Il 2009 non è il 1929
di giovanni federico, 31 Marzo 2009
Di questi tempi, giornalisti e politici spesso mettono a confronto la crisi economica in corso con la Grande Crisi del 1929. Chi scrive non è in senso stretto un esperto del tema, ma almeno ha una vaga idea sulla situazione del 1929, a differenza dei vari Gaggi e Rampini.
Iniziamo con qualche dato, relativo ai paesi avanzati (Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone – purtroppo mancano dati sul resto del mondo) [Fonte: A. Maddison].
Nel 1929 l’economia aveva alle spalle solo sei anni di crescita, non quasi trenta (il reddito pro-capite del 1913 era stato superato solo nel 1923). La crisi fu sin dall’inizio più grave di quella attuale. Nel 1930 il reddito pro-capite diminuì quasi del 6% rispetto al 1929 e nel 1932 fu del 18% inferiore al 1929, al livello del 1922. Il reddito totale diminuì del 16%. La ripresa fu estremamente lenta (una L, non una V): il reddito pro-capite superò permanentemente il livello del 1929 solo con la seconda guerra mondiale.
D’altra parte nell’intero periodo 1870-2000 (escludendo le due guerre mondiali), il reddito totale è diminuito del 2% o più solo in altri due anni, il 1908 ed il 1919. Quindi l’esperienza storica suggerisce una prima conclusione: se in effetti nel 2010 ci sarà una ripresa, la crisi del 2009 sarà ricordata come fluttuazione ciclica abbastanza grave ma non terribile (chi si ricorda della crisi del 1908?). Naturalmente, nulla garantisce che ci sarà una ripresa nel 2010 o nel 2011…
Il mondo del 1929 era molto diverso da quello attuale, per almeno dieci ragioni (in realtà se ne potrebbero elencare molte di più):
1) Il reddito pro-capite era molto più basso – attorno ai 4000-5000 dollari 1990 nei paesi avanzati, cioè fra un quinto ed un sesto di quello attuale.
2) la percentuale della spesa pubblica sul PIL era molto più bassa (dell’ordine del 20-30% in Europa, più bassa negli Stati Uniti) e poteva svolgere solo un ruolo anticiclico corrispondentemente ridotto.
3) Il welfare state era limitato alle pensioni e non in tutti i paesi. I disoccupati non avevano diritto a nessun sussidio statale.
4) Il mercato del lavoro era notevolmente più flessibile. Assunzioni e licenziamenti non erano regolamentati per legge, ed il potere dei sindacati era limitato alle grandi aziende.
5) Il mercato dei beni era perfettamente competitivo in agricoltura, ma non nell’industria. Una vera e propria normativa antitrust esisteva solo negli USA, mentre in alcuni paesi europei, come la Germania, la concentrazione e gli accordi di cartello fra imprese erano addirittura incoraggiati.
6) Il sistema bancario negli Stati Uniti era molto frazionato, mentre in Europa era relativamente più concentrato, soprattutto nelle grandi banche. Le autorità monetarie avevano poteri di vigilanza molto ridotti.
7) L’indebitamento delle famiglie era molto ridotto, mentre la situazione del debito pubblico era diversa a seconda dei paesi. Era molto basso negli USA e più elevato in Europa, dove una quota consistente era detenuta da investitori esteri – quasi sempre americani.
8) Il mantenimento dei tassi di cambio fissi, da poco ristabiliti nella maggioranza dei paesi (Gold Exchange standard), era considerato una priorità quasi assoluta della politica monetaria. La maggioranza degli economisti e, soprattutto, degli investitori stranieri favoriva una politica di pareggio del bilancio statale, riducendo i margini di manovra della politica fiscale.
9) Le istituzioni internazionali erano debolissime ed il coordinamento delle politiche economiche era affidato solo alla cooperazione volontaria (p.es. fra banchieri centrali). Politiche protezionistiche e nazionaliste erano considerate accettabili dalla maggioranza dell’opinione pubblica
10) La popolazione era molto più abituata alle difficoltà economiche, sia per l’esperienza storica recente (la guerra) sia per la memoria storica delle civiltà contadina.
Come esercizio intellettuale può essere interessante tentare di valutare l’effetto di queste differenze sull’evoluzione futura della crisi attuale.
i) Il reddito più elevato, la maggiore quota di servizi fornita dallo stato e la presenza di una rete di protezione sociale per le emergenze dovrebbero ridurre l’impatto della crisi sul tenore di vita, a parità di riduzione del reddito pro-capite. D’altra parte le famiglie, almeno negli Stati Uniti, sono molto più indebitate e soprattutto sembrano meno disposte ad accettare in silenzio un calo dei livelli di consumo. La maggiore quantità di informazioni disponibili, ed il tono allarmato dei media, aumentano la consapevolezza della crisi e le preoccupazioni anche da parte di famiglie che ragionevolmente avrebbero poco da temere (p.es. i dipendenti pubblici).
ii) La risposta dei governi alla crisi attuale è molto più rapida e massiccia di qualsiasi intervento durante la Grande Depressione. Il bilancio federale americano rimase in attivo nel 1930, e il deficit raggiunse massimi attorno al 5% nel 1932-1934 (più per il calo delle entrate che per l’aumento delle spese). Le misure note come New Deal furono approvate dopo l’insediamento di Roosevelt nel maggio-giugno 1933, tre anni e mezzo dopo l’inizio ufficiale della crisi. Inoltre il livello di cooperazione internazionale è, per quanto possa apparire strano leggendo i giornali, molto maggiore ora di allora. Se non altro, il WTO limita gli strumenti a disposizione dei governi per una politica protezionistica, che comunque appare politicamente molto meno accettabile.
iii) Il problema analiticamente più interessante – ma anche più difficile - è il possibile effetto della differenza nei livelli di concorrenza e di regolamentazione del sistema. I poteri di controllo e di indirizzo del mercato attualmente sono molto maggiori, nonostante la retorica sulla de-regolamentazione reaganiana degli anni Ottanta. Molti di questi poteri derivano, seppure indirettamente, dai provvedimenti adottati negli anni Trenta. E’ probabile che, nel complesso, il sistema sia meno concorrenziale ora di quanto lo fosse nel 1929, all’interno nei singoli paesi. Le barriere al commercio internazionale dovrebbero essere più o meno simili nell’aggregato, ma sono molto diverse a livello dei singoli settori (più alte in agricoltura, più basse per i prodotti industriali).
Ovviamente, sarebbe possibile approfondire (e quindi sfumare) ciascuna di queste affermazioni, ma il punto essenziale è chiaro. Il 2009 non è il 1929, se non altro per l’eredità della Grande Depressione e della seconda guerra mondiale sul quadro istituzionale. La storia è utile ed interessante, ma non illudiamoci che possa tirar fuori ricette per la crisi attuale.