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    Pillola rossa o pillola blu?

    Elogio dell’incertezza

    di Luigi Corvaglia



    Pillola blu ti svegli domani
    e non ricordi nulla,

    pillola rossa scopri quant'è

    profonda la tana del bianconiglio..."

    da Matrix




    Questa non è una pipa

    Nel film Matrix (1999) si immagina che il protagonista debba scegliere fra due opzioni propostegli dal capo della resistenza al potere. Le opzioni sono la serenità senza la consapevolezza (pillola blu) o la consapevolezza senza la serenità (pillola rossa). Bel problema. Nel caso specifico, si immagina che la consapevolezza riguardi il fatto che la realtà, così come noi la percepiamo, sia un artificio, una mera illusione creata da appositi programmi informatici (la “matrice”, appunto). Fra le molte considerazioni che la scena propone – pensiamo, ad esempio, alla metafora del potere che ubriaca le masse vendendogli una realtà che solo i più svegliati individualisti possono cogliere, perdendoli per sempre alla serenità e votandoli alla rivolta – di particolare rilievo la similitudine fra questa profferta di realtà e la pratica terapeutica psichiatrica. C’è chi conosce la realtà e la offre al paziente. L’unica differenza è che, generalmente, lo stile dell’offerta è del tipo di quelle “che non si possono rifiutare”. C’è chi conosce la verità e la fa ingurgitare a chi non la conosce. Il primo riconosce il secondo da alcuni “segni”.




    Dal cinema alla pittura. Negli anni venti del XX secolo Renè Magritte realizzò un quadro raffigurante una pipa. Sarebbe stato un prodotto banale per tanto maestro se egli si fosse fermato a questo. Sennonché il pittore sentì il bisogno di apporre alla ben chiara rappresentazione una spiazzante didascalia: Cecì n’est pas une pipe (Questa non è una pipa). La didascalia nega il criterio di equivalenza fra segno e essenza, fra somiglianza ed affermazione. Nega, in buona sostanza, la certezza che sia possibile riconoscere qualcosa dai soli “segni”. Che quella di Magritte, sottolineata da Foucault in un saggio il cui titolo riprende appunto detta didascalia, non sia pura provocazione è provato dalle seguenti osservazioni riguardo la psichiatria. Al suo affacciarsi alla ribalta scientifica, la “follia” acquisisce lo stigma di “schizofrenia” ad opera di Eugen Bleuler, il quale scrive che lo schizofrenico parla per metafore,“figure retoriche inappropriate”. Ad esempio, una volta ricoverato contro la propria volontà, questi afferma di essere stato “stuprato” o “assassinato”. All’inventore di tale fortunato concetto farà eco, un secolo dopo, Jacques Lacan quando, allargando il senso dal solo linguaggio ad ogni manifestazione psicopatologica, scrive: “il sintomo è una metafora”. Ha gioco facile Thomas Szasz, teorico della non-psichiatria, a ironizzare dicendo: Quando persone imprigionate in un ospedale psichiatrico parlano di “stupro” e di “assassinio”, esse impiegano figure retoriche inappropriate che ne dimostrano i disturbi del pensiero; quando invece gli psichiatri chiamano le loro prigioni “ospedali”, i loro prigionieri “pazienti” e “malattia” il loro desiderio di libertà, non stanno impiegando figure retoriche, Ma stanno esprimendo fatti obiettivi. Insomma, non sono i segni che determinano le sostanze. Questa non è una pipa. La cosa appare ancor più evidente allorquando il nostro gioco di aforismi e citazioni arrivi ad incappare in un paio di sentenze che risultano il positivo ed il negativo della medesima fotografia. Eccole: lo psichiatra Mario Gozzano ebbe a dire che “lo schizofrenico è capace di tutto, perfino di comportarsi bene”. Cecì n’est pas une pipe. Analogamente, un genio talmente elevato da non rischiare di essere oggetto delle benevole attenzioni psichiatriche, Salvador Dalì, affermava “l’unica differenza fra me e un pazzo è che io non sono pazzo”. Cecì n’est pas une pipe. Non ha importanza ciò che i segni descrivono (segni simili a una pipa, un sano, un matto) per definire gli oggetti. Del resto, per capire l’acqua benedetta bisogna osservare i preti ed i fedeli, non certo l’acqua. In definitiva, le cose sono l’insieme delle relazioni che le definiscono come tali. Ciò ha aperto le porte a distruttive critiche sulla possibilità di definire quale sia la pillola rossa che gli psichiatri che la detengono offrono a chi usa accontentarsi di quella blu e in base a quali “segni” incontrovertibili i secondi sarebbero individuabili dai primi.

    Simili argomentazioni che minano la certezza di un manicheo mondo di “rossi” e “blu”, prima di scadere in una stucchevole retorica relativista da bar dello sport che sa di animalismo, sono stati fondamentali nello strutturarsi di un fronte ostile alla psichiatria. Ma il movimento antipsichiatrico che tanto ha influito nei cenacoli del progressismo a la page degli anni settanta può veramente dirsi esente dai difetti psichiatrici? Non si direbbe, almeno a giudicare alcuni fulgidi esempi di quella che Popper chiamava infalsificabilità. L'austriaco ha chiarito definitivamente come il discrimine fra la teoria scientifica e razionale e una concezione idologica o di fede sia, non già la sua verificabilità, bensì, al contrario la sua falsificabilità. Una idea che manchi di quei falsificatori potenziali che, una volta caduti davanti alle evidenze contrarie, invalidano la teoria stessa e predispongono a nuova, sempre rivedibile lettura, non è scientifico. La lezione, perfettamente in linea con quanto detto sopra a proposito di pipe, pillole e follia, è che non esistono verità assolute, maiuscole e ultime, ma solo verità relative, cioè fatti verosimili, minuscoli e penultimi. Tutto ciò che è privo di falsificatori è fede, ideologia, pillola rossa, psichiatria. Eppure, per quanto si possa immaginare che basti individuare idee infalsificabili e dividerle da quelle falsificabili per separare deliri da teorie, le cose non stanno così. Infatti, sempre attingendo al baule aforistico di Szasz, se tu parli con Dio, stai pregando, se Dio parla con te sei schizofrenico. In fin dei conti, anche il dogma cattolico della transustanziazione è, visto dalla parte protestante, quale una metafora presa alla lettera (Questo è il mio corpo - cecì n'est pas une pipe, cioè non è un'ostia), eppure nessuno definisce deliranti decine di milioni di cattolici. Si supporrebbe, allora, che in tali trappole epistemologiche non cadano gli antipsichiatri. Siate pronti alla delusione.

    I due più produttivi – se mi si permette l’utilizzo di un termine che gli psichiatri utilizzano per definire chi elabora deliri in buona quantità - esponenti del movimento anti-psichiatrico sono stati Ronald D. Laing e David Cooper. Il primo: Se solo potessi convertirvi, condurvi fuori dalle vostre meschine menti, se potessi comunicare con voi, allora sapreste. Siamo al livello del Messia o, almeno, del detentore della pillola rossa di Matrix. Ma quale è la verità vera, maiuscola, assoluta e ultima che l’illuminato ci offre? Eccola: La follia è uno stato dell’esistenza umana apprezzabile per la sua indiscutibile autenticità. Dunque la follia esiste. Ma certo. Infatti lui la curava, ma non in una clinica, che sarebbe stato da psichiatra, bensì in una “residenza”, Kingsley Hall. Cecì n’est pas une pipe. Fatto è che la cura consisterebbe nel mantenere l’apprezzabile condizione di “autenticità” contro la corruzione della vera essenza umana creata da Matrix, cioè il sistema capitalistico. Curioso notare come, nella volgarizzazione del modello, la psichiatria tradizionale venga vista come dispensatrice, non di rosse pillole della cosapevolezza senza serenità, bensì di azzuuri confetti dell'oblio atti a soggiogare le masse proletarie a cui forniscono la serenità per impedirne la consapevolezza (cioè la coscienza di classe).

    In definitiva, il vero malato è la società, è lei che va curata. In che modo ci è chiarito soprattutto da Cooper, il quale afferma che sulla ricetta vanno prescritte le “bottiglie molotov” e gli scioperi, accortamente predisposti, le bombe e le mitragliatrici impugnate con spirito di compassione, ma anche in modo reale e oggettivo, visto e percepito dagli agenti della società borghese nei confronti dei quali possiamo essere compassionevoli solo in un secondo momento. Non si vuole qui discutere se la società-matrice necessiti o meno di detti strumenti terapeutici, bensì se tale terapia, oltre che sulla libertà degli individui e sull’utilizzo dei mezzi di produzione, abbia reali influenze sulla condizione esistenziale degli individui, a torto o a ragione, definiti “schizofrenici”. L’idea, espressa da Cooper, per cui “Cuba è già liberata” può essere oggetto di vari commenti, positivi o negativi, a seconda del nostro credo politico – che, in quanto tale, è infalsificabile - , di varie considerazioni su segni e sostanza, somiglianza e affermazione, pipe e non pipe, ma non occulta il dato per cui in URSS si finiva in manicomio per sindromi quali “delirio antisovietico” e “non comprensione del materialismo dialettico”. La cosa chiarisce che, più che il potere capitalistico, la psichiatria rischia di servire il potere tout court. Certo, poi è sempre possibile dire che l’URSS non era realmente un paese socialista. Cecì n’est pas une pipe.



    In definitiva, fra psichiatria ed antipsichiatria esiste una specularità dogmatica riguardante tanto l’oggetto (il matto è malato versus la società è malata), quanto la malattia (schizofrenia-inautenticità), la causa (genetica - capitalismo) e anche la cura (psicofarmaci versus rivoluzione). Due facce della stessa medaglia del dogmatismo. Dispensatori di pillole rosse. Ogni verità assoluta è popperianamente infalsificabile, ogni verità maiuscola porta alla Jihad.

    Ma allora i matti chi li libera? Basaglia viene celebrato come il Lincoln dei manicomi. Fu vera gloria? Si, ma anche no. Si, perchè ha posto l'Italia alla punta avanzata della sperimentazione di pratiche liberatorie e anche per la difesa del principio. Però Max Weber ci ricorda l’esistenza di due etiche contrapposte che possono guidare l’uomo. La prima è l’etica dei principi. Cioè, se i fatti non coincidono con le teorie, tanto peggio per i fatti; se l’operazione è ben riuscita, tanto peggio per il paziente deceduto. La libertà è terapeutica. L’altra etica è quella dei risultati, o della responsabilità. In pratica, se il risultato è positivo, tanto peggio per i principi. Non è la libertà (mezzo) ad essere terapeutica, è la terapia che porta la libertà (fine). Tutto sta a definire quale terapia e per chi. I risultati dell’antipsichiatria (retorica a parte)? Ma la libertà, of corse. Ma libertà di cosa? E’ curioso notare che delle due forme di libertà descritteci da Berlin, libertà positiva e libertà negativa, gli apostoli della terapeuticità dell’autenticità, di cultura marxista, si limitano alla seconda, tipicamente legata alle concezioni liberali. La prima è libertà di fare, la seconda solo libertà da un potere, insensibile all’aspetto positivo e propositivo. I disoccupati sono, indubbiamente, liberi dal fisco. Un uomo che vive nel terrore che lo si voglia avvelenare è libero dalla psichiatria, ma lo è di vivere serenamente? Un individuo che consuma la giornata in estenuanti e improcrastinabili rituali per assicurasi che non ucciderà il figlio è veramente così libero? Vero è che la sofferenza e l’incomunicabilità di chi un tempo si definiva “alienato” è fatto che non si occulta dietro ai principi e non si lascia ramazzare sotto il tappeto della retorica dell’ideologia.

    La libertà della tradizione marxista, al contrario, è intesa come fornitura degli strumenti atti ad esprimere liberamente le potenzialità umane. Che la libertà esclusivamente negativa dello schizofrenico liberato non risolva la incomunicabilità fra mondo psicotico e mondo non psicotico è fatto che cede dinanzi alla prepotenza del principio. Insomma, se non hanno ragione quelli e non hanno ragione questi, che facciamo? La verità è che non esiste una pillola rossa. Quindi l’utopia psichiatrica e quella antipsichiatrica sono entrambe fondate sul delirio dell’oggettivismo. Il reale è una costruzione. Aiutare chi esprime idee infalsificabili (deliri) non significa sempre lasciarlo libero nello stesso modo in cui una macchina con i freni rotti è libera di muoversi in discesa, ma neanche imporgli degli schemi oggettivi e reali a sostituzione di schemi supposti irrazionali e sbagliati (coerenza fra interno errato ed esterno giusto, pillola rossa). Aiutarlo vuol dire potenziare le capacità dell’individuo di gestire il proprio mondo, di costruire mappe cognitive funzionali, atte a rendere prevedibile e gestire la propria personale costruzione del mondo.



    Il burka psichico

    Ci viene in aiuto una metafora, quella del burka psichico. L’essere umano coglie il mondo attraverso una feritoia piccolissima così come il mondo vede la donna islamica coperta dal suo burka. Gli occhi vedono attraverso una fessura nello spettro elettromagnetico, le orecchie odono attraverso una fessura nel muro sonico, la nostra coscienza è una fessura nella tunica dell’inconscio. Per tal motivo, la nostra immaginazione gestisce una gamma di oggetti ed eventi piccolissima che va dal microcosmo quantistico al macrocosmo della cosmologia. A tale angusto spazio è stato dato il nome di Mondo Intermedio. Un arguto fantasioso potrebbe azzardare: la logica consequenziale occidentale è una fessura fra le logiche possibili? La salute psichica è solo il pensiero del Mondo Intermedio? Come le equazioni dei tre grandi tedeschi Einstein, Heisenberg e Plank hanno ridotto le leggi di Newton a ordinanze locali, così la logica occidentale è una ordinanza locale. Può essere. Ma forse soggiacere alle leggi gravitazionali è una schiavitù? Perfino un anarchico come Noam Chomsky, creatore della psicolinguistica, afferma che senza vincoli non può esservi libertà, senza sintassi non può darsi linguaggio creativo.

    Ma da questa benedetta fessura che si vede? Dalla fessura si vedono i memi. Cosa sono i memi? La parola è stata coniata da Richard Dawkins in analogia con il gene. Esso è una unità autoreplicantesi di informazione – idea, uso o costume, termine, lingua, moda, ideologia, religione - che, come un virus, parassita e si diffonde alle menti. L'associazione dinamica dei memi che sopravvivono alla selezione naturale del più adatto all’ambiente psicologico è la nostra cultura. Tutto ciò che è perdente in questa guerra psico-darwiniana rappresenta il sintomo. Se tu parli con Dio, stai pregando – meme vincente – se Dio parla con te, sei schizofrenico - meme perdente. La psichiatria, dunque, delimita l’aggregato di memi vincente. Certo, ma anche il dizionario, la grammatica e la sintassi fissano i paletti di delimitazione di una lingua frutto del processo acefalo di selezione naturale. Poi ognuno parla come vuole. Non si scappa. Ogni cultura non può che delimitare per potersi definire. Questo rappresenta un rischio. Un gravissimo rischio. Quasi sempre realizzatosi. Quello che ci sia il passaggio dallo sguardo dello scienziato, utile come il cannocchiale di Galileo per slabbrare il burka, e quello dello poliziotto che difende l’ordine costituito. Enorme è la differenza fra i due modi di guardare, fra il voyeurismo della conoscenza e l’apologia del panoptikon. Quando il processo di delimitazione si ammanta di oggettività scientifica il rischio diventa maggiore. Si pensi all’appoggio che la psichiatria ha dato alla “difesa della razza” tanto nell’ Italia fascista (Banissoni), quanto nella Germania nazista (Rudin) e nell’ America segregazionista (Raush). Lo studio della psiche, che potenzialmente è uno degli strumenti più potenti di allargamento del Burka psichico, rischia di essere il più efficace strumento di difesa dei confini della fessura, di protettore della memetica vincente di “Matrix”.


    In cerca di una conclusione

    In definitiva, Le nostre menti sono costituite da hardware genetico e software memetico (Richard Brodie). Ora, tutto sta a capire se la follia sia un problema di hardware o un problema di software. Se si rimane alla prima ipotesi, si rischia di far coincidere la terapia con la materiale “riparazione”. Ciò espone maggiormente al rischio di cui sopra. C'è infatti un oggettivo guasto che impedisce l'oggettiva visione del reale. Se si accoglie la seconda opzione, come sanno tutti gli informatici, invece, non esiste il software giusto, bensì molti software che possono raggiungere gli stessi scopi in modo differente e la cui “giustezza” è legata all’ “ambiente” su cui li si vuol far “girare” (Windows, Apple, Linux, ecc.). Scopo di chi opera nell’ambito psicoterapeutico non dovrebbe pertanto essere l’imposizione di schemi oggettivi – il software giusto - bensì il potenziamento delle capacità dell’individuo di gestire il proprio mondo (il proprio ambiente computazionale). Questo ci è illustrato dal costruttivismo cognitivo. Come lo scienziato di Popper, ogni individuo elabora teorie su sé ed il mondo. Le sue credenze generano previsioni che guidano il suo comportamento (i programmi). Il comportamento genera conferme oppure invalidazioni dei costrutti, delle credenze e ciò, se il sistema è valido, genera mutamenti nelle credenze stesse. Valide concezioni devono essere falsificabili. La crescita del nostro sistema previsionale avviene, come quello dello scienziato, grazie all'affinamento delle mappe cognitive frutto delle continue invalidazioni e conseguenti aggiustamenti. La salute è, dunque, il contrario della certezza. Le certezze sono infalsificabili per definizione. La scienza ci può dire cosa non sia una pipa, ma può solo ipotizzare cosa sia una pipa. I dogmi della Chiesa sono oggi gli stessi del consiglio di Nicea, le verità scientifiche sono molto mutate. Idee infalsificabili (deliri) possono arrivare anche a rendere ingestibile il mondo, creano mappe illeggibili perchè non condivise. Un sistema ben funzionante ed adattabile, invece, riesce a tollerare un margine di incertezza generato dalle invalidazioni e si pone in modo aperto e flessibile. La coerenza, a questo punto, è più quella fra i vari costrutti (coerenza fra interno ed interno) che non quella fra realtà esterna e idee interne. Non si sfugge. Andare in un paese straniero o approcciare un nuovo ambiente informatico vuol dire essere esposti all’aggregato di plessi lingusitici vincente in quel posto o ambiente (ordinanza locale e temporanea). Le opzioni, alla fine, sono solo tre:

    Continuare a parlare il proprio linguaggio (scelta psicotica);

    Imparare la lingua del paese o programma ospitante (scelta psichiatrica);

    Imporre al paese ospitante (o ambiente informatico) di imparare il proprio linguaggio (scelta antipsichiatrica).

    La prima è rispettabile, ma poi non si può pretendere di essere compresi; la terza è stupidamente paradossale; la seconda è “normalizzante”, nel bene e nel male, ma assolutamente compatibile col rispetto della libertà individuale laddove l’opzione sia volontaria e contrattuale. Laddove non si ponesse la possibilità di scelta volontaria tanto il diritto naturale alla self-ownership (la proprietà di sé stessi) quanto l'utilitarismo della responsabilità ci lasciano rare alternative alla prima opzione.

    Ciò che conta, in definitiva, è che si mantenga la coscienza della non unicità o superiorità del linguaggio – verbale o computazionale – che si vuol implementare, ma esclusivamente la sua funzionalità, la compatibilità con uno specifico e sempre dinamico ambiente. Camminare su questa tagliente lama posta sui contigui burroni del qualunquismo relativista e della agenzia di protezione di Matrix al soldo di Big Pharma è la sfida di una terapia psicologica libertaria.

  2. #2
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