Balotelli, Ogbonna e Okaka cantano Fratelli d’Italia. L’italo-argentino Schelotto no
Inserito il 04 marzo 2010
Balotelli, Ogbonna e Okaka cantano Fratelli d’Italia. L’italo-argentino Schelotto no|Libertiamo.it
Balotelli, Ogbonna e Okaka cantano Fratelli d’Italia. L’italo-argentino Schelotto no
- Non siamo fanatici della simbologia nazionale, l’inno di Mameli è una marcia e non un test per la cittadinanza, ma quanto è accaduto ieri sera a Rieti stuzzica una riflessione. La Nazionale Under 21 allenata da Pierluigi Casiraghi affrontava i pari età ungheresi con una squadra composta, tra gli altri, da tre ragazzi di colore (Balotelli, Ogbonna e Okaka), nati in Italia da genitori africani. Insieme ai tre, in campo è sceso Ezequiel Schelotto, un giovane argentino approdato in Italia nel 2008 per giocare nel Cesena.
Schelotto è alla terza partita con la maglia degli azzurrini e l’inno nazionale non l’ha ancora imparato. E’ possibile, comunque, che decida di fare come il campione del mondo Camoranesi – anch’egli argentino naturalizzato – che onestamente ha scelto di non cantarlo, non sentendolo suo. Non c’è da rammaricarsene: Camoranesi e Schelotto hanno colto la preziosa opportunità di giocare nelle rappresentative del Paese in cui al momento vivono per motivi professionali e di cui posseggono il passaporto per il principio dello jus sanguinis, ma non possiamo costringerli a sentirsi italiani. Lo sono di diritto, ma non di fatto.
Per Mario Balotelli, Angelo Ogbonna e Stefano Okaka (autore del primo gol del successo azzurro, tra l’altro) la musica è molto diversa. L’Italia è la loro patria, ognuno di loro parla con un accento regionale marcato ed inconfondibile. E con quello stesso accento i tre cantano Fratelli d’Italia.
Se Balotelli avesse più sale in zucca, a questo punto sarebbe lì a giocarsi la convocazione di Lippi per i Mondiali in Sudafrica. Ciò detto, insieme agli altri due compagni di Under21, rappresenta l’ossatura della Nazionale italiana che verrà. Insieme a tanti altri suoi coetanei che con lui condividono non la maglia azzurra, ma il colore della pelle o la speciale condizione di cittadino di “prima generazione”, è l’ossatura del Paese che sarà.