Il movimento di mercato più forte e interessante degli ultimi 10 giorni è stato quello su valute e commodities. Il dollaro ha avuto contro l'Euro uno dei più forti rimbalzi di questo bear market. Da 1.60 a 1.485 in venti sessioni, di cui quasi ben sette figure nel giro di qualche giorno. Il mondo dello spettacolo finanziario non aspettava altro per festeggiare l'attesissimo colpo di reni degli USA, già proclamato come il segno dell'inevitabile rivincita dell'economia americana.

Scappa da ridere. Niente è cambiato. Gli USA sono sulla strada della più clamorosa bancarotta di tutti i tempi, quella strada indicata già nella nostra analisi del 2001, e non è certo un movimento di qualche figura tra Dollaro ed Euro a cambiarne le sorti. Il dollaro può essere considerato l'azione unitaria della ipotetica USA Spa ed è destinato come i titoli della fu-Enron o delle attuali Fannie e Freddie a un valore prossimo allo zero (misurato in termini di potere d'acquisto di beni reali). Tutte le valute di carta paragovernative su licenza monopolistica senza un bene reale sottostante hanno una vita media di gran lunga inferiore a quella di un essere umano. Il dollaro di pura carta compirà 40 anni nel 2011. Probabilmente sarà talmente ridotto male che non avrà neanche più fiato per spegnere quelle tante, troppe candeline.

Parallelamente alla ripresa del valore del dollaro contro l'euro e le altre valute c'è stata ovviamente una forte caduta dei prezzi delle materie prime e dei metalli preziosi. Scrivo ovviamente perchè il ragionamento degli investitori, da quando è cominciato il mercato toro delle commodities, continua a essere, benché erroneo, sempre il solito: su il dollaro contro le altre fiat paper (o monete di carta) - giù le materie prime che sono prezzate prima di tutto in dollari. In questo caso il ragionamento ha trovato forza nella combinazione con un'altra connessione logica molto frequente: rallentamento economico mondiale = diminuzione domanda di materie prime = prezzi più bassi.

Il risultato è stato uno degli storni più violenti di questo mercato rialzista delle materie prime, giunto appena al suo settimo anno di vita (contro una vita media di 20) e con un incremento di prezzo che non raggiunge neanche la metà degli incrementi medi storici. Strano, anzi molto strano proclamare la fine di questo mercato toro che nei suoi fondamentali è potenzialmente di gran lunga più esplosivo di qualunque altro che l'ha preceduto.

Nel lungo termine questi ragionamenti si riveleranno ancora una volta sbagliati così come è successo negli ultimi sei anni. Il loro difetto principale è quello di non tenere conto del continuo e iperbolico aumento di unità monetarie emesse sotto forma di moneta dalle banche centrali o sotto forma di debito degli stati nazionali. Ed è quindi quasi paradossale che questa ripresa del dollaro che ha provocato la caduta delle materie prime si sia verificata proprio all'indomani del primo tentativo di salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac, un intervento che costerà miliardi di dollari (se non addirittura trilioni di dollari), pagati in maniera diretta o indiretta sempre dalle solite vittime reali di ogni intervento governativo: ceto medio e classe povera. Un intervento che spingerà anche il governo americano a premere sull'accelerazione di un debito nazionale oramai fuori controllo.

Ma la cosa più interessante è stato il movimento del metallo prezioso per eccellenza. Da un livello di quasi 1000 dollari è precipitato a 800 nel giro di neanche un mese. Non che questo ci sorprenda, affatto. Così come i mercati ribassisti regalano agli investitori i rally più spettacolari (della serie Dow Jones +300+ punti in una sola giornata, successo anche di recente e SEMPRE, anche in precedenza, solo in fasi di mercato orso), i mercati al rialzo subiscono correzioni spesso violente che terrorizzano quelli che sono dentro, o che stanno per entrarci, scrollando le cosiddette mani deboli. E questa è solo una delle tante correzioni violente dell'oro da quando nel 2001 è cominciata la sua salita.

Addirittura, se riprendiamo l'ultimo mercato toro, quello degli anni settanta, l'oro precipitò da un massimo relativo di 180 registrato nel 1974 fino ai 100 $ del 1976. Un crollo del 40% al quale seguì poi la salita rapida che lo portò su fino a 800 e passa dollari, dove ebbe termine definitivamente la corsa del metallo con il salvataggio del sistema monetario mondiale da parte dell'allora banchiere centrale Volcker. A differenza dell'odierno Bernanke, Volcker potè permettersi, in una economia ancora relativamente sana, con basso livello di debito nazionale, e creditrice nei confronti del mondo, di portare i tassi quasi al 20%. Oggi siamo appena al 2% e l'ipotesi di tirarli su di un quarto di punto terrorizza mezzo mondo finanziario. Figuriamoci cosa vorrebbe dire riportarli al 5% dove stavamo un anno fa, o ancora più su al 10%.

Nessun salvataggio reale si potrà ripetere a questo giro senza restituire pienamente all'oro la sua dignità come strumento monetario, indispensabile per un sistema economico globale più stabile rispetto a quello maneggiato maldestramente dalle banche centrali negli ultimi 30 anni. Un sistema economico che soprattutto, a differenza di quello attuale, produca e diffonda benessere in maniera più equa tra i suoi attori.

Benchè non ci sia ancora alcuna percezione del problema, la realtà di fatto è che banca centrale e il sistema bancario a riserva frazionaria sono oggi una reliquia storica della quale è evidente il fallimento totale come perno gestionale del sistema economico. Allo stato attuale dei fatti un sistema così congegnato, a gestione centralizzata, di liberale ha ben poco, è socialista nella sua vera essenza, e non ci sorprende quindi che stia portando la società verso un impoverimento graduale. La stessa cosa accadde in tempi ancora più brevi per le economie socialiste, dove la gestione centralizzata non si limitava al sistema finanziario ma al complesso delle attività economiche.

Benché inoltre cominci ad diffondersi una sfiducia nelle capacità delle politiche monetarie di poter "curare" i malesseri economici, si riscontra una quasi totale assenza di identificazione corretta del problema e quindi della sua risoluzione. Ciò che non si riesce o non si vuole ammettere è che sono le banche centrali stesse la principale causa originaria dei mali che sarebbero predisposte a curare. L'aumento dei prezzi tanto per citare il male più frequente, ma anche tutte le bolle speculative che hanno avuto luogo negli ultimi 20 anni, petrolio compreso (per quelli che il rialzo del petrolio lo considerano una bolla, che invece a nostro avviso bolla non è affatto). Uno studio dell'economia, così come insegnata dai maestri austriaci Mises e Rothbard, aiuterebbe nella comprensione del problema e della sua soluzione. Ma quelli citati sono autori sconosciuti alle masse e appena studiati anche dai professori universitari che in vario grado osannano ancora i vari Smith, Keynes, Friendman.

Ma torniamo all'analisi di questa caduta del prezzo dell'oro. Quel che sorprende non è tanto la caduta dell'oro in dollari (da 990 a 800), quanto quella dell'oro in Euro (da 590 a 540).Come detto sopra, niente in realtà è cambiato sul dollaro, anche se la percezione di un miglioramento della valuta statunitense rispetto all'euro ha portato al suo riprezzamento. Quel che è cambiato è la percezione che adesso magari toccherà inflazionare di più in euro (che sia ad opera delle banche centrali o dei governi tramite il debito) che in dollari, a causa della recente e sempre più evidente debolezza delle economie europee. Quindi se poteva avere un senso una ritracciamento temporaneo dell'oro in dollari fino a quota 850, punto di rottura storico dei massimi del 1980, in euro il prezzo dell'oro avrebbe dovuto tenere o addirittura salire più rapidamente. Non è successo. Possiamo spiegarlo così.

Il tasso Eur-$ ha picchiato la testa contro un livello protetto dalle banche centrali (che ovviamente impastano le mani anche sui mercati finanziari non bastandogli la gestione centralizzata del credito e l'arbitrario fixing del tasso di interesse a breve), posto a questo giro a 1.60 (al giro precedente, tra il 2005 e il 2006, era di 1.35). Questo nel 2008 è stato il livello limite dove fermare l'euro a tutti i costi e lo si è fatto ripetutamente fino appunto all'ultimo tentativo del 15 luglio.

Non riuscendo a battere le banche centrali, i grossi players hanno deciso alla fine di giocare dalla loro parte, forti anche del fatto che gli ultimi dati economici avevano cominciato a dare l'economia europea in vistoso rallentamento. Tutti a vendere euro quindi, con un movimento che ha assunto una intensità crescente fino al climax dell'8 agosto, dove si è verificato un ribasso dell'euro molto violento del 2% che probabilmente ha visto migliaia e migliaia di piccoli conti speculativi con posizioni lunghe, aperte magari sopra la resistenza importante della media 200 (tagliata come il burro) e in assenza di stop loss stretto, essere chiusi automaticamente per mancanza di margini sufficienti a coprire la leva utilizzata (ci sono broker che offrono leve di 100:1 o anche 200:1). Un bel boccone, di piccoli speculatori ancora sprovveduti, come se ne vedono raramente in finanza.

E un bel boccone anche di posizioni lunghe su oro. Se infatti l'attacco contro l'euro ha fatto scappare tutti a gambe levate dalla valuta europea, figuriamoci il panico scatenato tra i deboli di cuore impegnati in posizioni speculative sull'oro! Approfittando delle vendite dei program trading che hanno in correlazione strettamente positiva oro ed euro e al primo segno di vendita del secondo vendono anche il primo, i signori che tengono sotto controllo e manipolano costantemente il metallo più importante del pianeta hanno approfittato del bailamme causato dall'euro, per seminare vero e proprio terrore. L'oro pertanto è sceso in maniera insensata in tutte e due le valute, offrendo ai fortunati possessori di coriandoli europei la migliore opportunità del 2008 di convertire i propri eccessi di liquido cartaceo in moneta dura, duratura, sonante e onesta.

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