LA LEGGE STATUTARIA: RIFORMA DELL’AUTONOMIA
O PERPETUARSI DEL COLONIALISMO?
Il 21 ottobre il Popolo Sardo sarà chiamato ad esprimersi attraverso un referendum, sull’approvazione o meno della cosiddetta “legge statutaria”. Tale legge è il frutto di mesi di aspro dibattito tra le forze politiche “compradoris” intorno alla questione della riforma dello statuto autonomistico. Ricordiamo che su questo tema varie sono state, nei mesi scorsi, le proposte delle diverse forze politiche: da quella di istituire un’Assemblea costituente del Popolo sardo a quella di una Consulta per lo statuto e altrettanto deciso è stato l’intervento dello stato italiano il quale, in barba a qualsiasi principio di “autonomia”, non ha avuto alcuna remora ad impugnare, di fronte alla corte costituzionale, la legge istitutiva della Consulta proposta dalla regione sarda. Infatti secondo la ricostruzione governativa la semplice utilizzazione della parola “sovranità del Popolo Sardo” viola la Costituzione repubblicana italiana. Varie le “motivazioni” utilizzate: “La sovranità è dell'intero popolo italiano. Un popolo sardo sovrano non esiste”, e poi ancora: ”Il popolo sardo non è sovrano” e “no alla sovranità, si associa all’indipendenza”. Si è trattato di una palese e chiara dichiarazione di timore che in Sardigna il Popolo Sardo possa prendere coscienza dei propri naturali diritti e rivendicare il legittimo diritto all’autodeterminazione. Del tutto conseguente al suo ruolo storico di classe “compradora” è stato l’atteggiamento messo in campo dalla classe politica sarda, la quale ha dato vita ad un teatrino in cui due sono stati gli orientamenti predominanti: 1) coloro che hanno mostrato una “profonda costernazione e un amaro stupore” per la decisione del governo italiano lesiva dell’”autonomia decisionale in capo ai rappresentanti del Popolo Sardo” (costernazione e stupore che non hanno tardato a lasciare spazio all’attività quotidiana di servilismo e rapina dei nostri degni rappresentanti); 2) coloro che si sono affrettati a mettere in campo i doverosi “distinguo”, ovvero che non era nelle intenzioni della classe politica sarda mettere in discussione la sovranità dello stato italiano sul popolo sardo (e quando mai!!!), che “nessuno nel comitato per la costituente si proponeva, neanche nascostamente, l’obiettivo dell’indipendenza della Sardegna, bensì, al massimo, si ragionava di un’italia, giustamente e correttamente, federale”. In ogni caso il progetto di istituzione della Consulta per lo statuto è stato, fedelmente e servilmente, abbandonato, così come richiesto dal padrone coloniale.
In questi giorni si assiste ad un “fervente” dibattito politico intorno alla cosiddetta “legge statutaria”, tra chi sostiene le ragioni dell’approvazione e costituisce i cosiddetti comitati per il “Si”, e coloro i quali, invece, argomentando la necessità che la legge non venga approvata, costituiscono i comitati per il “No”. Al di là della retorica, di cui entrambi gli schieramenti fanno abbondantemente uso, è opportuno chiarire che lo scontro maggiore in atto tra le varie forze politiche è quello sulla forma di governo, ovvero presidenzialismo o parlamentarismo (maggiori poteri alla giunta o al consiglio?) e sui “poteri” del presidente. Inutile forse sottolineare, anche in questo caso, il fatto che, dietro colte enunciazioni che si richiamano a termini quali “giustizia”, “democrazia”, “autonomia”, etc., altro non si cela se non il desiderio da parte della classe politica compradora sarda, nelle sue varie componenti (partiti maggiori e minori), di avere assicurato il proprio spazio nella “divisione della torta” che lo stato italiano, da buon padrone, assicura ai suoi fedeli servitori. Lo scontro in atto, per sgombrare il campo da qualsiasi illusione, è quello tra la cosiddetta classe politica “compradora”, che gestisce per conto del centro il potere a livello coloniale, utilizzando la solita politica del clientelismo per garantire e gestire gli interessi “italiani” in colonia (ne ricordiamo qualcuno: sottosviluppo endemico, basi militari, totalturismo, inquinamento petrolchimico, immigrazione forzata e tanti altri), e una nuova classe politica, che da qualche anno sta tentando di ritagliarsi uno spazio di gestione del potere in quanto referente di una parte di borghesia sarda che tenta di ritagliarsi un ruolo da borghesia “nazionale”, cercando di conquistare nuovi e maggiori poteri di contrattazione col padrone coloniale.Sappiamo che ciò che realmente muove questi schieramenti, al di là delle fumose distinzioni, sono gli stessi interessi: la gestione del potere delegata dallo stato centrale in colonia; che poi alcuni lo facciano in maniera sfacciata, barattando senza alcun pudore il proprio servilismo per una carriera da “compradoris” a Roma, o che altri si presentino invece come gli uomini della svolta per poi comunque rispondere sempre chinando il capo di fronte alle richieste dello stato italiano a noi non interessa e non ci trae in inganno.Questa classe politica e dirigente sarda che ha diretto ininterrottamente, dal secondo dopoguerra ad oggi, i diversi governi regionali ha fallito! I fatti e i numeri parlano da soli: sotto l’esperienza autonomistica la Sardigna ha avuto una perdita secca di oltre un milione di abitanti con l’emigrazione, la rovina della sua economia agropastorale, il disastro di un errato, oltre che disumano, insediamento industriale estraneo all’isola ed infine la progressiva distruzione dell’identità etnico- linguistica e culturale dei sardi. La Sardigna vive oggi ai limiti di un genocidio culturale ed etnico. Questa classe politica, anche se nel corso degli anni, indistintamente, si è ammantata di una vernice sardista, ha la responsabilità di aver favorito e di continuare a favorire i tentativi di genocidio culturale ed etnico portati avanti dallo stato italiano. Altro che autonomia!!!
La truffa che si prospetta ai danni del nostro popolo ha inoltre un altro pericolosissimo risvolto. La nuova legge Statutaria che si propone di approvare, continua ad essere in tutto e per tutto una proposta di Statuto regionale di stampo coloniale. Infatti, come nell’attuale Statuto, la Regione Sarda si ritrova a non avere, nelle competenze previste dalla “statutaria”, alcuna autonomia in ambito di programmazione della propria economia produttiva. Il colonialismo italiano sulla nostra terra si sviluppa appunto sul controllo pressoché totale delle nostre scelte economiche, e perciò guida qualsiasi proposta di sviluppo sui suoi propri interessi. Interessi che, essendo funzionali al capitalismo italiano e pianificati perciò dalla classe politica e dalla borghesia italiana, nulla hanno né possono avere di vantaggioso per quelle che sono le necessità di sviluppo del nostro popolo. La nostra situazione di miseria deriva infatti dall’impostazione di stampo coloniale della nostra economia, perché l’Italia pretende che essa debba essere funzionale agli interessi della borghesia italiana e non dei lavoratori sardi. Il disastro dello “sviluppo industriale” attualmente in atto, così come la beffa del latte pagato a prezzo di acqua, così come le scelte energetiche finalizzate solo a dare elettricità all’Italia anziché lavoro ai Sardi, la rapina indiscriminata delle materie prime, sono solo alcune tra le più evidenti e vergognose operazioni di sopruso coloniale nei confronti del Popolo Sardo. Il principale garante giuridico di questa situazione è appunto lo Statuto autonomo sardo, il quale, essendo costruito secondo gli interessi dell’Italia, altro non è che uno Statuto coloniale. D’altra parte gli avversari dell’attuale Statuto regionale – coloro che ne propongono una nuova forma e che chiedono che i Sardi la ratifichino col referendum – non cambiano di una sola virgola la sostanza dell’attuale Statuto coloniale. Tutte le proposte di cambiamento riguardano infatti delle modifiche di assetto burocratico, ed esse non hanno altro interesse che quello di sedimentare il potere della servile classe politica sarda, garante del potere italiano sulla nostra terra. Nell’uno e nell’altro caso la sostanza, ovvero la gestione autonoma da parte dei Sardi delle proprie risorse economiche, rimane invariabilmente negata, affinché l’Italia possa continuare ancora indisturbata la sua opera di sfruttamento della nostra terra e della nostra gente.
Mentre le due fazioni di servi coloniali battibeccano per un si o per un no ad una formalità che è comunque permanenza del colonialismo, a Manca pro s’Indipendentzia, ancora una volta sta dalla parte del Popolo Lavoratore Sardo ed in totale antitesi con la classe politica italianista. Andando alla radice del problema, superando l’inganno di un si o di un no ad un referendum che, comunque sia, prevede la permanenza dello sfruttamento italiano in terra nostra, a Manca pro s’Indipendentzia chiama la parte sana del proprio popolo, quella che ogni giorno sopporta il peso del colonialismo e dello sfruttamento, a non cadere nel nuovo tranello ordito dai nemici della Nazione Sarda.
Per questo a M. p. I. propone una astensione consapevole, attiva e di massa al referendum coloniale, invita tutti i Sardi a ribellarsi all’ennesimo inganno e a difendere la propria dignità nazionale di fronte alla truffa che ancora una volta viene presentata come risoluzione dei nostri problemi.
La vera risoluzione dei nostri problemi sta solo in noi stessi e nella nostra capacità di affermare unitariamente:
ASTENSIONE CONSAPEVOLE, ATTIVA E DI MASSA
GHERRA A SU COLONIALISMU!
L’UNICA SOLUZIONE E’ L’INDIPENDENZA!
a Manca pro s’Indipendentzia
Sede nazionale: via Aurelio Saffi 12 - Nuoro
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