Mentre la dottrina sull’esistenza del Magistero ordinario infallibile è certa ed è definita, così come quella sui criteri del Magistero straordinario — sono le quattro condizioni enunciate nella Costituzione dogmatica Pastor Aeternus, c. 4, in DS 3074 —, altrettanto non si può dire per i criteri dell’infallibilità del Magistero ordinario. Certamente l’universalità e la definitività della proposizione sono condizioni sicure, tuttavia non è sempre facile discernerle, posto che il Magistero ordinario, di norma, è quello dei vescovi dispersi nel mondo. Qualcuno ha affermato, con solidi argomenti, che la continuità ininterrotta, per un certo periodo di tempo, di un insegnamento ordinario del Papa, in quanto principio e segno dell’unità cattolica, costituisce un criterio sicuro che tutta la Chiesa così crede o tiene fermamente. Queste sono però soltanto, per ora, delle opinioni teologiche: cfr. Paul Nau O.S.B., Le Magistère pontifical ordinaire, lieu théologique, in Revue Thomiste, anno LXIV, tomo LVI, n. 3, luglio-settembre 1956, pp. 389-412; e Fidelis M. Gallati O.P., Wenn die Päpste sprechen. Das ordentliche Lehramt des apostolischen Stuhles und die Zustimmung zu dessen Entscheidungen [Quando i Papi parlano. L’insegnamento ordinario della cattedra apostolica e l’assenso alle sue decisioni], Herder, Vienna 1960. Ma, allora, come si deve comportare concretamente un fedele — e quindi anche un teologo — di fronte ai pronunciamenti del Magistero ordinario? Appunto: deve aver chiaro che la ragione dell’obbedienza al Magistero non è la sua infallibilità, ma la sua autorità religiosa, cioè il fatto che è divinamente assistito. Davanti a un singolo pronunciamento sa che, accidentalmente, potrebbe anche essere erroneo, tuttavia sa anche che, di regola, la sua verità è soprannaturalmente garantita. In certi casi, poi, può disporre di criteri che gli fanno per lo meno dubitare che l’insegnamento sia infallibile.