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    Predefinito il carcere non serve? prova con un accuminato palo di frassino

    Quanto segue è un copia incolla dal sito www.ristretti.it, una delle tante iniziative con cui comunisti e simil fango vogliono farci sentire in colpa perché ogni tanto qualche delinquente va in galera.
    Alla fine di questa edificante lettura, son certo converrete con me essa sia una delle più convincenti argomentazioni mai scritte a favore dalla pena di morte




    La meglio gioventù… dai 20 ai 30: dieci anni di galera


    Non ha ancora trent’anni. È un giovane uomo abbronzato, tatuato, asciutto. Si sta avvicinando al termine di una decennale carcerazione fatta di troppi giorni di isolamento; quasi un anno e mezzo, in un carcere di massima sicurezza. Racconta la sua esperienza; il grande dolore resta intuibile sullo sfondo. Forse non trova parole adeguate, sicuramente non cerca pietà.
    Lascia, però, aperta una domanda, una domanda seria che dovrebbe inquietare noi cittadini che finanziamo il "servizio - carcere" senza minimamente preoccuparci di verificarne la qualità: ma il carcere, questo carcere è realmente in grado di rieducare le persone, di renderle migliori?

    Carla Chiappini

    Enrico

    Quale recupero?

    Il mio nome è Enrico. Sono detenuto da qualche anno per diversi reati e oggi, alla soglia dei miei 30 anni, sono arrivato a frequentare per la prima volta un corso di giornalismo. Il mio impatto è stato un po’ di confusione in quanto i presenti avevano 1000 pensieri da esprimere su poche domande fatte da chi conduce questo corso.
    Si è parlato, ovviamente, dei vari problemi che ci sono nei diversi istituti ma non voglio soffermarmi su questo punto. Voglio più che altro portare la mia testimonianza di vita vissuta tra queste mura in questi anni senza fare distinzione di istituti, dicendo dove si sta meglio o dove si sta male. Spero che con il mio piccolo contributo, qualche coscienza si smuova. Noi molto spesso siamo dimenticati dalle persone che sono fuori ma, soprattutto, siamo dimenticati, per non dire abbandonati a noi stessi proprio qui, all’interno delle carceri. Chi sta fuori non conosce le realtà che si vivono all’interno di questo mondo. Loro chiedono solamente giustizia e si rallegrano alle notizie riguardanti gli arresti di spacciatori, rapinatori, truffatori e altri. Ma non si chiedono cosa succede all’interno di questi istituti, cosa si fa per il "recupero" della persona, per il suo futuro, per il suo reinserimento nella società? Credo che non li sfiori neanche una domanda come questa.
    All’interno è lo stesso. Tu sei un numero e tale sarai fino a quando avrai scontato la tua pena. Ma dopo? Questo me lo chiedo anch’io. In tempi precedenti al mio arresto ero un ragazzo molto ribelle e le autorità hanno pensato di fermarmi con un mandato di cattura. Questa era la loro soluzione.
    Il carcere mi ha accolto, mi ha perquisito, mi ha immatricolato e, infine, mi ha chiuso in una cella per tutto il tempo della mia condanna.
    Il carcere ha rafforzato rabbia e ribellione. Oltre a questo non ha fatto niente. Infatti, col passare del tempo, la mia testa ha incominciato a immagazzinare il prodotto di questo abbandono. Mi sono specializzato in reati fino allora sconosciuti, ho imparato a raggirare le leggi, ho imparato a sopportare il dolore, la sofferenza e ho imparato a non sentire più il bisogno di quell’aiuto che magari avrebbe potuto "rieducarmi". A cosa serve il carcere? A niente.
    Serve solo a rafforzare quella tua indole, quella tua rabbia, quella ribellione che fin da giovane avevo dentro. Si può dire che oggi sono un ragazzo superficiale, non per mio volere ma per volere delle istituzioni. Potrei tradurre le umiliazioni, i mesi passati in isolamento con una sola parola: cattiveria. La mia cattiveria è cresciuta, le mie ambizioni di piccolo criminale sono cresciute. Il mio "io" è diventato un vero pericolo per la società e questo grazie al magnifico funzionamento degli istituti di pena. Cosa si può fare per evitare che altre migliaia di persone diventino come me? Beh, questa è una bella domanda a cui le istituzioni non sanno dare una risposta. Ci sono decine, centinaia di testi che parlano di "recupero", di "reinserimento", ci sono migliaia di persone che dovrebbero lavorare per questo obiettivo all’interno delle carceri. Ma questo non avviene.
    Il carcere bisogna viverlo. Chi ci dà questa possibilità qui dentro? Nessuno perché nessuno ti chiama, nessuno vuole sentire i tuoi problemi. Il carcere visto da fuori è solo un’immagine, un’idea ma il carcere, per capirlo, bisogna viverlo e a volte farsi male con esso. Perché il carcere non recupera la persona ma la danneggia ancora di più. Questa è la realtà, questa è la vita carceraria. Non puoi farci niente, fino a quando chi comanda non si deciderà a fare qualcosa per salvare quella parte di persone che hanno voglia di vivere serene con le loro famiglie e i loro cari.

    E.M.

    Seicento giorni circa di isolamento

    L’isolamento è rieducativo? Io sono un ragazzo giovane che ha avuto "l’opportunità" di conoscere l’isolamento. Il mio isolamento è stato molto prolungato; si parla di mesi e non di giorni. Ricordo quando mi hanno accompagnato al 5° reparto, il reparto destinato a questa funzione. Dopo le varie visite fatte "ad occhio" dal dottore, mi hanno dato il parere positivo per affrontare questo fermo totale del tempo. Sono arrivato alla cella n. 3, il corridoio era pieno di telecamere e il box dell’agente pieno di monitor.
    Aprono la cella, "prego si accomodi", dietro di me si è sentita chiudere la porta e poi il blindato; dallo spioncino la voce dell’agente mi diceva: - Tra poco le faremo avere la sua roba. Passò qualche ora; nel frattempo avevo visionato la cella.
    C’erano tavolo e sgabello in ferro, fissati al pavimento, armadio in ferro aperto, sempre fissato al muro. La branda, singola, anch’essa fissata al pavimento. Televisore niente, non c’era. Il bagno tutto in ferro e naturalmente telecamera in entrambe le "stanze". L’unico confort era la doccia per non darti l’opportunità di uscire dalla cella se non per un’ora d’aria, la visita medica quotidiana e l’unico colloquio del mese.
    Eravamo in quattro in cella: io, la branda, lo sgabello e il tavolino
    Ecco aprirsi il blindato: - Qui c’è la sua roba -, un sacchettino con due magliette, due paia di mutande, due paia di calze, un paio di ciabatte e un paio di scarpe.
    Scusi, e il resto?
    Il resto è nel box, quando ha bisogno di qualcosa, faccia la richiesta per parlare con l’ispettore.
    Bene, mi fa avere una "domandina" e una penna per favore?
    Sì, certo. Faccia la domandina per avere la penna e tutto il necessario per scrivere.
    Va bene, grazie.
    Con un sorriso mi viene chiuso il blindato.
    Eravamo in quattro in cella: io, la branda, lo sgabello e il tavolino. Subito faccio amicizia con la branda. La testa cominciava a macinare pensieri. Era un continuo pensare.
    Il mattino dopo arriva l’agente per la colazione, chiedo di chiamarmi un ispettore.
    Con un cenno mi dice di sì.
    Buongiorno, ispettore.
    Buongiorno.
    Mi può spiegare la mia situazione?
    Certo. Allora lei ha un’ora d’aria al giorno, non può avere il televisore, non può avere oggetti in cella, tranne il necessario per scrivere. Alla sera verrà chiamato per la visita medica e può avere un colloquio al mese con i suoi familiari.
    Scusi, per il televisore?
    Bè quello non può averlo come non può avere il fornello, il pentolame e la caffettiera.
    Ma, mi scusi, se voglio farmi un caffè?
    Al mattino lo dice all’agente di servizio e le verrà consegnato il fornello con caffettiera e caffè per dieci minuti soltanto e alla sera, dopo aver mangiato, lo potrà riavere di nuovo per la stessa durata di tempo.
    Va bene, ho capito; per l’aria come siete organizzati?
    Per l’aria ha gli stessi orari, ridotti, ma i soliti: se vuole andare al mattino dalle 9,00 alle 10,00, se vuole andare al pomeriggio dalle 13,00 alle 14,00.
    Bene, vorrei andare all’aria adesso, si può?
    Certo, adesso la faccio aprire.

    Libero di non fare niente

    Vado all’aria senza mai uscire da quel reparto; possibilità di incontrare qualcuno non c’era.
    Ecco l’aria; grande quanto la cella, metà coperta da un muro di cemento; come essere sotto un balcone; nell’altra metà potevi guardare il cielo attraverso una rete.
    Naturalmente la telecamera fissata di fronte all’aria.
    Il mio pensiero cominciava a elaborare un modo per adeguarmi a quella situazione.
    Niente da fare. L’unica soluzione era fare ginnastica e scrivere.
    Passavo il tempo facendo flessioni e addominali. Scrivevo a tutti quelli che mi venivano in mente.
    Quando finivo di fare una di queste cose, iniziavo nuovamente a fare l’altra.
    Tenevo la media di 5/6 docce al giorno.
    L’occorrente per lavare la cella mi veniva dato una volta al giorno e davanti all’agente lavavi e riconsegnavi il materiale.

    Ero libero. Ero libero di non fare niente, quello sì.

    Arriva il giorno del colloquio.
    Agente, dovrei fare il colloquio, devo farmi la barba.
    Adesso le porto le lamette e il sapone, ma faccia veloce!
    Va bene.
    La barba la facevi con l’agente che ti guardava a vista, appena finito riconsegnavi tutto.
    È pronto per il colloquio?
    Sì sono pronto.
    Aspetti che arriva l’ufficio-comando.

    La gabbia dei colloqui

    Ogni volta che facevo il colloquio mi accompagnavano un ispettore e due agenti; prima di uscire dal reparto, venivano chiusi i lavoranti dei corridoi in qualsiasi stanza, chiudevano le finestre del corridoio che davano sulle "arie" delle varie sezioni; quando arrivavo ai colloqui c’erano solo agenti. Prego si accomodi per la perquisizione.
    Dopo essere stato perquisito, facevano il passaggio di consegna, l’ispettore e i due agenti andavano via e venivo preso in consegna dagli agenti dei colloqui, non c’era da aspettare in nessuna stanza, venivo portato subito nel reparto dei colloqui degli isolati, venivo chiuso in una specie di gabbia di uno spazio complessivo non superiore a 2,50 di lunghezza e 1,50 di larghezza. Erano stanze una accanto all’altra così non potevi parlare con gli altri isolati. Il colloquio durava un’ora, non di più. Avevi il divisore tra te e i familiari ed eri sempre monitorato dalle telecamere e dall’agente dal suo box.

    Ormai in isolamento stavo bene

    Questo è durato per mesi. Cosa hanno risolto? Niente. Anzi! Uscito dall’isolamento mi sentivo infastidito dagli altri detenuti, dai rumori, dai discorsi. Non sopportavo le altre presenze. E lì incominciavano i problemi. Ogni giorno c’era una discussione. Mi rendevo conto che non provavo nessuna pietà. Fino a quando, un giorno, in un litigio, stavo quasi per uccidere una persona tra calci e pugni. Mi hanno portato nuovamente in isolamento e l’altro detenuto all’ospedale.
    Questa volta non sapevo quanto avrei dovuto starci perché non si sapevano le condizioni dell’altra persona. Sapevo che rischiavo una custodia cautelare per tentato omicidio ma l’idea non mi spaventava e poi in isolamento stavo bene. Ci rimasi per altri 55 giorni e poi eccomi qua dove mi trovo oggi.

    Come un animale

    Io sono del parere che certi isolamenti sono distruttivi per la persona. Ti fanno diventare più rabbioso, non ti fanno sentire la sofferenza, la solitudine, ti riducono come un animale che reagisce solo d’impulso. Credo che certe privazioni siano contro la costituzione e al di fuori di ogni regola umana. Poi si parla di recupero.

    E.M.

  2. #2
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    Predefinito

    Dopo aver letto questo articolo, sono sempre più convinto dell'inutilità del carcere.

 

 

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