Con la riunione di ieri avviata la pratica dello scioglimento Prc. Urge il congresso straordinario.
La decisione dei partiti della sinistra cosiddetta radicale di dare il via a un processo unitario che punti a liste comuni già alle prossime provinciali è la risposta a una grande difficoltà complessiva che non risolve nessuno dei problemi attuali della sinistra italiana.
Legata alla gestione fallimentare di un governo che persegue una politica neoliberista e di partecipazione alla guerra multilaterale, la sinistra di governo è essa stessa responsabile dei disastri realizzati fin qui dal governo Prodi. E infatti ne ha pagato pesantemente le conseguenze alle recenti elezioni amministrative come dimostra il risultato disastroso del Prc.
In solo un anno di governo la destra ha recuperato tutto il terreno perso sotto l’azione dei movimenti sociali negli ultimi cinque anni e l’Unione al governo ha dimostrato di saper voltare le spalle al proprio popolo ma non di realizzare un profondo cambiamento del paese.
In questo quadro le sinistre legate ai temi del lavoro cercano di limitare i danni mettendosi insieme. Di fronte al fallimento dell’Unione e di fronte al fallimento di chi pensava che con Prodi l’Italia sarebbe cambiata davvero l’unità è il male minore. Ma si tratta di un’unità che non mette in discussione l’impianto complessivo del governo, che non parla alle lotte sociali e ai movimenti, che ha un orizzonte governativo e riformista. A dispetto delle parole, si tratta di un’impresa di ceti politici proprio nel momento in cui, per contrastare efficacemente la destra, occorrerebbe restituire centralità alle lotte sociali, alla loro ricomposizione e protagonismo.
Quello cui assistiamo è un progetto che rompe con la storia e il percorso politico della rifondazione comunista. Il Prc, infatti, sull’onda del fallimento del progetto della Sinistra europea, cerca di trovare un’àncora di salvezza in questo nuovo progetto unitario. Chiude così la sua vocazione di sinistra antagonista, di classe, anticapitalista alternativa alle destre ma anche alla sinistra di governo. E’ un ciclo che si chiude, non possiamo che prenderne atto.
Per parte nostra ci impegneremo a costruire quella sinistra che Rifondazione è stata e che oggi non è più: una sinistra anticapitalista, ecologista, femminista, internazionalista. Lo faremo con le forze disponibili ma soprattutto lo faremo dentro i movimenti di opposizione sociale, anche al centrosinistra.
La preparazione della manifestazione del 9 giugno contro la guerra permanente di Bush ma anche contro le politiche di guerra del governo Prodi va in questa direzione.
Così come la determinazione a non approvare i progetti liberisti di Bersani e Lanzillotta o qualsiasi intervento restrittivo sulla previdenza pubblica che non sia l’abolizione dello scalone. Il resto dell’opposizione interna a Rifondazione dovrebbe partecipare a questo progetto altrimenti, oltre a rendersi complice di questa deriva si condanna alla sparizione.
Intendiamo costruire un altro progetto ma vorremmo che il Prc prima di chiudere bottega svolgesse un congresso straordinario. Tra l’altro dopo la batosta elettorale delle amministative qualsiasi gruppo dirigente serio si dimetterebbe e convocherebbe gli iscritti. Se ci sarà data l’occasione di confrontarci democraticamente presenteremo le nostre ragioni al partito. Che almeno si faccia al nostro interno quello che sono riusciti a fare Fassino e Mussi nell’ultimo congresso Ds.
Salvatore Cannavò e Franco Turigliatto