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    Predefinito Il catanese Domenico Tempio (1750 - 1821)

    Da Pirandello e la Sicilia, di Leonardo Sciascia

    IL CATANESE DOMENICO TEMPIO


    Catania ha, nella parte alta del giardino Bellini, un viale degli uomini illustri: vescovi, canonici, umanisti e storiografi locali, deputati e senatori del regno, fiancheggiano in busti marmorei un vialetto forse eccessivamente illuminato per il gusto delle coppie; e forse eccessivamente alto per il fiato corto delle matrone, che preferiscono bivaccare nella grande rotonda dove suona in palco la banda municipale. E tra i busti, gelati dalla luce al fluoro, vi imbattete in Domenico Tempio: così esile e immalinconito da confermarvi nell’idea che la pornografia in fondo non sia che il prodotto di una sorta di etisia o di impotenza. Perché Domenico Tempio è proprio quel poeta pornografo che i siciliani, usciti dalla Sicilia attraverso bandi di arruolamento e concorsi ministeriali, recitano spesso ai loro colleghi d’altre regioni, a suggellare quei discorsi sulle donne di cui Vitaliano Brancati si è fatto impareggiabile cronista.
    Contemporaneo del Meli, Domenico Tempio (nato a Catania nel 1750) rappresenta, appunto rispetto al Meli, il rovescio o, più esattamente, la controparte dell’erotismo arcadico, del barocco estremo grondante di amorini e di putti in cui si configura la poesia del palermitano: il quale è, a chi sappia vedere sotto la leggiadria delle invenzioni e l’evocazione di casti miti e di campestri incanti, a suo modo ossessionato da quel vago carosello di Nici e Clori; che son poi realissime donne dell’aristocrazia palermitana. Al Meli che musicalmente risolve le sue ossessioni, musica lieve di immagini con appena qualche venatura di arguta saggezza, risponde da Catania il “basso” delle grevi rappresentazioni fisiologiche; il furore, per così dire, anatomico; l’emblematica di “argomenti” e “serviziali” che è nei versi di Tempio. Se dalla Sicilia avessimo una cartina letteraria, così come ci sono le cartine gastronomiche, e precisamente una cartina che rappresentasse le zone di fioritura della narrativa, vedremo intorno a Catania I Malavoglia, Scurpiddu, I viceré (e metteremo anche, poiché i loro autori si sono formati nell’ambiente catanese, La storia di un brigante di Bavarese e i Mimi di Lanza); ma la zona intorno a Palermo resterebbe deserta. Né, attualmente, troveremmo da contrapporre a Brancati un narratore palermitano. E’ un fatto curioso, ma non inspiegabile. Non meno spiegabile, almeno, del fatto che Catania sia città di intenso commercio e Palermo una città al commercio decisamente negata; o del fatto che intorno a Palermo bande di fuorilegge possano prosperare per anni, mentre a Catania non riuscirebbero ad esser sicure che per qualche mese. Le aree depresse della narrativa corrispondono ad una carenza di senso comunitario, di umana confidenza e fiducia, di commercio, insomma. Ma forse Domenico Tempio non è pretesto sufficiente per avviare un simile discorso, anche se il suo realismo ci appare come un fatto sintomatico, in una zona destinata ad una rigoglioso fioritura del credo verista.
    Anche a non prendere sul serio le sue dichiarazioni moralistiche (“Scrivu chi sunnu l’omini / E fazzu a la morali / Di li prisenti seculu / Processi criminali. / A quali signu arrivanu, / Mia Musa si proponi, / Dirvi li brutti vizi / E la corruzioni; / Chi di la Culpa laidi / Tanti l’aspetti sunu / Chi basta sulu pingirla / Per abburrirla ognunu”), bisogna riconoscere che gli effetti cui giunge il Tempio sono un po’ diversi, poniamo, di quelli del Batacchi. La rappresentazione di fatti fisiologici non può mai giungere ad effetti francamente comici, ove tale rappresentazione non sia, come nel Batacchi, causa o effetto di una commedia di raggiri, di equivoci, di stupidità e astuzia. Il Tempio non aveva questo gusto della commedia: avrebbe potuto metter in versi anche il rapporto Kinsey. Ma sotto il gratuito delle sue rappresentazioni sentiamo il fermento del disfacimento, quell’“olor da la muerte” che Hemingway ci rende in una virtuosissima pagina. Si tratta, senz’altro di pornografia: ma non priva di quel pirandelliano candore per cui Mostarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila, si abbatte nella nausea cosmica da cui infine la solitudine lo salva
    Uno scrittore di oggi che ha molti punti di contatto con Tempio è l’americano Henry Miller. Il minuzioso furore, l’ossessiva esaltazione del poeta catanese nella iperbolica descrizione degli organi sessuali e dei fatti fisiologici, trovano in Miller un sorprendente riscontro.



    …quel che qui ci importa è metter Domenico Tempio di fronte a Giovanni Meli: a segnare le due componenti della psicologia erotica dell’uomo siciliano, quella della “cristallizzazione” arcadica, del vagheggiamento patologicamente sfumato, e quella della furente disgregazione in cui la “cristallizzazione” si rovescia al tocco della realtà. Un ritmo che Brancati ha esemplato, sforzandolo fino alla conseguenza estrema dell’impotenza fisiologica, nel caso del Bell’Antonio.


    1954




    Catania - Villa Bellini - Viale degli uomini illustri - Domenico Tempio.

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    Predefinito Domenico Tempio





    Non tutti gli episodi della prima età caratterizzano una vita; ma i versi satirici che il giovanissimo Domenico Tempio, chiuso dal padre nel seminario di Catania, dove Miciu era nato nel 1750, libera da una fionda metrica, sono un vero e proprio programma della sua indole. Tutta la sua vita, che dura 71 anni, sino al 4 febbraio 1821, è un culto della poesia che non deve confondersi con quello della letteratura in versi consueto al ramo fiorito dei Petrarca e dei D'Annunzio, ma è costume di vita, fisiologia divenuta ritmo come in Dante Alighieri o Baudelaire, salve, s'intende, le diverse e più o meno complesse, componenti culturali. Non molte né continue sono le notizie biografiche del Tempio; ma nessuna di queste contrasta con l'indole e l'educazione sopra descritte, con una sensibilità tanto più amabile, quanto meno ammantata di magne pretese. Le confessioni, disseminate nell'opera, e particolarmente nel poema maggiore, sono esplicite, ora implicite, sempre sobrie e schiette. Per Caterina, la balia fedelissima e generosa, non troviamo che due versi: << Ma tu non poi scapparimi / di menti, o Caterina >> ( Carestia, III, 521 ); e tanto basta per sondare il pudore del Tempio. E la povertà? La sua abitazione è un tugurio di oltre periferia: << surgi lu miu tuguriu / fra sciari e petri tunni >>.( Car., VI ).

    Fonte: AA.VV.

    Nacque il 22 agosto 1750 da Giuseppe, mercante di legna, e da Apollonia Arcidiacono. Terzo di sette figli, era stato destinato al sacerdozio e, a tale scopo, entrò nel seminario arcivescovile, che era a quel tempo la più importante scuola della città.Ne usci all'età di 23 anni, nel 1773, e il padre, vista fallita la vocazione sacerdotale del figlio, avrebbe voluto avviarlo alla professione forense, ma anche questo tentativo falli, perché il giovane Domenico preferì proseguire nella strada degli studi umanistici.
    Tradusse alcuni classici latini (Livio, Orazio, Tacito, Virgilio), e lesse attentamente Machiavelli e Guicciardini, insieme coi maggiori poeti italiani da Dante fino ai suoi contemporanei. Ma é da rilevare anche la particolare attenzione dedicata ad alcuni tra i più discussi rappresentanti della cultura francese, come Carlo Rollin (1661-1741), il quale da figlio di coltellinaio era diventato rettore dell'università di Parigi, e Antonio Goguet (1716-1758), che aveva tentato di affermare uno stato di natura sulla base dell'etnografia, dimostrando che le idee discendono sempre dai fatti. Ben presto il Tempio acquistò fama di buon poeta e fu accolto nell'Accademia dei Palladii e nel salotto letterario del mecenate Ignazio Paternò principe di Biscari. Dopo la morte del padre (1775), fu costretto a trascurare gli studi per continuarne l'attività commerciale, ma gli affari andarono male e contrasse debiti, senza riuscire a raddrizzare il bilancio familiare.
    Perduta anche la madre, sposò Francesca Longo, che morì nel dare alla luce una bambina. Allora prese una balia per la figlia, la gnura Caterina, che diventò la sua compagna fedele e gli diede un altro figlio, Pasquale. Nel 1791 fu nominato notaio del casale di Valcorrente, ma forse non prese mai possesso di questo ufficio. Pochi anni prima di morire ottenne una pensione sul Monte di pietà e sulla Mensa vescovile, poi anche un sussidio dal Comune di Catania. Morì il 4 febbraio 1820.
    Domenico Tempio è da considerare il maggiore poeta riformatore siciliano, la cui voce si leva contemporaneamente a quella del Parini in Lombardia. Egli fu ammirato e lodato dai suoi contemporanei, ma dopo la morte la sua opera fu quasi dimenticata, tranne alcuni componimenti di carattere licenzioso che, pubblicati alla macchia, gli diedero ingiusta fama di poeta pornografico. Con la ripresa degli studi sul Settecento siciliano, dopo la seconda guerra mondiale, anche l'opera del Tempio è stata rivalutata e sottoposta a un serio esame critico. L'educazione del Tempio, come s'è visto, era fondata sulla base di uno schietto illuminismo con una forte componente classicistica. La sua lingua (tranne qualche rara eccezione) è quella siciliana, e conferma una lunga tradizione di autonomia linguistica e letteraria che, dal volgare siculo, si estende fin quasi ai nostri giorni. La poesia tempiana vuol essere libera, denuncia i vizi e le malvagità degli uomini, e addita nell'ignoranza la prima causa di ogni male (Odi supra l'ignuranza). La sua satira, spesso aspra e pungente, mira al rinnovamento morale della società e al riscatto degli uomini dalla miseria, ma i valori poetici emergono spesso al di sopra delle intenzioni.Così accade nelle favole, dove il ritratto si trasforma in paesaggio umano, e nei poemetti, dove l'episodio si apre alla contemplazione della natura. Nel poemetto La Maldicenza sconfitta difende la libertà della poesia e l'indipendenza del poeta; in Lu veru Piaciri combatte ogni falsità ed esalta l'operosità dell'uomo; nella Mbrugghereidi condanna le malefatte di un prete imbroglione; nel ricco canzoniere tende a smitizzare il quadro di una Sicilia arcadica e felice per avviare un lento ma sicuro processo verso il realismo, onde anche la malinconia diventa dolore della natura.I bozzetti drammatici (La scerra di li Numi, Lu cuntrastu mauru, La paci di Marcuni, Li Pauni e li Nuzzi) degradano l'Olimpo al livello delle spicciole miserie umane.
    L'opera maggiore di Domenico Tempio é il poema La Caristia (in venti canti e in quartine di settenari), dove il poeta descrive i tumulti popolari cui diede luogo, a Catania, la carestia del 1797-98. Nella sommossa che divampa si aggirano, finalmente in funzione di protagonisti e non più di schiavi diseredati, le figure spettrali degli affamati. La Carestia, sopra il suo carro stridente, si aggira tra una folla di disperati famelici, che ondeggia e irrompe con furia irresistibile. I brani lirici si inseriscono nella tragedia come parentesi di pace e di abbandono, creando uno sfondo amoroso che è il mondo vagheggiato, ma non raggiunto, dal poeta. Ognuno di quei pezzenti rivoluzionari ha una sua triste storia da raccontare, ed è il complesso di tutte queste storie umane che determina l'unità e la genuinità del poema. Se Giovanni Meli è il maggiore rappresentante dell'Arcadia siciliana, Domenico Tempio è l'interprete più efficace di quei fermenti rinnovatori che erano penetrati ampiamente nell'Isola nel corso del sec. XVIII. L'impulso naturalistico impresso alla cultura siciliana dal Tempio tra Sette e Ottocento attenuerà le risonanze romantiche nella Sicilia greca e determinerà, sullo stesso piano morale e nello stesso ambiente catanese, la ripresa veristica di fine secolo. L'edizione delle poesie tempiane fu pubblicata, vivente l'autore, a cura di Francesco Strano, col titolo Operi di Duminicu Tempiu catanisi (Stamparia di li Regj Studi, Catania, 1814 tomo I e II, 1815 tomo III). Il poema La Caristia fu pubblicato postumo, a cura di Vincenzo Percolla(1848-49). Altra edizione delle Poesie di Domenico Tempio poeta siciliano, con l'aggiunta di inediti, é quella del Giannotta in 4 volumi (1874). Le poesie licenziose furono raccolte da Raffaele Corso (1926). Un'ampia silloge è in Opere scelte, a cura di Carmelo Musumarra, con un saggio su Domenico Tempio e la poesia illuministica in Sicilia (1969); altra edizione, della Caristia edelle Favole. Odi. Epitalami. Ditirambi. Altro vino, a cura di Domenico Cicciò, é del 1968. Due ricchi volumi, con saggi introduttivi e commento di Vincenzo Di Maria e Santo Calì (Domenico Tempio e la poesia del piacere) contengono Lu veru piaciri e le poesie licenziose (1970).

    Fonte: Enciclopedia di Catania - Tringale editore

    Bibliografia tempiana:

    OPERI di DUMINICU TEMPIU - Catanisi - Catania 1814.

    Poesie inedite di Domenico Tempio, Meli, Scimonelli, Calvino e anonimi siciliani del '700.

    Domenico (Miciu) Tempio IL MEGLIO con traduzione a fronte.

    Domenico Tempio IL VERO PIACERE.

    Domenico Tempio LA CARESTIA opera in due volumi.

    Storia della poesia siciliana Domenico Tempio. a cura di Salvatore Camilleri.

    Poesie "Poesie erotiche, lu veru piaciri, favuli" con disegni Libro vietato ai minori.

 

 

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