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    Più che un cristiano sono forse un pagano che crede in Cristo
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    Predefinito Il maggiore pensatore russo

    Solovev: così l'Oriente sfida il razionalismo del pensiero occidentale
    Quei filosofi russi oscurati dai nostri manuali




    Quando, non ancora ventiduenne, venne chiamato a insegnare filosofia all'università di Mosca, alle sue lezioni accorrevano non solo studenti, ma anche intellettuali di prestigio e chiara fama come Dostoévskij e Tolstoj. Parliamo di Vladimir Sergevic Solov'ev, probabilmente il maggior pensatore russo mai esistito, vissuto nella seconda metà del secolo scorso (nacque nel 1853 e morì nel 1900). La sua opera è stata definita dal teologo von Balthasar "la più universale creazione speculativa dell'epoca moderna" ed è stata citata da Giovanni Paolo II nell'ultima enciclica Fides et ratio. Ma cosa cercavano i due grandi scrittori, celeberrimi anche fuori dalla Russia, venendo ad ascoltare quel giovane filosofo? Solov'ev parlava di "unitotalità" e "divinoumanità", vale a dire riproponeva l'unità della conoscenza senza però ripercorrere le vetuste strade della metafisica occidentale. Pochi mesi prima, aveva scritto la sua tesi magisteriale che sarebbe poi stata pubblicata col titolo La crisi della filosofia occidentale, ove ripercorreva tutto lo sviluppo della speculazione moderna in Europa, la divisione fra razionalismo ed empirismo, l'esito da lui ritenuto esiziale del positivismo comtiano che rifiutava ogni riferimento assoluto. Ma, come accennato, Solov'ev era ben lontano dal riproporre un'unità del sapere secondo i consolidati schemi hegeliani: egli aveva in mente semmai di rompere le barriere filosofiche fra Oriente e Occidente. E qui si dimostrava discepolo di Schopenhauer e Hartmann, di cui sosteneva appieno la pars destruens del pensiero occidentale e la valorizzazione della mistica e dell'ascetismo senza però condividere il loro approdo al buddismo. Il ragionamento teoretico di Solov'ev partiva da alcune considerazioni storiche che egli svolse ad esempio nel saggio "Le tre forze", sinora inedito in Italia e ora pubblicato all'interno del volume La conoscenza integrale edito dalla Casa di Matriona (tel. 035.294021), assieme ad altri suoi due testi, "I principii filosofici della conoscenza integrale" e "La Sophìa". Le tre forze cui faceva riferimento il saggio sono l'Occidente, l'islam e la Russia. Solov'ev - siamo nel 1877, dunque aveva 24 anni - dava una valutazione della civiltà occidentale e del suo straordinario sviluppo come "un libero gioco di forze" ormai in disgregazione se non in "decomposizione" a causa dell'"eccesso di individualismo che porta ad una spersonalizzazione e volgarizzazione universali", sicché "l'unica grandezza che ancora conservi in Occidente la propria forza è la grandezza del capitale". La civiltà islamica rappresenta il suo esatto contrario: la sua monoliticità assoluta "ha impedito al mondo musulmano di fare un solo passo sulla via di uno sviluppo interiore in dodici secoli". Dinanzi alla crisi di questi due sistemi religiosi e culturali, al nostro filosofo non restava che guardare alla propria terra, quell'Oriente slavo che a suo parere aveva tutte le risorse per ritrovare una sintesi che rispettasse le differenze.
    Nonostante l'aspetto esteriore di schiavo con cui si presentava a quel tempo il popolo russo, per Solov'ev "la sua vocazione religiosa nel senso più alto della parola" ne faceva il portatore di una vera e propria missione per il mondo. Per lunghi anni Solov'ev coltivò anche il sogno di un'unità delle Chiese separate.
    Inizialmente, come Dostoévskij giudicava assai negativamente il Papato ed auspicava un ruolo centrale dell'ortodossia; col passare degli anni, si avvicinò decisamente al cattolicesimo giungendo a sostenere che le due Chiese erano separate de facto ma non de iure. Le sue tesi fecero scalpore ma non trovò epigoni in nessuno dei due fronti, tanto che il suo padre spirituale gli negò i sacramenti per le sue eccessive simpatie cattoliche. Negli ultimi anni della sua vita il suo ideale di "divinoumanità" si spostò decisamente sul piano escatologico, come testimonia quello che può essere considerato il suo testamento spirituale, I tre dialoghi e il racconto dell'Anticristo, la sua opera più famosa e già a lungo indagata soprattutto in ambito filosofico e teologico - ricordiamo il saggio di Alain Besançon uscito nell'87 dal Mulino (La falsificazione del bene) ed un volume del cardinale Giacomo Biffi, Attenti all'Anticristo, edito da Piemme nel '91. Ma tornando alla sua posizione filosofica, essa era dominata da una concezione dell'uomo come creatura ancipite: da una parte tendente all'assoluto e perciò sempre insoddisfatto ed in ricerca di Dio, dall'altra limitata e transeunte, segnata dalla presenza del male. Nell'uomo egli vedeva l'incarnazione della "Sophìa" nel mondo, il segno di una bellezza originaria e precedente l'uomo ma che non può fare a meno dell'uomo. Non a caso molta parte della riflessione di Solov'ev è dedicata all'estetica. Come annota nella prefazione alla Conoscenza integrale, contro hegelismo e scetticismo Solov'ev con la "Sophìa" giungeva ad affermare la possibilità di "una conoscenza piena e reale, ma nello stesso tempo priva di ogni pretesa di assolutezza e soprattutto priva della pretesa di creare l'essere". Egli voleva recuperare l'unità fra empiria e razionalità e l'unità fra umano e divino spezzata dallo sviluppo filosofico ocidentale: per lui il principio assoluto, quello che chiamava "lo spirito unitotale", non era una vuota unità, un'esistenza astratta, ma "lo spirito concreto che abbraccia ogni cosa e che non ha un atteggiamento negativo nei confronti degli essere particolari, ma al contrario li pone". Rispetto a questo "spirito unitotale", la nostra coscienza si rivela come una sua manifestazione particolare o immagine, "così che noi, attraverso la nostra esperienza interiore, possiamo veramente conseguire una conoscenza assoluta". Rilanciando la tradizione filosofica e spirituale dell'Oriente slavo, Solov'ev non contrappose Atene e Gerusalemme (per citare il titolo di un piccolo ma succoso saggio del teologo Sergej Averincev, che sta per essere ripubblicato dall'editrice Donzelli) né tantomeno cadde nel nazionalismo ingenuo degli slavofili di cui anche la Russia contemporanea è ricca di esempi: se criticava "l'Occidente che si decompone", egli aveva anche parole amare per "l'Oriente pietrificato": non il dogmatismo o l'immobilità lo interessavano, quanto il rapporto fra ideale e reale.
    Purtroppo, il suo sforzo filosofico non è stato ancora pienamente valorizzato dal pensiero occidentale, tanto da essere pressoché assente dai manuali delle nostre scuole. Ma Solov'ev ha molto da dire anche per il cristianesimo di oggi, che torna con forza a farsi interrogare dalla filosofia, per il suo tentativo di ridisegnare un quadro unitario che non annulla il senso del male radicale, del dubbio e dell'angoscia.

  2. #2
    CIAVARDINI LIBERO
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    Blondet lo cita spesso.

 

 

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