendo, ogni giorno di più), o alla dittatura. Chiaro che a un certo punto, fra il 1973 e il 1975, quando pareva imminente, non solo in Italia ma in tutto il mondo, l’avvento della dittatura comunista, Sogno può avere pensato ad opporre ad essa una dittatura militare o qualche cosa di simile. Non era una scelta politica, era una scelta dell’emergenza, peraltro, a quanto risulterebbe dalle sue memorie postume, resa impossibile dalla caduta, negli Stati Uniti, del Presidente Nixon.
    Tutto qui, il commento che si può fare al libro di Cazzullo. Trovo assurdo e sbagliato il giudizio di Galli della Loggia sul “Corriere”, il quale loda il “giovane magistrato” che arrestò una Medaglia d’Oro della Resistenza per sospetto di tentato “golpe”. Potrei lodare il giovane magistrato qualunque, ma non posso lodare il giovane magistrato di dichiarata ideologia comunista. Debbo dire che questi agì compiendo un atto di guerra, in risposta ad un possibile atto di guerra contro la sua parte politica. Legittimo, forse, ma in un contesto di guerra, non in un contesto di diritto. E che il comunismo sia stato, e sia tuttora, un sistema eversivo, rivoluzionario, illiberale, pronto ad uccidere e a farsi uccidere, mi sembra indiscutibile.
    Dunque, se oggi Sogno confessa di essere sempre stato in guerra, sia contro il nazismo che contro il comunismo, non vi è materia di scandalo, bensì soltanto di rispetto verso chi ha sempre pagato di persona.
    Il 5 agosto 2000 la morte lo ha ghermito. Ha combattuto la sua battaglia, ha conservato la fede. La fede nella Monarchia è ritornata in primo piano nelle sue ultime volontà. Ha voluto la bandiera sabauda, come la vecchia maestra di Guareschi. Quale migliore suggello della sua vita impareggiabile?

    .
    Eroe della Resistenza, emarginato dalla Resistenza. Ma non era più la stessa Resistenza, era quella parte politica che si era impadronita della Resistenza alla vigilia della primavera del 1945. Erano, soprattutto, i comunisti e i membri del partito d’azione, che confidavano di riuscire a fare entrare l’Italia nel blocco sovietico, e stavano eliminando chiunque si opponesse.
    E Sogno si opponeva, perché era tanto antinazista quanto anticomunista. Ed era monarchico, fedele a quel Re al quale aveva prestato giuramento. Aveva fatto la Resistenza da monarchico, come buona parte di coloro che hanno fatto la Resistenza, nelle maniere più svariate, senza il secondo fine politico di conquistare il potere in nome di una ideologia di parte e di sfruttarlo poi per fini personali.
    Il problema dell’8 settembre e della Resistenza non è solo Storia, è anche politica, e politica di assoluta attualità. Lo Stato repubblicano, così come è oggi, deriva precisamente dalla interpretazione che è stata data a quegli avvenimenti, in modo scandalosamente deviato, dalla assemblea costituente del 1946 e poi dalla “vulgata” repubblicana e comunista.
    E’ vero, come ha recentemente affermato il Presidente Ciampi, che l’8 settembre la Patria non è morta.
    Ma non è morta, prima di tutto, per merito di colui che seppe prendere, in nome della ragione di Stato, le decisioni più sagge, anche se dolorose ed impopolari, tanto impopolari da renderlo facile bersaglio di accuse infamanti. E questi fu Re Vittorio Emanuele III°, tuttora seppellito lontano dalla Patria e continuamente vilipeso dagli sciacalli che comandano i mezzi d’informazione italiani. Proprio lui, che ha donato al popolo italiano la collezione numismatica, di valore incalcolabile, grande passione della sua vita, ora custodita nei sotterranei della Banca d’Italia, ed è ricambiato solo con odio e disprezzo. Vergogna, mille volte vergogna!
    Proprio questo vorrei ricordare, col massimo dovuto rispetto, al Signor Presidente della Repubblica, che pure, giovane ufficiale del Regio Esercito, aveva solennemente giurato fedeltà alla persona di quello sfortunato Sovrano.
    E’ comparso in questi giorni, sulla rivista “Panorama”, un articolo con una firma del tutto insospettabile, quella di Adriano Sofri, già “leader” di Lotta Continua e condannato ad una lunga pena detentiva quale mandante morale dell’omicidio Calabresi.
    Si tratta di un articolo coraggioso ed esemplare, nel quale Sofri, recensendo un libro sulla strage di Cefalonia, “scopre”, in un certo senso, la Resistenza monarchica, da lui totalmente ignorata perché alla sua generazione nessuno ne aveva mai parlato. Ricorda, a conferma di questa sua lacuna, che quando, durante un viaggio scolastico, la nave degli studenti era passata da Cefalonia ed era stata gettata una corona di fiori in mare, i ragazzi non avevano capito di che cosa si trattasse.
    Egli cita la lettera di un’amica, tale Fiamma Sebastiani (che fra l’altro gli dichiara di non essere più monarchica da oltre cinquant’anni), ove ella racconta la sua odissea di figlia di un diplomatico che l’8 settembre si trovava ad Atene.
    Dice, la signora Sebastiani, che il personale italiano ad Atene fu convocato, dagli occupanti tedeschi, mentre era rinchiuso in ambasciata ed isolato da tutti, perché aderisse alla repubblica. “Un ufficiale” - scrive - “si avanzò per primo a dichiarare di essere legato ad una sola parola, il giuramento fatto al Re.” Nessuno aderì alla intimazione, tutti preferirono rimanere, per otto mesi, assediati in ambasciata.
    Poi narra l’episodio più commovente.
    Il personale italiano, compresi i famigliari dei diplomatici, nel maggio 1944 fu caricato su di un treno per essere rispedito in Italia, sotto una scorta militare e con l’accompagnamento di un “compito diplomatico tedesco”. Il treno impiegò dieci giorni, e fu costretto a numerose soste.
    Riporto ora integralmente questa parte della testimonianza, così come la trascrive Sofri. “Durante una di quelle soste vedemmo a lato dei binari degli uomini a torso nudo che spaccavano pietre, sorvegliati da militari. Erano soldati italiani. Ci mettemmo a parlare con loro ed a prendere nomi ed indirizzi per cercare di far avere notizie alle famiglie e distribuire un po’ di viveri.” “Ma voi siete fascisti!” ci chiese uno di loro. “E noi, in coro: no, di certo, siamo badogliani!” “E allora, mi vengono ancora le lacrime agli occhi a pensarci, da quegli uomini prigionieri, affamati, incerti del loro futuro e della loro stessa vita, si è alzato un grido: anche noi, anche noi….viva il Re, viva Badoglio….Il grido fu ripreso da tutto il treno, finchè non comparve il compito diplomatico tedesco, trasformato in una furia: je ferai plomber tous les wagons!”
    Ecco, amici.
    Pensate a questa signora Fiamma Sebastiani, che da oltre cinquant’anni non è più monarchica. Essa non lo è più, perché ha vissuto immersa nel piatto conformismo del potere repubblicano, che l’ha indottrinata con le sue leggende e con i suoi miti. Però, se ripensa all’incontro coi prigionieri, si commuove fino alle lacrime.
    E pensate ad Adriano Sofri, al ragazzo che non sapeva cosa fosse successo a Cefalonia, al giovane sessantottino che esultò quando Calabresi fu assassinato, e che oggi, scrivendo su di una importante rivista, si sofferma, dal carcere, a riflettere su questo fatto della fedeltà ad un giuramento monarchico, ossia su di un valore che la repubblica gli ha insegnato a disprezzare.
    Ma allora, è evidente che la revisione storica deve essere totale, e partire proprio dall’8 settembre 1943.
    Recentemente si è venuto affermando un filone storico pseudo-revisionista, imperniato su di un’abile fusione delle tesi comuniste con quelle naziste. Il Re e Badoglio, secondo costoro, sarebbero i soli colpevoli di quanto accadde in occasione dell’armistizio italiano, e ciò sotto un triplice profilo: avrebbero tradito l’alleato germanico, che legittimamente si sarebbe vendicato sull'Italia, avrebbero tentato di trarre in inganno gli anglo-americani pretendendo di passare disinvoltamente nelle file dei vincitori e così guadagnandosi il disprezzo generale, e infine sarebbero fuggiti a gambe levate (l’espressione è di Roberto Gervaso) per salvare la pelle, abbandonando gli italiani in balìa dello straniero
    Questa tesi è il peggio del peggio, e raccoglie in un solo contesto una nauseante spazzatura di menzogne.
    Tradito l’alleato germanico? Chi, semmai, Adolfo Hitler? Non la Germania, signori miei. La Germania, nella persona dei suoi più alti generali, attendeva solo l’occasione favorevole per uccidere il tiranno, che stava trascinando la Nazione nel più orribile disastro della sua storia. Leggete il libro di Joachim Fest intitolato “Obbiettivo Hitler”: nel marzo 1943 fallirono per un soffio ben due attentati di coraggiosi ufficiali, pronti a saltare in aria con l’uomo da eliminare. Ma comunque Adolfo Hitler non aveva una parola d’onore. Aveva violato decine di volte le promesse più sacre, anche verso l’Italia. E l’Italia avrebbe dovuto darsi in olocausto alla sua persona, solo per ritardare il suo inevitabile annientamento?
    Ingannato gli anglo-americani? E’ vero precisamente il contrario. Gli storici anglosassoni più onesti, ormai, ammettono apertamente che le pressioni sull’Italia per costringerla alla immediata resa incondizionata erano “a gigantic bluff”, un gigantesco imbroglio, per ottenere un successo politico che coprisse il rinvio all’anno successivo, e lo spostamento in Francia, della grande offensiva prevista per la. seconda metà del 1943. L’Italia non pretendeva di diventare, da vinta, vincitrice; essa si preoccupava solo, e giustamente, di essere in grado di osservare le clausole di armistizio nell’ipotesi, praticamente certa ma non verificabile in anticipo, di un’aggressione nazista, e per poterlo fare chiedeva di concordare le modalità concrete delle operazioni militari, cosa che volutamente fu rifiutata per una ragione inconfessabile: occultare la gravissima debolezza dei programmi d’invasione, e soprattutto l’inescusabile abbandono del decisivo sbarco nei Balcani.
    Schiacciata in una tenaglia fra la prepotenza hitleriana e la subdola manovra anglo-americana, l’Italia del Re e di Badoglio salvò il salvabile, con spirito di sacrificio e grande onestà, ma rimase vittima di una orchestrata campagna diffamatoria, contro la quale non potè difendersi perché le due opposte forze d’invasione soffocarono la sua voce.
    Fuga, abbandono?
    E’ falso ed ingiusto. Il Sovrano e il Maresciallo, entrambi ultrasettantenni, avevano ricevuto dal fascismo un compito immane ed impossibile: fare uscire il Paese da una situazione senza uscita.
    Il fascismo, il vero fascismo, quello del ventennio, aveva governato l’Italia col consenso largamente maggioritario della popolazione. Quel consenso aveva trovato espressione democratica nelle elezioni pluraliste del 6 aprile 1924, col 65% dei voti e una maggioranza parlamentare di due terzi dei seggi, e si era conservato almeno fino all’autunno 1942. Ma dal novembre di quell’anno, a seguito di una svolta fulminea e irreparabile della guerra, era improvvisamente crollato per dare luogo ad una emergenza non più rinviabile. Bisognava uscire dal conflitto. L’Italia, e con lei l’Europa tutta, intravvedeva, ancora lontana ma tremenda, la minaccia del comunismo vittorioso.
    Dalla seduta notturna del massimo organo fascista, il Gran Consiglio, alle 3 del mattino del 25 luglio 1943, era uscito un voto democratico di larga maggioranza, con il quale il Partito, volontariamente, restituiva al Re tutti i poteri statutari, invitandolo ad assumere la suprema iniziativa di decisione.
    Mussolini aveva accettato quel voto, aveva riconosciuto la propria sostituzione come Capo del Governo, aveva subìto con rassegnazione un temporaneo allontanamento protettivo (malignamente definito “arresto” dagli storici). Aveva manifestato per iscritto la propria adesione al nuovo governo. Aveva ordinato al Partito ed alla Milizia di non reagire. Aborriva all’idea di essere prelevato dai nazisti.
    La popolazione aveva fatto spontanee dimostrazioni di fedeltà monarchica, mostrando chiaramente di sperare nella pace.
    Il Re e Badoglio, a quel punto, fecero quello che chiunque avrebbe fatto al loro posto: tentarono tutto quello che era possibile tentare, prepararono tutto quello che era umanamente possibile preparare. Erano certi che Hitler non avrebbe permesso una nostra uscita indolore dalla guerra, perché l’Italia doveva essere la copertura meridionale della Germania; non per vincere, cosa ormai impossibile, bensì per prolungare il martirio della guerra. Anzi, sapevano di precisi piani preparati dai nazisti allo scopo di arrestarli e di impadronirsi dell’Italia. Ma, d’altra parte, ignoravano le intenzioni dei nemici anglo-americani, e dovevano procedere per supposizioni logiche, mentre l’Italia, giorno dopo giorno, veniva frantumata da bombardamenti sempre più atroci e inspiegabili.
    Quando suonò l’ora della prova suprema, non fu lasciata loro altra via che quella della partenza da Roma per Brindisi, “libero lembo del territorio nazionale”. Una città italiana, difesa da italiani. Roma era città aperta, e non poteva, nè doveva, essere difesa, per precisi accordi col Vaticano. Bisognava confermare ed osservare l’armistizio, bisognava salvaguardare la continuità dello Stato.
    Nessuno ha capovolto il fronte, nessuno ha aggredito l’ex alleato. E’ stato l’ex alleato che ha aggredito l’Italia. Sostenere il contrario, andare blaterando che l’Italia ha macchiato il suo onore, è delitto di lesa Patria. Che l’accusa sia stata allora creduta, ingenuamente, da giovani in buona fede, può anche accettarsi; non è tollerabile che venga ripetuta oggi, dopo mezzo secolo, da personaggi che si fanno passare per storici, o, peggio ancora, da esponenti politici.
    Mancanza di ordini?
    Anche qui, si cambiano le carte in tavola. Gli ordini c’erano, inequivocabili, da parte del Re, del Governo e del Comando Supremo. Sogno era un tenente, e li ha capiti. Decine, centinaia di migliaia di ufficiali, sottufficiali e soldati, gente semplice e modesta, li hanno capiti, e, nei limiti del possibile, li hanno eseguiti. Solo nei Balcani ne sono morti almeno 50.000, per una colpa esclusiva e gravissima degli anglo-americani, che quasi tutti gli storici, per servilismo, cercano di occultare o minimizzare. Altrettanti ne sono morti in prigionia per non rinnegare il giuramento.
    Come mai alcuni generali, specialmente di Armata e di Corpo d’Armata, pieni di galloni e di boria, sostengono di non averne saputo nulla? Gli ordini erano arrivati proprio a loro, per primi. Come mai, proprio loro hanno disobbedito, mettendo gli inferiori nel dilemma se obbedire al superiore gerarchico o al Capo dello Stato?
    Perché anche questo è accaduto. Che nel 1944 la Repubblica Sociale Italiana ha condannato a morte e fucilato gli Ammiragli Campione e Mascherpa per alto tradimento, in quanto il suo Tribunale Speciale, nel processo di Parma, ha ritenuto che fosse alto tradimento obbedire al Re, nelle isole dell’Egeo, rifiutando di collaborare con i nazisti!
    Ed accade perfino, non nel 1944 ma oggi, che qualcuno sposa questa tesi infame, scrivendo su importanti giornali che traditore era il Re, che i nazisti avevano ragione, e che era dovere dei militari italiani ribellarsi al tradimento!
    Certo, ai generali, che avevano capito benissimo, come tutti, quali erano gli ordini, ha fatto comodo fingere di non avere capito. Potevano dire la verità, avanzare molte ragionevoli giustificazioni per la mancata esecuzione. No, hanno preferito sparare sulla Croce Rossa, cioè sul Re, su Badoglio, su Ambrosio, su Roatta, su tutti coloro che non si potevano difendere perché combattuti dalla consorteria politica arrivata al potere.
    Egoismo umano. “Mors tua, vita mea”
    Mi avvio a concludere con la mia piccolissima storia personale, connessa con gli eventi del 1943.
    Avevo vent’anni, ed ero cresciuto nel ventennio fascista. Non ero antifascista. Non esultai alla notizia delle dimissioni del Duce. Avevo però capito benissimo che esisteva l’urgenza assoluta di uscire dalla guerra, perché non solo l’Italia, ma l’intera coalizione di cui essa faceva parte, aveva perduto. L’armistizio mi colse a Rimini, in licenza, da allievo ufficiale. Ascoltai le parole di Badoglio, e non ebbi dubbi: i nazisti ci attaccheranno.
    La mattina del 9 si seppe che la Wehrmacht, nella notte, aveva occupato Bologna. Mi attaccai alla radio. Roma non trasmetteva più. Captai dalla radio croata un violento discorso di Pavelic che rivendicava l’Istria e la Dalmazia. Poi un bollettino straordinario tedesco: “l’esercito italiano non esiste più, questo è il destino dei traditori”.
    Allora ricordai il giuramento di fedeltà al Re, che avevo prestato l’anno precedente, ed ebbi una violenta reazione. No, non siamo traditori, e non è vero che l’Italia e il suo esercito non esistono più. Girai la manopola della radio, e mi arrivò, lontana e disturbata, dalla debole stazione di Bari, la voce rotta e dolente di quel Re al quale avevo prestato giuramento
    Mi rividi nell’attimo in cui avevo formulato quella promessa: “Giuro!” E pensai: qual è il momento di mantenere il giuramento, se non quello del bisogno, quando debbo decidere se accettare o respingere le accuse contro la persona alla quale debbo essere fedele?
    Piansi, ve lo assicuro. Ma ripresi a sperare.
    Ho creduto nella Resistenza, la considero ancora un valore, e non posso accettare che Montanelli oggi arrivi ad affermare che “non è stato niente”. Non è vero, la Resistenza è stata qualcosa. Ma quando la si vuole mutilare della sua parte più nobile ed ineccepibile, si ottiene il risultato aberrante di distruggerla.
    Amici cari, rispettiamo pure “i giovani che guardavano a Salò” e quegli altri giovani “che guardavano a Mosca”. Ma c’erano moltissimi altri, giovani e meno giovani, “che guardavano a Brindisi”. Questi sono stati cancellati dalla storia, e non è giusto.
    A nome delle schiere infinite di caduti, di fucilati, di emarginati, ho l’ardire di chiedere giustizia, ricordo, rispetto. La Storia va riscritta alla luce di tutti i fatti che sono accaduti, e non di alcuni soltanto.
    Bastano, agli storici, ai giornalisti ed ai politici che si dilaniano sul concetto di “morte della Patria”, i quattro nomi di Sogno, di Mauri, di Perotti e di Montezemolo? Bastano i centomila e più caduti del Regio Esercito dopo l’8 settembre? Bastano le vicende di Lero, di Rodi, di Cefalonia, di Corfù, del Pindo, di Santi Quaranta, di Kucj,, di Berane, di Ragusa, di Spalato, di Bastia? Bastano i 950 del gruppo di Mauri, e gli altri diecimila e più resistenti di fede monarchica morti con le armi in pugno contro i nazisti, un po’ in tutta Italia?
    Basta il caso di Gimmi Curreno? Era un ragazzo di sedici anni. I fascisti repubblicani l’avevano messo al muro perché rifiutava di dire dove si trovava il padre. Un ufficiale gli promise salva la vita purchè gridasse “viva la Repubblica!”. Risposta, a gran voce: “viva il Re!”. L’ufficiale repubblicano, ammirato e commosso, lo lasciò libero Ma in seguito il coraggioso Gimmi cadde in mano ai nazisti, e fu egualmente fucilato..
    Basta il caso del Maresciallo d’Italia Ugo Cavallero? Aveva fama di amico dei tedeschi. Kesselring lo convocò a Frascati il 13 settembre 1943, e gli offerse il comando delle Forze Armate della costituenda Repubblica, quello che fu poi accettato da Rodolfo Graziani. Alla fine del colloquio, lo invitò a brindare con lui alle fortune del nuovo regime. Cavallero alzò il bicchiere, e, lentamente, disse: “io brindo al Re d’Italia”. Kesselring gli strinse la mano, in silenzio. La mattina dopo, all’alba, Ugo Cavallero si era ucciso nel giardino della villa.
    Non bastano questi, e mille altri fatti analoghi, per stroncare questo ridicolo dialogo fra sordi?
    La Patria non morì l’8 settembre, e non morirà mai, se alle giovani generazioni verranno portati questi esempi, finora seppelliti nell’oblio.
    L’altra sera, in televisione, Paolo Mieli ammetteva che i giovani non sanno nulla, e andava alla ricerca di vaghe spiegazioni. La spiegazione, caro Mieli, è una sola: la faziosità repubblicana ha voluto sopprimere anche il solo nome di Re e di Monarchia.
    Per paura, per rancore, per cattiva coscienza. Ma i nodi, un giorno o l’altro, verranno al pettine. Tutti, proprio tutti.
    Intanto, partiamo da Sogno, e riscriviamo la Storia. Senza restrizioni.

    FRANCO MALNATI

  2. #12
    Can che abbaia morde
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    Letto.
    Bene così.
    Grazie.

  3. #13
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    Predefinito Re: 18 - Partigiani monarchici

    Un ricordo per il comandante Franchi/Sogno nel giorno della liberazione 1945-2017.


  4. #14
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    Predefinito Re: 18 - Partigiani monarchici

    Ce se li dimentica troppo spesso, come se i monarchici fossero tutti bigotti reazionari e filo-fascisti (i partiti monarchici del dopoguerra ahimè lo furono).

  5. #15
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    Predefinito Re: 18 - Partigiani monarchici

    Citazione Originariamente Scritto da Lars Visualizza Messaggio
    Un ricordo per il comandante Franchi/Sogno nel giorno della liberazione 1945-2017.

    che schifo!

  6. #16
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    Predefinito Re: 18 - Partigiani monarchici

    Citazione Originariamente Scritto da Josef Scveik Visualizza Messaggio
    che schifo!
    Tu fai schifo.

  7. #17
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    Predefinito Re: 18 - Partigiani monarchici

    Renzo Ghisi “Scapaccino” (1920-1944)
    7 giugno 2014
    ScapaccinoRenzo Ghisi, falegname, nacque ad Ostiglia (MN) il 12 giugno 1920. Nel 1940 volontariamente si arruolò nell’Arma dei Carabinieri Reali. Dopo la frequenza del corso a Torino, venne trasferito alla Stazione di Cussone ove rimase fino alla fine della ferma. Allo scadere dei 18 mesi venne comunque trattenuto sotto le armi con la 149^ Sezione CC. RR. Dopo l’armistizio dell’8 settembre tornò a casa ove subì un arresto, in seguito al quale si presentò nuovamente alla caserma di Verona nel febbraio 1944. Vi rimase per qualche tempo, ma, alla notizia che i Carabinieri sarebbero stati inviati in Germania e non potendo tornare al suo paese, decise di avviarsi verso le montagne dell’Alto Vicentino dove, ormai allo sbando, si unì ai partigiani e come nome di battaglia scelse quello di un altro Carabiniere Scapaccino, eroe morto difendendo il giuramento fatto alla casa Savoia.
    L’ultima nota nel suo ruolo matricolare lo dà sbandato a Schio il 30 maggio del 1944.
    Nelle stesse fila partigiane, Renzo Ghisi trovò un suo paesano Guido Vigoni, nome di battaglia Mantoan.
    Alle prime luci dell’alba del 17 giugno 1944, mentre le truppe nazi-fasciste iniziavano un importante rastrellamento, i due ostigliesi, Renzo Ghisi e Guido Vigoni, per risparmiare la strada ai loro compagni partigiani, con cui avevano passato la notte in un cason nei pressi di Vallortigara, si offrirono di andare alla latteria di Santacaterina a prendere il latte per le colazioni. Ma i due, che erano scesi verso il paese disarmati, incapparono nella colonna dei rastrellatori. Alla vista dei soldati, tentarono di dividersi in un disperato tentativo di fuga, ma nessuno dei due riuscì a sfuggire alla trappola.

    Scapaccino fu catturato appena fuori dall’abitato nella zona di contrà Bonolli. Riconosciuto subito quale partigiano, fu sottoposto a percosse e ad un violento interrogatorio, cui rispose con un ostinato silenzio. Allora alcuni dei nazifascisti con una corda lo legarono ad un albero, guardandolo a vista, mentre i loro camerati procedevano con il rastrellamento e le perquisizioni.
    Al termine delle operazioni il giovane mantovano fu legato con una corda girata intorno al collo ad un carro. La colonna si mise in marcia verso Vallortigara. Percorse però poche decine di metri uno dei soldati gli sparò ad entrambi i piedi. Scapaccino crollò a terra e, impossibilitato a camminare, venne trascinato via sull’acciottolato.
    Più volte tentò di aggrapparsi al carro, ma i militari lo colpivano con il calcio dei fucili sulle mani, impedendo la presa. Il supplizio del giovane Carabiniere-Partigiano fu tremendo: a peso morto, appeso per il collo, fu trascinato lungo la strada sterrata per quasi 11 chilometri, finché le sue carni, lacerate dal ruvido fondo stradale, diventarono un ammasso sanguinolento. Quando arrivarono poco più in basso della cosi detta ‘curva della Crose’, sotto la chiesetta di S. Sebastiano, forse stanchi di proseguire il crudele gioco o forse mossi a pietà da un gruppo di donne che avevano realizzato inorridite cosa fosse in realtà quel fardello scomposto attaccato al carretto, i nazifascisti soppressero Scapaccino con una raffica al petto.
    Assistette da lontano all’esecuzione Tiziana Corzato, staffetta partigiana, rifugiata insieme ad altre donne in contrà Tomasi. Quando i militari se ne andarono, Tiziana con una compagna scese di corsa e trovò Scapaccino era ancora vivo. Tiziana si precipitò a prendere dell’acqua ma, allorché tentò di farlo bere, il povero giovane chiuse per sempre gli occhi.
    Scapaccino in quel momento apri le mani che teneva strette al petto e che contenevano due oggetti: un mozzicone di matita Fila e una fototessera della fidanzata.

    Tiziana trattenne per ricordo i due oggetti che custodisce tutt’oggi gelosamente, e spostò il corpo del partigiano al lato della strada, in mezzo al frumento per preservarlo da ulteriori ingiurie.
    Il suo corpo e quello degli altri partigiani morti a Vallortigara, per ordine nazi-fascista, furono lasciati sotto le intemperie per quattro giorni.

  8. #18
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