L’intuizione del tempo nella storia greca e nel mondo cristiano
di Alberto Restivo
Il tempo ciclico e il tempo lineare
L’intuizione del Tempo conserverà sempre il suo fascino e continuerà a interessarci, ma questa volta lo qualifichiamo come uno dei punti cardine nell’analisi della storiografia classica greca. I filosofi dei tempi moderni, studiosi dell’antico, ci indicano una visione cristiana del tempo, contrapponendola a quella del mondo greco classico, e affermano in proposito che, mentre la prima è legata a un concetto di “linearità”, la seconda sarebbe invece fautrice di una visione temporale “ciclica”.
Lo stesso S. Agostino ribadisce questo concetto nella sua speculazione, criticando aspramente, nelle Confessioni, la concezione ciclica della storia e del tempo propria dei Greci e valorizzando, invece, quella lineare del Tempo propria del mondo cristiano. Schematizzando, quindi, per farci intendere diciamo anche noi che due sono le concezioni del Tempo: “lineare” quella della dottrina cristiana e “ciclica” quella del mondo classico greco.
Gli intellettuali greci anzi, hanno insistito, nella definizione del Tempo come “ciclo delle stagioni”, ma sono stati anche consapevoli del fatto che, nella vita umana, “nessun giorno reca un avvenimento simile all’altro”. Quindi, più corretto sarebbe sottolineare che “caratteristica dell’uomo greco è piuttosto la tendenza ad accentuare non il ritmo naturale dell’anno, ma l’aspetto civile dell’anno stesso”.
Tuttavia, la cosiddetta struttura ciclica del Tempo – che si pone come calcolo delle stagioni e degli anni - non esaurisce il concetto greco del Tempo. Infatti, per molti studiosi di espressione stoica, alla struttura ciclica del Tempo si deve accostare il concetto dell’Eterno Ritorno, secondo cui il cosmo, soggetto a distruzione ciclica dal fuoco, rinasce come era prima della distruzione stessa.
Questa concezione del cosmo - soggetto a generazione, distruzione e di nuovo a generazione - mal si accorda con il concetto del ritorno di vicende similari, a distanza di tempo (ad esempio la diabasi o passaggio di Alessandro Magno si ricollegherebbe, dopo un millennio, con la conquista di Troia, ma fra le due epoche storiche non c’è un'identità perfetta).
Il Ritorno Temporale storico preclude cioè una totale e piena identità fra due cicli e implica, semmai, la distruzione del mondo e la sua perfetta ripetizione in un mondo che gli succederà. Va quindi ridimensionata la contrapposizione fra “Tempo lineare” del mondo cristiano e “Tempo ciclico” del mondo greco, nel senso che ci fu un periodo nella storia della cultura in cui fu la struttura cosmologica ciclica del mondo classico ad avvicinarsi alla concezione del tempo lineare del cristianesimo.
Tale periodo fu appunto il cristianesimo delle origini; il pensiero antico era, infatti, portato ad affiancare al grande cataclisma dell’incendio cosmico (che, secondo gli stoici, dava luogo alla distruzione del mondo) l’altro grande cataclisma, quello del “Diluvio Universale”. Infatti, nella seconda lettera di S. Pietro, l’apostolo afferma che “il cosmo originario fu distrutto dal diluvio e quello attuale sarà distrutto dal fuoco il giorno del giudizio e ci saranno cieli nuovi e terra nuova in cui abiterà la giustizia”. Inoltre, nell’Antico Testamento sono presenti modelli di una concezione “lineare” del Tempo, infatti nell’Ecclesiaste (il Predicatore) è scritto: “Per ogni cosa c’è una stagione, c’è un tempo per ogni scopo sotto il cielo; un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per seminare e uno per raccogliere ciò che si è seminato, un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per abbattere e un tempo per ricostruire”.
La cronologia classica greca:
Erodoto, Senofonte, Democrito, Tucidide e i metodi del calcolo cronologico
Ma quel che soprattutto ci piace notare ed evidenziare è la differenza fra la “cronologia classica” più antica e la nostra “cristiana”, consistente nella mancanza, nella prima, di un punto di riferimento fisso. Noi diciamo “prima di Cristo”, “dopo Cristo”; Erodoto, invece, riferendosi alla cronologia della guerra di Troia dice: “Da Tizio corrono meno anni che da Caio: grosso modo ottocento anni fino a me” e anche “i Consigli dei tre avvennero alla terza generazione dopo la morte di Minosse”.
Questo sistema, mancando un punto fisso, un’era di riferimento, calcola la distanza (in anni, in generazioni) da un determinato avvenimento fino al tempo di chi parla, oppure evidenzia la distanza fra due avvenimenti.
Anche in Tucidide l’essenza della cronologia è la distanza di due avvenimenti fra loro, nel senso che non c’è un punto di riferimento fisso, un’era: da ciò deriva la difficoltà a tradurre le indicazioni cronologiche tucididee tra la fine delle guerre persiane e l’inizio delle guerre del Peloponneso (periodo di cinquant’anni - detto “ pentecontetìa”, in date assolute).
Secondo i calcoli tucididei, la guerra del Peloponneso è costituita da “serie annuali” calcolate per estati e inverni (cronologia ciclica delle stagioni) anche se il primo anno è precisato con l’indicazione dell’eforo spartano e dell’arconte ateniese allora in carica. Comunque va detto che il riferimento a un punto fisso non è una esigenza sconosciuta alla grecità classica. Se la guerra di Troia avesse potuto datarsi in maniera univoca e concorde, avrebbe certamente costituito una opportuna era “ante e post” per molti storici.
Democrito ha utilizzato questo metodo cronologico mentre parlava di sé e della sua opera scegliendo, fra gli avvenimenti storici, quello che gli sembrava più “epocale”, cioè degno di datare un’epoca - la conquista di Troia - e facendone un punto di riferimento che avrebbe dovuto rendere possibile una cronologia fissa e stabile, come un’era.
Tucidide resta comunque lo storico ateniese che, più di ogni altro, ha applicato il criterio delle stagioni dividendo ogni anno in estate e inverno nella narrazione annalistica della guerra del Peloponneso.
Nel suo lavoro, la storia di Sparta fu un punto di partenza per il calcolo più antico e fu caratterizzata, come precisato da studiosi della materia, da avvenimenti fondamentali come il ritorno degli Eraclidi (capostipiti delle famiglie doriche) e l’introduzione della nuova costituzione spartana.
Però anche nell’opera di questo famoso storico si rileva un modo di esprimersi approssimativo, sebbene risalti la ferma volontà, nelle indagini tucididee, di precisione nel definire le date in cifra tonda, ma “comunque una reale coscienza dell’approssimativo è sempre implicita in quelle date”.
Non possiamo disconoscere che, secondo gli storici, per l’uomo antico gli eventi sono normalmente un prodotto del caso, anche se il compito proprio dello storico consiste nello spiegarli, narrandoli.
Inoltre, per ogni storico classico, la vicinanza anche casuale di due o più avvenimenti offre lo spunto per la loro datazione in maniera concreta (sincronismo).
Crono raffigurato da Rubens mentre divora Poseidone
Immagine tratta dal sito http://upload.wikimedia.org/
Nella storia moderna, invece, abbiamo il vantaggio di poter partire con date determinate e precise che comunque si ricollegano ad avvenimenti che lo storico greco utilizzerebbe per una datazione sincronistica. Lo stesso Tucididem ad esempio, utilizza per datare il primo anno della guerra del Peloponneso la lista dei magistrati in carica in quel periodo. Ciò significava sostituire un “calcolo per anni civili” al “calcolo per anni naturali”. Ma la grande scoperta di Tucidide si esponeva comunque al rischio di errori materiali nel calcolo della durata di un evento; infatti, un conto è calcolare il tempo con le cifre, come facciamo noi, e un conto è farlo con le liste dei magistrati. Va però tenuto presente che la difficoltà di evitare errori nell'intuizione del tempo non è stata rilevata solo dagli storici moderni. Altri i (fra cui Timeo di Siracusa, 356/260 a.C., con la sua Storia dei siciliani) erano ben consapevoli delle difficoltà che ostacolavano un conguaglio preciso: quello fra liste di magistrati e liste di atleti olimpionici non poteva non dare luogo a confusioni.
Il problema di fondo fu ordinare i fatti, gli eventi, le tradizioni, in sistemi storiografici ai quali “noi moderni” dobbiamo una notevole parte di ciò che conosciamo dei tempi antichi. Non possiamo, infatti, tralasciare come gli storici moderni abbiano messo a confronto, nella loro opera di ricerca e ricostruzione, l’annalistica romana con quella greca. Infatti, come in alcuni passi di Senofonte è menzionata l’eclissi di sole del mese di aprile del 406, così negli annali pontificali romani sono citate ugualmente, come notazioni caratteristiche, le eclissi che verosimilmente hanno interessato gli storici antichi da Erodoto, Tucidide e Senofonte. In ultima analisi, prima dell’avvento degli antichi greci, le storie che ancora oggi conosciamo, scaturivano dall’esigenza di glorificare il re o il mecenate che commissionava allo storico (cronista del tempo) il compito di raccontare le sue epiche gesta.
Il primo a utilizzare con cognizione la parola “storia” fu, intorno al 400 a.C., Erodoto con la narrazione delle guerre fra Greci e Persiani, presentandole come lo scontro fra due mondi contrapposti, fra civiltà e barbarie: dobbiamo ai suoi scritti se la battaglia di Maratona e l’eroismo degli Spartani alle Termopili sono ancora oggi conosciuti. Nei suoi racconti, il mito o il fatto curioso occupano un posto rilevante.
Diversamente fece Tucidide, che descrisse la guerra del Peloponneso fra Sparta e Atene osservandola in modo imparziale e fissando, per la prima volta, il giusto metodo di lavoro dello storico: essere razionale e pronto a verificare ogni dettaglio. Questo che ha permesso la creazione di opere che hanno fatto da base alla cronologia greca e romana.
Il tempo nell’epos omerico: Iliade e Odissea
L’intuizione del Tempo aveva già trovato in precedenza, nell’epos omerico dell’Iliade e dell’Odissea, un modo inedito di esprimersi. Potrà sembrare una contraddizione, ma è interessante rilevare ed evidenziare - come hanno fato alcuni studiosi italiani contemporanei - che il Tempo è stato scoperto dai Greci nei momenti in cui “era assente”; la parola Cronos, in Omero, è usata per indicare “il tempo negativo o vuoto” riferito cioè a quei momenti in cui l’azione ristagna (l’eroe riposa o fa un inutile tentativo o si tormenta invano) e quindi non c’è bisogno di indicare la quantità di tempo che trascorre. Nei momenti, invece, in cui c’è l’azione – che si identifica con il tempo narrativo – non c’è alcuna necessità di nominarlo.
Se un eroe combatte e il poeta ne descrive le imprese, non c’è alcuna necessità di indicarne la durata; il tempo si manifesta tramite l’azione. Se invece l’eroe dorme o piange, ecco la necessità di indicare il tempo che queste azioni – anzi "non azioni" – consumano.
Questa intuizione del tempo trova riscontro nell’epos omerico, dove alcuni studi sull’argomento hanno mostrato non solo la fondatezza del concetto ma anche le notevoli differenze che emergono nei due poemi omerici.
Così nell’Iliade le indicazioni temporali sono generiche, segnalano mutamenti nello sviluppo dei fatti, ma non costruiscono un quadro cronologico come sfondo della vicenda che si colloca alla fine del decimo anno di guerra e dura cinquanta giorni. Al contrario, nell’Odissea, i fatti si percepiscono nel loro movimento temporale e “il trattamento del Tempo si manifesta attraverso il recupero a posteriori (con interruzione della trama in movimento) di fatti anteriori all’azione presente”. “Così, nel racconto di Ulisse ai Feaci, l’eroe colloca alla fine della storia la conoscenza approfondita di tutti i suoi precedenti”.
Di fatto, nell’Iliade interessa l’azione: il riferimento temporale serve solo a indicare il punto a cui giunta la narrazione più che un autentico momento temporale e il riferimento spaziale costituisce un segmento dell’azione (nell’Iliade gli scenari sono divisi in due parti: quella umana – le città, le navi – e quella divina – l’Olimpo, gli Dei).
Nell’[i]Iliade[i]i luoghi si intravedono solo insieme allo svolgersi dell’azione; nel momento in cui le azioni si sviluppano e i personaggi agiscono, compare l’immagine del luogo in cui avviene il fatto.
Nell’Odissea, che si muove sullo schema del viaggio, con il viaggio fa il suo ingresso anche il Tempo: lo spazio e il Tempo si percepiscono perché gli eroi si spostano, viaggiano e, con essi, mutano i luoghi e le scene della vicenda.
È stato detto da coloro che hanno approfondito l’argomento, che “l’Iliade e l’Odissea si sommano nell’epos di Virgilio – l’Eneide – ma con la differenza che Enea è un eroe che prima ha errato e poi combattuto, ha sperimentato il Tempo della Lontananza, le avventure e i dolori del viaggio e, quando si avvia verso Lavinio, per combattere e fondare la nuova civiltà, è già carico di Tempo”.
Nell’Odissea e nell’Eneide è il viaggio che svolge un ruolo primario dove la vicenda è data dall’eroe che parte, conquista, sconfigge il suo avversario e ritorna al punto di partenza. Il cosiddetto "tempo narrativo" è garantito dagli spostamenti del protagonista e, in ultima analisi, il movimento nello spazio (come il camminare, il viaggiare…) finisce per definirsi Momento Temporale.
Dal sito http://www.controluce.it/index.htm