OMNIA SUNT COMMUNIA



COSTANZO PREVE - ELOGIO DEL COMUNITARISMO
ED. CONTROCORRENTE - NA - PAG. 268 - E. 16,00



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Accogliendo le raccomandazioni dell’autore, nella prefazione a questo elogio del Comunitarismo, ad i suoi potenziali recensori, precisiamo immediatamente che il lavoro di Costanzo Preve non segna il passaggio del filosofo torinese dal marxismo al comunitarismo, e quindi da una posizione ortodossa di sinistra ad una frequentemente – e genericamente – definita di destra. L’allievo di Marx non abbandona il suo maestro, al contrario. Il lettore si trova di fronte ad una reinterpretazione in senso comunitarista del pensiero e del metodo di Marx, che è l’autore più citato dell’opera. Sarebbe poi addirittura offensivo interpretare quella che è una presa di posizione su basi filosofiche come un passaggio dalla sinistra alla destra. Correttamente e coerentemente, Preve rifiuta tali categorie, riferendole ad una “guerra civile ideologica” simulata, che spegne il pensiero e lo rinchiude in gabbie preconfezionate.
Si tratta invece, per Preve, di indicare una strada, la più opportuna per sviluppare quel dialogo tra le comunità e civiltà del mondo che sia da preludio ad un processo di universalizzazione umana. A percorrerla non può essere l’individuo astratto e atomizzato, ma colui che si pone all’interno della propria comunità, lo zoon politikòn aristotelico che fino a Marx costituisce la base antropologica – e problematica – del pensiero occidentale. Quella di Preve, a dirla tutta, è una scelta di “resistenza” filosofica. L’elogio del comunitarismo e della comunità, condotto senza tentennamenti e con grande padronanza concettuale, diviene un tentativo di contrapposizione alla tendenza storica in atto, che è quella di un tempo di guerre, conseguente al crollo del comunismo storico novecentesco ed alla necessità di ricostruire un Nuovo Ordine Mondiale fondato sul modello del capitalismo liberale e sulla feticizzazione della merce. I sostenitori di tale processo sono individuati negli Usa e nei loro alleati e l’apparato ideologico che lo sostiene nelle nuove religioni dei diritti umani e della democrazia esportabile. In un’ottica di progressivo allargamento, il Nuovo Ordine Mondiale agisce nella logica dell’inclusione subalterna di popoli e nazioni nel modello economico dominante e attraverso l’eliminazione di ogni residuo di sovranità che non sia “sotto tutela”, come dimostra il ciclo di guerre iniziato nel 1999 in Jugoslavia per arrivare a quella del 2003 in Iraq. Porsi dalla parte del comunitarismo significa quindi porsi dalla parte dei resistenti, rifiutando la logica sterile del pacifismo ritualizzato e le demonizzazioni ideologiche che riducono ogni resistenza al terrorismo. Ma non solo. Significa anche prendere atto di un paradosso e cercare di risolverlo. Se, infatti, quello che il filosofo torinese non esita ad indicare come “un totalitarismo dell’economia gestito da una oligarchia politica” si presenta nella veste politicamente corretta della moderna liberaldemocrazia, la società che ne consegue rimane percorsa dalla continua e retorica riaffermazione del valore della libertà individuale ed al tempo stesso dalla percezione quotidiana e generalizzata del fatto di essere in preda a meccanismi che non possono in alcun modo essere modificati. Questa percezione non può che essere individuale, ed individuale è la comprensione delle cause che la sottendono. Ma l’azione, quella è sempre comunitaria, e solo dalla comunità questo paradosso può essere modificato e superato. La liberaldemocrazia, del resto, svilisce i concetti stessi a cui si riferisce. La democrazia diviene una vuota procedura formalistica di legittimazione del potere politico e la libertà viene ridotta spesso all’impotenza. Un elogio del comunitarismo, per Preve, non può prescindere da un contestuale elogio della vera democrazia e della libertà, intese l’una come questione sostanziale che fa della decisione politica una proprietà indivisibile dell’intera comunità e l’altra come fatto incontrovertibile ed evidente che è connaturato all’essere umano. La proposizione corretta della questione deriva da una concezione antropologica di fondo: l’uomo, per Preve, è un essere sociale, razionale e generico. Sociale in quanto è al tempo stesso politico e comunitario, razionale in quanto dotato di linguaggio, che gli permette di comunicare con i suoi simili e di costituire ed esercitare la ragione, che gli consente di interpretare e dare forma alla società. La genericità dell’essere umano si riferisce alla sua capacità di dare vita a forme di produzione e convivenza comunitaria differenti. I suoi tre attributi vanno considerati insieme: la razionalità è sempre legata alla comunità ed alla genericità dell’uomo e non può attribuirsi ad un atomo individualizzato che si pensa artificialmente al di fuori di un contesto comunitario, come è avvenuto nella storia della filosofia moderna con l’affermarsi dell’individualismo. La stessa tradizione filosofica occidentale può essere ricostruita, per Preve, sulla base del concetto di comunità. La filosofia, secondo questa interpretazione, nasce in Grecia proprio da una minaccia di insensatezza della vita individuale ed associata dovuta alla dissoluzione delle forme di vita comunitarie precedenti, tenute insieme dal mito e da cerimonie religiose familiari e tribali e dall’emersione di una nuova società maggiormente individualistica in cui il denaro comincia fa valere il suo potere dissolutore delle forme comunitarie. Questione filosofica è quindi, per eccellenza, la ricostruzione del rapporto tra individuo e comunità. Aristotele la risolverà con la celebre definizione dell’uomo quale zoon politikòn, con la rifondazione integrale della comunità su base razionale e politica. Ma sarà una soluzione di breve durata. Invitiamo il lettore a seguire Preve in questo godibile ed impegnativo capitolo in cui vengono affrontate le maggiori scuole filosofiche del pensiero occidentale in relazione alla loro visione dell’“individuo comunitario”. È evidente però la predilezione di Preve per il comunitarismo moderno, quello fondato filosoficamente sull’idealismo tedesco, in cui l’autore non esita ad inglobare anche Marx, allievo anche da questo punto di vista di Hegel. Rifiutato invece è quel modello sociale che ha permeato l’Europa per circa un millennio, frutto della rifondazione feudale del cristianesimo, che Preve definisce “comunitarismo gerarchico sacralizzato” e che critica perché non sostenibile sul piano razionale proprio per la sua riproduzione sociale di una gerarchia legittimata dal sacro. Questo riferimento ci permette di chiarire che, per il filosofo torinese, vi sono quattro forme comunitarie che non meritano di essere difese, che vengono liquidate come patologie di quel comunitarismo di cui viene tessuto l’elogio: il comunitarismo localistico e provincialistico, quello organicistico, quello fascista e nazionalsocialista ed il comunitarismo etnico che distrugge le basi della sovranità nazionale (ed è, quest’ultimo, funzionale al modello capitalistico neoliberale). Come si nota, sono tutte forme storiche di comunitarismo quelle che vengono rifiutate. Qui veniamo al punto che ci sembra essenziale: il comunitarismo elogiato da Preve è una proposta politica fondata filosoficamente sull’idea di approssimazione all’universalismo, ed è quindi un progetto. Un universalismo non ideologico – che è quello fondato sulla democrazia da esportare e sui diritti umani, cioè l’ideologia del capitalismo neoliberale – ma filosofico, che individua un campo dialogico di comunità unite dai caratteri essenziali di socialità e razionalità. La comunità diventa il luogo necessario, per l’individuo, per relazionarsi all’umanità universale, in cui libertà e solidarietà dialogano. Ritorniamo quindi all’idea della comunità come mediazione necessaria tra l’individuo e l’umanità, in cui l’individuo esprime i suoi caratteri essenzialmente umani – razionalità, socialità e genericità – e resiste alla manipolazione del modello capitalistico alienante. La manipolazioneè la categoria fondamentale su cui Preve basa la propria analisi della società attuale ed il suo progetto di comunitarismo. Se il capitale – che non è né un soggetto, né una comunità – non può eliminare la socialità e la razionalità umane esso può però intervenire neutralizzandole: la razionalità olistica, che induce a cercare il senso ed il vero all’interno della comunità, viene sostituita con quella strumentale e specialistica. La socialità viene manipolata e ricostruita in comunità settoriali funzionali ai processi di omologazione: ne sono esempio i giovani, che trovano in proprie nicchie di consumo specifico il solo elemento comunitario possibile. O gli anziani, che da depositari di conoscenze vengono “nascosti”, in quanto ricordano l’idea insopportabile della morte. O le donne, che non si avvedono della natura individualistica e tendenzialmente anticomunitaria di un femminismo funzionale alle logiche del capitalismo, ben resa dalla figura androgina dell’imprenditore.
Anche in queste pagine, Preve resta allievo – indipendente, come egli ama definirsi – di Marx, ed il comunitarismo è la via che conduce all’utopia marxista di una sola comunità umana mondializzata. Qualunque sistema capitalistico non può essere comunitario, in quanto il movimento autonomo dell’economia è incompatibile per principio con l’autodeterminazione democratica che l’umanità fa di se stessa. Il capitalismo è quindi sempre totalitario, cosa che non può mai essere la comunità. Non a caso Marx ha giustamente – per Preve – criticato il suo maestro Hegel, che aveva ricostruito il rapporto tra individuo e comunità sulla base di un’etica comunitaria dei costumi sociali condivisa, in cui le classi sociali rimangono tali, non avvedendosi quindi dell’incompatibilità tra universalismo ideale e classismo, in quanto la sola comunità umana ideale è una comunità senza classi. Vi è da dire che Preve non fa sconti al suo maestro, sottolineandone gli errori di metodo, ed ancor meno al marxismo, colpevole di aver spesso male interpretato – e non sempre in buona fede - il filosofo tedesco e di non averne corretto le aporie. Non entriamo qui nel merito della questione, che Preve svolge in pagine che sono tra le più proficue di questo denso saggio, a causa della grande padronanza che l’autore ha dell’argomento. Rimane il fatto che, quando Preve deve definire la comunità, lo fa in relazione ad un ethos condiviso, che permetta di produrre un’etica sociale che prevalga sui movimenti ciechi dell’economia. Quest’etica è chiaramente il frutto della ragione – olistica e dialogica – e deve sempre garantire la libertà dell’individuo all’interno della comunità, nonché l’eguaglianza. Preve coglie in pieno la questione, quando lega la comunità all’idea di verità: non è possibile una società senza valori comunitari condivisi. Resta però la questione aperta e di difficile soluzione sul fondamento di tali valori. Ne è possibile una fondazione solo razionale? Quando Preve individua nell’Illuminismo, pur sottolineandone gli aspetti negativi, la forza che ha spazzato via le comunità gerarchiche sacralizzate, non si può non cogliere in questa analisi la sottolineatura di un primato della ragione che trova in quel momento la sua affermazione evidente. Ma è lo stesso momento in cui si espungono definitivamente dalla vita comunitaria i residui di una dimensione sacrale e simbolica senza la quale la ragione può facilmente divenire mero strumento di astrazione e l’universalismo ideologico prevalere su qualunque universalismo filosofico, che corre il rischio di divenire mero esercizio intellettuale. Certamente un’affermazione del genere resta lontana ed irricevibile dalla impalcatura marxista che regge il lavoro di Preve, che rimane in ogni caso un contributo importante alla interrogazione ed al confronto sul comunitarismo.

Fabio Pagano

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