Il seguente testo fa parte di un ampio intervento sui rapposti tra USA e Santa Sede tra papa Wojtyla e papa Ratzinger che potete trovare qui:http://www.politicaonline.net/forum/...31#post4409231
Buona lettura!!!
Il «Papa polacco»
e gli States
di Marco Respinti
Percorsi di cultura politica, a. IV, n°3,
maggio-giugno 2005,
Ora sarebbe evidentemente temerario attribuire la Santa Sede un «trattamento di favore» verso gli Stati Uniti, che di per sé davvero non esiste. Né è qui possibile entrare nei dettagli di una questione – quella dei rapporti fra Chiesa cattolica e cultura statunitense – vasta, profonda e piuttosto complessa. Ma è nondimeno interessante cimentarsi con qualche considerazione generale – che in primis vorrebbe essere non generica, in secundis non così estemporanea o astrusa da apparire un volo pindarico – circa se non altro quelle possibilità di rapporto fecondo fra appunto Chiesa Cattolica da un lato e superpotenza “protestante” dall’altro che alcuni dati di fatto e alcune valutazioni di principio consentono, se non altro come approfondimento di quella composizione di luogo che vede significativamente apparire sullo scenario degli ultimo anni di post-guerra fredda un biografo statunitense di Giovanni Paolo II a cui sono stati messi a disposizione materiali forse fino ad allora poco frequentati - è il caso di George Weigel, autore di Testimone della speranza (Witness to Hope: The Bioggrafy of Pope John Paul II, 1999; trad. it., Milano, Mondadori, 1999) – e il nuovo Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, scelto da papa Benedetto XVI nella persona del card. Joseph Levada, già arcivescovo di San Francisco.
E queste considerazioni prendono il via da un fatto: il fatto che negli Stati Uniti i protestanti sono la maggioranza assoluta dei cittadini, ma tanto e così profondamente divisi fra loro da non riuscire a fare numero a favore – con grande evidenza – proprio dei cattolici. Per poi proseguire con la considerazione di un secondo fatto. Quello che dice che questi Stati Uniti , in cui all’alba della Repubblica, i cattolici erano una minoranza ridottissima, e che oggi (anche grazie ad un sistema costituzionale che ne ha garantito libertà di movimento) sono, invece, maggioranza relativa rispetto alle molte e divise comunità protestanti del Paese, hanno imparato a coltivare sintonie e affinità con Giovanni Paolo II del tutto inaspettate. Con la persona carismatica e accattivante di quel pontefice, certo: ma sicuramente anche con il suo Magistero, fattispecie dell’insegnamento del Vicario di Pietro sempre nuovo e sempre fedele a se stesso da duemila anni. La promulgazione il 1° maggio 1991 dell’Enciclica Centesimus annus , a cent’anni esatti dalla Rerum novarum di papa Leone XIII, venne per esempio significativamente registrata negli Stati Uniti come un evento di fondamentale importanza. Si trattava, infatti, di un documento di dottrina sociale in cui il papa operai venuto dall’Est, tanto anticomunista quanto antinazionalsocialista, e allo stesso tempo non certo prono a quelle caricature di quella economia di mercato che si trasformano in oligopoli spersonalizzanti e schiavizzanti, riconosceva nettamente il fallimento pratico, l’improponibilità teoretica e l’immoralità radicale di ogni sistema collettivistico che deresponsabilizza la persona e che economicizza, ossia matematizza, tutti gli aspetti del reale. Non si trattava – come in malafede si potrebbe dire – del tripudio del mondo del lassez faire di fronte alla benedizione papale del proprio impianto economico.
Il Pontefice non risparmiava, infatti, le critiche alle storture del sistema, ma affermava con scienza e coscienza un principio basilare: abusum non tollit usum.
Laddove il comunismo che si fonda sul collettivismo resta intrinsecamente perverso, le mancanze dei sistemi ad economia libera non negano la superiorità, anzi la bontà dei loro assunti sulla cui applicazione concreta bisogna sempre vigilare, e a maggior ragione ribadisce che essi soli possono garantire misure atte ad instaurare una società a misura di uomo. Di più: a misura di uomo e secondo il piano di Dio., giacché quella dimensione teologica non era e non è – per usare un understatement – estranea né agli Stati Uniti né tantomeno al Pontefice. Non era nemmeno l’imprimatur sul liberalismo, anche perché cosa sia “liberalismo” e se esso permei di sé gli Stati Uniti è questione tutta da stabilire. Il perno della Centesimus annus, infatti, come l’intero Magistero sociale cattolico, ha il suo cuore altrove: nella persona umana. E usa dell’occasione fornita dalla riflessione in campo per esempio economico per avanzare e per difendere il “caso della persona umana” quanto al quel specifico aspetto del reale. Nel caso di Giovanni Paolo II, poi, la dimensione personalistica dell’insegnamento ex Cathedra ha proverbialmente assunto dimensioni tanto rilevanti da divenirne un tratto distintivo. E proprio la dimensione personalistica ha innescato la scintilla fra Stati Uniti e Papato cattolico. Giacché la cultura statunitense, poco propensa a elaborazioni di tipo filosofico, s’incentra tutta sull’uomo, individuo e comunità in tensione dinamica, e solo in seconda battuta (riflettendo cioè sulla «questione-uomo» in quanto tale) da essa astrae.
Un’eredità feconda, questa, della cultura platonico-aristotelica così come tramandata dalla Tradizione cristiana che sola spiega il presunto «liberismo» statunitense, quello per cui oggi si viene scoprendo, e proprio negli Stati Uniti, come le istituzioni di libero mercato s’incentrino sull’idea di persona umana tipica della “seconda” scolastica iberica, sull’introspezione tomista, sul retaggio medioevale e così via risalendo.
Del resto, i sette viaggi compiuti negli Stati Uniti da Giovanni Paolo II fra il 1979 e il 1999 si sono trasformati in grandiose occasioni d’incontro con il popolo nord-americano, ricambiati poi dalle visite nella Città del Vaticano dei presidenti Ronald W. Reagan, Jmmy Carter, Bill Clinton e George Bush padre e figlio. Gli Stati Uniti hanno, pertanto, offerto al Pontefice una tribuna privilegiata da cui rivolgersi al mondo intero. Il Papa lo dimostrò prestissimo quando nel 1979, l’anno dopo la propria elezione al Soglio di Pietro, il 2 ottobre parlò alle Nazioni Unite, che certo non sono gli Stati Uniti, ma che pure hanno sede privilegiata a New York. Il pontefice parlò della pace e la definì come la difesa di quei beni a cui corrisponde al dimensione spirituale dell’esistenza dell’uomo e quindi la distinse raffinatamente dalla semplice assenza di guerra. A Washington, poi, davanti al Campidoglio disse che
«la Vita umana non è soltanto un’idea o un’astrazione», ma «la realtà concreta di un essere che è capace di amore e di servizio all’umanità».
Con poche, lucide parole, il pontefice indicava insomma agli Stati Uniti un compito forte:
essere apostoli della Libertà autentica dell’uomo e non solo poliziotti del mondo.
Nel 1984 Giovanni Paolo II incontrò Reagan. Si dice che siano stati loro due a vincere la Guerra Fredda con il concorso di Margaret Tatcher. Certo è che il futuro lo aveva divinato, all’inizio degli anni Ottanta, addirittura il KGB. E certo è che Reagan si legò a quel papa slavo come nessun altro presidente nord-americano ha mai fatto con alcun altro pontefice romano. Negli States si è sempre detto che, dopo l’incontro con Karol Wojtyla, Reagan abbia preso in considerazione sempre più seria il messaggio di Fatima. Per meri motivi politici, dicono le malelingue. Forse…..
Il quarto viaggio papa Wojtyla lo compì dal 10 al 19 settembre 1987: Miami, New Orleans, Los Angeles, San Francisco e Detroit. L’America dei fermenti culturali alternativi e l’America della grande industria.. In Louisiania fu un bagno di folla enorme. E, come anni dopo a Denver, non solo composta da cattolici. Giovanni Paolo II è sempre riuscito, in modo concretissimo, su di sé e attorno a sé, cioè alla sua fisicità e alla sua mediaticità, a far quello che mille convegni di teoria ecumenica non sono mai riusciti nemmeno lontanamente a sfiorare. E’ così che negli Stati Uniti “protestanti” il Papa è divenuto, oltre gli steccati confessionali, un’autorità morale. Calpestando la piazza, dopo averla baciata. Fu alla McNichols Arena di Denver che, nell’agosto del 1993, il Colorado divenne la capitale morale della gioventù, della giovinezza. Che non è mai solo, e il Papa lo ha sempre saputo bene, una condizione fisica, esteriore, passeggera. L’VIII Giornata Mondiale della Gioventù divenne un inno vivente alla Vita.
Il tema era America, difendi la Vita!!!!!!
In quel momento gli Stati Uniti si fecero capitale dell’Occidente, capitale di un mondo in cui la vita umana viene calpestata con disinvoltura, ma dove pure è difesa da una sanior pars, credente e non, a cui il Pontefice ha affidato, per sempre, un mandato. Nel mondo del dopo-ideologia, non c’è più Rivoluzione politica, economica o sociale che possa sperare di ammaliare l’uomo. Resta, però, la minaccia più grave di tutte. L’idea della «buona morte», dall’embrione «grumo di cellule» al malato terminale che pesa sulla pubblica [Dottrina hitleriana docet!!!!! N. d. R]. L’espressione «cultura della morte» il pontefice la coniò in quella occasione. «Il Papa – disse allora – non ha parlato contro la libertà, specialmente contro la libertà americana. Ha, invece parlato a favore della libertà, in favore di un buon uso della libertà. Solo l’uso corretto della libertà è vera libertà».
Nel 1995 il Pontefice tornò all’ONU. La Cortina di Ferro non c’era più. Però c’era stata la ex Jugoslavia e ci saranno in un futuro che ancora nessuno poteva prevedere, ben altre guerre, l’Undici Settembre, il terrorismo internazionale. Il Papa disse che la legge morale universale, inscritta nel cuore stesso dell’uomo, è una sorta di “grammatica” indispensabile al mondo per affrontare il proprio futuro. Quanta ragione ebbe il pontefice quel dì, in quella vetrina mondale posta nel cuore degli Stati Uniti, la si può palpare quasi fisicamente anche in queste ore.
Giovanni Paolo II, che ribadì con forza la dottrina tradizionale della Chiesa su questioni spinose quali la guerra (parlando di guerra giusta) e l’ammissibilità entro certi limiti della pena di morte (che negli Stati Uniti esiste), è stato il Papa che ha autorizzato sul piano morale, l’ingerenza umanitaria.
Eppure è stato il Papa che sull’Iraq, per ben due volte, ha apertamente disapprovato l’intervento armato voluto dai due presidenti Bush.
Sul Medioriente, infatti, il confronto fra i vertici politici statunitensi e Santa Sede è divenuto serrato senza però farsi mai teso. In modi diversi, ma con ragioni pressoché identiche, il Papa da un lato e l’Imperator dall’altro hanno creduto di agire per il meglio e al meglio [Altro che l’idiozia neomodernista di G.P.II vs G.W. Bush!!!!!!!!! N. d. R].
E se il primo non ha mai perso occasione per dirlo chiaramente al secondo, quest’ultimo ha opportunamente – umilmente, devotamente – sempre evitato la risposta diretta, scegliendo di agire secondo coscienza senza polemizzare. Così si fa tra uomini di convinzione, tra uomini di forte convinzione morale.
Che il presidente Bush jr. sia un uomo di fede al centro della cui visione anche politica sta il diritto alla Vita e che una certa attenzione qualificata alla Chiesa Cattolica egli abbia cominciato a prestarla, non è infatti un mistero per nessuno.
In questo, lo zampino del “Papa polacco” è peraltro più che evidente, e la ragione è che Wojtyla ha sempre preferito affrontare realisticamente le situazioni e gli uomini invece di prenderli di petto con il solo ausilio di una dottrina pur sacrosanta. Come fanno gli statunitensi, insomma.
Bush jr., del resto, rompendo ogni indugio e ogni precedente, ha scritto e detto parole in morte di Giovanni Paolo II come mai era accaduto nella storia degli Stati Uniti [Come sempre lodi incommensurabili al cristiano-texano G.W. Bush!!!!!!! N. d. R.].
E quella sua annunciata, vistosa presenza alle esequie del pontefice in Piazza S. Pietro è un gesto che si spinge ben oltre il cerimoniale.
Papa Bendetto XVI, infatti, e se è accorto. E da tempo.
God Bless America!!!
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