Alghe per fare idrogeno


Dall´Università di Padova una nuova strada per produrre energia pulita. Grazie ad alghe biotech

Il batterio che produce idrogeno ecco l´ultima scommessa italiana

Tre anni per finire la ricerca. E per battere la concorrenza delle università straniere. Il progetto finanziato con sette milioni di euro, una rarità per i tempi che corrono.


di EMILIO PIERVINCENZI

PADOVA - Non uccidere quel batterio, potrebbe servirti per accendere la luce, riscaldarti o per circolare in auto. In fondo c´è sempre un batterio che si intromette nello sviluppo dell´uomo. Prendiamo il "Gruppo dei fagi", Cold Spring Harbour, 1943. C´erano Luria e Dulbecco, Delbruck e Watson. Il loro lavoro, svolto su virus di batteri (i fagi, appunto) cambiò la faccia della genetica, rendendo i batteri l´organismo più comune nella ricerca sulla natura del gene. Prendiamo adesso il dipartimento di Biologia dell´università di Padova, 2004. A ricordare quei geni (nel senso di uomini geniali), Giorgio Giacometti, ordinario di Biochimica ma soprattutto capo del progetto che stiamo per raccontarvi, sorride perfino imbarazzato nonostante i suoi anni (una sessantina). «Altra storia, altri tempi e soprattutto altre menti», dice, umilmente. Però la ricerca che si trova davanti, per la quale si è battuto e con la quale ha ottenuto un finanziamento di sette milioni di euro (una cifra consistente e clamorosa, considerando la situazione attuale della ricerca in Italia) non ha nulla di umile. Si tratta - nell´arco di tre anni - di tirare fuori idrogeno dai batteri. Giacometti è un «fotosintetico», che vuol dire esperto di fotosintesi, quel meraviglioso processo della natura che consente a noi di respirare e alle piante (e a certi ceppi di batteri) di vivere e crescere. E´ stato scoperto che ci sono delle alghe verdi, le Clamydomonas reinhardtii, che coltivate in carenza di zolfo sviluppano idrogeno stabilmente e in quantità notevole. Alcuni dati sperimentali dimostrano che 10 litri di coltura di alghe possono produrre da 1 a 2 litri di idrogeno sostanzialmente puro. Ma per ottenere più idrogeno, diciamo intorno a mille litri al giorno (obiettivo possibile della ricerca), bisogna modificare geneticamente queste alghe. Ed è quello che Giacometti e i suoi intendono fare. «E´ la prima volta che una ricerca simile viene fatta in Italia, lavoriamo con l´Enea, il Cnr e con l´università di Firenze. Ma è molto importante anche la motivazione fornita dal ministero quando è stata accettata la nostra richiesta di finanziamento: è un progetto nuovo e vale la pena di essere sviluppato». Nemmeno a dirlo, sia negli Stati Uniti che in Francia, Germania e Gran Bretagna, i fotosintetici sono una razza di scienziati assai considerata. La pista idrogeno viene battuta in modo capillare, sta per diventare una sorta di ossessione scientifica. Sanno, questi paesi, che non potrà essere l´idrogeno a sostituire il petrolio, ma sanno anche che l´idrogeno deve entrare a far parte di quel ventaglio di opportunità energetiche di cui una società moderna non può non dotarsi. Come ha del resto programmato l´Unione europea, che punta a rimpiazzare il 20 per cento del carburante con idrogeno entro il 2020. «Eolico, solare, idrogeno: quando al ministero dell´Università e della ricerca scientifica hanno approvato il nostro progetto era insita da parte loro questa convinzione», specifica Giacometti. Nelle 33 pagine del documento il rapporto batteri e idrogeno si sviluppa sostanzialmente in due parti. La prima, la meno ambiziosa ma anche la più redditizia, è realizzare una ricerca che utilizzi la fermentazione, in sostanza usare le biomasse o le acque reflue delle città. Attualmente dalle biomasse degli allevamenti animali ad esempio si ottiene metano, lo studio di Giacometti servirà a costruire una tecnologia in grado di produrre impianti in grado di sviluppare idrogeno. Impianti ibridi. Obiettivo: realizzare un processo combinato in grado di sfornare da 2 a 4 metri cubi di idrogeno al giorno. La seconda parte, la più affascinante e scientificamente ambiziosa, è prendere un´alga o un altro tipo di batterio adatto, modificarlo, cambiare certe condizioni fisico-chimiche, e usarla per ottenere idrogeno. Negli Stati Uniti, il professor Anastasios Melis, Università di Berkeley (California), nel 2001 ha costruito un bioreattore capace di produrre un litro di idrogeno all´ora da 500 litri di acqua e alghe verdi. Melis, come di solito fanno gli americani, ha subito creato una sua company per brevettare la tecnologia e ora sta cercando di migliorare l´efficienza dell´impianto. Un altro impianto, costruito stavolta da un italiano, che ottiene idrogeno dalle alghe, sta a Honolulu, isole Hawaii. Adesso tocca a Giacometti e alla sua équipe realizzare il bioreattore italiano. «Noi siamo convinti che alla fine dei tre anni arriveremo all´impianto pilota e a una tecnologia chiavi in mano. Siamo altresì convinti - aggiunge - che il nostro paese deve rendersi conto che avere a disposizione diverse forme di energia, alternative certo ma soprattutto integrative al petrolio, sia determinante. Prendiamo una grande azienda agricola italiana: avere un pezzo di terreno a disposizione, non molto esteso, costruirvi sopra il nostro bioreattore che non è altro che una serie di colonne di materiale particolare entro le quali ci sono le alghe e altre sostanze, usare l´idrogeno che viene prodotto per soddisfare l´intero fabbisogno energetico dell´azienda non è forse un´alternativa al petrolio poco costosa e molto efficiente?». Il progetto è stato approvato lo scorso settembre, e anche se i soldi non sono ancora arrivati il lavoro è già iniziato. Primo fra i tanti problemi da risolvere per il professor Giacomelli: è noto che quando un´alga è tenuta al buio e poi si accende di colpo la luce, l´alga produce idrogeno in buona quantità ma solo per pochi minuti. Dunque bisogna modificare l´alga e farle produrre idrogeno per 24 ore. «Divertente, vero? In fondo è questo il vero senso della ricerca pura - dice Giacometti - trovare risposte».

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