L'ultimo articolo del collegato alla Finanziaria affossa la vertenza legale di 50 lavoratori
Hanno vinto la causa in tribunale e in appello, ma ora una norma annulla le loro sentenze
Ex Atesia, cancellati i diritti riconosciuti
fatale una "postilla" in fondo al ddl 1167


Gli avvocati: "Dopo le leggi ad personam, ecco la legge ad aziendam"di SALVATORE MANNIRONI





Il ministro del welfare Maurizio Sacconi


ROMA - C'è un altro caso, oltre al generale attacco all'Articolo 18, nascosto in fondo al disegno di legge 1167. Le poche righe infilate nell'articolo 50 (ex 52) riguardano una fetta così piccola del mercato del lavoro da essere identificabile con i nomi di circa 50 lavoratori precari.

Sono gli operatori ex Atesia che rifiutarono a suo tempo la "conciliazione" con l'azienda, preferendo portare avanti, attraverso la magistratura, la battaglia per vedersi riconosciuto il diritto al posto di lavoro e a tutti gli arretrati (fatti di stipendi aggiornati e di differenze salariali e contributive) cui l'azienda era stata "condannata" dopo il blitz dell'estate 2006. Allora, gli ispettori del lavoro, dopo i controlli in quello che era il più grande call center d'Europa, rilevarono che i 3.600 co. co. pro presenti erano da considerarsi in realtà e a tutti gli effetti dei lavoratori subordinati.

Atesia - oggi ribattezzata Almaviva - fu condannata anche a pagare una maxi multa (quasi 100 milioni di euro), fece ricorso al Tar contro i verbali degli ispettori, riuscì a farsi condonare le sanzioni attraverso la Finanziaria 2007 e a scaricare in parte sullo Stato la spesa per il contributivo arretrato. Infine, concordò con i sindacati confederali nazionali una "regolarizzazione" globale per i dipendenti del gruppo. In pratica, tutti i co. co. pro. sarebbero stati assunti a tempo indeterminato con un contratto part-time a orari flessibili (in base alle esigenze aziendali) e a 500 euro mensili, a condizione che rinunciassero a qualsiasi pretesa sul pregresso.

Nel periodo trascorso dal 2007 a oggi, gli operatori che rifiutarono quell'accordo e si sono rivolti ai giudici hanno vinto la causa prima in tribunale poi in corte d'appello, ma ora quelle poche righe del ddl 1167 stanno per cancellare i loro diritti e le sentenze dei giudici che li hanno riconosciuti.



Cosa dice l'articolo 52? "Fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di accertamenti della natura subordinata dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche se riconducibili a un progetto o programma di lavoro, il datore di lavoro che abbia offerto entro il 30 settembre 2008 la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato ai sensi (..) della legge 296/2006, è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità di retribuzione (..)".

La traduzione, fuori dal linguaggio tecnico legislativo, è semplice: 1) non essendo passate in giudicato, le sentenze a favore di quei lavoratori diventeranno carta straccia appena il ddl 1167 sarà approvato; 2) l'azienda potrà chiamare quei lavoratori recalcitranti e proporgli da 2,5 a 6 stipendi arretrati (anche se magari gliene spettano 20) ben sapendo che o li accettano o non avranno niente. 3) anche "accettando" il patto leonino imposto dall'articolo 52, i lavoratori non avranno comunque più il posto di lavoro (che al momento invece è assicurato loro dalle sentenze).

"Dopo le leggi ad personam, siamo alle leggi ad aziendam - dice Carlo Guglielmi che con Pier Luigi Panici patrocina i lavoratori - . Ho cercato con molta attenzione e non ho trovato, al di fuori del caso Atesia, un'altra sentenza su problemi di qualificazione del lavoro a progetto che sia stata 'superatà così in sede di finanziaria". La battaglia degli ex Atesia andrà dunque avanti anche contro l'eventuale approvazione dell'articolo 52. Perché, secondo i legali, l'intera filosofia del "collegato", con molti articoli che contrastano con normative Ue e con la Costituzione, favorisce il perpetuarsi del precariato, pone limiti all'intervento della magistratura e riduce le tutele dei lavoratori (comprese quelle del famoso articolo 18) "disincentivando" in ogni modo i ricorsi al giudice del lavoro.


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