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    Predefinito 28 agosto: sant'Agostino, vescovo e dottore della Chiesa.

    AGOSTINO IL SANTO DELLA GRAZIA





    di Maurizio Schoepflin


    Sant'Agostino (354-430) è stato uno dei massimi protagonisti della storia della cultura occidentale: la sua testimonianza di uomo e di pensatore ha lasciato una traccia feconda e indelebile non soltanto nella tradizione cristiana, della quale è uno dei più straordinari maestri, ma nell'intera civiltà dell'Occidente. Numerosi sono i motivi del filosofare agostiniano che hanno rivestito eccezionale importanza nella storia del pensiero: molti di questi conservano una suggestiva attualità e su alcuni di essi soffermeremo la nostra attenzione, ben sapendo che il patrimonio di sapienza lasciatoci dal santo dottore africano è pressoché inesauribile.

    Con un'intensità riscontrabile in pochi altri casi, in Agostino la dimensione esistenziale e quella affettiva si intrecciano inestricabilmente con quella religiosa e con quella filosofica: fede e ragione, ricerca della verità e conquista di essa, invocazione e riflessione, lettura e dialogo, scrittura polemica e preghiera appassionata, amore e amicizia, spirito e carne si incontrano e si scontrano nella vita di Agostino, entrano in conflitto, si compenetrano, si attraggono, si respingono, fino a trovare una sintesi suprema nella pace interiore raggiunta da chi, come insegna san Paolo, ha combattuto e portato a termine la buona battaglia del Vangelo.

    La fede a cui Agostino approdo, dopo anni di errori e di sofferenze e in seguito ad una straordinaria conversione, fece tutt'uno con la sua vita, e non casualmente lo scritto suo più celebre e coinvolgente sono le Confessioni, documento palpitante di un'esistenza caratterizzata da una profonda ansia di ricerca e coronata dall'approdo appagante alla Verità.
    Per Agostino l'uomo porta nel cuore un'inquietudine che lo spinge verso Dio: guardandosi dentro (ad Agostino si deve la scoperta della realtà e del valore dell'interiorità), ognuno si rende conto che è Dio ad averlo creato e che soltanto tornando a Lui potrà trovare la propria realizzazione più autentica. In questo cammino, un aiuto importante può venire dalla filosofia, perché - rammenta Agostino - è necessario capire per credere e credere per capire: sarà comunque la fede a illuminare definitivamente l'uomo e a dargli le risposte alle quali il suo cuore anela.

    A questo riguardo, e interessante ricordare la grande importanza riconosciuta alla preghiera da parte di Agostino, che non esitò ad attribuire alla costante appassionata orazione della madre Monica (venerata dalla Chiesa come Santa) il suo ritorno sulla retta via della fede: pregare significa rendersi conto che la sapienza umana è insufficiente per ottenere la salvezza e la beatitudine derivanti dall'incontro con il Signore. Sulla via di questo incontro, l'uomo trova un grave ostacolo: è il peccato, di cui Agostino sottolineo con chiarezza la drammatica e distruttiva presenza nella vita e nella storia degli uomini; è il peccato - ci dice il Santo Vescovo di Ippona - non è vincibile senza l'intervento di Dio che ci dona la Grazia. Con le sue sole forze, l'uomo non potrà mai salvarsi: su ciò Agostino rimase sempre assolutamente fermo, convinto che soltanto la Croce di Cristo e il suo sacrificio salvifico hanno riaperto all'uomo le porte del Cielo.

    Seguendo questa linea di riflessione, si comprende perchè Agostino abbia sostenuto che la Grazia divina non cancella la libertà umana, bensì la valorizza appieno: infatti, soltanto in virtù della Grazia di Dio l'uomo può perseverare nel bene e non usare male il libero arbitrio, il quale, a causa del peccato originale, è costantemente insidiato dall'errore. Dunque, la vera libertà, la libertà in senso pieno, è quella che, potenziata dall'intervento salvifico divino, sceglie il bene e lo compie, innalzando l'uomo verso il suo destino soprannaturale e allontanandolo dal peccato in cui la debolezza della sua volontà rischia continuamente di farlo cadere. In sintesi: la Grazia ci rende capaci di amore, dell'amore autentico, che è la carità evangelica.

    In ultima analisi, dunque, per Agostino la ricerca di Dio e il cammino verso di Lui diventano una questione di amore. Vera sintesi di libertà e grazia, l'amore si presenta pertanto come il movente del nostro ricongiungimento con Dio: si tratta dell'amore rettamente inteso e finalizzato all'obbedienza ai precetti evangelici, non certo dell'amore falso e sregolato - sperimentato da Agostino prima della conversione - che spinge l'uomo verso 1'eccessivo attaccamento alle creature e alle realtà terrene, distogliendolo dall'autentica carità che riconosce in Dio il suo sommo oggetto.

    Tra i valori che più si avvicinano all'amore, e che da esso traggono linfa vitale, vi è l'amicizia: Agostino visse in modo particolarmente appassionato il sentimento dell'amicizia e la sua vita ne fu sempre segnata, anche se soltanto dopo la conversione egli ne comprese appieno il significato, quando la forza redentrice di Dio elevò pure quel sentimento, rendendo autenticamente saldi i rapporti amicali. Per Agostino, dunque, anche le relazioni umane traggono senso e sapore dalla fede in Dio e il ritrovamento del Padre diventa, nel medesimo tempo, ritrovamento dei fratelli. Egli ha, per così dire, chiuso il cerchio: l'ansia di Dio lo ha ricondotto fra le braccia del suo Signore; ora sa qual è il senso della vita e allarga il suo sguardo fino a comprendere gli altri nell'amore e, attraverso l'amore, pregusta il premio eterno che lo attende in Paradiso.


    BIBLIOGRAFIA
    E. Gilson, Introduzione allo studio di Sant'Agostino, Marietti, Casale Monferrato 1983
    A. Trapè, Introduzione, in Sant'Agostino, Le Confessioni, Città Nuova, Roma 1975
    M. Schoepflin [a cura di], II "De Magistro" di Sant'Agostino e il tema dell'educazione nel cristianesimo antico, Paravia, Torino 1994

  2. #2
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    CENNI BIOGRAFICI






    Agostino è uno degli autori di testi teologici, mistici, filosofici, esegetici, ancora oggi molto studiato e citato; egli è uno dei Dottori della Chiesa come ponte fra l’Africa e l’Europa; il suo libro le “Confessioni” è ancora oggi ricercato, ristampato, letto e meditato.
    “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo…. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace”; così scrive Agostino Aurelio nelle “Confessioni”, perché la sua vita fu proprio così in due fasi: prima l’ansia inquieta di chi, cercando la strada, commette molti errori; poi imbroccata la via, sente il desiderio ardente di arrivare alla meta per abbracciare l’amato.
    Agostino Aurelio nacque a Tagaste nella Numidia in Africa il 13 novembre 354 da una famiglia di classe media, di piccoli proprietari terrieri, il padre Patrizio era pagano, mentre la madre Monica, che aveva avuto tre figli, dei quali Agostino era il primogenito, era invece cristiana; fu lei a dargli un’educazione religiosa ma senza battezzarlo, come si usava allora, volendo attendere l’età matura.
    Ebbe un’infanzia molto vivace, ma non certamente piena di peccati, come farebbe pensare una sua frase scritta nelle “Confessioni” dove si dichiara gran peccatore fin da piccolo. I peccati veri cominciarono più tardi; dopo i primi studi a Tagaste e poi nella vicina Madaura, si recò a Cartagine nel 371, con l’aiuto di un facoltoso signore del luogo di nome Romaniano; Agostino aveva 16 anni e viveva la sua adolescenza in modo molto vivace ed esuberante e mentre frequentava la scuola di un retore, cominciò a convivere con una ragazza cartaginese, che gli diede nel 372, anche un figlio, Adeodato.
    Questa relazione sembra che sia durata 14 anni, quando nacque inaspettato il figlio; Agostino fu costretto, come si suol dire, a darsi una regolata, riportando la sua condotta inconcludente e dispersiva, su una più retta strada, ed a concentrarsi negli studi, per i quali si trovava a Cartagine.
    Le lagrime della madre Monica, cominciavano ad avere un effetto positivo; fu in quegli anni che maturò la sua prima vocazione di filosofo, grazie alla lettura di un libro di Cicerone, l’”Ortensio” che l’aveva particolarmente colpito, perché l’autore latino affermava, come soltanto la filosofia aiutasse la volontà ad allontanarsi dal male e ad esercitare la virtù.
    Purtroppo la lettura della Sacra Scrittura non diceva niente alla sua mente razionalistica e la religione professata dalla madre gli sembrava ora “una superstizione puerile”, quindi cercò la verità nel manicheismo.
    Il Manicheismo era una religione orientale fondata nel III secolo d.C. da Mani, che fondeva elementi del cristianesimo e della religione di Zoroastro, suo principio fondamentale era il dualismo, cioè l’opposizione continua di due principi egualmente divini, uno buono e uno cattivo, che dominano il mondo e anche l’animo dell’uomo.
    Ultimati gli studi, tornò nel 374 a Tagaste, dove con l’aiuto del suo benefattore Romaniano, aprì una scuola di grammatica e retorica, e fu anche ospitato nella sua casa con tutta la famiglia, perché la madre Monica aveva preferito separarsi da Agostino, non condividendo le sue scelte religiose; solo più tardi lo riammise nella sua casa, avendo avuto un sogno premonitore, sul suo ritorno alla fede cristiana.
    Dopo due anni nel 376, decise di lasciare il piccolo paese di Tagaste e ritornare a Cartagine e sempre con l’aiuto dell’amico Romaniano, che egli aveva convertito al manicheismo, aprì anche qui una scuola, dove insegnò per sette anni, purtroppo con alunni poco disciplinati.
    Agostino però tra i manichei non trovò mai la risposta certa al suo desiderio di verità e dopo un incontro con un loro vescovo, Fausto, avvenuto nel 382 a Cartagine, che avrebbe dovuto fugare ogni dubbio, ne uscì non convinto e quindi prese ad allontanarsi dal manicheismo.
    Desideroso di nuove esperienze e stanco dell’indisciplina degli alunni cartaginesi, Agostino resistendo alle preghiere dell’amata madre, che voleva trattenerlo in Africa, decise di trasferirsi a Roma, capitale dell’impero, con tutta la famiglia.
    A Roma, con l’aiuto dei manichei, aprì una scuola, ma non fu a suo agio, gli studenti romani, furbescamente, dopo aver ascoltate con attenzione le sue lezioni, sparivano al momento di pagare il pattuito compenso.
    Subì una malattia gravissima che lo condusse quasi alla morte, nel contempo poté constatare che i manichei romani, se in pubblico ostentavano una condotta irreprensibile e casta, nel privato vivevano da dissoluti; disgustato se ne allontanò per sempre.
    Nel 384 riuscì ad ottenere, con l’appoggio del prefetto di Roma, Quinto Aurelio Simmaco, la cattedra vacante di retorica a Milano, dove si trasferì, raggiunto nel 385, inaspettatamente dalla madre Monica, la quale conscia del travaglio interiore del figlio, gli fu accanto con la preghiera e con le lagrime, senza imporgli nulla, ma bensì come un angelo protettore.
    E Milano fu la tappa decisiva della sua conversazione; qui ebbe l’opportunità di ascoltare i sermoni di s. Ambrogio che teneva regolarmente in cattedrale, ma se le sue parole si scolpivano nel cuore di Agostino, fu la frequentazione con un anziano sacerdote, san Simpliciano, che aveva preparato s. Ambrogio all’episcopato, a dargli l’ispirazione giusta; il quale con fine intuito lo indirizzò a leggere i neoplatonici, perché i loro scritti suggerivano “in tutti i modi l’idea di Dio e del suo Verbo”.
    Un successivo incontro con s. Ambrogio, procuratogli dalla madre, segnò un altro passo verso il battesimo; fu convinto da Monica a seguire il consiglio dell’apostolo Paolo, sulla castità perfetta, che lo convinse pure a lasciare la moglie, la quale secondo la legge romana, essendo di classe inferiore, era praticamente una concubina, rimandandola in Africa e tenendo presso di sé il figlio Adeodato (ci riesce difficile ai nostri tempi comprendere questi atteggiamenti, così usuali per allora).
    A casa di un amico Ponticiano, questi gli aveva parlato della vita casta dei monaci e di s. Antonio abate, dandogli anche il libro delle Lettere di S. Paolo; ritornato a casa sua, Agostino disorientato si appartò nel giardino, dando sfogo ad un pianto angosciato e mentre piangeva, avvertì una voce che gli diceva ”Tolle, lege, tolle, lege” (prendi e leggi), per cui aprì a caso il libro delle Lettere di S. Paolo e lesse un brano: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri” (Rom. 13, 13-14).
    Dopo qualche settimana ancora d’insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio ed alcuni amici, ad una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre, perché partecipasse con le sue parole sapienti.
    Nella Quaresima del 386 ritornarono a Milano per una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino, il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevettero nella notte del sabato santo, dalle mani di s. Ambrogio.
    Intenzionato a creare una Comunità di monaci in Africa, decise di ritornare nella sua patria e nell’attesa della nave, la madre Monica improvvisamente si ammalò di una febbre maligna (forse malaria) e il 27 agosto del 387 morì a 56 anni. Il suo corpo trasferito a Roma si venera nella chiesa di S. Agostino, essa è considerata il modello e la patrona delle madri cristiane.
    Dopo qualche mese trascorso a Roma per approfondire la sua conoscenza sui monasteri e le tradizioni della Chiesa, nel 388 ritornò a Tagaste, dove vendette i suoi pochi beni, distribuendone il ricavato ai poveri e ritiratosi con alcuni amici e discepoli, fondò una piccola comunità, dove i beni erano in comune proprietà.
    Ma dopo un po’ l’affollarsi continuo dei concittadini, per chiedere consigli ed aiuti, disturbava il dovuto raccoglimento, fu necessario trovare un altro posto e Agostino lo cercò presso Ippona.
    Trovatosi per caso nella basilica locale, in cui il vescovo Valerio, stava proponendo ai fedeli di consacrare un sacerdote che potesse aiutarlo, specie nella predicazione; accortasi della sua presenza, i fedeli presero a gridare: “Agostino prete!” allora si dava molto valore alla volontà del popolo, considerata volontà di Dio e nonostante che cercasse di rifiutare, perché non era questa la strada voluta, Agostino fu costretto ad accettare.
    La città di Ippona ci guadagnò molto, la sua opera fu fecondissima, per prima cosa chiese al vescovo di trasferire il suo monastero ad Ippona, per continuare la sua scelta di vita, che in seguito divenne un seminario fonte di preti e vescovi africani.
    L’iniziativa agostiniana gettava le basi del rinnovamento dei costumi del clero, egli pensava: “Il sacerdozio è cosa tanto grande che appena un buon monaco, può darci un buon chierico”. Scrisse anche una Regola, che poi nel IX secolo venne adottata dalla Comunità dei Canonici Regolari o Agostiniani.
    Il vescovo Valerio nel timore che Agostino venisse spostato in altra sede, convinse il popolo e il primate della Numidia, Megalio di Calama, a consacrarlo vescovo coadiutore di Ippona; nel 397 morto Valerio, egli gli successe come titolare.
    Dovette lasciare il monastero e intraprendere la sua intensa attività di pastore di anime, che svolse egregiamente, tanto che la sua fama di vescovo illuminato si diffuse in tutte le Chiese Africane.
    Nel contempo scriveva le sue opere che abbracciano tutto il sapere ideologico e sono numerose, vanno dalle filosofiche alle apologetiche, dalle dogmatiche alle morali e pastorali, dalle bibliche alle polemiche. Queste ultime riflettono l’intensa e ardente battaglia che Agostino intraprese contro le eresie che funestavano l’unità della Chiesa in quei tempi: Il Manicheismo che conosceva bene, il Donatismo sorto ad opera del vescovo Donato e il Pelagianesimo propugnato dal monaco bretone Pelagio.
    Egli fu maestro indiscusso nel confutare queste eresie e i vari movimenti che ad esse si rifacevano; i suoi interventi non solo illuminarono i pastori di anime dell’epoca, ma determinarono anche per il futuro, l’orientamento della teologia cattolica in questo campo. La sua dottrina e teologia è così vasta che pur volendo solo accennarla, occorrerebbe il doppio dello spazio concesso a questa scheda, per forza sintetica; il suo pensiero per millenni ormai è oggetto di studio per la formazione cristiana, le tante sue opere, dalle “Confessioni” fino alla “Città di Dio”, gli hanno meritato il titolo di Dottore della Chiesa.
    Nel 429 si ammalò gravemente, mentre Ippona era assediata da tre mesi dai Vandali comandati da Genserico († 477), dopo che avevano portato morte e distruzione dovunque; il santo vescovo ebbe l’impressione della prossima fine del mondo; morì il 28 agosto del 430 a 76 anni. Il suo corpo sottratto ai Vandali durante l’incendio e distruzione di Ippona, venne trasportato poi a Cagliari dal vescovo Fulgenzio di Ruspe, verso il 508-517 ca., insieme alle reliquie di altri vescovi africani.
    Verso il 725 il suo corpo fu di nuovo traslato a Pavia, nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, non lontano dai luoghi della sua conversione, ad opera del pio re longobardo Liutprando († 744), che l’aveva riscattato dai saraceni della Sardegna.


    Autore: Antonio Borrelli
    Fonte: santiebeati.it

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    Il papa: i rapporti tra genitori e figli sull'esempio di santa Monica e sant'Agostino


    diAlessandro Renzo - Mattia Bianchi/ 27/08/2006


    All'angelus di oggi, il ricordo di sant'Agostino e di sua madre santa Monica. Nel loro rapporto spirituale, una testimonianza valida anche per la famiglie del nostro tempo, dice il papa, che ha lanciato anche un appello in difesa dell'ambiente.

    Cari fratelli e sorelle,

    ricordiamo oggi santa Monica e domani ricorderemo il figlio sant’Agostino: le loro testimonianze possono essere di grande conforto ed aiuto per tante famiglie anche del nostro tempo. Monica, nata a Tagaste nell’attuale Tunisia da una famiglia cristiana, visse in modo esemplare la sua missione di sposa e di madre, aiutando il marito Patrizio a scoprire la bellezza della fede in Cristo e la forza dell’amore evangelico, capace di vincere il male col bene. Dopo la morte di lui, avvenuta precocemente, Monica si dedicò con coraggio alla cura dei tre figli, tra i quali Agostino che inizialmente la fece soffrire con il suo temperamento piuttosto ribelle. Come dirà poi lo stesso Agostino, sua madre lo generò due volte; la seconda richiese un lungo travaglio spirituale, fatto di preghiera e di lacrime, ma coronato alla fine dalla gioia di vederlo non solo abbracciare la fede e ricevere il Battesimo, ma anche dedicarsi interamente al servizio di Cristo. Quante difficoltà anche oggi nei rapporti familiari e quante mamme sono angustiate perché i figli s’avviano su strade sbagliate! Monica, donna saggia e solida nella fede, le invita a non scoraggiarsi, ma a perseverare nella missione di spose e di madri, mantenendo ferma la fiducia in Dio e aggrappandosi con perseveranza alla preghiera.

    Quanto ad Agostino, tutta la sua esistenza fu un’appassionata ricerca della verità. Alla fine, non senza un lungo tormento interiore, scoprì in Cristo il senso ultimo e pieno della propria vita e dell’intera storia umana. Nell’adolescenza, attratto dalla bellezza terrena, "si gettò" su di essa – come egli stesso confida (cfr Confess. 10,27-38) – in maniera egoistica e possessiva con comportamenti che crearono non poco dolore alla sua pia madre. Ma attraverso un percorso faticoso, grazie anche alle preghiere di lei, Agostino si aprì sempre più alla pienezza della verità e dell’amore, fino alla conversione, avvenuta a Milano sotto la guida del vescovo sant’Ambrogio. Egli rimarrà così modello del cammino verso Dio, suprema Verità e sommo Bene. "Tardi ti ho amato – egli scrive nel noto libro delle Confessioni –, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ecco: tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ... Eri con me e io non ero con te … Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità" (ibid.). Ottenga sant’Agostino il dono di un sincero e profondo incontro con Cristo a tutti quei giovani che, assetati di felicità, la cercano percorrendo sentieri sbagliati e si perdono in vicoli ciechi.

    Santa Monica e sant’Agostino ci invitano a rivolgerci con fiducia a Maria, sede della Sapienza. A Lei affidiamo i genitori cristiani, perché come Monica, accompagnino con l’esempio e con la preghiera il cammino dei figli. Alla Vergine Madre di Dio raccomandiamo la gioventù affinché, come Agostino, tenda sempre verso la pienezza della Verità e dell’Amore, che è Cristo: Egli solo può saziare i desideri profondi del cuore umano.

 

 

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