La Sindrome di Asperger: Linee guida per la diagnosi
La Sindrome di Asperger: Linee guida per la diagnosi
Ami Klin, Ph.D. e Fred R. Volkmar, M.D., Yale Child Study Center, New Haven, Conn, Stati Unitiecticut
Tratto dalla Rivista Autismo Oggi
Introduzione
La sindrome di Asperger è un grave disturbo dello sviluppo caratterizzato dalla presenza di difficoltà importanti nell’interazione sociale e da schemi inusuali e limitati di interessi e di comportamento. Sono state constatate molte similitudini con l'autismo senza ritardo mentale (denominato ”High Functioning Autism”), ma non si è ancora risolta la questione se la sindrome di Asperger e l’autismo di alto livello siano veramente condizioni diverse. In qualche misura, la risposta dipende dal modo in cui medici e ricercatori fanno uso del concetto diagnostico, dato che fino a poco tempo fa non esisteva nessuna definizione “ufficiale” della sindrome di Asperger. La mancanza di una definizione consensuale ha generato grande confusione: visto che i ricercatori non potevano interpretare i risultati di altri ricercatori, i medici si sentivano liberi di usare tale etichetta allegandovi le proprie interpretazioni giuste o false del “vero” significato della sindrome di Asperger. I genitori erano quindi spesso confrontati con una diagnosi che nessuno capiva bene e, peggio ancora, della quale nessuno sapeva cosa fare. L’ambito scolastico non era a conoscenza di questa condizione e le assicurazioni non potevano rimborsare delle prestazioni fatte sulla base di una diagnosi “non ufficiale”. Non esisteva alcuna informazione stampata che desse sia ai genitori sia ai medici delle linee guida sul senso e sulle conseguenze della sindrome di Asperger, includendo il tipo di valutazione diagnostica e il tipo di terapie e interventi giustificati.
Questa situazione è cambiata un po’ da quando la sindrome di Asperger è stata resa “ufficiale” nel DSM-IV (APA,1994), in seguito ad un esame in campo internazionale in cui sono stati coinvolti più di mille bambini e adolescenti affetti da autismo e da disturbi correlati (Volkmar et al., 1994). Tali esami (field trials) avevano dimostrato che era legittimo includere la sindrome di Asperger in una categoria diagnostica differente dall’autismo, nel gruppo che include i disturbi pervasivi dello sviluppo. Rilevante è che su questo disturbo sia stata raggiunta una definizione consensuale, che dovrebbe fungere da cornice di riferimento per tutti coloro che usano questa diagnosi. Tuttavia, i problemi sono lontani dall’essere risolti: nonostante alcune nuove direzioni di ricerca, la conoscenza della sindrome di Asperger rimane ancora molto limitata. Ad esempio, non sappiamo quanto essa sia realmente diffusa, né quanto rilevante sia il rapporto tra maschi e femmine e neppure quanto sia forte l’impatto dei legami genetici nell’aumento delle probabilità di trovare le stesse condizioni fra la parentela.
La ricerca scientifica, e la conseguente prestazione di servizi, sta naturalmente solo cominciando. I genitori sono esortati ad essere cauti e ad usare un approccio critico verso le informazioni ricevute. Fondamentalmente, nessun tipo di etichetta diagnostica riassume le caratteristiche di una persona. E’ infatti necessario prendere in considerazione sia i punti di forza sia i punti deboli della persona stessa, fornendo quindi un intervento individualizzato che risponda a questi bisogni (valutati e monitorizzati in modo adeguato). Nonostante il percorso fatto, cerchiamo tuttora di definire questa strana incapacità di imparare le abilità sociali, di stabilire quante persone essa riguarda e di decidere cosa possiamo fare per quelle che ne sono affette. Le linee guida seguenti ricapitolano parte dell’informazione attualmente ottenibile su tali questioni.
Premesse
L’autismo è il disturbo pervasivo dello sviluppo (PDD) più largamente riconosciuto. Altre diagnosi, con forme leggermente simili a quelle riscontrate nell’autismo, sono state studiate in modo meno intenso, rendendo la loro validità più discutibile. Una di queste condizioni, chiamata sindrome di Asperger, è stata originariamente descritta da Hans Asperger (1944, vedi traduzione di Frith, 1991), il quale forniva un resoconto di alcuni casi, le cui forme cliniche somigliavano alla descrizione di Kanner (1943) dell’autismo (problemi con interazione sociale e comunicazione e schemi di interessi limitati e caratteristici). La descrizione di Asperger si differenziava però da quella di Kanner, in quanto il linguaggio era in ritardo in modo meno frequente, i deficit di tipo motorio erano più comuni, l’inizio della manifestazione del disturbo si presentava più tardi, e tutti i casi iniziali descritti riguardavano solo il sesso maschile. Inoltre, Asperger suggeriva che era possibile osservare alcuni problemi simili anche in altri membri della famiglia, e particolarmente nei padri.
Per molti anni, questa sindrome è rimasta fondamentalmente sconosciuta nella letteratura inglese. Uno sguardo retrospettivo e una serie di analisi di casi realizzati da Lorna Wing (1981), aumentarono poi l’interesse per questa condizione, determinando un uso sempre maggiore di questo termine nella pratica clinica e un continuo aumento del numero di rapporti di casi e di studi di ricerca. Le caratteristiche cliniche della sindrome descritte abitualmente includono: a) scarsezza di empatia; b) interazione sociale unilaterale, inappropriata e senza malizia, poca abilità di formare delle amicizie e conseguente isolamento sociale; c) linguaggio monotono e pedante; d) scarsa comunicazione non verbale; e) profondo interesse in tematiche circoscritte come il tempo, i fatti di trasmissioni televisive, gli orari ferroviari o le carte geografiche che, memorizzate in modo meccanico, riflettono poca comprensione conferendo inoltre un’impressione di eccentricità; f) movimenti goffi, maldestri e posture bizzarre.
Nonostante Asperger avesse originariamente descritto la presenza di questa condizione unicamente in persone di sesso maschile, attualmente vi sono pure casi di persone di sesso femminile con questa sindrome. I maschi hanno comunque molta più probabilità di esserne affetti. Anche se risulta che la maggior parte dei bambini affetti da questa condizione si situano nei normali parametri di intelligenza, in alcuni di loro è stato riscontrato un leggero ritardo.
L’apparente inizio della condizione, o perlomeno la presa di coscienza di essa, ha luogo probabilmente un po’ più tardi dell’autismo. È possibile che ciò sia dovuto al fatto che le proprietà di linguaggio e le abilità cognitive sono migliori. La condizione tende ad essere molto stabile nel tempo e le più alte capacità intellettive osservate suggeriscono, a lungo temine, un miglior esito di quanto tipicamente osservato nell’autismo.