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    Predefinito Tempo ciclico e tempo lineare

    L’intuizione del tempo nella storia greca e nel mondo cristiano

    di Alberto Restivo


    Il tempo ciclico e il tempo lineare

    L’intuizione del Tempo conserverà sempre il suo fascino e continuerà a interessarci, ma questa volta lo qualifichiamo come uno dei punti cardine nell’analisi della storiografia classica greca. I filosofi dei tempi moderni, studiosi dell’antico, ci indicano una visione cristiana del tempo, contrapponendola a quella del mondo greco classico, e affermano in proposito che, mentre la prima è legata a un concetto di “linearità”, la seconda sarebbe invece fautrice di una visione temporale “ciclica”.
    Lo stesso S. Agostino ribadisce questo concetto nella sua speculazione, criticando aspramente, nelle Confessioni, la concezione ciclica della storia e del tempo propria dei Greci e valorizzando, invece, quella lineare del Tempo propria del mondo cristiano. Schematizzando, quindi, per farci intendere diciamo anche noi che due sono le concezioni del Tempo: “lineare” quella della dottrina cristiana e “ciclica” quella del mondo classico greco.
    Gli intellettuali greci anzi, hanno insistito, nella definizione del Tempo come “ciclo delle stagioni”, ma sono stati anche consapevoli del fatto che, nella vita umana, “nessun giorno reca un avvenimento simile all’altro”. Quindi, più corretto sarebbe sottolineare che “caratteristica dell’uomo greco è piuttosto la tendenza ad accentuare non il ritmo naturale dell’anno, ma l’aspetto civile dell’anno stesso”.
    Tuttavia, la cosiddetta struttura ciclica del Tempo – che si pone come calcolo delle stagioni e degli anni - non esaurisce il concetto greco del Tempo. Infatti, per molti studiosi di espressione stoica, alla struttura ciclica del Tempo si deve accostare il concetto dell’Eterno Ritorno, secondo cui il cosmo, soggetto a distruzione ciclica dal fuoco, rinasce come era prima della distruzione stessa.
    Questa concezione del cosmo - soggetto a generazione, distruzione e di nuovo a generazione - mal si accorda con il concetto del ritorno di vicende similari, a distanza di tempo (ad esempio la diabasi o passaggio di Alessandro Magno si ricollegherebbe, dopo un millennio, con la conquista di Troia, ma fra le due epoche storiche non c’è un'identità perfetta).
    Il Ritorno Temporale storico preclude cioè una totale e piena identità fra due cicli e implica, semmai, la distruzione del mondo e la sua perfetta ripetizione in un mondo che gli succederà. Va quindi ridimensionata la contrapposizione fra “Tempo lineare” del mondo cristiano e “Tempo ciclico” del mondo greco, nel senso che ci fu un periodo nella storia della cultura in cui fu la struttura cosmologica ciclica del mondo classico ad avvicinarsi alla concezione del tempo lineare del cristianesimo.
    Tale periodo fu appunto il cristianesimo delle origini; il pensiero antico era, infatti, portato ad affiancare al grande cataclisma dell’incendio cosmico (che, secondo gli stoici, dava luogo alla distruzione del mondo) l’altro grande cataclisma, quello del “Diluvio Universale”. Infatti, nella seconda lettera di S. Pietro, l’apostolo afferma che “il cosmo originario fu distrutto dal diluvio e quello attuale sarà distrutto dal fuoco il giorno del giudizio e ci saranno cieli nuovi e terra nuova in cui abiterà la giustizia”. Inoltre, nell’Antico Testamento sono presenti modelli di una concezione “lineare” del Tempo, infatti nell’Ecclesiaste (il Predicatore) è scritto: “Per ogni cosa c’è una stagione, c’è un tempo per ogni scopo sotto il cielo; un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per seminare e uno per raccogliere ciò che si è seminato, un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per abbattere e un tempo per ricostruire”.


    La cronologia classica greca:
    Erodoto, Senofonte, Democrito, Tucidide e i metodi del calcolo cronologico


    Ma quel che soprattutto ci piace notare ed evidenziare è la differenza fra la “cronologia classica” più antica e la nostra “cristiana”, consistente nella mancanza, nella prima, di un punto di riferimento fisso. Noi diciamo “prima di Cristo”, “dopo Cristo”; Erodoto, invece, riferendosi alla cronologia della guerra di Troia dice: “Da Tizio corrono meno anni che da Caio: grosso modo ottocento anni fino a me” e anche “i Consigli dei tre avvennero alla terza generazione dopo la morte di Minosse”.
    Questo sistema, mancando un punto fisso, un’era di riferimento, calcola la distanza (in anni, in generazioni) da un determinato avvenimento fino al tempo di chi parla, oppure evidenzia la distanza fra due avvenimenti.
    Anche in Tucidide l’essenza della cronologia è la distanza di due avvenimenti fra loro, nel senso che non c’è un punto di riferimento fisso, un’era: da ciò deriva la difficoltà a tradurre le indicazioni cronologiche tucididee tra la fine delle guerre persiane e l’inizio delle guerre del Peloponneso (periodo di cinquant’anni - detto “ pentecontetìa”, in date assolute).
    Secondo i calcoli tucididei, la guerra del Peloponneso è costituita da “serie annuali” calcolate per estati e inverni (cronologia ciclica delle stagioni) anche se il primo anno è precisato con l’indicazione dell’eforo spartano e dell’arconte ateniese allora in carica. Comunque va detto che il riferimento a un punto fisso non è una esigenza sconosciuta alla grecità classica. Se la guerra di Troia avesse potuto datarsi in maniera univoca e concorde, avrebbe certamente costituito una opportuna era “ante e post” per molti storici.
    Democrito ha utilizzato questo metodo cronologico mentre parlava di sé e della sua opera scegliendo, fra gli avvenimenti storici, quello che gli sembrava più “epocale”, cioè degno di datare un’epoca - la conquista di Troia - e facendone un punto di riferimento che avrebbe dovuto rendere possibile una cronologia fissa e stabile, come un’era.
    Tucidide resta comunque lo storico ateniese che, più di ogni altro, ha applicato il criterio delle stagioni dividendo ogni anno in estate e inverno nella narrazione annalistica della guerra del Peloponneso.
    Nel suo lavoro, la storia di Sparta fu un punto di partenza per il calcolo più antico e fu caratterizzata, come precisato da studiosi della materia, da avvenimenti fondamentali come il ritorno degli Eraclidi (capostipiti delle famiglie doriche) e l’introduzione della nuova costituzione spartana.
    Però anche nell’opera di questo famoso storico si rileva un modo di esprimersi approssimativo, sebbene risalti la ferma volontà, nelle indagini tucididee, di precisione nel definire le date in cifra tonda, ma “comunque una reale coscienza dell’approssimativo è sempre implicita in quelle date”.
    Non possiamo disconoscere che, secondo gli storici, per l’uomo antico gli eventi sono normalmente un prodotto del caso, anche se il compito proprio dello storico consiste nello spiegarli, narrandoli.
    Inoltre, per ogni storico classico, la vicinanza anche casuale di due o più avvenimenti offre lo spunto per la loro datazione in maniera concreta (sincronismo).


    Crono raffigurato da Rubens mentre divora Poseidone
    Immagine tratta dal sito http://upload.wikimedia.org/

    Nella storia moderna, invece, abbiamo il vantaggio di poter partire con date determinate e precise che comunque si ricollegano ad avvenimenti che lo storico greco utilizzerebbe per una datazione sincronistica. Lo stesso Tucididem ad esempio, utilizza per datare il primo anno della guerra del Peloponneso la lista dei magistrati in carica in quel periodo. Ciò significava sostituire un “calcolo per anni civili” al “calcolo per anni naturali”. Ma la grande scoperta di Tucidide si esponeva comunque al rischio di errori materiali nel calcolo della durata di un evento; infatti, un conto è calcolare il tempo con le cifre, come facciamo noi, e un conto è farlo con le liste dei magistrati. Va però tenuto presente che la difficoltà di evitare errori nell'intuizione del tempo non è stata rilevata solo dagli storici moderni. Altri i (fra cui Timeo di Siracusa, 356/260 a.C., con la sua Storia dei siciliani) erano ben consapevoli delle difficoltà che ostacolavano un conguaglio preciso: quello fra liste di magistrati e liste di atleti olimpionici non poteva non dare luogo a confusioni.
    Il problema di fondo fu ordinare i fatti, gli eventi, le tradizioni, in sistemi storiografici ai quali “noi moderni” dobbiamo una notevole parte di ciò che conosciamo dei tempi antichi. Non possiamo, infatti, tralasciare come gli storici moderni abbiano messo a confronto, nella loro opera di ricerca e ricostruzione, l’annalistica romana con quella greca. Infatti, come in alcuni passi di Senofonte è menzionata l’eclissi di sole del mese di aprile del 406, così negli annali pontificali romani sono citate ugualmente, come notazioni caratteristiche, le eclissi che verosimilmente hanno interessato gli storici antichi da Erodoto, Tucidide e Senofonte. In ultima analisi, prima dell’avvento degli antichi greci, le storie che ancora oggi conosciamo, scaturivano dall’esigenza di glorificare il re o il mecenate che commissionava allo storico (cronista del tempo) il compito di raccontare le sue epiche gesta.
    Il primo a utilizzare con cognizione la parola “storia” fu, intorno al 400 a.C., Erodoto con la narrazione delle guerre fra Greci e Persiani, presentandole come lo scontro fra due mondi contrapposti, fra civiltà e barbarie: dobbiamo ai suoi scritti se la battaglia di Maratona e l’eroismo degli Spartani alle Termopili sono ancora oggi conosciuti. Nei suoi racconti, il mito o il fatto curioso occupano un posto rilevante.
    Diversamente fece Tucidide, che descrisse la guerra del Peloponneso fra Sparta e Atene osservandola in modo imparziale e fissando, per la prima volta, il giusto metodo di lavoro dello storico: essere razionale e pronto a verificare ogni dettaglio. Questo che ha permesso la creazione di opere che hanno fatto da base alla cronologia greca e romana.


    Il tempo nell’epos omerico: Iliade e Odissea

    L’intuizione del Tempo aveva già trovato in precedenza, nell’epos omerico dell’Iliade e dell’Odissea, un modo inedito di esprimersi. Potrà sembrare una contraddizione, ma è interessante rilevare ed evidenziare - come hanno fato alcuni studiosi italiani contemporanei - che il Tempo è stato scoperto dai Greci nei momenti in cui “era assente”; la parola Cronos, in Omero, è usata per indicare “il tempo negativo o vuoto” riferito cioè a quei momenti in cui l’azione ristagna (l’eroe riposa o fa un inutile tentativo o si tormenta invano) e quindi non c’è bisogno di indicare la quantità di tempo che trascorre. Nei momenti, invece, in cui c’è l’azione – che si identifica con il tempo narrativo – non c’è alcuna necessità di nominarlo.
    Se un eroe combatte e il poeta ne descrive le imprese, non c’è alcuna necessità di indicarne la durata; il tempo si manifesta tramite l’azione. Se invece l’eroe dorme o piange, ecco la necessità di indicare il tempo che queste azioni – anzi "non azioni" – consumano.
    Questa intuizione del tempo trova riscontro nell’epos omerico, dove alcuni studi sull’argomento hanno mostrato non solo la fondatezza del concetto ma anche le notevoli differenze che emergono nei due poemi omerici.
    Così nell’Iliade le indicazioni temporali sono generiche, segnalano mutamenti nello sviluppo dei fatti, ma non costruiscono un quadro cronologico come sfondo della vicenda che si colloca alla fine del decimo anno di guerra e dura cinquanta giorni. Al contrario, nell’Odissea, i fatti si percepiscono nel loro movimento temporale e “il trattamento del Tempo si manifesta attraverso il recupero a posteriori (con interruzione della trama in movimento) di fatti anteriori all’azione presente”. “Così, nel racconto di Ulisse ai Feaci, l’eroe colloca alla fine della storia la conoscenza approfondita di tutti i suoi precedenti”.
    Di fatto, nell’Iliade interessa l’azione: il riferimento temporale serve solo a indicare il punto a cui giunta la narrazione più che un autentico momento temporale e il riferimento spaziale costituisce un segmento dell’azione (nell’Iliade gli scenari sono divisi in due parti: quella umana – le città, le navi – e quella divina – l’Olimpo, gli Dei).
    Nell’[i]Iliade[i]i luoghi si intravedono solo insieme allo svolgersi dell’azione; nel momento in cui le azioni si sviluppano e i personaggi agiscono, compare l’immagine del luogo in cui avviene il fatto.
    Nell’Odissea, che si muove sullo schema del viaggio, con il viaggio fa il suo ingresso anche il Tempo: lo spazio e il Tempo si percepiscono perché gli eroi si spostano, viaggiano e, con essi, mutano i luoghi e le scene della vicenda.
    È stato detto da coloro che hanno approfondito l’argomento, che “l’Iliade e l’Odissea si sommano nell’epos di Virgilio – l’Eneide – ma con la differenza che Enea è un eroe che prima ha errato e poi combattuto, ha sperimentato il Tempo della Lontananza, le avventure e i dolori del viaggio e, quando si avvia verso Lavinio, per combattere e fondare la nuova civiltà, è già carico di Tempo”.
    Nell’Odissea e nell’Eneide è il viaggio che svolge un ruolo primario dove la vicenda è data dall’eroe che parte, conquista, sconfigge il suo avversario e ritorna al punto di partenza. Il cosiddetto "tempo narrativo" è garantito dagli spostamenti del protagonista e, in ultima analisi, il movimento nello spazio (come il camminare, il viaggiare…) finisce per definirsi Momento Temporale.

    Dal sito http://www.controluce.it/index.htm
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 10-03-10 alle 23:27
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  2. #2
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    Predefinito Rif: Tempo ciclico e tempo lineare

    Kairos

    Kairos (καιρός) è una parola che nell'antica Grecia significa "momento giusto o opportuno" o "tempo di Dio". Gli antichi greci avevano due parole per il tempo, kronos e kairos. Mentre la prima si riferisce al tempo logico e sequenziale la seconda significa " un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale accade. Ciò che è la cosa speciale dipende da chi usa la parola. Chi usa la parola definisce la cosa, l'essere della cosa. Chi definisce la cosa speciale definisce l'essere speciale della cosa. È quindi proprio la parola, la parola stessa, quella che definisce l'essere speciale. Mentre chronos è quantitativo, kairos ha una natura qualitativa. Nella lotta tra kairòs e chronos, kairòs è sempre perdente. È con questa perdita che la parola cessa. [1]


    Kairos è un tempo il cui discernimento è primordiale in molti settori:
    la medicina
    la strategia
    la politica
    ... Dal locale verso il temporale passando per la misura giusta, il kairos ha avuto molti significati più o meno stabiliti e compatibili. Lo traduce spesso per "occasione" ma il termine rende soltanto molto parzialmente un'idea ricca in tutte le sue sfaccettature. Non è possibile trovare un termine italiano equivalente che possa segnare tutte le relazioni che la nozione greca ha conosciuto.

    Il kairos compie la riunione di due problemi: quello dell'azione e quello del tempo. Tutte le sue preferenze non sono temporali (in particolare coloro che si riferiscono "alla misura giusta" e "all'idoneità") ma contengono e completano le basi di un significato specificamente temporale. Il kairos implica una visione del tempo che possa conciliarsi con un'esigenza d'efficacia dell'azione umana. Il kairos è un momento, ma se si intende "momento" soltanto come una durata misurabile che si estende da un punto A ad un punto B, si cade in errore.

    Il kairos si ricollega ad un certo tipo di azioni che devono essere compiute "tempestivamente" e non tollerano né il ritardo, né l'esitazione. La nozione di kairos è indissociabile della parola greca, è indissociabile anche da un contesto che è quello della Grecia del VI e del V secolo a.C. È indissociabile quindi da un'epoca in cui l'azione diventa autonoma e non dipende più dalla volontà divina, la necessità di osservare il kairos è liberata per i Greci delle loro esperienze in settori multipli:

    Nella medicina
    Ippocrate ha individuato la nozione di crisi, momento critico dove la malattia evolve verso la cura o la morte. In questo momento è certo che l'intervento del medico prende un carattere necessario e decisivo.

    Nel campo militare
    Un buon stratega sa che la vittoria non è una semplice questione di superiorità numerica, ma un momento in cui l'attacco sull'avversario porterà il panico e darà un esito definitivo alla battaglia.

    Nel settore della navigazione
    Il settore della navigazione: dove kairos, associato con tuke (sorte) permette al navigatore di dirigersi sventando le trappole del mare. È in particolare in questo contesto che si trova la metis o intelligenza dell'astuzia.

    Nella politica
    Nella guerra del Peloponneso, Tucidide dà importanza ai kairoi che attraversano la storia. Questi sono momenti che impegnano la sorte delle città: dichiarazioni di guerra, negoziati o rotture di alleanze.

    Nella retorica
    Il Kairos era molto importante per i Sofisti, che enfatizzavano l'abilità dell'oratore di adattarsi e di approfittare di circostanze variabili, contingenti. Nel Panatenaico, Isocrate scrive che le persone istruite sono quelle "che gestiscono bene le circostanze che incontrano giorno per giorno, e che possiedono un giudizio accurato nelle occasioni d'incontro quando si alzano e a cui raramente manca la linea di condotta opportuna".

    Kairos è anche molto importante nello schema della retorica di Aristotele. Kairos è, secondo Aristotele, il contesto del tempo e dello spazio in cui la prova sarà affrontata. Kairos è accanto ad altri elementi contestuali della retorica: Il pubblico che è il trucco psicologico ed impressionabile di coloro che riceveranno la prova; e, La preparazione che è lo stile con il quale l'oratore veste la loro prova.

    Nel campo artistico
    È la sfumatura trascurabile, la correzione minuscola che favorisce il buon esito.

    In teologia
    Il termine "kairos" è usato nella teologia per descrivere la forma qualitativa del tempo.

    Nel Nuovo Testamento kairos significa "il tempo designato nello scopo di Dio", il tempo in cui Dio agisce (per esempio Marco 1.15, il kairos è soddisfatto). Differisce dalla parola più solita per tempo che è chronos (kronos).

    Nella Chiesa Ortodossa Orientale, prima che la Liturgia Divina inizi, il Diacono esclama al Prete, "Kairos tou poiesai to Kyrio" ("È tempo [kairos] che il Signore agisca"); indica che il momento della Liturgia è un incontro con l'Eternità. In The Interpretation of History(L'interpretazione della storia, del teologo luterano neo-ortodosso Paul Tillich viene fatto un uso frequente del termine. Per lui, i kairoi sono quelle crisi nella storia (vedi l'esistenzialismo cristiano) che creano un'opportunità per, e in effetti esigono, una decisione esistenziale dal soggetto umano - la venuta di Cristo è un primo esempio.

    Nel Documento di Kairos, un esempio di teologia di liberazione nel Sudafrica sotto l'Apartheid, il termine "kairos" è usato per denotare "il tempo designato", "il tempo cruciale" in cui il documento viene letto.

    Il kairos ha dunque un ampio campo d'applicazione. Esiodo dice che è "tutto ciò che c'è meglio di qualcosa" ed Euripide dice che ciò "è il migliore delle guide in ogni impresa umana". Non è tuttavia dato a tutti di raggiungerlo; appartiene allo specialista che, avendo delle conoscenze generali, è capace di integrare i fattori del momento che gli permetteranno di osservare la particolarità della situazione. Il kairos dipende da un ragionamento e non è sottoposto al gioco dell'occasione, tuttavia svolge un ruolo decisivo nelle situazioni imprevedibili ed insolite.

    Tutte le accezioni di kairos non sono direttamente legate al tempo ma tutte sono legate all'efficacia. Indipendentemente dal settore previsto (medicina, strategia, retorica... ) inverte le situazioni e dà loro un esito definitivo (la vita o la morte; la vittoria o la sconfitta). È la condizione dell'azione riuscita e ci insegna che paradossalmente, il successo tiene quasi a nulla. [2]

    Kairos sfugge costantemente alle definizioni perché si trova sempre al centro di due concetti: l'azione ed il tempo; la competenza e la possibilità; il generale ed l'individuale. Non è mai completamente da un lato o da un altro. Questa indeterminazione è legata al suo potere di decisione. Trattiene per ogni caso gli elementi necessari per agire ma non si confonde con loro. È "libero" di cambiare ed è per questo che è così difficile da afferrare nella pratica e da comprendere nella teoria.

    Altri significati
    Il tempo Kairos è spesso percepito come un periodo di crisi. I caratteri cinesi per “crisi” sono spesso una combinazione di caratteri per “pericolo” e “opportunità”, sebbene questo non è del tutto vero.[3] A tal fine, si ha una possibilità di partecipare "ad una nuova creazione". Si ha la scelta tra il pericolo e l'opportunità, una possibilità di costruire qualcosa di nuovo da qualcosa di vecchio. Il tempo Kairos colma lo strappo con "il vecchio modo" creando un "nuovo modo".

    A Traù (l'antica Tragurium romana), Croazia, nel convento delle suore benedettine, c'era uno straordinario bassorilievo che rappresentava il Kairos dal III secolo a.C., vi era raffigurato un giovane nudo, che correva. Il bassorilievo ora si trova al Museo Municipale di Traù. Secondo i greci antichi, Kairos era il dio del "momento passeggero", di "un'opportunità favorevole che opponeva il fato all'uomo". Il momento deve essere afferrato (dal ciuffo di capelli sulla fronte della figura fuggente); altrimenti il momento è andato e non può essere ri-catturato (ciò è indicato dalla parte posteriore della testa che è calva.) Una statua di bronzo conosciuta in letteratura, fatta dal famoso scultore greco Lisippo da Sikyon, fu probabilmente un modello per il bassorilievo. Kairos è descritto nei versi del poeta Posidippo. La statua allegorica originale di bronzo fatta da Lisippo era collocata a casa sua, nell'Agora dell'ellenica Sikyon, ed era scolpito sulla statua di Kairos il seguente epigramma di Posidippo:

    "Chi era lo scultore e da dove veniva? Da Sikyon.
    Come si chiamava? Lisippo.
    E chi sei tu? Il Tempo che controlla tutte le cose.
    Perché ti mantieni sulla punta dei piedi? Io non corro mai.
    E perché hai un paio di ali sui tuoi piedi? Io volo con il vento.
    E perché hai un rasoio nella mano destra? Come segno per gli uomini che sono più pungente[4] di qualsiasi bordo pungente.
    E perché hai dei capelli davanti al viso? Per colui che mi incontra per prendermi per il ciuffo.
    E perché, in nome del cielo, hai la parte posteriore della testa calva? Perché nessuno che una volta ha corso sui miei piedi alati lo faccia ora, benché si auguri che accada, mi afferra da dietro.
    Perché l'artista ti ha foggiato? Per amor tuo, sconosciuto, e mi mise su nel portico come insegnamento".

    Questa statua era il modello originale per le varie rappresentazioni di Kairos fatte anche nei tempi antichi e nel medioevo. John Tzetzes ha scritto a questo proposito, così come Imerio. L'immagine dei capelli che erano appesi sulla fronte e della nuca calva era associata in tempi romani alla dea Fortuna, la personificazione della buona e della cattiva fortuna. Molti autori citano ciò. Per esempio Disticha Catonis II, 26 si riferisce al concetto latino di Occasio (una parola femminile che può essere considerata come una traduzione letterale della parola greca Kairos; vedi anche Caerus) in questi termini: "Rem tibi quam scieris aptam dimittere noli: fronte capillata, post haec occasio calva", che significano "Non permettono ciò che consideri buono per le tue fughe; l'occasione ha i capelli sulla fronte, ma dietro è calva". Fedro (V,8)scrive qualcosa di simile ed egli stesso ammette che il tema non era proprio suo, ma più antico. In Callistrato (Descrizioni, 6) c'è un lungo testo che descrive la statua di Lisippo.

    Il tema del Kairos era sentito come estremamente importante durante il medioevo. Uno dei più celebri inni alla Fortuna è quello contenuto nella raccolta dei Carmina Burana. Questi i famosi versi che descrivono il Kairos: "Verum est quod legitur, fronte capillata, sed plerumque sequitur occasio calvata"; cioè "è vero ciò che si sente dire, la fortuna ha la fronte chiomata ma, quando passa, è calva". Si tratta di una chiara allusione al fatto che, nel momento in cui la Fortuna propizia si avvicina, essa può essere afferrata per i capelli che ha davanti (sulla fronte) ma -nel momento in cui si allontana- espone la sua nuca calva affinché non la si possa trattenere. La Fortuna, o Kairos, è descritta con tali attributi anche da Cesare Ripa nella sua Iconologia. Esistono ancora diverse rappresentazioni di Kairos; un rilievo (circa 160 C.E.) si trova al Museo dell'Antichità di Torino (Italia); un altro rilievo si trovava (ora andato perduto) a Palazzo Medici a Firenze; una perla d'onice (ex Blacas Collection, secolo d'I-II C.E.) con un'incisione del dio Tempo (vedi Caerus) con attributi di Kairos si trova al Museo Britannico; un rilievo di marmo che mostra Kairos, Bios (la Vita), e Metanoia (Ripensamento, il latino femminile Paenitentia) si trova nella cattedrale di Torcello (C.E. del XI secolo); un affresco monocromatico di Mantegna a Palazzo Ducale a Mantova (1510 C.E. circa) mostra un Kairos con un aspetto femminile (più probabilmente è Occasio) con un giovane uomo che prova a coglierla e una donna che rappresenta Paenitentia.

    Un concetto simile al Kairos è quello che si trova nel famoso motto "Carpe diem" e una sorta di ricorso nell'idea di Kairos è collegato con il tema della Ruota della Fortuna che gira in continuazione; infatti la parola greca usata da Posidippo per descrivere il Kairos (nel verso "Io corro sempre") è "aeì trochào" che alla lettera significa "Io giro sempre", e lo stesso verbo usato dal poeta e astronomo Arato di Soli (Phaenomena, 227, 309) per indicare il moto eterno delle sfere celesti. Non è un caso che nella Carmina Burana 17 la Fortuna è associata a una ruota che gira sempre (Tibullo stesso descrive la Fortuna con una ruota: "Versatur celeri Fors levis orbe rotae", I, 5, 70).

    Kairos nelle altre culture
    I cinesi hanno un concetto del tempo molto simile al kairos: il Che.

    Note
    1. Mark Freier (2006) "Time Measured by Kairos and Kronos".
    2. Vladimir JANKELEVITCH, Le je-ne-sais-quoi et le presque-rien, Parigi, PUF, 1957.
    3. http://www.pinyin.info/chinese/crisis.html
    4. Qui il vocabolo ha un doppio significato: tagliente,affilato e arguto, intelligente.

    Tratto da: Kairos - Wikipedia
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 16:36

  3. #3
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    Predefinito Rif: Tempo ciclico e tempo lineare

    La sintesi fra il tempo circolare e il tempo lineare...


    Il tempo spiraliforme è sintesi fra due concezioni: quella lineare e quella circolare.
    E' anche l'andamento del sistema solare nel suo insieme e delle galassie.


    Tempo lineare


    Questa potrebbe essere la rappresentazione del tempo lineare legato al cristianesimo.
    Non sappiamo se la figura umana stia salendo o scendendo, in ogni caso ha una fine e un inizio. Dipende dalla disposizione mentale dell'osservatore. In basso o in alto avverrà, comunque, l'eventuale salvazione nonchè resurrezione della carne.


    Il tempo come eterno ritorno


    Il simbolo dell'eterno ritorno, ovvero il tempo ciclico.

    Pubblicato da Luigi Pellini
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 16:45

  4. #4
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    Predefinito Rif: Tempo ciclico e tempo lineare

    IL KALPA

    Il kalpa rappresenta lo sviluppo totale di un mondo, ossia di uno stato o grado, fra gli infiniti dell'Esistenza Universale; il kalpa, riferito al nostro mondo, si suddivide in 14 Manvantara (ere dei successivi Manu, intendendosi con tale termine il Legislatore Universale e Primordiale, principio di Armonia e riflesso in ogni era dell'Uno sovratemporale), costituenti due serie settenarie; il settenario presente è il settimo della serie; esso a sua volta si suddivide in quattro sottocicli o Yuga, di durata involutivamente decrescente e proporzionale secondo la formula 4+3+2+1 = 10, numero rappresentante (fra vari altri significati) l'Unità della Manifestazione, analogamente la Legge di Manu in un mondo.

    [...]

    Le nostre considerazioni non possono tenere in gran conto le datazioni relative alle ere geologiche date dalla scienza, avendo gli scienziati moderni una concezione "rettilinea" del tempo, di contro a quella "ciclica" dei tradizionalisti; ciò implica notevoli intervalli di tempo intercorrenti tra un'era e l'altra, soprattutto rivolgendosi ai tempi più remoti [...]

    Facciamo, quale premessa a vicende storicamente più definibili, alcune brevi considerazioni di carattere prevalentemente mitologico e simbolico in relazione al significato ultimo delle Origini. Attenendosi a un punto di vista rigorosamente tradizionale, ogni fisima "evoluzionistica" o "storicista" riguardante il passato sfuma tranquillamente nell'insignificante; da tutte le tradizioni sono infatti posti in evidenza chiari riferimenti a una primordiale parentela fra Dei e uomini, ad uno stato premevo di immortalità: è l'Età dell'Oro o della luce eterna, per riferirci a un simbolo a noi più vicini l'Età dell'Apollo dorico, Puro e Radiante; età degli androginici (anche di Adamas, l'Uomo Unico) prima della caduta. Il ritmo ciclico del tempo è successivo risultando appunto segnato da un decadimento, presentato sotto svariate e oscure forme simboliche [...]

    Non vi è posto in tutto ciò, come si vede bene, per concezioni "progressiste", lumeggianti improbabili evoluzioni da un oscuro primitivo passato a tempi recenti di superiore civiltà; si evidenzia bensì un orientamento esattamente opposto, quello cioè di un più deciso e accelerato imbarbarimento, rappresentato dalle titaniche lotte che razze discendenti dalle origini dovettero sostenere in ogni epoca contro elementi degenerescenti semi-animali, parossisticamente scatenatesi nei periodi terminali di ogni ciclo di civiltà; è anche possibile, volendo andare ancora più innanzi, evidenziare in tali eventi un ulteriore profondo significato, ossia una lotta contro l'animalità potenzialmente presente negli uomini-dei degli inizi, vinta e lasciata indietro; si intuisce da ciò la teoria dell'antropogenesi esoterica che considera le razze animali quali tronchi laterali, aborti di un impulso primordiale avente negli esseri delle origini la più adeguata e compiuta manifestazione; qui tuttavia le cose assumono un diverso rilievo, e dobbiamo arrestarci pur risaltando anche a tale riguardo la fondamentale importanza dell'attenzione rivolta agli albori dell'umanità, ben al di là dei consueti, semplicistici rilievi esclusivamente biologici-ideologici.

    Estratto da Note sulle origini e le età del mondo di J. Evola.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 16:59
    Segni particolari: "macchina da espansione razziale euro-siberiana" (Giò91)

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    Predefinito Rif: Tempo ciclico e tempo lineare

    Alcune considerazioni sulla teoria dei cicli cosmici
    di René Guénon

    Ci è stato chiesto talvolta, a proposito degli accenni che siamo stati talvolta indotti a fare in diverse occasioni alla dottrina indù dei cicli cosmici e a quelle equivalenti che si ritrovano in altre tradizioni, di darne, se non una esposizione completa, almeno un quadro d'insieme, a grandi linee.

    Per la verità ci sembra questo un compito pressoché impossibile, non solo per la intrinseca complessità dell'argomento ma anche e soprattutto per le grandi difficoltà che si incontrano a esprimere questi concetti in una lingua europea, in maniera tale da renderli comprensibili alla mentalità occidentale attuale, completamente disabituata a un tal genere di considerazioni. Tutto ciò che si può fare, a nostro avviso, è cercare di chiarire certi punti con osservazioni come quelle che seguono, alle quali non si può chiedere altro che di fornire semplici indicazioni circa il senso della dottrina in questione piuttosto che darne una spiegazione esauriente.

    Considereremo un ciclo, nell'accezione più ampia del termine, come la rappresentazione del processo di sviluppo di uno stato qualsiasi della manifestazione, oppure, se si tratta di cicli minori, di qualcuna delle modalità più o meno limitate e particolari di tale stato. D'altronde, in virtù della legge di corrispondenza che collega tutte le cose nell' Esistenza universale, vi è sempre e necessariamente una certa analogia sia fra i diversi cicli dello stesso ordine, sia tra i cicli principali e le loro suddivisioni secondarie. E' quindi lecito, parlandone, impiegare in un unico modo di espressione, anche se questo spesso dovrà essere inteso solo simbolicamente, l'essenza stessa di ogni simbolismo fondandosi appunto sulle corrispondenze e sulle analogie che realmente esistono nella natura delle cose. Alludiamo qui soprattutto alla forma cronologica assunta dalla dottrina dei cicli. Poiché il Kalpa rappresenta lo sviluppo totale di un mondo, vale a dire uno stato o grado dell'esistenza universale, è evidente che si potrà parlare letteralmente della durata di un Kalpa, valutata in base ad una qualsiasi unità di misura del tempo, soltanto se si tratterà di un Kalpa che si riferisce a uno stato in cui il tempo è una della condizioni determinanti, quale è propriamente il nostro mondo. In ogni altro caso, tutte le considerazioni di durata e di successione non potranno avere che un valore meramente simbolico e dovranno essere trasposte analogicamente, la successione temporale diventando allora solo un'immagine della concatenazione, insieme logica e ontologica, di una serie extra-temporale di cause ed effetti. Tuttavia, poiché il linguaggio umano non può esprimere direttamente condizioni diverse da quelle proprie del nostro stato, un simbolismo del genere è per ciò stesso sufficientemente giustificato e dev'essere considerato perfettamente naturale e normale.

    Non abbiamo intenzione, in questa sede, di occuparci dei cicli più ampi, come i Kalpa; ci limiteremo a quelli che si svolgono entro il nostro Kalpa, cioè ai Manvantara e alle loro suddivisioni. A questo livello i cicli presentano un carattere sia cosmico che storico, poiché riguardano particolarmente l'umanità terrestre, pur essendo nello stesso tempo collegati a tutti gli avvenimenti che si producono nel nostro mondo al di fuori di essa. In ciò non vi è nulla di sorprendente, perché il considerare la storia dell'uomo come isolata in qualche modo da tutto il resto è un'idea esclusivamente moderna, in netta opposizione con l'insegnamento di tutte le tradizioni, che, al contrario, sono unanimi nell'affermare l'esistenza di una correlazione necessaria e costante tra l'ordine cosmico e quello umano.
    I Manvantara, o ere dei successivi Manu, sono quattordici e formano due serie settenarie, di cui la prima comprende i Manvantara trascorsi e quello presente, la seconda i Manvantara futuri. Queste due serie, di cui, come abbiamo visto, una si riferisce al passato, con il presente che ne è la risultante immediata, e l'altra al futuro, possono essere messe in corrispondenza con quelle dei sette Swarga e dei sette Patala, i quali rappresentano rispettivamente l'insieme degli stati superiori e inferiori allo stato umano, se ci si pone dal punto di vista della gerarchia dei gradi dell' Esistenza ovvero della manifestazione universale, o l'insieme di quelli anteriori e posteriori a questo stesso stato, nel caso invece che ci si ponga dal punto di vista del concatenamento causale dei cicli, descritto simbolicamente, come sempre, mediante l'analogia di una successione temporale. Quest'ultima angolazione è evidentemente quella che qui più interessa; essa infatti ci consente di vedere, all'interno del nostro Kalpa, in virtù della relazione analogica sopra menzionata, un'immagine ridotta di tutto l'insieme dei cicli della manifestazione universale e, in questo senso, si potrebbe dire che la successione dei Manvantara rappresenta in certo qual modo un riflesso degli altri mondi nel nostro. D'altronde, si può ancora notare, a conferma di ciò, che le parole Manu e Loka sono entrambe designazioni simboliche del numero 14; parlare a questo proposito di una semplice coincidenza equivarrebbe a dar prova della completa ignoranza delle ragioni profonde, inerenti a ogni simbolismo tradizionale. Si può ravvisare ancora un'altra correlazione con i Manvantara, quella relativa ai sette Dwipa o regioni in cui si divide il nostro mondo. Infatti, sebbene questi siano rappresentati, conformemente al senso proprio della parola che li designa, coma altrettante isole e continenti distribuiti in un certo modo nello spazio, bisogna guardarsi da un'interpretazione strettamente letterale, che li identifichi senz'altro con le diverse zone della terra attualmente conosciuta; essi, in effetti non emergono simultaneamente, bensì successivamente, il che vuol dire che uno solo di essi si manifesta nel dominio sensibile nel corso di un certo periodo. Se questo periodo è un Manvantara, si deve concludere che ogni Dwipa dovrà apparire due volte nel Kalpa, ossia una volta in ciascuna delle due serie settenarie di cui dicemmo poc'anzi; e dal rapporto fra queste due serie, che si corrispondono inversamente, come avviene in tutti i casi simili, e in particolare per quelle degli Swarga e dei Patala, si può dedurre che l'ordine d' apparizione dei Dwipa dovrà ugualmente, nella seconda serie, essere l'inverso di quello che è stato nella prima. Si tratta, in definitiva, di differenti stati del mondo terrestre, piuttosto che di regioni vere e proprie. Il Jambu-Dwipa rappresenta in realtà l'intera superficie terrestre nel nostro stato attuale; e se di esso si dice che si estende a sud del Meru, cioè della montagna assiale intorno alla quale si compiono le rivoluzioni del nostro mondo, è proprio perché, essendo il Meru simbolicamente identico al Polo Nord, effettivamente, rispetto a questo, tutte le terre sono situate a sud. Per dare maggiori spiegazioni sull'argomento, bisognerebbe poter sviluppare il simbolismo delle direzioni dello spazio, secondo cui sono ripartiti i Dwipa, come pure i rapporti di corrispondenza esistenti tra questo simbolismo spaziale e il simbolismo temporale sul quale poggia tutta la dottrina dei cicli; ma poiché non ci è possibile inoltrarci in queste considerazioni che da sole richiederebbero un intero volume, dobbiamo accontentarci di queste sommarie indicazioni, che, del resto, potranno facilmente completare per proprio conto coloro che hanno già qualche conoscenza in materia.
    Queste considerazioni concernenti i sette Dwipa trovano poi conferma nei dati concordanti di altre tradizioni, nelle quali si parla ugualmente di sette terre, segnatamente nell'esoterismo islamico e nella Kabbala ebraica; in quest'ultima, le sette terre, pur essendo raffigurate esteriormente come altrettante ripartizioni della terra di Canaan, sono poste in relazione con i regni dei sette re di Edom, i quali corrispondono manifestamente ai sette Manu della prima serie. Queste terre, inoltre, sono tutte comprese nella Terra dei Viventi, che rappresenta lo sviluppo completo del nostro mondo, realizzato in modo permanente nel suo stato principale. Si può rilevare qui la coesistenza di due punti di vista: quello della successione, che si riferisce alla manifestazione in se stessa, e quello della simultaneità, che si riferisce al suo principio, o a ciò che si potrebbe chiamare il suo archetipo. In fondo, la corrispondenza di questi due punti di vista equivale, in certo qual modo, a quella tra simbolismo temporale e simbolismo spaziale, cui abbiamo già accennato parlando dei Dwipa della tradizione indù.

    Nell'esoterismo islamico le sette terre rappresentano, forse più esplicitamente, altrettante tabaqat o categorie dell'esistenza terrestre, che coesistono o si compenetrano a vicenda, di cui soltanto una può essere attualmente colta dai sensi mentre le altre sono allo stato latente e, soltanto eccezionalmente, possono essere percepite, per di più in speciali condizioni. Anche in questo caso, esse si manifestano esteriormente, una per volta, nei diversi periodi che si succedono nel corso della intera durata di questo mondo. D'altra parte, ognuna delle sette terre è retta da un Qutb o Polo, che corrisponde chiaramente al Manu del periodo durante il quale la rispettiva terra si manifesta. Questi sette Aqtab sono subordinati al Polo supremo, così come i diversi Manu lo sono all' Adi-Manu o Manu primordiale; ma, in ragione della coesistenza delle sette terre, esercitano anche, sotto un certo aspetto, le loro funzioni in modo permanente e simultaneo. Si noti, per inciso, che la designazione Polo è strettamente legata al simbolismo polare del Meru menzionato poco sopra, il quale, nella tradizione islamica, ha per esatto equivalente il monte Qaf. Aggiungiamo che i sette Poli terrestri vengono considerati come il riflesso dei sette Poli celesti, che presiedono rispettivamente ai sette cieli planetari; e questo fa naturalmente pensare a una corrispondenza con gli Swarga della dottrina indù, dimostrando la perfetta concordanza che esiste, al riguardo, fra le due tradizioni.
    Consideriamo ora le suddivisioni di un Manvantara, cioè i quattro Yuga. Faremo anzitutto notare, senza insistervi troppo, che tale divisione quaternaria di un ciclo è suscettibile di molteplici applicazioni e che, in effetti, la si ritrova in molti cicli particolari: come esempio possiamo citare le stagioni dell'anno, le settimane del mese lunare, le quattro età della vita umana; anche qui vi è corrispondenza con il simbolismo spaziale, riferito, in tal caso, principalmente ai quattro punti cardinali. D'altro canto, si è spesso rilevata la manifesta equivalenza dei quattro Yuga con le quattro età dell'oro, dell'argento, del rame e del ferro, quali furono conosciute dell'antichità greco-latina: in entrambe le rappresentazioni, ogni periodo è ugualmente caratterizzato da un processo di degenerazione rispetto al precedente. Questo processo,che si oppone nettamente all'idea quale la concepiscono i moderni, si spiega semplicemente con il fatto che ogni svolgimento ciclico, vale a dire ogni processo di manifestazione, in cui è implicito necessariamente un allontanamento graduale dal principio, rappresenta realmente una discesa: è questo, del resto, il significato reale della caduta nella tradizione giudaico-cristiana.

    La progressiva degenerazione da uno Yuga all' altro si accompagna a una diminuzione della rispettiva durata, la quale è considerata incidere sulla lunghezza della vita umana; ma quel che più importa, da questo punto di vista, è il rapporto tra le rispettive durate dei diversi periodi. Se la durata complessiva del Manvantara è rappresentata dal numero 10, quella del Krita-Yuga o Satya-Yuga lo sarà dal 4, quella del Treta-Yuga dal 3, quella del Dwapara-Yuga dal 2 e quella del Kali-Yuga dall'1. Questi valori corrispondono altresì al numero delle zampe del toro simbolico di Dharma che si raffigurano poggiate sulla terra durante gli stessi periodi.

    La ripartizione del Manvantara si effettua quindi secondo la formula 10 = 4 + 3 + 2 + 1, che è l'inverso della Tetraktys pitagorica 1 + 2 + 3 + 4 = 10. Quest'ultima formula rappresenta ciò che nel linguaggio dell'ermetismo occidentale è denominato la circolatura del quadrato; l'altra il problema inverso della quadratura del cerchio, che esprime appunto la relazione tra la fine e l'inizio del ciclo, cioè l'integrazione del suo sviluppo totale. E' questo un simbolismo, aritmetico e geometrico a un tempo, che qui possiamo soltanto indicare di sfuggita, per non allontanarci troppo dall'argomento principale. Quanto alle cifre indicate in diversi testi, in relazione alla durata del Manvantara e, conseguentemente, a quella degli Yuga, bisogna evitare di considerarle cronologicamente nel significato ordinario della parola, vale a dire come se esprimessero numeri di anni, da prendersi alla lettera. E' questo d'altronde il motivo per cui le apparenti variazioni tra i dati non implicano in fondo una reale contraddizione. Per le ragioni che esporremo in seguito, la sola di queste cifre da prendere in considerazione è 4.320, dovendosi escludere i vari zeri che si fanno seguire a questo numero e che verosimilmente sono destinati soprattutto a trarre in inganno coloro che volessero dedicarsi a certi calcoli. Tale precauzione, a prima vista, può sembrare strana, ma poi si può facilmente comprendere; se l'effettiva durata del Manvantara fosse nota e se, inoltre, fosse possibile determinare con esattezza il suo punto di partenza, chiunque potrebbe senza difficoltà arrivare a dedurre la previsione di particolari avvenimenti futuri. Ora, nessuna tradizione ortodossa ha mai incoraggiato studi che permettessero all'uomo di arrivare a conoscere l'avvenire, in misura più o meno ampia, tale conoscenza presentando praticamente molti più inconvenienti che vantaggi reali. E' questo, dunque, il motivo per cui il punto di partenza e la durata del Manvantara sono stati sempre più o meno accuratamente dissimulati, sia aggiungendo o sottraendo un determinato numero di anni ai dati reali, sia moltiplicando o dividendo la durata dei periodi ciclici in modo da mantenere soltanto le loro esatte proporzioni; per di più, diremo che certe corrispondenze, per motivi analoghi, talvolta sono state perfino invertite.

    Se la durata del Manvantara è data dal numero 4.320, quelle dei quattro Yuga saranno date rispettivamente da 1.728, 1.296, 864, 432; ma per quale numero si dovranno moltiplicare queste cifre per ottenere una durata in anni? Si può facilmente notare come tutti questi numeri ciclici siano in rapporto diretto con la divisione geometrica del cerchio; così 4.320 = 360 * 12. Del resto, non vi è nulla di arbitrario o di meramente convenzionale in questa divisione poiché, a causa della corrispondenza tra l'aritmetica e la geometria, è normale che tale divisione si effettui secondo multipli di 3, 9, 12, mentre la divisione decimale è quella che propriamente si addice alla linea retta. Quest'osservazione, sebbene fondamentale, non permetterebbe tuttavia di andare molto lontano nella determinazione dei periodi ciclici, se non si sapesse che la base principale di questi, nell'ordine cosmico, è il periodo astronomico della precessione degli equinozi, la cui durata è di 25.920 anni, per cui lo spostamento dei punti equinoziali è di un grado ogni 72 anni. Questo numero 72 è precisamente un sottomultiplo di 4.320 = 72 * 60 e 4.320 è, a sua volta, un sottomultiplo di 25.920 = 4.320 * 6; il fatto che per la precessione degli equinozi si trovino i numeri connessi alla divisione del cerchio costituisce una prova ulteriore del carattere veramente naturale di questa divisione. Ma il problema che ora si pone è il seguente: quale multiplo o sottomultiplo del suddetto periodo astronomico corrisponde effettivamente alla durata del Manvantara?

    Il periodo che, nelle diverse tradizioni, appare con maggior frequenza non è tanto quello della precessione degli equinozi quanto la sua metà: è questo, in effetti, il periodo che corrisponde al grande anno dei Persiani e dei Greci, spesso calcolato approssimativamente in 12.000 o 13.000 anni e la cui esatta durata è di 12.960 anni. Data l'importanza del tutto particolare attribuita a tale periodo, si deve presumere che il Manvantara debba comprendere un numero intero di grandi anni; quanti precisamente? A questo proposito, al di fuori della tradizione indù, troviamo perlomeno un'indicazione precisa, abbastanza plausibile da poter essere accettata, questa volta, alla lettera: presso i Caldei la durata del regno di Xisuthros, che è manifestamente identico a Vaivaswata, il Manu dell'era attuale, era fissata in 64.800 anni, cioè esattamente cinque grandi anni. Per inciso, facciamo notare che il numero 5, essendo quello dei bhutas o elementi del mondo sensibile, deve avere necessariamente una speciale importanza dal punto di vista cosmologico, il che tende a confermare la fondatezza di una tale valutazione; si potrebbe anzi ravvisare una certa correlazione tra i cinque bhutas e i cinque grandi anni successivi di cui si tratta, tanto più che nelle antiche tradizioni dell'America centrale si trova un'evidente connessione fra elementi e particolari periodi ciclici; è questo, però, un problema che richiederebbe una disamina più approfondita. Comunque sia, se è questa effettivamente la durata del Manvantara, e se si continua a prendere come base il numero 4.320, che è esattamente un terzo del grande anno, è dunque per 15 che questo numero dovrà essere moltiplicato per avere la durata del Manvantara. I cinque grandi anni saranno naturalmente ripartiti nei quattro Yuga in modo diseguale, ma secondo rapporti semplici: il Krita-Yuga ne conterrà 2, il Treta-Yuga 1 e mezzo, il Dwapara-Yuga 1 e il Kali-Yuga mezzo. Questi numeri sono precisamente la metà di quelli che avevamo trovato quando consideravamo la durata del Manvantara rappresentata dal numero 10. Calcolati in anni ordinari, i quattro Yuga avranno una durata rispettivamente di 25.920, 19.440, 12.960, e 6.480 (anni), per un totale di 64.800 anni. Come si vede, queste cifre si mantengono in limiti perfettamente verosimili, potendo ben corrispondere all'età reale della presente umanità terrestre.

    Non andremo oltre con queste considerazioni poiché, per quanto concerne il punto di partenza del nostro Manvantara, e, conseguentemente, l'esatto punto del suo corso nel quale ci troviamo attualmente, non è nostra intenzione arrischiarci a determinarli. Sappiamo già, per i riferimenti che ci danno tutte le tradizioni, di essere ormai da tempo nel Kali-Yuga; possiamo aggiungere, senza tema di errori, che siamo anzi in una fase avanzata di esso, fase che viene descritta nei Purana con particolari che rispondono in maniera davvero sorprendente ai caratteri della epoca attuale. Ma non sarebbe forse imprudente voler aggiungere altre precisazioni? Inoltre, ciò non corrisponderebbe inevitabilmente a una di quelle predizioni tanto avversate, non senza motivo, dalla dottrina tradizionale?
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 17:32
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    Predefinito Rif: Tempo ciclico e tempo lineare

    Il tempo ciclico nell'età dei greci e la sua caduta nell'età della tecnica

    Galimberti, ereditando tematiche già toccate da Emanuele Severino e Martin Heidegger, approfondisce la tematica del concetto di tempo e del suo rapporto con l'uomo. La sua indagine evidenzia come nell'età degli antichi greci non si pensasse al tempo come lineare ed escatologico, tanto meno vi era associata l'idea di progresso. Essi concepivano il tempo come kyklos, come un ciclo in cui ogni evento è destinato a ripetersi. Nella Grecia antica era impensabile che l'uomo potesse esercitare un controllo sul cosmo o imporre su di esso i propri fini. La dimensione dell'uomo era inserita armonicamente all'interno dei cicli naturali che si susseguivano necessariamente e senza alcuno scopo. Nel ciclo infatti il fine (in greco telos) viene a coincidere con la fine e la forza propulsiva (in greco energheia) porta all'attuazione dell' ergon, l'opera, ciò che è compiuto.

    Il ciclo si manifesta dunque con l'esplicitarsi dell'implicito: il seme diventerà frutto solo alla fine del ciclo di crescita e maturazione stagionale e il frutto coinciderà con il fine del seme, con il dispiegarsi completo dell'energia e delle potenzialità implicitamente contenute in esso. Nel ciclo, in cui tutto si ripete, non si dà progresso; di conseguenza divengono fondamentali la memoria dei cicli passati e, quindi, la parola dei vecchi, deposito di esperienza, e l'educazione, come trasmissione della memoria e dell'esperienza passata. Tuttavia, l'uomo è da sempre tentato di conciliare il tempo ciclico della natura con il tempo umano, che è un tempo scopico (dal greco skopeo, che indica un guardare mirato). Con questa operazione l'uomo vuole reintrodurre scopi umani nel tempo naturale, privo di scopi. Emerge, dunque, la necessità propriamente umana di progettarsi, cioè di gettarsi-fuori di sé verso un obiettivo, cercando di dotare di senso la propria esistenza. Questa tendenza, tuttavia, può armonizzarsi con il kyklos solo se l'uomo vive con la consapevolezza tragica di non poter oltrepassare i limiti posti dalla natura, primo fra tutti la sua mortalità. In caso contrario, egli si macchierà di hybris, la tracotanza, l'unico vero peccato riconosciuto dalla saggezza greca.

    In termini esemplificativi, il cacciatore esercita il suo guardare mirato nel bosco (skopos) e solo in questo tempo progettuale, nella compresenza di mezzi e fini, il suo arco diventa strumento e la lepre l'obiettivo. Si tratta di un tempo lineare che si muove fra due estremi: i mezzi e i fini. Vi è, tuttavia, un terzo elemento che si inserisce fra questi termini, impossibile da controllare, ovvero il Kairos, il tempo opportuno, che è anche imprevedibilità e che può determinare o meno l'incontro tra mezzi e fini. Non è dunque nelle possibilità dell'uomo il tessere il proprio destino. Egli deve saper cogliere il kairos, la circostanza favorevole, e in essa espandere se stesso.

    Questo equilibrio fra tempo naturale, umano e kairos è stato sconvolto dall'uomo nell'età della tecnica; obiettivo di quest'ultima è, infatti, di ridurre fino ad annullare la distanza tra mezzi e scopi (in cui si inseriva il kairos, l'imprevedibile) per realizzare così un controllo e un dominio assoluti sul mondo, che da cosmo a cui accordarsi è divenuto natura da dominare, e per portare a compimento una tirannia completa del tempo umano. Con l'età della tecnica abbiamo scatenato il Prometeo che gli dèi avevano incatenato, determinando il trionfo del potere della techne sulla necessità (in greco ananke) della natura, fino alla paradossale situazione odierna in cui la tecnica non è più strumento nelle mani dell'uomo ma è l'uomo a trovarsi nella condizione di mero ingranaggio, funzionario inconsapevole dell'apparato tecnico.

    Da Umberto Galimberti - Wikipedia
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 17:44
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    Predefinito Rif: Tempo ciclico e tempo lineare

    Nietzsche ne Sull'utilità e il danno della storia per la vita scrive:

    Ogni uomo e ogni popolo ha bisogno di una certa conoscenza del passato; ora come storia monumentale, ora come storia antiquaria, ora come storia critica.

    Si tratta sempre di un bisogno che ha come scopo la vita [...]
    Che la conoscenza del passato sia desiderata in tutti i tempi solo per servire il futuro e il presente, non per indebolire il presente, non per sradicare il futuro.

    Ora uno sguardo sul nostro tempo. Dov'è andata tutta la chiarezza di quel rapporto tra vita e storia? ... La costellazione di vita e storia è realmente cambiata, per il fatto che un astro fortemente ostile si è inserito fra loro - a causa della scienza, a causa dell'esigenza che la storia sia scienza.

    Ancora nessuna generazione aveva visto uno spettacolo sterminato come quello che oggi mostra la scienza del divenire universale: la storia.

    L'uomo moderno si porta dietro un'enorme quantità di pietre del sapere, che poi all'occorrenza rumoreggiano puntualmente dentro di noi. Con questo rumoreggiare si rivela la qualità più propria di quest'uomo moderno: lo strano contrasto di un interno a cui non corrisponde nessun esterno e di un esterno a cui non corrisponde alcun interno.

    ...

    Il sapere che viene preso in eccesso, senza fame, non opera più come motivo che trasformi, ma rimane nascosto in un caotico mondo interno che l'uomo, con strana superbia, designa come l'"interiorità".
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 17:53
    Segni particolari: "macchina da espansione razziale euro-siberiana" (Giò91)

  8. #8
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    Predefinito Rif: Tempo ciclico e tempo lineare

    L'assurdità della linearità del tempo proclamata dal cristianesimo è che si domanda al fedele di credere che un qualcosa che nasce come segmento finito (l'anima dell'uomo, che ha un preciso inizio) divenga ex abrupto retta infinita nell'eternità. Come sarebbe possibile?

    Viceversa la circolarità del tempo è regola Tradizionale. Ed intuitiva. Basta guardarsi intorno e riflettere un attimo sulla eterna legge del ciclo, presente dappertutto nella natura e nell'uomo. Cicli e sottocicli incessanti, dai quali non si esce se non a prezzo di una sorta di "salto verticale" propulsivo che scaraventi in un'altra categoria sconosciuta allo stato ordinario.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 17:59
    "Così penseremo di questo mondo fluttuante: una stella all'alba; una bolla in un flusso; la luce di un lampo in una nube d'estate; una lampada tremula, un fantasma ed un sogno:"
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    Predefinito Rif: Tempo ciclico e tempo lineare

    Tempo lineare-paradiso terreste-società senza classi...

    Per la serie bolscevismi antichi e nuovi.

    Ouroboros si morde la coda, tutto scorre, gli antichi non sono mai morti.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 18:07

  10. #10
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    Predefinito Rif: Tempo ciclico e tempo lineare

    Citazione Originariamente Scritto da Arthur Machen Visualizza Messaggio
    Ouroboros si morde la coda, tutto scorre, gli antichi non sono mai morti.
    E in questo cullarmi trovo la mia acqua vitale.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-03-10 alle 18:14
    "Così penseremo di questo mondo fluttuante: una stella all'alba; una bolla in un flusso; la luce di un lampo in una nube d'estate; una lampada tremula, un fantasma ed un sogno:"
    (Sutra di diamante)

 

 
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