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Discussione: reefs artificiali

  1. #1
    saint&sinner
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    Predefinito reefs artificiali

    Si tratta di manufatti (o complessi dei medesimi) posti in mare al fine di influenzare i processi fisici, biologici e socioeconomici legati alle risorse viventi acquatiche. Comprendono sia corpi adagiati sul fondale (barriere), sia sospesi (filiere per maricoltura) che galleggianti (FAD). Possono essere classificate in “accidentali” (relitti), “strutturali” (a scopo di ricerca o per incentivare le risorse marine) o “secondarie” (a scopi diversi dai precedenti, come ad esempio moli, dighe, impianti di maricoltura, etc.).
    Le prime testimonianze dell’impiego di barriere artificiali risalgono al 1700 in Giappone e al 1800 negli Stati Uniti. Avevano lo scopo di incrementare la pesca. Mimano infatti alcune caratteristiche delle barriere naturali: l’effetto tigmotropico sulla fauna ittica è favorito dalla disponibilità di cibo e riparo agli stessi organismi ed alla loro progenie.
    Al giorno d’oggi l’impiego di tali manufatti ha anche altri propositi: conservazione della biodiversità, protezione o ripristino di habitat di particolare pregio, impedendo localmente la pesca a strascico o rendendo impossibile l’accesso alla zona, protezione di oggetti sommersi (condotte, cavi, etc.), difesa costiera (pannelli, scogliere frangiflutti, scogliere radenti, etc), creazione di siti per diving turistico.
    Vi sono pareri discordanti per quanto riguarda l’incremento della produttività ittica in quanto, accertata la presenza dei nutrienti, la produttività dipende solo dall’energia utilizzabile a fini fotosintetici e, quindi, più che parlare di un aumento di produzione, è più giusto parlare di deviazione della produzione verso risorse utilizzabili dall’uomo.
    La presenza di substrati duri offerti dalle barriere, nonché lo sviluppo verticale delle stesse, permettono lo sfruttamento dei vari habitat secondo gradienti fotici e termici e l’innesco di reti trofiche che, partendo dagli organismi sessili arrivano ai pesci o ai macroinvertebrati. Inoltre, su fondali mobili ed incoerenti hanno la funzione di attrarre flora e fauna di fondi rocciosi, inducendo l’aumento della diversità specifica.
    Da un punto di vista bionomico il piano d’elezione è quello infralitorale, dove si esercita prevalentemente la piccola pesca e dove è più facile un controllo tecnico-scientifico.
    Numerosi sono i criteri per la scelta del sito in cui la struttura verrà deposta in relazione agli scopi prefissati: caratteristiche biologiche di benthos, plancton e ittiofauna, caratteristiche fisiche, chimiche ed idrologiche (profondità, tipo di substrato, geomorfologia, etc.), vicinanza di reefs naturali, protezione di aree dalla sovrappesca.
    Le caratteristiche di una barriera artificiale sono molto importanti. Il materiale di cui è fatta non deve essere inquinante e deperibile e da esso dipende il tipo di benthos colonizzante. Più la sua struttura è complessa (ricca di anfrattuosità), più la comunità insediante sarà diversificata. Deve essere robusta e pesante, ossia inamovibile, perché altrimenti il suo spostamento, ad opera di moto ondoso, correnti o pesca a strascico, distruggerebbe l’area circostante. La pianificazione ed il design delle barriere artificiali si rende quindi necessaria per valutare l’impatto ambientale e garantire la loro efficacia.
    Le barriere “strutturali” vengono appositamente progettate per la ricerca usando substrati come calcestruzzo, fibra di vetro o metallo. Le loro forme e dimensioni ed i loro orientamenti devono tener conto delle caratteristiche del luogo in cui verranno posizionate. In genere sono composte da elementi modulari di forma piramidale o cubica, variamente sovrapposti a formare delle strutture che possano sfruttare al meglio i diversi gradienti di luce e temperatura o le diverse forze idrodinamiche presenti. Per esempio, in un ambiente ad alta sedimentazione, queste strutture vengono costruite con piani inclinati per evitare che la componente bentonica venga soffocata dall’eccesso di deposito. Ancora, possono essere inserite cavità per aumentare l’idrodinamismo o per creare zone di rifugio e riparo per molte specie di pesci e di invertebrati.

  2. #2
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    Predefinito

    sei un pozzo di conoscenze!

  3. #3
    saint&sinner
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    Predefinito nei mari italiani

    La prima barriera artificiale fu realizzata nel 1970 al largo di Varazze, in Liguria, con l’affondamento di 1300 carcasse d’auto tra 35 e 50 m di profondità. L’esperimento fu del tutto fallimentare poichè tale substrato risultò inadatto all’attecchimento ed inquinante.
    L’esperienza più completa e documentata fu effettuata nel 1975 presso il promontorio del Conero, nella zona di Porto Recanati. Qui furono affondate 12 piramidi, di 14 blocchi di calcestruzzo ciascuna, poste a 50 metri di distanza una dall’altra, altri blocchi di calcestruzzo ed alcuni relitti per rendere il sito il più simile possibile ad un sistema continuo. I risultati sono stati positivi sia dal punto di vista dell’aumento della biomassa preesistente, sia dal punto di vista della protezione contro la pesca a strascico abusiva.
    Negli anni ’80 compaiono barriere artificiali nel Mar Tirreno (Fregene) e nelle aree a Nord-Ovest della Sicilia. Attualmente sono già state realizzate oltre 20 di queste strutture e altre sono già state progettate. Quasi la metà si trova lungo le coste del Mar Adriatico (Cattolica, Rimini, Senigallia, Porto Garibaldi, Golfo di Trieste, etc.).
    Un esempio di reef artificiale “accidentale” è dato dal relitto della piattaforma di perforazione Agip "Paguro", affondato al largo di Ravenna.
    Nonostante i vantaggi economici ed ecologici che esse portano, la loro costruzione incontra ancora rallentamenti legislativi e problemi di conflittualità con le categorie professionali e non, fruitori abituali degli spazi e delle risorse da allocare.

  4. #4
    saint&sinner
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    Predefinito influenza sui fondali circostanti

    Numerosi sono gli studi che si sono occupati di valutare il loro ruolo ecologico negli ecosistemi marini. L’interesse è stato rivolto per lo più all’influenza sulle popolazioni ittiche e sulla pesca; tuttavia, se gli effetti osservati sono il risultato del tigmotropismo o della produzione di nuova biomassa, è ancora una questione aperta.
    Il substrato duro offerto dai moduli delle barriere permette l’insediamento d’invertebrati che possono rappresentare un’importante risorsa di cibo per varie specie di pesci. Alcuni studi indicano che le barriere, in alcuni casi, sono sfruttate solo come rifugio.
    Le esperienze condotte nel Mar Adriatico hanno evidenziato che le barriere affondate su substrati sabbiosi in prossimità della costa permettono l’insediamento di epifauna ed epiflora. Il buon sviluppo del macrofitobenthos è molto rilevante per le relazioni trofiche che si possono instaurare durante la loro colonizzazione con le componenti edafiche ed animali. La colonizzazione è influenzata da vari fattori, tra cui: l’orientazione del sito, in cui si sviluppa la struttura, che determina l’esposizione alle correnti prevalenti, la profondità a cui è legata la stratificazione dell’acqua e il realizzarsi di condizioni distrofiche vicino al fondale.
    Importante è anche l’impatto che le strutture artificiali hanno sulle comunità bentoniche dei fondali mobili circostanti, poiché comportano variazioni della velocità e della direzione delle correnti, del tasso di sedimentazione, della distribuzione tessiturale e nel contenuto della materia organica. Secondo alcuni autori si instaura un legame trofico tra la barriera e il benthos dei fondali adiacenti, in altre parole ci sono effetti indiretti di interazione potenzialmente importanti tra i predatori associati alla struttura artificiale e le prede del fondale mobile. Alcuni scienziati, studiando il benthos nei pressi della barriera di Senigallia, hanno concluso che la variabilità dell’infauna sembra essere più soggetta ai fattori abiotici piuttosto che alla predazione; l’alterazione del ritmo sedimentario e l’accumulo di sostanza organica all’interno dell’area della barriera ha favorito l’insediamento in particolare di Policheti, mentre fuori dall’area la comunità è dominata dai Molluschi.
    Gli studi sugli effetti sulla meiofauna di due barriere artificiali (Senigallia e Palermo), in condizioni ambientali contrastanti (tipo di sedimento e trofia), hanno rilevato che la distribuzione spaziale del benthos è simile (minore densità tra i blocchi di cemento, maggiore densità man mano che ci si allontana dagli stessi) e riflette l’interazione tra reef e sedimenti circostanti, indipendentemente da latitudine, granulometria e condizioni trofiche.
    Ancora oggi, esigue sono le conoscenze a proposito e i pochi studi compiuti hanno dato risultati controversi, sebbene la maggior parte degli autori conferma una notevole alterazione sia nell’infauna che nella tessitura del sedimento.

  5. #5
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    In Origine Postato da Cristianu
    sei un pozzo di conoscenze!

    (la mia tesi di laurea )

  6. #6
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    http://www.planetsmilies.com/smilies/animal/animal0028.gif

  7. #7
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    che figata!


  8. #8
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  9. #9
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    visto che roba?!?!
    http://www.planetsmilies.com/smilies/animal/animal0028.gif

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da fede2377
    Si tratta di manufatti (o complessi dei medesimi) posti in mare al fine di influenzare i processi fisici, biologici e socioeconomici legati alle risorse viventi acquatiche. Comprendono sia corpi adagiati sul fondale (barriere), sia sospesi (filiere per maricoltura) che galleggianti (FAD). Possono essere classificate in “accidentali” (relitti), “strutturali” (a scopo di ricerca o per incentivare le risorse marine) o “secondarie” (a scopi diversi dai precedenti, come ad esempio moli, dighe, impianti di maricoltura, etc.).
    Le prime testimonianze dell’impiego di barriere artificiali risalgono al 1700 in Giappone e al 1800 negli Stati Uniti. Avevano lo scopo di incrementare la pesca. Mimano infatti alcune caratteristiche delle barriere naturali: l’effetto tigmotropico sulla fauna ittica è favorito dalla disponibilità di cibo e riparo agli stessi organismi ed alla loro progenie.
    Al giorno d’oggi l’impiego di tali manufatti ha anche altri propositi: conservazione della biodiversità, protezione o ripristino di habitat di particolare pregio, impedendo localmente la pesca a strascico o rendendo impossibile l’accesso alla zona, protezione di oggetti sommersi (condotte, cavi, etc.), difesa costiera (pannelli, scogliere frangiflutti, scogliere radenti, etc), creazione di siti per diving turistico.
    Vi sono pareri discordanti per quanto riguarda l’incremento della produttività ittica in quanto, accertata la presenza dei nutrienti, la produttività dipende solo dall’energia utilizzabile a fini fotosintetici e, quindi, più che parlare di un aumento di produzione, è più giusto parlare di deviazione della produzione verso risorse utilizzabili dall’uomo.
    La presenza di substrati duri offerti dalle barriere, nonché lo sviluppo verticale delle stesse, permettono lo sfruttamento dei vari habitat secondo gradienti fotici e termici e l’innesco di reti trofiche che, partendo dagli organismi sessili arrivano ai pesci o ai macroinvertebrati. Inoltre, su fondali mobili ed incoerenti hanno la funzione di attrarre flora e fauna di fondi rocciosi, inducendo l’aumento della diversità specifica.
    Da un punto di vista bionomico il piano d’elezione è quello infralitorale, dove si esercita prevalentemente la piccola pesca e dove è più facile un controllo tecnico-scientifico.
    Numerosi sono i criteri per la scelta del sito in cui la struttura verrà deposta in relazione agli scopi prefissati: caratteristiche biologiche di benthos, plancton e ittiofauna, caratteristiche fisiche, chimiche ed idrologiche (profondità, tipo di substrato, geomorfologia, etc.), vicinanza di reefs naturali, protezione di aree dalla sovrappesca.
    Le caratteristiche di una barriera artificiale sono molto importanti. Il materiale di cui è fatta non deve essere inquinante e deperibile e da esso dipende il tipo di benthos colonizzante. Più la sua struttura è complessa (ricca di anfrattuosità), più la comunità insediante sarà diversificata. Deve essere robusta e pesante, ossia inamovibile, perché altrimenti il suo spostamento, ad opera di moto ondoso, correnti o pesca a strascico, distruggerebbe l’area circostante. La pianificazione ed il design delle barriere artificiali si rende quindi necessaria per valutare l’impatto ambientale e garantire la loro efficacia.
    Le barriere “strutturali” vengono appositamente progettate per la ricerca usando substrati come calcestruzzo, fibra di vetro o metallo. Le loro forme e dimensioni ed i loro orientamenti devono tener conto delle caratteristiche del luogo in cui verranno posizionate. In genere sono composte da elementi modulari di forma piramidale o cubica, variamente sovrapposti a formare delle strutture che possano sfruttare al meglio i diversi gradienti di luce e temperatura o le diverse forze idrodinamiche presenti. Per esempio, in un ambiente ad alta sedimentazione, queste strutture vengono costruite con piani inclinati per evitare che la componente bentonica venga soffocata dall’eccesso di deposito. Ancora, possono essere inserite cavità per aumentare l’idrodinamismo o per creare zone di rifugio e riparo per molte specie di pesci e di invertebrati.
    interessante

 

 
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