E Nicolas Sarkozy sdoganò, definitivamente, il termine destra. “Ciò che conduce da anni la destra alla sconfitta è il fatto di rimpiangere di non essere sinistra” scrive nero su bianco il neo-Presidente francese nel suo libro “Testimonianza”. In Italia ci pensa Giulio Tremonti, che nella sua “Lectio Tremontiana” indica “nella decivilizzazione prodotta dal relativismo il vero marcatore e la dividente tra sinistra e destra. Tra la sinistra che è. E la destra che vogliamo e dobbiamo essere”. Per il vero l’ex-ministro dell’economia non si ferma a questo: sottolinea anche il carattere anti-economicista della “vera” destra che noi abbiamo sempre conosciuto. “Il nostro problema, in una età di crisi universale, è quello di conservare valori che per noi sono eterni. Rispetto al consumismo, noi preferiamo il romanticismo. Non i valori dei banchieri centrali, ma i valori dei nostri padri spirituali”. Questo scrive Tremonti completando quella inversione di tendenza dal liberismo alla cultura identitaria cominciata molto tempo fa. Che cosa è successo? Che cosa ha portato in auge discorsi, valori e principi che un tempo facevano parte solo del “bagaglio maledetto” della nostra cultura di destra e che venivano a malapena tollerati, solo a prezzo di una insopportabile banalizzazione e di un polveroso conservatorismo? E’ successo che le frustate della globalizzazione hanno alla fine prodotto i loro effetti, travolgendo tutta la retorica progressista e liberista che tentava di esaltare solo gli aspetti positivi di questa rivoluzione planetaria. E’ successo che la vecchia contrapposizione tra liberismo e socialdemocrazia si è dimostrata totalmente inadeguata ad affrontare i nuovi problemi che emergono nel terzo millennio, perché questi pongono in causa un valore estraneo ad entrambi questi schemi ideologici, il valore dell’identità. Un valore che la cultura dominante aveva del tutto escluso dall’agorà politica. Il concetto stesso di “identità” è rimasto a lungo abbandonato sulle rive della politica, diventando preda di culture marginali e di estremismi xenofobi e nostalgici. Robivecchi della politica che hanno a lungo sequestrato questo valore, contribuendo al suo fraintendimento ed alla sua demonizzazione. Poi il 21 aprile del 2002 è avvenuto un fatto incredibile, che nessuno in Europa aveva mai lontanamente previsto: Le Pen arriva al ballottaggio alle elezioni presidenziali francesi, seguito nel 2005 del voto contrario della Francia e dei Paesi Bassi alla Costituzione europea. Da questi eventi parte la “rottura” di Sarkozy rispetto alla cultura politica dominante nel continente. Ma il segnale vale per tutti: per la sinistra scatta il campanello d’allarme, per le destre europee la sveglia dal lungo sonno della Storia. Se un vecchio ottantenne come Le Pen con una proposta politica rozza e impresentabile si era aperto un varco così importante nel cuore dell’Europa, significava che il solco tra le culture politiche ufficiali e il sentimento popolare era diventato incredibilmente profondo. Il populismo identitario non potevo più essere solo demonizzato, ma doveva essere compreso e sconfitto proprio sottraendo il valore dell’identità dalla strumentalizzazione della xenofobia e dell’estremismo. Conosciamo l’obiezione che viene mossa a questi ragionamenti: Sarkozy è anche un modernizzatore, il creatore di un progetto politico che guarda al futuro ed evoca la speranza. Rispondiamo che questo progetto è credibile, non puzza di retorica e di astrazione, proprio perché affonda le sue radici nei problemi, nelle contraddizione e nell’energia che ruotano attorno al concetto di identità. Andiamo oltre la parola: l’identità – per i popoli, come per le persone e le famiglie – non è sinonimo di staticità, non è una sintesi di elementi immodificabili, ma è la griglia di valori e di interessi, la sintesi spirituale storica e culturale, che media e governa il cambiamento, che impedisce che questo diventi omologazione, sradicamento, spersonalizzazione. Se c’è l’identità il cambiamento è creativo, diventa progetto, evoca partecipazione. Su questa lunghezza d’onda troviamo i valori della cultura cattolica, che difendono la vita e la famiglia, frenano il dominio della tecnica e dell’economia, affermano sempre e comunque la dignità della persona umana. Troviamo la cultura comunitaria, i fondamenti di una nuova socialità, la spinta alla partecipazione, perché i valori identitari qualificano il legame tra persone e comunità, senza livellamento, senza burocrazie, senza assistenzialismo. Comprendiamo, infine, l’importanza dell’unità nazionale e dell’interesse nazionale, anche nell’integrazione europea. Ma soprattutto affrontiamo senza equivoci e senza chiusure le sfide della nostra epoca: l’immigrazione clandestina e il nomadismo, la concorrenza sleale delle economie emergenti contro le nostre produzioni nazionali, l’aggressione del fondamentalismo islamico, l’omologazione consumista e relativista, la subalternità europea nello scenario globale. Ecco quindi “la domanda di destra” che si diffonde in Europa, la “destra sommersa e diffusa” a cui in Italia bisogna dare espressione. Come in Francia, questo ruolo politico non può appartenere a frange estremiste, né ai rottami di un qualunquismo aggressivo. Una destra sociale, popolare, non individualista, perché fondata sui valori dell’identità, può essere interpretata solo da Alleanza Nazionale. Questa è l’ultima svolta del nostro Partito: la svolta che ci farà tornare ad essere noi stessi, in sintonia con il vento nuovo che soffia in Europa.
Fonte: www.destrasociale.org