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    Predefinito 10 luglio (23 novembre) - SS. Felicita e sette fratelli, martiri

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Santa Felicita e sette fratelli, Martiri

    23 novembre

    m. Roma, 165

    Emblema: Palma

    Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Massimo sulla via Salaria nuova, santa Felicita, martire.

    Martirologio tradizionale (10 luglio): A Roma la passione dei santi sette fratelli Martiri, figli di santa Felicita Martire, cioè Gennaro, Felice, Filippo, Silvano, Alessandro, Vitale e Marziale, al tempo dell'Imperatore Antonino, mentre era Prefetto della città Publio. Tra essi Gennaro, dopo essere stato percosso con verghe e straziato nel carcere, fu ucciso con flagelli piombati; Felice e Filippo furono ammazzati con bastoni; Silvano fu gettato in un precipizio; Alessandro, Vitale e Marziale furono puniti con sentenza capitale.

    (23 novembre): A Roma santa Felicita Martire, madre di sette figli Martiri, la quale, dopo di loro, per ordine dell'Imperatore Marco Antonino, fu per Cristo decapitata.

    Il più antico documento che ricorda la martire Felicita il Martirologio Geronimiano, il quale, alla data del 23 novembre, ha: "Romae in cimiterio Maximi, Felicitatis" (il cimitero di Massimo è sulla via Salaria Nuova). Questa notizia del Geronimiano è confermata dagli itinerari, i quali indicavano ai pellegrini il sepolcro della martire in quel cimitero, e dalle biografie dei papi che lo avevano restaurato. Un frammento di epitafio ci fa sapere che due cristiani si erano scelti qui il sepolcro.
    Conferma questa notizia il fatto che, al tempo di Gregorio Magno (590-604), tra gli altri olii raccolti dal presbitero Giovanni sui sepolcri dei martiri romani, fu offerto alla regina Teodolinda anche l'olio della lampada che ardeva presso il sepolcro della martire. Egli, tuttavia, tratto in inganno dalla pittura murale, rappresentante Felicita in mezzo a sette figure, credette che qui riposassero con lei i suoi sette figli.
    Il Burkitt, contro l'opinione comune, ha preteso dimostrare, senza argomenti convincenti, che la Felicita del Canone romano, non è la compagna di Perpetua, ricordata il 7 marzo, ma la Felicita del 23 novembre.
    Felicita è conosciuta comunemente come la madre dei sette fratelli martiri. La sua passio è pervenuta attraverso due testi: il primo, molto breve, è conservato in numerosi mss., il secondo si riallaccia ad una traslazione di reliquie a Benevento ed è un rimaneggiamento senza valore del primo. Secondo la passio più antica, composta tra la fine del sec. IV e l'inizio del sec. V, Felicita, ricca vedova, fu accusata da sacerdoti pagani all'imperatore Antonino. Publio, prefetto di Roma, incaricato dall'imperatore di giudicare la santa, cominciò ad interrogarla da sola, e tuttavia non ottenne alcun risultato. Il giorno dopo fece condurre la madre e i sette figli presso il foro di Marte, ma Felicita esortò i figli a rimanere saldi nella fede. Il giudice se li fece condurre davanti l'uno dopo l'altro: Gennaro, Felice, Filippo, Silano, Alessandro, Vitale e Marziale. Non riuscendo a piegare la loro costanza, li assegnò a diversi giudici incaricati di eseguire la sentenza di morte, che fu eseguita con diversi supplizi. Questo racconto è una imitazione dell'episodio biblico dei sette fratelli Maccabei e non ha alcuna base storica. Gli Acta di Felicita, inoltre, richiamano quelli analoghi di s. Sinforosa e dei suoi sette figli. I sette nomi, dati ai pretesi figli di Felicita, si trovano nella Depositio Martyrum alla data del 10 luglio, senza alcun rapporto di parentela fra loro e con Felicita Poiché questi martiri erano sepolti in quattro cimiteri, l'agiografo ha creduto opportuno di scrivere che la sentenza fu eseguita da quattro giudici. E' da aggiungere che l'autore non dice dove fosse il sepolcro dei martiri e tanto meno il loro giorno anniversario. Damaso, poi, nell'epigrafe in onore dei ss. Felice e Filippo, mostra di ignorare questa parentela e i tre versi che si riferiscono a Felicita sono di origine dubbia.
    Sul sepolcro di Felicita, papa Bonifacio I (418-22) edificò una basilica nella quale egli stesso fu sepolto, come indicano il Martirologio Geronimiano (VI sec.) e il Liber Pontificalis. La devozione del papa a Felicita nacque dall'essersi egli rifugiato in quel cimitero ed avere abitato in costruzioni sopra terra durante lo scisma di Eulalio, terminato come egli ritenne, per opera della santa. Nella basilica, s. Gregorio Magno recitò un'omelia nel dies natalis della martire, facendo riferimento alla passio. I resti di un dipinto del sec. VIII, nella stessa catacomba, mostrano il Redentore che dà la corona a Felicita e a sette martiri, quegli stessi che sono stati creduti figli di Felicita.
    Presso le terme di Traiano dal lato verso il Colosseo, nel 1812 fu scoperto un oratorio in onore della santa con la sua immagine; qui si recavano le matrone a pregare. Felicita, come attesta l'iscrizione ivi scoperta, posta ai lati del capo, era venerata come protettrice delle donne romane: FELICITAS CULTRIX ROMANARUM.
    L'oratorio, di modeste dimensioni, era ornato, nella nicchia dell'altare, da una pittura del sec. V-VI, la quale rappresentava la martire, eretta, in figura di orante, con intorno i suoi sette pretesi figli, e in alto la figura' del Redentore, che tiene nella destra una corona gemmata per cingerle il capo. Quando il dipinto venne alla luce, mostrava a destra, in basso, la figura di un carceriere con la chiave: forse perché si credeva che Felicita fosse stata in carcere in questo luogo, prima di sostenere il martirio. Il De Rossi ritiene che il sito fosse l'abitazione di Felicita: se ciò corrispondesse alla realtà, si spiegherebbe la devozione delle matrone romane per esso.
    Il Martirologio Romano commemora Felicita alla data del 23 novembre, con un elogio preso dalla passio.
    E' invocata, a causa dei pretesi sette figli, dalle donne che desiderano avere prole.

    Autore: Filippo Caraffa

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    St. Felicitas

    MARTYR.

    The earliest list of the Roman feasts of martyrs, known as the "Depositio Martyrum" and dating from the time of Pope Liberius, i.e. about the middle of the fourth century (Ruinart, Acta sincera, Ratisbon, p. 631), mentions seven martyrs whose feast was kept on 10 July. Their remains had been deposited in four different catacombs, viz. in three cemeteries on the Via Salaria and in one on the Via Appia. Two of the martyrs, Felix and Philip, reposed in the catacomb of Priscilla; Martial, Vitalis and Alexander, in the Coemeterium Jordanorum; Silanus (or Silvanus) in the catacomb of Maximus, and Januarius in that of Prætextatus. To the name of Silanus is added the statement that his body was stolen by the Novatians (hunc Silanum martyrem Novatiani furati sunt). In the Acts of these martyrs, that certainly existed in the sixth century, since Gregory the Great refers to them in his "Homiliæ super Evangelia" (Lib. I, hom. iii, in P.L., LXXVI, 1087), it is stated that all seven were sons of Felicitas, a noble Roman lady. According to these Acts Felicitas and her seven sons were imprisoned because of their Christian Faith, at the instigation of pagan priests, during the reign of Emperor Antoninus. Before the prefect Publius they adhered firmly to their religion, and were delivered over to four judges, who condemned them to various modes of death. The division of the martyrs among four judges corresponds to the four places of their burial. St. Felicitas herself was buried in the catacomb of Maximus on the Via Salaria, beside Silanus.

    These Acts were regarded as genuine by Ruinart (op. cit., 72-74), and even distinguished modern archæologists have considered them, though not in their present form corresponding entirely to the original, yet in substance based on genuine contemporary records. Recent investigations of Führer, however (see below), have shown this opinion to be hardly tenable. The earliest recension of these Acts, edited by Ruinart, does not antedate the sixth century, and appears to be based not on a Roman, but on a Greek original. Moreover, apart from the present form of the Acts, various details have been called in question. Thus, if Felicitas were really the mother of the seven martyrs honoured on 10 July, it is strange that her name does not appear in the well-known fourth-century Roman calendar. Her feast is first mentioned in the "Martyrologium Hieronymianum", but on a different day (23 Nov.). It is, however, historically certain that she, as well as the seven martyrs called her sons in the Acts suffered for the Christian Faith. From a very early date her feast was solemnly celebrated in the Roman Church on 23 November, for on that day Gregory the Great delivered a homily in the basilica that rose above her tomb. Her body then rested in the catacomb of Maximus; in that cemetery on the Via Salaria all Roman itineraries, or guides to the burial-places of martyrs, locate her burial-place, specifying that her tomb was in a church above this catacomb (De Rossi, Roma sotterranea, I, 176-77), and that the body of her son Silanus was also there. The crypt where Felicitas was laid to rest was later enlarged into a subterranean chapel, and was rediscovered in 1885. A seventh-century fresco is yet visible on the rear wall of this chapel, representing in a group Felicitas and her seven sons, and overhead the figure of Christ bestowing upon them the eternal crown.

    Certain historical references to St. Felicitas and her sons antedate the aforesaid Acts, e.g. a fifth-century sermon of St. Peter Chrysologus (Sermo cxxxiv, in P.L., LII, 565) and a metrical epitaph either written by Pope Damasus (d. 384) or composed shortly after his time and suggested by his poem in praise of the martyr:
    Discite quid meriti præstet pro rege feriri;
    Femina non timuit gladium, cum natis obivit,
    Confessa Christum meruit per sæcula nomen.
    [Learn how meritorious it is to die for the King (Christ). This woman feared not the sword, but perished with her sons. She confessed Christ and merited an eternal renown.--Ihm, Damasi Epigrammata (Leipzig, 1895), p. 45.] We possess, therefore, confirmation for an ancient Roman tradition, independent of the Acts, to the effect that the Felicitas who reposed in the catacomb of Maximus, and whose feast the Roman Church commemorated 23 Nov., suffered martyrdom with her sons; it does not record, however, any details concerning these sons. It may be recalled that the tomb of St. Silanus, one of the seven martyrs (10 July), adjoined that of St. Felicitas and was likewise honoured; it is quite possible, therefore, that tradition soon identified the sons of St. Felicitas with the seven martyrs, and that this formed the basis for the extant Acts. The tomb of St. Januarius in the catacomb of Prætextatus belongs to the end of the second century, to which period, therefore, the martyrdoms must belong, probably under Marcus Aurelius. If St. Felicitas did not suffer martyrdom on the same occasion we have no means of determining the time of her death. In an ancient Roman edifice near the ruins of the Baths of Titus there stood in early medieval times a chapel in honour of St. Felicitas. A faded painting in this chapel represents her with her sons just as in the above-mentioned fresco in her crypt. Her feast is celebrated 23 Nov.

    Bibliography

    RUINART, Acta sincera martyrum (Ratisbon, 1859), 72-74; Acta SS., July, III, 5-18; Bibliotheca hagiographica latina, I, 429-30; ALLARD, Histoire des persécutions (2nd ed., Paris, 1892), I, 345- 68; AUBÉ, Histoire des persécutions de l'Eglise jusqu'=85 la fin des Antonins (Paris, 1845), 345 sq., 439 sqq.; DOULCET, Essai sur les rapports de l'Eglise chrétienne avec l'Etat romain pendant les trois premiers siècles (Paris, 1883), 187-217; DUFOURCQ, Gesta Martyrum romains (Paris, 1900), I, 223-24; DE ROSSI, Bullettino di archeol. crist. (1884-85), 149-84; FöHRER, Ein Beitrag zur Lösung der Felicitasfrage (Freising, 1890); IDEM, Zur Felicitasfrage (Leipzig, 1894); KöNSTLE, Hagiographische Studien über die Passio Felicitatis cum VII filiis (Paderborn, 1894); MARUCCHI, La catacombe romane (Rome, 1903), 388-400.

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. VI, New York, 1909

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    Predefinito Dal «Commento sul salmo 118» di sant'Ambrogio, vescovo

    (Nn. 12. 13-14, in CSEL 62, 258-259)

    «Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Sia aperta a colui che viene la tua porta, apri la tua anima, allarga il seno della tua mente perché il tuo spirito goda le ricchezze della semplicità, i tesori della pace, la soavità della grazia. Dilata il tuo cuore, va` incontro al sole dell'eterna luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9). Per certo quella luce vera splende a tutti. Ma se uno avrà chiuso le finestre, si priverà da se stesso della luce eterna. Allora, se tu chiudi la porta della tua mente, chiudi fuori anche Cristo. Benché possa entrare, nondimeno non vuole introdursi da importuno, non vuole costringere chi non vuole.
    Nato dalla Vergine, uscì dal suo grembo irradiando la sua luce sulle cose dell'universo intero, per risplendere a tutti. Quelli che lo desiderano ricevono la chiarezza dell'eterno fulgore che nessuna notte riesce ad alterare. A questo sole che vediamo ogni giorno tiene dietro la notte tenebrosa. Ma il sole di giustizia non tramonta mai perché la sua luce di sapienza non viene mai offuscata da alcuna ombra.
    Beato colui alla cui porta bussa Cristo. La nostra porta è la fede la quale, se è forte, rafforza tutta la casa. E' questa la porta per la quale entra Cristo. Perciò anche la Chiesa dice nel cantico dei Cantici: «Un rumore! E` il mio diletto che bussa» (Ct 5, 2). Ascolta colui che bussa, ascolta colui che desidera entrare: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne» (Ct 5, 2).
    Rifletti sul tempo nel quale il Dio Verbo bussa più che mai alla tua porta: allorché il suo capo è pieno di rugiada notturna. Infatti egli si degna di visitare quelli che si trovano nella tribolazione e nelle tentazioni perché nessuno, vinto per avventura dall'affanno, abbia a soccombere. Il suo capo dunque si riempie di rugiada, ovvero di gocce, quando il suo corpo soffre. E' allora che bisogna vegliare, perché quando lo Sposo verrà non si ritiri, vistosi chiuso fuori. Infatti, se dormi e il tuo cuore non veglia, egli bussa e domanda che gli si apra la porta. Abbiamo dunque la porta della nostra anima, abbiamo anche le porte delle quali è scritto: «Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria» (Sal 23, 7). Se vorrai alzare queste porte della tua fede, entrerà da te il re della gloria, recando il trionfo della sua passione. Anche la giustizia ha le sue porte. Infatti anche di queste leggiamo scritto quanto il Signore Gesù ha detto per mezzo del profeta: «Apritemi le porte della giustizia» (Sal 117, 19).
    L'anima dunque ha le sue porte, l'anima ha il suo ingresso. Ad esso viene Cristo e bussa, egli bussa alle porte. Aprigli, dunque; egli vuole entrare, vuol trovare la sposa desta.

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    Da dom Prosper Guéranger, L’Année Liturgique - Le Temps après la Pentecoste, Paris-Poitiers, 1901, VI ediz., t. IV, p. 70-80

    LE X JUILLET. LES SEPT FRÈRES, MARTYRS, ET SAINTES RUFINE ET SECONDE, VIERGES ET MARTYRES.


    Trois fois en quelques jours, à la gloire de la Trinité, le septénaire va marquer dans la sainte Liturgie le règne de l'Esprit aux sept dons. Félicité, Symphorose, la Mère des Machabées, échelonnent sur la route qui conduit au mois de l'éternelle Sagesse le triple bataillon des sept fils que leur donna le ciel. L'Eglise, que Pierre et Paul viennent de quitter par la mort, poursuit sans crainte ses destinées; car les martyrs font de leur corps un rempart au dépôt sacré du témoignage apostolique. Vivants, ils sont la force de l'Epouse; leur trépas ne saurait l'appauvrir: semence de chrétiens (1), leur sang versé dans les tourments multiplie l'immense famille des fils de Dieu. Mystère sublime du monde des âmes; c'est donc au temps où la terre pleure l'extinction de ses races les plus généreuses, qu'elles font souche dans les cieux pour les siècles sans fin. Ainsi en sera-t-il toujours; devenue plus rare avec la suite des âges, la consécration du martyre laissera en ce point sa vertu à l'holocauste de la virginité dans la voie des conseils.

    La foi d’Abraham fut grande d'avoir espéré, contre toute espérance, qu'il serait le père des nations en cet Isaac qu'il reçut l'ordre un jour d'immoler au Seigneur; la foi de Félicité aujourd'hui est-elle moindre, lorsqu'à l'immolation sept fois renouvelée des fruits de son sein, elle reconnaît le triomphe de la vie et la bénédiction suprême donnée à sa maternité? Honneur à elle, comme à ses devancières, comme aux émules que suscitera son exemple! Nobles sources, épanchant l'abondance de leurs eaux sur le sable aride du désert, elles recueillent le dédain des sages de ce siècle; mais c'est par elles que la stérile gentilité se transforme à cette heure en un paradis du Seigneur, par elles encore qu'après le défrichement du premier âge le monde verra sa fertilité maintenue.

    Marc Aurèle venait de monter sur le trône impérial, où dix-neuf ans de règne n'allaient montrer en lui que le médiocre écolier des rhéteurs sectaires du second siècle. En politique comme en philosophie, le trop docile élève ne sut qu'épouser les étroites et haineuses idées de ces hommes pour qui la lumineuse simplicité du christianisme était l'ennemie. Devenus par lui préfets et proconsuls, ils firent de ce règne si vanté le plus froidement persécuteur que l'Eglise ait connu. Le scepticisme du césar philosophe ne l'exemptait pas au reste de la loi qui, chez tant d'esprits forts, ne dépossède le dogme que pour mettre en sa place la superstition. Par ce côté la foule, tenue à l'écart des élucubrations de l'auteur des Pensées, retrouvait son empereur; césar et peuple s'entendaient pour ne demander de salut, dans les malheurs publics, qu'aux rites nouveaux venus d'Orient et à l'extermination des chrétiens. L'allégation que les massacres d'alors se seraient perpétrés en dehors du prince, outre qu'elle ne l'excuserait pas, ne saurait se soutenir; c'est un fait aujourd'hui démontré: parmi les bourreaux de tout ce que l'humanité eut jamais de plus pur, avant Domiticn, avant Néron lui-même, stigmatisé plus qu'eux de la tache du sang des martyrs, doit prendre place Marc Aurèle Antonin.

    La condamnation des sept fils de sainte Félicité fut la première satisfaction donnée par le prince à la philosophie de son entourage, à la superstition populaire, et, pourquoi donc hésiter à le dire si l'on ne veut en plus faire de lui le plus lâche des hommes, à ses propres sentiments. Ce fut lui qui, personnellement, donna l'ordre au préfet Publius d'amener à l'apostasie cette noble famille dont la piété irritait les dieux; ce fut lui encore qui, sur le compte rendu de la comparution, prononça la sentence et arrêta qu'elle serait exécutée par divers juges en divers lieux, pour notifier solennellement les intentions du nouveau règne. L'arène, en effet, s'ouvrait à la fois sur tous les points, non de Rome seule, mais de l'empire; l'intervention directe du souverain signifiait aux magistrats hésitants la ligne de conduite qui ferait d'eux les bienvenus du pouvoir. Bientôt Félicité suivait ses fils; Justin le Philosophe expérimentait la sincérité de l'amour apporté par César à la recherche de la vérité; toutes les classes fournissaient leur appoint aux supplices que le salut de l'empire réclamait de la haute sagesse du maître du monde: jusqu'à ce que sur la fin de ce règne qui devait se clore, comme il avait commencé, comme il s'était poursuivi, dans le sang, un dernier rescrit du doux empereur amenât les hécatombes où Blandine l'esclave et Cécile la patricienne réhabilitaient par leur courage l'humanité, trop justement humiliée des flatteries données jusqu'à nos temps à ce triste prince.

    Jamais encore le vent du midi n'avait à ce point fait de toutes parts couler la myrrhe et les parfums dans le jardin de l'Epoux (2); jamais contre un effort aussi prolongé de tousses ennemis, sous l'assaut combiné du césarisme et de la fausse science donnant la main aux hérésies du dedans, jamais pareillement l'Eglise ne s'était montrée invincible dans sa faiblesse comme une armée rangée en bataille (3). L'espace nous manque pour exposer une situation qui commence à être mieux étudiée de nos jours, mais reste loin d'être pleinement comprise encore. Sous le couvert de la prétendue modération antonine, la campagne de l'enfer contre le christianisme atteint son point culminant d'habileté à l'époque même qui s'ouvre par le martyre des sept Frères honorés aujourd'hui. Les attaques furibondes des césars du troisième siècle, se jetant sur l'Eglise avec un luxe d'atrocités que Marc Aurèle ne connut pas, ne seront plus qu'un retour de bête fauve qui sent lui échapper sa proie.

    Les choses étant telles, on ne s'étonnera pas que l'Eglise ait dès l'origine honoré d'un culte spécial le septénaire de héros qui ouvrit la lutte décisive dont le résultat fut la preuve qu'elle était bien désormais invincible à tout l'enfer. Et certes, le spectacle que les saints de la terre ont pour mission de donner au monde (4) eut-il jamais scène plus sublime? S'il fut combat auquel purent applaudir de concert et les anges et les hommes, n'est-ce pas celui du 10 juillet 162, où, sur quatre points à la fois des abords de la Ville éternelle, conduits par leur héroïque mère, ces sept fils de l'antique patriciat engagèrent l'assaut qui devait, dans leur sang, arracher Rome aux parvenus du césarisme et la rendre à ses immortelles destinées? Quatre cimetières, après le triomphe, obtinrent l'honneur d'accueillir dans leurs cryptes sacrées les dépouilles des martyrs; tombes illustres, qui devaient en nos temps fournir à l'archéologie chrétienne l'occasion des plus belles découvertes et l'objet des plus doctes travaux. Aussi loin qu'il est possible de remonter à la lumière des plus authentiques monuments, le VI des ides de juillet apparaît, dans les fastes de l'Eglise Romaine, comme un jour célèbre entre tous, en raison de la quadruple station conviant les fidèles aux tombeaux de ceux que par excellence on nommait les Martyrs. L'âge de la paix maintint aux sept Frères une dénomination d'autant plus glorieuse, au sortir de la mer de sang où sous Dioclétien l'Eglise s'était vue plongée; des inscriptions relevées dans les cimetières mêmes qui n'avaient pas eu la faveur de garder leurs restes, désignent encore au IV° siècle le 11 juillet sous l'appellation de lendemain du jour des Martyrs.

    En cette fête de la vraie fraternité qu'exalte l'Eglise (5), deux sœurs vaillantes partagent l'honneur rendu aux sept Frères. Un siècle avait passé sur l'empire. Les Antonins n'étaient plus. Valé-rien, qui d'abord sembla vouloir comme eux mériter pour sa modération les éloges de la postérité, venait de glisser sur la pente sanglante à son tour: frappant à la tête, il décrétait du même coup l'extermination sans jugement des chefs de l'Eglise, et l'abjuration sous les peines les plus graves de tout chrétien d'une illustre origine. Rufine et Seconde durent aux édits nouveaux de croiser leurs palmes avec celles de Sixte et de Laurent, de Cyprien et d'Hippolyte. Elles étaient de la noble famille des Turcii Asterii que de modernes découvertes ont également remis en lumière. En s'en tenant aux prescriptions de Va-lérien, qui n'ordonnait contre les femmes chrétiennes que la confiscation et l'exil, elles eussent paru devoir échapper à la mort; mais leur crime de fidélité au Seigneur était aggravé par le vœu de la sainte virginité qu'elles avaient embrassée: leur sang mêla sa pourpre à la blancheur du lis qui avait leur amour. La Basilique Mère et Maîtresse garde, près du baptistère de Constantin, les reliques des deux sœurs; le second siège cardinalice des princes de la sainte Eglise est placé sous leur protection puissante, et joint à son titre de Porto celui de Santa-Rufina.

    Lisons l'abrégé des Actes de leur martyre que nous offre aujourd'hui la sainte Liturgie, en le faisant précéder de celui des sept Frères.

    Sept Frères, fils de sainte Félicité, furent à Rome, sous la persécution de Marc Aurèle Antonin, traduits devant le préfet Publius. Celui-ci, par caresses d'abord, par menaces ensuite, tenta de les amener à renier le Christ et honorer les dieux. Mais leur courage et les exhortations de leur mère les ayant maintenus fermes dans la confession de la foi, ils furent mis à mort en di verses manières. Janvier mourut sous les fouets garnis de plomb; Félix et Philippe sous le bâton; Silvain fut précipité d'un lieu élevé; Alexandre, Vital et Martial eurent la tête tranchée. Quatre mois après, la mère obtenait comme ses fils la palme du martyre; pour eux, ce fut le six des ides de juillet qu'ils rendirent leur âme au Seigneur.

    Rufine et Seconde, vierges de Rome, étaient sœurs. Fiancées par leurs parents à Armentarius et Vérinus, elles repoussèrent cette alliance, comme ayant consacré à Jésus-Christ leur virginité. Arrêtées sous l'empire de Valérien et de Gallien, le préfet Junius ne put ni par promesses, ni par menaces, les faire changer de résolution. En conséquence, il fait d'abord battre de verges Rufine. Pendant qu'on la frappe, Seconde interpelle ainsi le juge: «Pourquoi l'honneur à ma sœur, et à moi la honte? fais-nous frapper toutes deux, puisque toutes deux nous confessons le Christ Dieu». A ces paroles, le juge enflammé de colère ordonne qu'on les plonge dans un cachot ténébreux et infect; une lumière éclatante et la plus suave odeur remplissent soudain ce lieu. Enfermées dans un bain aux ardeurs embrasées, elles en sortent saines et sauves. Jetées dans le Tibre une pierre au cou, elles sont délivrées par un Ange. Enfin elles sont décapitées hors de la Ville, au dixième mille de la voie Aurélia. Une dame nommée Plautilla ensevelit leurs corps dans sa propriété; transportés à Rome plus tard, ils reposent dans la Basilique de Constantin, près du Baptistère.

    Enfants, louez le Seigneur; chantez celui qui, dans sa maison, donne à la stérile une couronne de fils» (6). Ainsi l'Eglise ouvre aujourd'hui ses chants. Etait-elle donc stérile, ô Martyrs, la mère glorieuse qui vous avait donnés tous les sept à la terre? Mais la fécondité qui s'arrête à ce monde ne compte pas devant Dieu; ce n'est point elle qui répond à la bénédiction tombée des lèvres du Seigneur, au commencement, sur l'homme fait par lui son semblable (7). Saint et fils de Dieu, c'était une lignée sainte, une race divine (8), qu'il recevait mission de propager par le Croissez et multipliez du premier jour. Ce que fut la première création, toute naissance devait l'être: l'homme était réservé à ce degré d'honneur de ne communiquer sa propre existence à d'autres hommes ses semblables, qu'en leur donnant avec elle la vie du Père qui est aux cieux; celle-ci devait être aussi inséparable de la vie naturelle qu'un édifice l'est du fondement qui le porte, et, dans l'intention de Dieu, la nature appelait la grâce non moins que le cadre appelle l'œuvre d'art pour laquelle il est fait.

    Trop tôt le péché brisa l'harmonie des lignes du plan divin; la nature fut violemment séparée de la grâce, et ne produisit plus que des fils de colère (9). Le Dieu riche en miséricorde (10) n'abandonnait point cependant les projets de son amour immense; lui qui dès la première création nous eût voulus pour fils, nous créait comme tels à nouveau dans son Verbe fait chair (11). Ombre d'elle-même, ne donnant plus directement naissance aux fils de Dieu, l'union d'Adam et d'Eve était découronnée de cette gloire près de laquelle eussent pâli les sublimes prérogatives des esprits angéliques; mais elle restait la figure du grand mystère du Christ et de l'Eglise (12).

    La maternité s'était dédoublée. Stérile pour Dieu, confinée dans la mort qu'elle avait attirée sur sa race, l'ancienne Eve ne pouvait plus qu'en participation de la nouvelle mériter son titre de mère des vivants (13). A cette condition toutefois de s'incliner devant les droits de celle que l'Adam nouveau a choisie comme Epouse, l'honneur demeurait grand pour elle, et il lui était loisible de réparer en partie sa déchéance. Mieux que la fille de Pharaon sauvant Moïse et le confiant à Jochabed, l'Eglise allait dire à toute mère au sortir des eaux: «Recevez cet enfant, et me le nourrissez» (14). Et humblement soucieuse de répondre à la confiance de l'Eglise, saintement fière de revenir aux intentions premières de Dieu pour elle-même, toute mère chrétienne allait faire sienne, en son labeur redevenu plus qu'humain, cette parole d'un amour dépassant la nature: «Mes petits enfants, que j'enfante de nouveau, « jusqu'à ce que le Christ soit formé en vous!» (15).

    Honte à celle qui mettrait en oubli la destinée supérieure appelant le fruit de son sein aux honneurs de la filiation divine! Le crime serait pire que d'étouffer en lui par négligence ou calcul, dans une éducation exclusivement préoccupée des sens, l'intelligence qui distingue l'homme des animaux soumis à son empire. La vie divine n'est pas moins nécessaire à l'homme, en effet, pour atteindre sa fin, que la vie raisonnable; n'en point tenir compte, laisser dépérir le germe divin déposé dans l'âme d'un enfant à sa nouvelle naissance au bord de la fontaine sacrée, serait pour une mère replonger dans la mort l'être fragile qui lui devait l'existence.

    Elle avait autrement compris sa mission votre illustre mère, ô Martyrs! Et c'est pourquoi l'Eglise, qui se réserve de nous rappeler sa mémoire sainte au jour où, quatre mois après vous, elle quitta notre terre, fait néanmoins de la fête présente le principal monument de sa gloire. C'est elle que célèbrent surtout et les lectures et les chants du Sacrifice (16), et les instructions de l'Office de la nuit (17). C'est qu'en effet servante du Christ par la foi, proclame saint Grégoire, elle est aujourd'hui devenue sa mère, selon la parole du Seigneur même, en l'engendrant sept fois dans les fils que lui avait donnés la nature. Après vous avoir rendus si pleinement tous les sept à votre Père du ciel, que sera son propre martyre, sinon la fin trop longtemps retardée du veuvage, l'heure toute de joie (18) qui la réunira dans la gloire à ceux qui sont devenus doublement ses fils? Dès ce jour donc qui fut pour elle la journée du labeur sans être encore celle de la récompense, à cette date où la mère passa sept fois par les tortures et la mort et dut accepter par surcroît la continuation de l'exil, il convenait qu'on vît se lever les fils (19) et renvoyer à qui de droit l'honneur du triomphe. Car dès maintenant, tout exilée qu'elle reste encore, la pourpre, teinte non pas deux (20) mais sept fois, est son vêtement (21); les plus riches des filles d'Eve (22) s'avouent dépassées par cette débordante fécondité du martyre; ce sont ses œuvres mêmes qui la louent aujourd'hui dans l'assemblée des Saints c. Puissent donc en ce jour et les fils et la mère, puissent les deux nobles sœurs associées à leur triomphe, écouter nos vœux, protéger l'Eglise, rappeler le monde aux enseignements contenus dans les exemples de leur vie!
    -----------------------------------------------------------------------
    NOTE

    1. Tertull. Apolog. 50.

    2. Cant. IV, 16; V, 1.

    3. Ibid. VI, 3.

    4. I Cor. IV, 9.

    5. Resp. VIII ad Matut., et Versus alleluiat.

    6. Introit. diei.

    7. Gen. I, 26-28.

    8. Act. XVII, 29.

    9. Eph. II, 3.

    10. Ibid. 4.

    11. Ibid. 10.

    12. Ibid. V. 32.

    13. Gen. III, 20.

    14. Ex. II, 9.

    15. Gal. IV, 19.

    16. Introit., Epist., Evang., Commun.

    17. Lect. VI, et Homil. diei.

    18. Prov. XXXI, 25.

    19. Ibid. 28.

    20. Ex. XXV, 4, etc. 4. Prov. XXXI, 22.

    21. Ibid. 29.

    22. Ibid. 31.

  5. #5
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    Francesco Trevisani, Il martirio di S. Felicita e dei suoi sette figli, XVII sec., Rijksmuseum, Amsterdam

 

 

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