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    Islam, cristianesimo, Europa
    Di Fabio Calabrese

    Se non fosse per il fatto che arriva otto anni dopo la conclusione dell’esperienza storico – religiosa che possiamo considerare “cattolica”, il discorso tenuto da Benedetto XVI all’università di Regensburg, l’antica Ratisbona, martedì 12 settembre 2006, andrebbe considerato, accanto al “Sillabo” di Pio IX, fra le parole più incaute ed inopportune mai pronunciate da un pontefice.
    Persino i commentatori dei “media” italiani, solitamente servili ed adulatori oltre ogni limite per quanto riguarda il Vaticano, si sono spinti a commentare che Benedetto XVI “ha parlato più da professor Ratzinger che da papa”; il che, tradotto dal linguaggio sibillino e blandente usato per tutto ciò che riguarda la santa sede, significa che Joseph Ratzinger si è spinto a fare delle affermazioni che un romano pontefice non avrebbe mai dovuto sognarsi di fare.
    Diciamo la verità, coi tempi che corrono, una concione contro il “fondamentalismo islamico”, “l’islam radicale” ce l’aspettavamo; quella che invece non ci si poteva aspettare, era una condanna in toto dell’islam in quanto religione, se non altro perché ciò contraddice mezzo secolo di ecumenismo, di politica tesa alla convivenza con le altre religioni da parte della Chiesa cattolica, eppure è precisamente ciò che papa Ratzinger ha pronunciato citando un imperatore bizantino dell’ VIII secolo secondo il quale “Nelle novità che Maometto ha apportato, non c’è nulla che non sia cattivo o disumano”.
    I dodici secoli intercorsi da allora non modificano il fatto che un monarca di Bisanzio fosse un politico, non un filosofo, un intellettuale, un teologo. La prossima volta ci possiamo aspettare che Benedetto XVI citi George Bush o Condoleeza Rice in veste di teologi.
    Mi è capitato spesso di mettere in guardia contro il pericolo che un eccesso di filo islamismo ispirato dall’avversione per la dominazione americano/sionista possa lasciarci disarmati psicologicamente soprattutto sul fronte dell’opposizione all’immigrazione, ma il problema non è la religione bensì il fatto che un’Europa ed un’Italia (costrette ad essere) senili ed in decremento demografico si confrontino con l’invasione di masse umane provenienti dal sud del mondo (di cui molti sono islamici, ma altri non lo sono e che costoro siano islamici, induisti, buddisti, sikh, o magari per ipotesi scintoisti o mormoni, non cambia assolutamente nulla); il pericolo non è l’islam, il pericolo è il meticciato e la sparizione dell’etnia italiana e delle etnie europee, ossia proprio ciò che la Chiesa cosiddetta - che continua a proclamarsi - cattolica non considera tale, od addirittura guarda con favore alla prospettiva di un futuro gregge di fedeli “color caffelatte” privi delle resistenze culturali che nei confronti del suo “magistero” l’Europa ha sempre manifestato.
    Premesso ciò, e ben sapendo che l’islam rimane un modello religioso – culturale dei popoli del deserto, dei popoli mediorientali estraneo all’Europa – ma non più di ebraismo e cristianesimo – ciò non toglie che, rimanendo nell’ambito storico – culturale che gli è proprio, e senza augurarsi la sua affermazione in Europa, portato dagli immigrati o altro, l’islam non sia una religione degna di rispetto.
    Friedrich Nietzsche che nei confronti delle religioni non è mai stato tenero, diceva che, a differenza del cristianesimo e del buddismo “almeno, l’islam è una religione da guerrieri e non da donnette”.
    In altre parole, è proprio il concetto tanto ipocritamente deprecato dai buoni sedicenti cristiani, di jihad, di “guerra santa” che rappresenta una delle positività dell’islam che andrebbe decisamente rivalutata. Oggi si tende a non menzionare il fatto che la jihad ha avuto storicamente per i popoli di cultura islamica un significato eminentemente difensivo, dell’identità religiosa e di quella nazionale insieme.
    Certamente difensiva fu la lunga “guerra santa” proclamata dall’islam in risposta alle crociate, poiché il legame che gli Europei dei secoli XI e XII ipnotizzati dal cristianesimo fantasticavano di avere con la cosiddetta Terrasanta non aveva nessuna base etnica o storica; così come, per venire a cose più recenti, difensiva fu la jihad attuata in varie forme come resistenza contro le dominazioni coloniali. Oggi con un ragionamento squisitamente talmudico nella sua falsità, si rimproverano agli arabi ed agli islamici le simpatie per il fascismo da cui costoro si aspettavano la liberazione dalla dominazione franco – britannica nella seconda guerra mondiale; una capziosità che ribalta il ruolo degli oppressori e quello degli oppressi. Oggi lo spirito della jihad sostiene in una resistenza che è insieme nazionale e religiosa contro l’aggressione americano – sionista in Palestina, Libano, Irak, Afghanistan, ed è assolutamente falso accusare gli islamici di aver colpito per primi come se prima dell’11 settembre 2001 nulla fosse avvenuto, mentre le aggressioni contro l’Irak e l’Afghanistan nelle quali gli Stati Uniti hanno recitato il ruolo di longa manus d’Israele sono semplicemente delle estensioni dell’aggressione sionista contro la Palestina iniziata nel 1948.
    Noi in Europa non ci rendiamo conto del debito che noi stessi abbiamo nei confronti della jihad. Se oggi la catena di tirannidi comuniste dell’Europa dell’est e la stessa Unione Sovietica sono scomparse, non dobbiamo dimenticare che l’impero sovietico è entrato in crisi quando gli artigli dell’Armata Rossa si sono spezzati contro la resistenza dei mujaeddin afgani sostenuti dalla fede islamica nella lotta contro un avversario che appariva spropositatamente colossale.
    Un confronto viene spontaneo fra questa vicenda e quella del Tibet invaso dai Cinesi. Qui il suolo montuoso e le eccezionali altitudini che rendono ardua l’acclimatazione agli stranieri, avrebbero consentito una resistenza analoga a quella che gli Afgani hanno potuto opporre ai sovietici, è stata l’imbelle fede buddista a castrare i Tibetani e minare le loro possibilità di resistenza.
    Scusate tanto, ma quando i Talebani hanno demolito a cannonate i buddha di Gandhara provocando una ben orchestrata indignazione mondiale hanno fatto una cosa forse deprecabile in termini storico – artistici, ma se consideriamo il significato di quelle statue come simboli, non hanno compiuto un atto che io mi senta di condannare.
    Quasi sempre e quasi ovunque, il senso di appartenenza alla fede islamica si è sommato e sovrapposto al senso di appartenenza ad una comunità etnico – nazionale ed aiutato i popoli islamici a difendere la propria identità. Se facciamo il confronto con il cristianesimo che ha apportato all’Europa soprattutto una lunga serie di guerre fratricide: dalle campagne carolinge contro i Sassoni a quelle dell’Ordine Teutonico contro gli Slavi, alla “crociata contro gli Albigesi”, alle guerre civili fra guelfi e ghibellini e fra cattolici e protestanti, c’è davvero di che invidiare l’islam almeno da questo lato. E che dire del fatto che noi Italiani dobbiamo alla Chiesa cattolica, allo Stato della Chiesa presente proprio nel centro della nostra penisola quindici secoli di frammentazione politica, di invasioni e di dominazioni straniere, con i papi che erano sempre pronti a richiamare in Italia invasori stranieri tutte le volte che qualcuno minacciava di porre fine al nostro stato di frammentazione e di togliere di mezzo lo stato della Chiesa. Onestamente, non ho mai capito, e per me rimane tuttora un mistero, come ci si possa sentire italiani e cattolici allo stesso tempo.
    Quando qualcuno critica o denigra qualcosa, si suppone che dall’altro lato abbia qualche cosa di positivo da offrire. Rispetto alle sue ingiurie all’islam, cosa ha Joseph Ratzinger da mettere sull’altro piatto della bilancia? La risposta è semplice: niente.
    Niente perché la fede cattolica di cui si suppone egli sia l’attuale leader non esiste più; beninteso, esiste ancora la Chiesa cattolica come organismo burocratico e di potere, ma la fede cattolica è morta per suicidio otto anni fa, poiché quando nella pasqua 1998 il predecessore di Ratzinger, il “grande” Wojtila si recò alla sinagoga di Roma, non si limitò a chiedere perdono agli ebrei delle presunte malefatte della Chiesa cattolica dei secoli passati, ma stabilì/accettò il principio della subordinazione del cristianesimo all’ebraismo; in pratica l’annullamento del cristianesimo. Non sono io a sostenerlo, ma quello che è uno dei più importanti autori e pensatori cattolici oggi in attività, Maurizio Blondet:
    “Nella memorabile Pasqua del 1998 in cui il Papa polacco chiese scusa agli ebrei col documento «Noi Ricordiamo», lasciò dire che il popolo israelita «è crocifisso da duemila anni».
    Non tremila, ma duemila: dalla nascita del cristianesimo.
    Si deve con ciò intendere che a «perseguitare» gli ebrei è il fatto stesso che il cristianesimo esista?
    Proprio così l’hanno inteso le lobby ebraiche che hanno tenacemente trattato sul frasario delle scuse vaticane.
    Israele è «offesa» dalla pretesa che i cristiani siano subentrati agli ebrei in una Nuova Alleanza.
    Ma questo è, ohimè, la credenza centrale della fede cristiana, ed è fondata sui Vangeli.
    Il minimo dubbio su questo punto significa esporre al dubbio la fede, e il Papato polacco non ha certo sanato questa ambiguità, e pare persino non essersene reso conto.
    Se gli ebrei hanno ragione, allora ebbe torto Gesù.
    Se persiste l’Alleanza antica, che riguarda solo gli ebrei; se è valida la Promessa che fu fatta a loro, il dominio del mondo, allora Gesù non era il Messia.
    Se la Chiesa è un errore durato «duemila anni» ed ora lo riconosce, si tratta di un errore residuale, destinato a sparire nei «tempi a venire» che saranno dominati da chi ha «il regno di questo mondo», gli ebrei.
    Come si può essere cattolici e credere a questo?”
    Maurizio Blondet: L’amico frankista di Wojtila, Effedieffe (www.effedieffe.com) 4/9/2006.
    E’, come si vede, la fine del cattolicesimo e l’inizio del giudeo – cristianesimo, nuova religione dell’ “Occidente giudeo – cristiano”.
    Considerato in quest’ottica, come discorso non di un papa, ma del rabbino capo della sinagoga giudeo – cristiana (ex cattolica), del successore di rabbi Wojtila piuttosto che del successore di Pietro, il discorso di rabbi Ratzinger acquista un senso.
    A questo punto, è un fatto quasi marginale che Benedetto XVI sia tornato sempre nel discorso di Regensburg a sproloquiare sul tormentone preferito del suo predecessore, quello delle presunte radici cristiane dell’Europa. Potremmo quasi dire che Ratzinger è stato più moderato (ed è certamente più colto) di Wojtila, essendosi degnato di menzionare accanto alle radici ebraico – biblico – cristiane, quelle greche.
    Questa ammissione rende ancora più interessante un esame delle tre omissioni delle reali radici dell’Europa: la costruzione politico - giuridico – amministrativa romana, l’immaginario celtico, le tradizioni germaniche di fedeltà e di onore, soprattutto considerato che Joseph Ratzinger non è un curato di campagna casualmente diventato papa, ma un teologo ed uno dei più acuti intelletti che la Chiesa oggi possiede.
    Che proprio un papa tedesco abbia omesso qualsiasi accenno al contributo delle radici germaniche alla civiltà europea, non è purtroppo cosa che possa stupire: dal 1945 i Tedeschi sono abituati, sono stati costretti con una sorta di schizofrenia indotta, a definire la propria identità in termini di negazione del proprio passato e della propria storia; nondimeno, la concezione germanica dello stato che nasce da rapporti personali fra governanti e governati, da un patto liberamente sottoscritto ma che una volta contratto va osservato con una fedeltà che non ammette deroghe, è alla base non solo del forte spirito identitario che ha caratterizzato il medioevo feudale e comunale, ma, incontrandosi con la paideia greca e l’humanitas latina, ha generato la nostra concezione che accorda alla persona, al singolo, ai suoi diritti, una centralità assolutamente sconosciuta in altre culture.
    Che anche i Celti in questo discorso rimangano fatalmente ignorati, stupisce ancora meno: dalle radici celtiche abbiamo ereditato il folklore come forma di mitologia popolare, con creature fantastiche come elfi e folletti, ed alcuni miti ancora vivi nella nostra cultura apparentemente smagata: il Ciclo Bretone, Artù, Merlino, Excalibur, il Santo Graal sono presenze ancora vive, simboli ancora forti nella nostra cultura: è il residuo maggiore di paganesimo che permane oggi in Europa, che urta frontalmente contro la mentalità cristiana, e proprio per questo è per me una delle ragioni che rendono degna di amore e d’interesse la cultura celtica.
    Stupisce maggiormente la mancanza di qualsiasi riferimento alla tradizione romana da parte del principale esponente di una Chiesa che si definisce pomposamente e falsamente “romana”. Forse la cosa è più spiegabile alla luce di una riflessione del filosofo Denis De Rougemont, secondo il quale il cristianesimo avrebbe portato in Europa “un terzo mondo di valori”, quelli del profetismo ebraico “difficilmente conciliabili con la misura greca e totalmente contrari a quelli di Roma”.
    Da Roma, la Chiesa cattolica “romana” ha ereditato parte della struttura amministrativa e la lettera della sua cultura giuridica e letteraria, uccidendone totalmente lo spirito.
    “Et facere et pati fortiter romanum est”, è da romani agire e sopportare con fermezza. Il romano affronta le vicende della vita con un senso di equilibrio interiore, non perde il controllo di sé nei momenti favorevoli e non si abbatte nelle sventure; ancora più del greco gli è proprio il senso della misura. Un mio rimpianto docente del liceo ormai scomparso da molti anni, faceva notare come Orazio traduca il “Nun chré methusthen” (“ora bisogna ubriacarsi” di Alceo con “Nunc est bibendum”, il romano “beve”, non “si ubriaca”. A differenza di quelle cristiane, le virtù romane sono virtù civiche: valore e disciplina in battaglia, frugalità e parsimonia nell’amministrazione delle proprie cose, obbedienza filiale, magnanimità e saggezza come pater familias, senso di appartenenza, fierezza di appartenere alla propria civitas ed alla propria stirpe, preoccupazione per i suoi destini, forza d’animo nelle sventure, moderazione nei successi.
    La virtus romana non è la “virtù” cristiana, viene da vir, e significa appunto in ogni circostanza riuscire ad essere e sapersi comportare da uomini.
    Del concetto antico di virtù, curiosamente rimane una traccia negli erbari, nei bestiari, nei lapidari medievali, laddove si parla delle “virtù” delle piante, degli animali, dei metalli: “virtù” significa portare alla massima estrinsecazione, sviluppare ciò che è conforme alla propria natura; è un’idea esattamente opposta a quella del cristianesimo che implica l’andare contro la propria natura che si suppone corrotta dal peccato originale.
    A questo punto proprio il fatto che Joseph Ratzinger abbia menzionato il pensiero greco nel discorso di Regensburg diventa sospetto. Su cosa si debba intendere per pensiero greco, infatti, esiste quanto meno una grossa ambiguità, forse una mistificazione. Come minimo occorre distinguere fra “la sapienza” greca e “la filosofia” greca o presunta tale.
    Giorgio Colli, il nostro maggiore studioso del pensiero greco, faceva notare che la parola “filosofia” che significa “amore per la sapienza” fu usata per la prima volta da Platone, ma in Platone essa ha ancora il significato di una sapienza perduta da ritrovare, mentre l’idea “moderna” della filosofia come un sapere mai prima posseduto da inventare ex novo, nasce solo con Aristotele.
    Ora, si osservino bene i rapporti temporali: con Socrate, maestro di Platone siamo già a dopo la guerra del Peloponneso che è considerata l’evento che pone fine alla civiltà ellenica classica, e con Aristotele che fu il precettore di Alessandro Magno, siamo già nell’ellenismo. In pratica, non considerando la fase sapienziale ma unicamente quella filosofica del pensiero greco, e riducendo tutto quanto sta prima di Socrate nella categoria dei precursori sui quali non è il caso di soffermarsi troppo, con una specie di gioco di prestidigitazione, è proprio il pensiero della grecità classica che è stato fatto scomparire dalla nostra vista.
    Tra la sapienza ellenica e la “filosofia” ellenistica corre, potremmo dire, la stessa distanza che c’è fra Leonida che si immola alle Termopili con i suoi trecento spartiati per sbarrare la strada ai Persiani, ed Aristotele che si pone al servizio di Filippo II di Macedonia, il re straniero che minaccia l’indipendenza delle città greche.
    L’aspetto più interessante e forse più rilevante della sapienza greca è il suo contenuto etico, che è bene illustrato da un episodio riguardante Solone, forse il più noto dei Sette Savi della tradizione ellenica. Solone fu invitato alla corte di Creso, il re di Lidia il cui stesso nome è diventato sinonimo di ricchezza. Dopo avergli mostrato i suoi tesori, Creso chiese al saggio greco se riteneva che egli fosse un uomo felice. Solone rispose negativamente, ed allora Creso gli domandò:
    “Chi conosci tu più felice di me?”
    Solone rispose citando un qualsiasi cittadino ateniese che aveva onorevolmente servito la sua città in guerra, era onesto e stimato dai suoi concittadini, aveva una moglie fedele e dei figli devoti.
    Anni più tardi, Creso mosse guerra a Ciro, il re dei Persiani e fu pesantemente sconfitto e catturato. Mentre stava per essere messo a morte, invocò ripetutamente il nome di Solone, avendo finalmente compreso l’insegnamento del saggio greco. Incuriosito da quell’invocazione, Ciro chiese a Creso di che si trattasse, e questi gli narrò dell’incontro avvenuto anni prima con il sapiente greco. Allora il re dei Persiani graziò Creso e lo perdonò, pago di poter godere almeno del riflesso della saggezza di Solone.
    Vivere secondo virtù è per la sapienza greca l’unico modo per essere felici, una virtù concepita allo stesso modo della virtus romana come conformità alla propria natura, e l’uomo non è separabile dal cittadino, né la virtù dall’esercizio dei doveri civici. Tale separazione, ci spiegherà più tardi J. J. Rousseau, avviene con il cristianesimo ed è caratteristica di esso.
    Democrito sottolinea il valore della libertà per l’uomo:
    “Preferisco vivere libero e povero in una democrazia, piuttosto che essere uno schiavo ricoperto d’oro sotto una tirannide”.
    Sotto una tirannide, infatti, non si può nemmeno dire di essere ricchi ma solo degli schiavi coperti d’oro, poiché il tiranno può toglierti in qualsiasi momento quel che ritieni tuo. Naturalmente, fosse vissuto nella nostra epoca, avesse conosciuto le nostre democrazie piene di limitazioni alla libertà di pensiero, nelle quali esiste il reato d’opinione, Democrito si sarebbe reso conto che “democrazia” può ben essere il nome di una tirannide ipocritamente mascherata.
    La sapienza greca o la filosofia presocratica (la seconda è il prolungamento della prima) sono ben consce della tragicità dell’esistenza in termini tali che il giudizio di De Rougemont che le vede “difficilmente conciliabili” con il cristianesimo, è in effetti una sottovalutazione.
    “Da dove i viventi hanno origine”, spiega un memorabile frammento di Anassimandro, “là essi necessariamente ritornano. Essi pagano l’uno all’altro il fio dell’ingiustizia commessa vivendo”.
    L’esistenza è una catena ciclica cui i viventi, ossia tutti noi, siamo connessi, destinati a tornare là da dove siamo venuti nell’eterno ripetersi di nascite e morti. Vivere significa commettere ingiustizia, causare e ricevere dolore, un’ingiustizia di cui tutti noi salderemo immancabilmente il conto con il nostro trapasso.
    Eraclito ha scritto che “Omero ed Esiodo che supplicavano gli dei di dare pace al mondo, non erano consapevoli di pregare per la sua morte”, poiché l’essenza stessa della vita è il conflitto. “La guerra è madre e regina di tutte le cose”; non la guerra che talvolta gli uomini si fanno, ma la lotta incessante tra predatori e prede, la morte di alcuni che è la sopravvivenza per altri, ed è essa a generare le cose ed i viventi, a costruire i tipi più elevati, e pare quasi di toccare con venticinque secoli d’anticipo il concetto darwiniano di selezione naturale. (Non a caso, Darwin è ancora oggi così odiato dai fondamentalisti religiosi).
    E’ una visione che potremmo definire un nichilismo aristocratico, capace di osservare con occhio lucido tutta la tragicità e la precarietà della condizione umana senza cercare scappatoie soprannaturali, è una visione che presuppone un’umanità sana che riesce ad apprezzare gli aspetti positivi dell’esistenza pur essendo conscia della loro caducità, laddove il cristianesimo vuole l’uomo malato per poterlo “redimere”.
    A partire da Aristotele abbiamo la filosofia nel senso che ci siamo abituati a dare a questa parola, come narcisistico esercizio intellettuale nel quale, come ebbe a dire Cicerone, “riceve maggiore considerazione chi inventa una stranezza nuova, che chi ripete una verità già detta da altri”, la cultura del mondo cosmopolita “globalizzato” ante litteram creato dalle conquiste di Alessandro, dove s’infiltrano sempre più elementi non greci e non europei, i cui fermenti di dissoluzione si attaccheranno come un contagio al mondo romano dopo che quest’ultimo l’avrà politicamente assoggettato, il “terreno di coltura” su cui si svilupperà il cristianesimo. E’ senz’altro questo il “pensiero greco” cui guarda Ratzinger.
    Noi dobbiamo ribadire che le radici dell’Europa, quelle vere: il pensiero greco (quello autentico, non la sua contraffazione ellenistica), Roma, il mondo celtico e quello germanico, non sono cristiane, sono europee.
    Quella dei cristiani che biasimano la concezione islamica della jihad può essere crassa ignoranza dei fatti storici oppure sfacciata ipocrisia, perché nella cristianizzazione dell’Europa la predicazione e la persuasione ebbero un ruolo del tutto marginale, il grosso del lavoro fu compiuto con la più efferata violenza. Dopo la conquista costantiniana dell’impero romano e l’editto di Milano che accordava libertà di culto ai cristiani – ma Costantino un cristiano non lo fu mai, sebbene volesse servirsi del cristianesimo come instrumentum regni, ed è leggenda che sia stato battezzato sul letto di morte – con Teodosio e l’editto di Tessalonica del 380, è la nemesi; il cristianesimo (i cui adepti non erano in Oriente più di un terzo della popolazione, e meno di un sesto in Occidente) viene imposto con la forza come religione di stato. Per chi si ostina a voler praticare la religione dei padri, c’è la pena di morte. Quello che avviene, è un’ondata di ferocia della quale gli storici raramente parlano, che fa scomparire le cosiddette persecuzioni cui i cristiani erano stati sottoposti da alcuni imperatori, e che ricorda da vicino quanto è avvenuto nella nostra epoca con l’instaurarsi di dittature comuniste in varie parti di questo nostro disgraziato pianeta, i pagani sommariamente giustiziati si contano a decine di migliaia, migliaia sono i templi distrutti o forzatamente convertiti in chiese cristiane, incalcolabile il numero di statue degli dei distrutte. Nella loro furia gli inquisitori di Teodosio arrivano a scannare bambini colpevoli di aver giocato coi frammenti degli idoli distrutti.
    L’elenco delle distruzioni, degli eccidi, delle violenze è sorprendentemente lungo, e la sua lettura, temo, risulterebbe arida. Chi vuole, lo può trovare sul sito dell’UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti) www.uaar.it . Una pagina di storia che ci è stata accuratamente nascosta. L’impero romano fu privato della sua anima; quando settant’anni dopo i barbari germanici vi posero ufficialmente fine, non fecero che togliere di mezzo un cadavere. Nell’Alto medioevo la conversione dell’Europa continentale procedette con una ben sperimentata tecnica: poiché il clero cattolico si era assicurato il monopolio dell’istruzione, dell’alfabetismo, i sovrani romano – germanici furono costretti a ricorrere a vescovi e preti come funzionari ed amministratori, ad avvalersi di una collaborazione che aveva come prezzo la conversione, cui seguiva in genere quella della corte, dei nobili e del popolo, ma ovviamente non era finita qui, perché i re barbari divenuti cattolici venivano aizzati ad attaccare gli altri regni ancora pagani od ariani (una varietà di cristianesimo “eretico” che ebbe un certo successo fra i Germani), ad estendere contemporaneamente per mezzo delle armi la fede in Cristo ed il loro personale dominio, sapendo anche che i cattolici all’interno di questi ultimi avrebbero agito come “quinta colonna”.
    Coloro che maggiormente si prestarono a questo tipo di operazioni furono i Franchi, in particolare dopo che una dinastia usurpatrice, i Carolingi, sostituì la precedente casa merovingia e la Chiesa cattolica si affrettò ad avallare l’usurpazione. In particolare i Carolingi misero un notevole impegno nel portare la fede in Cristo ad occidente del Reno, tra i Sassoni. Massacri, saccheggi, incendi furono gli argomenti principalmente impiegati in sermoni di questo genere.
    Alcuni secoli più tardi i cavalieri teutonici impiegarono di nuovo sermoni dello stesso tipo per portare la parola di Cristo fra gli Slavi oltre la Vistola.
    Il re dei Franchi, Carlo Magno fu incoronato dal papa “imperatore romano” nell’anno 800; è la famosa translatio imperii; l’imperium romanum su cui la Chiesa cattolica non poteva vantare alcun diritto, viene sottratto ai Latini e dato ai Germani, un furto dalle conseguenze incalcolabili, che ha condannato l’Italia ad un millennio di dominazioni straniere, di servaggio, di umiliazioni. Per dargli una parvenza di giustificazione giuridica, s’inventa un falso testamento dell’imperatore Costantino che avrebbe dato l’impero d’Occidente alla Chiesa cattolica, la Donazione di Costantino la cui falsità è stata dimostrata nel XV secolo dall’umanista Lorenzo Valla. Un altro bell’episodio fu la Donazione di Sutri con la quale nacque, circa un secolo prima lo Stato della Chiesa che avrebbe tagliato politicamente l’Italia in due per secoli. In questo caso, la donazione effettivamente ci fu, ma fu il frutto di un raggiro: si fece credere al re longobardo Liutprando che le terre che i suoi uomini avevano occupato nell’Italia centrale, e che egli intendeva restituire, appartenessero al papato, mentre in realtà fin allora erano state bizantine. Ma cosa volete che siano la truffa, il furto ed il falso per chi è abituato agli omicidi di massa, alle stragi, ai saccheggi?
    Le crociate furono del pari un’orgia di violenze, e furono esse a risvegliare lo spirito della jihad nel mondo mussulmano, allora molto più civile dell’Europa cristiana, ma sbaglieremmo di grosso nel ritenere che le crociate fossero dirette soltanto contro i mussulmani, gli “eretici”, cioè in sostanza coloro che si rifiutavano di ubbidire al papa, potevano esserne ugualmente il bersaglio. Nel 1204 i crociati posero fine all’impero bizantino e distrussero Costantinopoli con la solita prassi di saccheggi, uccisioni, stupri e violenze che seguiva regolarmente gli stendardi con la croce. Una dozzina di anni più tardi toccò alla Francia meridionale, dove la Provenza nella quale si era diffusa “l’eresia” catara o albigese venne messa a ferro e fuoco in una devastazione destinata a protrarsi per decenni. La civilissima Provenza, forse il centro di maggiore civiltà dell’Europa medievale, fu letteralmente annientata. Ancora oggi, girando per la Francia meridionale, non è difficile trovare i ruderi sommersi dalla vegetazione dei villaggi distrutti dai crociati. Spesso interi villaggi erano dichiarati eretici e tutti i loro abitanti, lattanti compresi, bruciati sul rogo.
    Dagli inizi del XVI secolo si diffonde in Europa il luteranesimo, e le due varianti del cristianesimo, quella cattolica e quella protestante, si contendono l’Europa palmo a palmo, ovviamente armi alla mano. La guerra dei Trent’Anni dal 1618 al 1648, che fu la guerra più lunga, brutale e distruttiva che abbia insanguinato l’Europa nella sua lunga storia fino alle due guerre mondiali del XX secolo, non è che l’episodio più acuto della guerra civile che, in nome di Cristo, dilaniò ed insanguinò l’Europa per circa un secolo.
    La Chiesa cattolica e le varie Chiese cristiane si sono sempre comportate in Europa come un esercito invasore: non basta aver conquistato il territorio, occorre mantenerne il controllo, ovviamente con la violenza; in questo caso una violenza sistematica, mirata, capillare, di durata permanente. Fu questo il compito della Santa Inquisizione, dei roghi degli eretici, delle presunte streghe, della repressione sistematica di ogni forma di originalità di pensiero, che arrivò a coinvolgere persino campi del tutto estranei alla religione, come l’astronomia copernicana e galileiana.
    Il culmine dell’orrore raggiunto dalla guerra dei Trent’Anni indusse gli spiriti più avveduti d’Europa a comprendere che la misura era colma, che era arrivato il momento di dire “basta”, di porre un freno all’intolleranza religiosa, al fanatismo, alle pretese delle Chiese cristiane di dominio nella sfera temporale, al controllo pesantissimo esercitato sull’istruzione, alla mortificazione di ogni forma di pensiero originale. Gli intellettuali che reclamavano il diritto a pensare liberamente trovarono spesso l’appoggio dei sovrani più intelligenti ed aperti e, dalla metà del XVII secolo in poi, si avviò il movimento illuminista. Ora, non è che da allora le Chiese cristiane abbiano deposto spontaneamente gli artigli del falco per mettere quelli molto più lievi della colomba, sono i loro avversari che le hanno costrette a farlo, ma si veda un documento come il Sillabo di Pio IX, ci si legge ancora tutta l’arroganza del papato medievale, ridotta però fortunatamente all’impotenza.
    Nel momento stesso in cui ha cessato di essere imposto con la forza, il cristianesimo in Europa ha cominciato a declinare, si è avviato un processo lento, ma progressivo e con ogni verosimiglianza irreversibile di scristianizzazione dell’Europa. Oggi fra gli Europei che risultano all’anagrafe di religione cristiana, forse un decimo sono effettivamente tali: moltissimi si rivolgono a fedi esotiche, alla New Age, a fedi minoritarie e personali, o sono agnostici, indifferenti al fenomeno religioso, o francamente atei. Altri ancora tentano persino di riscoprire, di richiamare in vita le fedi native dell’Europa anteriori alla colonizzazione cristiana. L’Europa rigetta da sé il cristianesimo come il corpo estraneo che in effetti è. Dove sono le “radici cristiane” dell’Europa? Veramente, ci sarebbe di che sghignazzare!
    Bene, ma tutto questo è storia vecchia, finita, conclusa, perché ora avanza il nuovo protagonista sul terreno delle fedi religiose, il giudeo – cristianesimo occidentale dell’Occidente giudeo – cristiano. Questa è un’altra storia il cui significato, forse, non è ben apprezzato fino in fondo da tutti.
    L’articolo di fede fondamentale di questa nuova religione fu inventato da un autore inglese del XVII secolo che doveva essere in vena d’inventare panzane (e scusate se non ne ricordo il nome) secondo il quale gli anglosassoni sarebbero i discendenti delle dieci tribù perdute d’Israele.
    “The Anglo-saxons” = “The Isaac’s sons”. Una fesseria che fa a pugni con tutto quanto sappiamo dalla storia, dall’antropologia, dalla linguistica, ma a volte pare proprio che il potenziale di persuasione di un’idea sia direttamente proporzionale alla sua falsità.
    Relativamente diffusa in Gran Bretagna, questa st…nzata è diventata centrale nell’idea che gli yankee si fanno di se stessi, il mito fondante, il collante della presunzione d’identità della loro non – nazione.
    La diffusione del cristianesimo nelle Americhe è avvenuta con modi non meno brutali che nel Vecchio Mondo. Nell’America centrale e meridionale, i nativi furono convertiti con le armi in pugno dai conquistadores, con il prevedibile contorno di stragi, devastazioni, saccheggi, deportazioni, riduzione in schiavitù, che provocarono la distruzione delle tre grandi civiltà amerindie, dei Maya, degli Aztechi, degli Incas, ma nell’America settentrionale, là dove sorsero gli Stati Uniti, si fece ancora meglio: semplicemente essa fu cristianizzata perché i cristiani venuti da oltre Atlantico, semplicemente trucidarono in massa i “pagani” nativi e li soppiantarono, un genocidio che nel corso del XIX secolo costò la vita a qualcosa come cinque milioni di Americani nativi.
    La “cultura” degli Stati Uniti deriva da quella europea, ma in forma degenere. Bisogna ricordare che fino a tutto il XIX secolo, ad emigrare negli Stati Uniti furono soprattutto gli strati illetterati della popolazione europea ed i fanatici religiosi. Una “cultura” che non sa nulla, per la quale non sono mai esistiti, l’antichità classica, l’umanesimo, l’illuminismo, che si è fatta un’idea della preistoria sui Flintstone e del medioevo sui fumetti di Prince Valiant. Una “cultura”, però il cui asse portante è il fondamentalismo religioso basato sull’interpretazione letterale della bibbia. Una cultura il cui centro è proprio quell’elemento giudaico – cristiano che, una volta non più pressata dalle pastoie ferree della spada del crociato e del rogo dell’inquisitore, l’Europa ha cominciato a riconoscere come estraneo a sé.
    Convinti di essere i discendenti ritrovatisi delle dieci tribù perdute, gli Stati Uniti si vivono come il “nuovo Israele” cui sarebbero destinate le promesse messianiche di dominio mondiale contenute nella bibbia, accanto all’Israele “vecchio” e rinato.
    Si noti che in questa prospettiva il nuovo testamento, il vangelo diventa un’appendice pleonastica alle promesse che Mosé avrebbe ricevuto dal suo Dio totemico e razzista. Più che di giudeo – cristianesimo, è di neogiudaismo che si dovrebbe parlare. Credevate che il messia fosse Gesù Cristo? Beh, ragazzi, vi siete sbagliati, il messia è George W. Bush!
    L’Europa ha perduto la sua posizione centrale a livello planetario attraverso il suicidio di due guerre mondiali che sono state i due tempi di una guerra civile durata trent’anni, e dalla quale indistintamente tutti gli stati europei sono usciti sconfitti, anche i presunti vincitori dell’Intesa del 1914-18 e degli “alleati” del 1939-45, poiché il risultato finale è stata la perdita dell’indipendenza del nostro continente, trasformato in condominio americano – sovietico fino al 1989-91, poi semplicemente in colonia americana.
    L’Europa è, continua ad essere nonostante tutto, la parte più vitale della civiltà umana, quella dove sono state da sempre compiute le più grandi realizzazioni nelle arti, nelle lettere, nelle scienze.
    In attesa che l’immigrazione ed il meticciato conseguente voluti e pianificati come nostro destino, distruggano la qualità umana dell’uomo europeo risolvendo il problema una volta per tutte, il potere materiale, economico e strategico non basta per tenerla avvinta, prosternata ai piedi del moloch americano, occorre anche qualcosa che crei una sudditanza psicologica, e qui scatta il secondo dogma basilare della religione giudeo – americana, il dogma del cosiddetto olocausto. Poiché i Tedeschi si sono macchiati del crimine più orrendo concepibile contro il “popolo eletto” e gli altri Europei non hanno fatto abbastanza per impedirlo, ecco la giustificazione psicologica dell’eterna sudditanza dell’Europa alla dominazione americano – sionista.
    Non è pertinente ricordare che alla radice degli Stati Uniti c’è un crimine dello stesso ordine di grandezza di quello attribuito ai tedeschi da un tribunale che aveva tutta l’obiettività e l’imparzialità della vendetta dei vincitori sui vinti: cinque milioni di nativi americani massacrati nel corso del XIX secolo, né ricordare i quattro milioni di europei vittime dei bombardamenti angloamericani durante lo stesso conflitto mondiale, od i bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki: quelli, per il catechismo giudeo-americano erano genocidi “buoni” perché Dio avrebbe “dato in pasto” gli Amerindi al “nuovo Israele” come già gli antichi Cananei a quello vecchio, così come è poco pertinente ricordare che i comunisti, sempre nel corso dell’insanguinato XX secolo, si sono macchiati di crimini numericamente superiori di almeno un ordine di grandezza. I Tedeschi hanno alzato le mani sul “popolo eletto”, il “popolo santo”, e tanto basta.
    Non verremo mai fuori da questo genere di considerazioni/mistificazioni se non comprendiamo che qui si viola un principio fondamentale del diritto: la responsabilità è sempre personale, ed anche ammesso che ciò sia realmente stato, non è possibile far ricadere la colpa dell’ “olocausto” sulle spalle di coloro che all’epoca non erano nemmeno nati, farne, come è divenuto nella religione giudeo-cristiana o giudeo-americana il nuovo Peccato originale da espiare per tutte le generazioni future.
    Il terzo dogma della religione giudeo-cristiana è più recente, ed è stato proclamato da Sua Santità George W. Bush, il dogma del terrorismo. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica gli Stati Uniti avevano bisogno di un altro nemico “la difesa” contro il quale continuasse a giustificare la loro egemonia sul mondo cosiddetto libero, e se ne sono scelti/ne hanno suscitato molto abilmente uno invisibile, ubiquitario, che è dappertutto e contemporaneamente in nessun luogo, che non c’è alcun pericolo di debellare definitivamente.
    Qui abbiamo palesemente un’inversione della causa con l’effetto, perché il terrorismo non è che l’estrema, disperata arma dei popoli che devono affrontare l’aggressione americano-sionista e fronteggiare la sua schiacciante superiorità tecnologica; senza considerare che a quest’immagine del terrorismo è indiscriminatamente omologata ogni forma di resistenza all’aggressione americano-sionista, compresa quella prettamente militare come nel caso dei combattenti Hezbollah che nella recente invasione israeliana del Libano, hanno dimostrato che dopotutto Israele non è invincibile, nonché i resistenti iracheni ed afgani.
    Se per terrorismo s’intende il colpire indiscriminatamente nel mucchio civili non combattenti, allora come si può negare la qualifica di terrorismo ai bombardamenti israeliani sul Libano, a quelli americani su Irak, Afghanistan e Serbia, nonché agli stessi bombardamenti “alleati” della seconda guerra mondiale, fra i quali si contano due deflagrazioni nucleari?
    Il giudeo-cristianesimo, che meglio sarebbe chiamare giudeo-americanismo è un cumulo di falsità, di soprusi ammantati con falsità. Noi non siamo “occidentali giudeo-cristiani”, siamo europei, e tanto basta.
    La strada per la salvezza dell’Europa passa attraverso una porta sempre più stretta. Dobbiamo liberarci dalla dipendenza dagli USA per essere liberi di attuare le politiche che possono ancora consentire la salvezza dell’uomo europeo, per invertire il trend demografico che minaccia di farci scomparire, e per porre un freno all’immigrazione.
    Ma sarà difficile fare questo senza riscoprire le nostre radici, quelle vere, che stanno prima e fuori dal cristianesimo.

  2. #2
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    articolo pieno di errori storici e pregiudizi!
    E pensare che io Calabrese lo cononosco di prima persona e lo reputavo una persona saggia..
    Pro aris rege!

  3. #3
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    Puoi elencarli che li sottopongo all'autore? Grazie Harm

 

 

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