User Tag List

Risultati da 1 a 9 di 9
  1. #1
    SENATORE di POL
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Alessandria
    Messaggi
    23,784
     Likes dati
    2
     Like avuti
    10
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito La Sinistretta italica e Israele

    La disastrosa politica estera Prodinottiana è registrata anche dal Corriere della Sera di oggi, per la firma di Pierluigi Battista........in un editoriale dal titolo

    " IL MURO ITALIANO DEL PREGIUDIZIO


    Prevalenza di schemi mentali vecchi e consunti, suggestione di mitologie antiche, accumularsi di pregiudizi che si sedimentano come incrostazioni intellettuali resistentissime a ogni smentita dei fatti: ecco la potente miscela ideologica che in Italia sembra impedire alla sinistra «radicale» (purtroppo lambendo anche strati non marginali di quella riformista), se non di giustificare, almeno di comprendere le ragioni di Israele, del suo diritto di difesa e della politica militare del suo governo democraticamente eletto.
    Un muro d'incomprensione, altro che quello eretto da Sharon per contenere le irruzioni terroristiche tra i civili israeliani. Un'ostilità destinata ad alimentarsi grazie alla passività dell'Europa (con la presidenza finlandese di turno che si segnala per il suo irresponsabile estremismo verbale), alla freddezza vaticana, alla paralisi dei grandi riuniti nel G8 di San Pietroburgo. Destinata a condizionare, malgrado i messaggi di amicizia di Romano Prodi al premier israeliano, anche le posizioni del governo, condannato ad arginare le spinte oltranziste, o addirittura quelle che esprimono solidarietà ai nemici di sempre di Israele, presenti nella sua maggioranza. E se si segnala la resistenza alla deriva anti- israeliana di Francesco Rutelli, della pattuglia radicale di Emma Bonino e Marco Pannella e di combattivi ma isolati esponenti della maggioranza come Umberto Ranieri e Gianni Vernetti, appare stupefacente la sordità della sinistra non alle ragioni della solita «destra» israeliana, ma a quelle di chi non si è mai allontanato dalla prospettiva di pace di «due popoli, due Stati», spesso criticando i governi di Israele per non averla perseguita, o per averla addirittura ostacolata. Come non ascoltare le parole raccolte dal Corriere della Sera dello scrittore israeliano Abraham Yehoshua che spiega perché «il Paese intero sta sostenendo le scelte del governo Olmert», giacché «la mia casa non è Haifa, ma tutta Israele. Per me è egualmente gravissimo il fatto che vengono colpiti Kiriat Shmona o un minuscolo kibbutz a un tiro di schioppo dal confine libanese»? «Non riconoscono la legittimità della nostra esistenza, ci vogliono tutti morti», dice ancora Yehoshua. Sono forse le espressioni paranoiche di un fanatico, di un guerrafondaio, di un estremista che non aspetta altro che i bombardamenti israeliani su Beirut? O c'è un senso di urgenza, e di panico, per chi sente di essere assediato da chi con Israele non vuole allacciare alcun compromesso, negandone il diritto all'esistenza e abbeverandosi ai più feroci stereotipi dell'odiocrazia antisemita? Sulla Repubblica un giornalista italiano che non è mai stato tenero con Israele, Sandro Viola, invita la sinistra a non attardarsi su rappresentazioni oramai travolte dalla novità della guerra totale contro Israele: «La partita che si gioca da tre giorni non è più quella impari, la parte di Israele spietata, tra un esercito potente e le milizie palestinesi. E' una partita tra la più solida formazione terroristica dell'area, sostenuta sempre più scopertamente da Teheran, e lo Stato di Israele». Ma l'analisi coraggiosa di Viola fa fatica a scalfire la corazza di pregiudizi di cui una parte della sinistra sembra disperatamente prigioniera. Si deplorano le violazioni territoriali in Libano, ma si minimizza il significato dei razzi sparati da una porzione libanese che Israele aveva unilateralmente sgomberato e ora fortezza di Hezbollah, si dimentica la prova di forza che appena un anno fa Sharon aveva sostenuto contro gli stessi coloni ebrei per ritirarsi da Gaza (e con la promessa del ritiro dalla Cisgiordania), si sorvola con incredibile leggerezza sulle minacce del presidente iraniano Ahmadinejad, scandite da continue evocazione dello sterminio degli ebrei. Tutto questo viene occultato, cancellato, ridimensionato per avvalorare ancora una volta l'immagine di un Israele perennemente e costitutivamente aggressivo e prepotente. Un muro di incomprensione, appunto. Che, se non rimosso, può addirittura coprire una voragine di vergogna.


    lettere@corriere.it
    "

    Saluti liberali

  2. #2
    SENATORE di POL
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Alessandria
    Messaggi
    23,784
     Likes dati
    2
     Like avuti
    10
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Giuliano Ferrara firma un articolo sul FOGLIO.......di oggi


    " LE LACRIME DEL COCCODRILLO EUROPEISTA ANNEGANO ISRAELE

    Israele è solo, ripete con monotona e mielosa ipocrisia Furio Colombo. Amo Israele, ripete Gad Lerner, ma la politica internazionale ha le sue esigenze, e se Prodi deplora, deplorevole sia Israele che si difende. CHe perle. Come luccicano. Luccicano come non mai. Analizziamole per vedere se siano false oppure no. Se siano lacrime salate o goccioline di dolce rugiada sentimentale.
    Solo in che senso, onorevole Colombo? Intanto Israele ha con sé gli israeliani, tutti.
    I giornali europei vanno come sempre a caccia di dissensi umanitari, e intervistano gli scrittori (Grossaman, Yehoshua e altri) per vedere se ne possa mai venir fuori un bel distinguo, un attacco alla brutalità di Olmert e al suo uso sproporzionato della forza cosiddetto , e vanno in bianco. Quelli che abitano a Gerusalemme e ad Haifa sono tipi starni, la vedono così, non capiscono le pusille distinzioni della politichetta europea: noi abbiamo cercato la pace, poi abbiamo fatto la guerra al terrorismo degli shahid che è stato la risposta palestinese islamista di Hamas e soci alla pace cercata, poi abbiamo provato con i ritiri unilaterali e la barriera difensiva e il negoziato con Abu Mazen e l’Autorità palestinese, e in risposta abbiamo avuto i razzi sulle nostre città dal sud del Libano, i rapimenti , le estorsioni armate e i ricatti e le sinagoghe bruciate e la vittoria elettorale di chi ci vuole distruggere, e siamo stanchi.
    Siamo tutti stanchi, dicono. Da Netanyahu a Peretz, dal duro dei duri che non voleva il ritiro al sindacalista laburista di sinistra che bombarda le postazioni di Hezbollah e le giunture strategiche di un Libano cinico, disperato e gaudente, dove la regia iraniana e siriana del terrore ha riportato il freddo calcolo strategico della guerra antisionista che ora liquida le fragili speranze della guerra di Beirut.
    Israele non è solo, caro onorevole Colombo, caro Lerner. E’ unito, compatto, e la deplorazione del vostro governo, le intemerate di D’Alema e Prodi sono fuffa burocratica buxellese: e le sofisticherie di un Dliberto, sono, come ha detto Elle Kappa in una clamorosa vignetta solo un caso di uso sproporzionato della farsa. Non è che Israele sia solo, è che voi ve ne state andando da un’altra parte, e ve ne vergognate ma non abbastanza da ribellarvi all’andazzo; è che l’Italia era con Israele, lo è stata per cinque lunghi anni di intese ferree,e adesso il vostro governo , le vostre forze politiche, i vostri leader si prendono una bella vacanza europeista dalle responsabilità politiche che gli toccherebbero. Fanno finta di non sapere che al nazionalismo palestinese, già inquinato dalla corruzione politica e civile delle elites rivoluzionarie dell’Olp, dall’ambiguità impotente di Arafat, si sostituisce l’islamismo politico guidato da un capo di stato negazionista, Ahmadinejad , e da una repubblica dei mullah che esporta da quasi trent’anni nel mondo il suo modello rivoluzionario shariota e jihadista in attesa del nucleare militare, mentre i soci baathisti di Saddam, che abitano a Damasco, fanno il loro lavoro sporco per rovesciare i pochi risultati positivi dell’ondata di rivolta seguita alla guerra che ha abbattuto il baathismo iracheno.
    Non dateci dunque le vostre lacrime. Siate meno tromboni e meno sentimentali. Dateci le lacrime delle cose, ingaggiate battaglia contro la svolta terzista del governo Prodi, che deplora un popolo unito e uno stato che si difendono. Israele non è solo. Ha con sé l’America di Bush, per esempio, e anche quella di Hillary Clinton, ha con sé tanta gente anche in Italia e in Europa che non deplora l’autodifesa e combatte l’offesa.Tanta gente che è abbastanza libera da sapere, e da non volersi nascondere, che la sicurezza di Israele e la sconfitta di Hamas, Hezbollah, Siria e Iran non è solo il segno della solidarietà con gli ebrei che hanno fondato in cent’anni uno stato che ha il diritto di vivere, ma è anche la difesa di ciò che siamo noi, quando non siamo accecati dall’idelogia e quando sappiamo riconoscere lo stato di guerra in vigore dopo Khomeini e l’11 settembre 2001. Da un lato avete uomini e donne come Olmert, Tzipi lkivni, Peretz e Peres e dall’altro lo sceicco Nasrallah, quel Meshal rifugiato a Damasco e protetto dai peggiori despoti del medio oriente: per una volta, anime buone, sappiate scegliere un uso proporzionato dell’intelligenza e della dignità politica.
    "
    La sinistruzza si è ridotta al livello di vetero-fascistazzi "duri e puri", cattointegralfanatici e nazipadagni.

    Shalom

  3. #3
    Conservatorismo e Libertà
    Data Registrazione
    30 Mar 2009
    Messaggi
    17,354
     Likes dati
    159
     Like avuti
    512
    Mentioned
    14 Post(s)
    Tagged
    5 Thread(s)

    Predefinito

    Anche qui,è evidente che una politica di equidistanza è assolutamente nociva,sbagliata e controproducente.Oggi più che mai bisogna stare accanto ad Israele,annientare una volta per tutte le forze degli assassini terroristi e procedere finalmente ad una pace senza che sia possibile in ogni momento mettere in discussione la sicurezza dello Stato ebraico.Hezbollah deve essere distrutta: è l'unico modo per raggiungere finalmente ad una vera pace.

  4. #4
    SENATORE di POL
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Alessandria
    Messaggi
    23,784
     Likes dati
    2
     Like avuti
    10
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    dal quotidiano LIBERO di oggi........

    "D'Alema e Prodi al club di Zapatero «Fermiamo Israele»


    Mentre lo spagnolo posa con la kefiah, i nostri incontrano politici di Beirut e condannano le azioni di Tel Aviv


    ROMA La sinistra europea ha deciso da che parte stare. Con i palestinesi. E contro Israele. E a simbolo di questa scelta di campo si può prendere il premier spagnolo Jose Luis Zapatero, che ieri si è fatto fotografare con una kefiah sulle spalle. L'immagine, scattata durante il festival della gioventù socialista ad Alicante, è stata molto criticata dagli esponenti del partito popolare, mentre il ministro degli Esteri, Miguel Angel Moratinos, ha difeso il suo presidente del consiglio spiegando che «le accuse di antisemitismo nei confronti di Zapatero sono infondate e intollerabili».
    LA SINISTRA EUROPEA È CONTRO ISRAELE In Italia nessuno ha indossato materialmente la kefiah, ma da quando è scoppiata la crisi in Libano il centrosinistra ha scelto di stare ancora una volta contro Israele, attirandosi le critiche della comunità ebraica, specialmente degli ebrei che votano per l'Unione. Del resto basta vedere come le parole di Massimo D'Alema sulle «reazione spropositata di Israele» siano state apprezzate da Oliviero Diliberto e Franco Giordano, mentre al ministro degli Esteri sono arrivare le critiche dei moderati della Margherita e del suo stesso partito. Poco importa se poi Piero Fassino partecipa alle fiaccolate pro-Israele perché poi, almeno in politica estera, sono i massimalisti a dare la linea ai riformisti. Con Romano Prodi e Francesco Rutelli che, almeno sul fronte della politica internazionale, sono costretti a lasciare il pallino in mano a D'Alema. Un D'Alema anti-israeliano nonostante il fatto che il ministro della Difesa di Gerusalemme nonché leader del Labour faccia parte insieme a lui dell'Internazionale socialista. Ieri intanto il Professore e il ministro degli Esteri hanno ricevuto Saad Hariri, leader del partito libanese "Future movement", figlio del premier Rafik Hariri assassinato a Beirut il 14 febbraio 2005. E proprio l'omicidio di Hariri, di cui non si conosce ancora il colpevole, anche se i sospetti vertono su Damasco, scatenò una serie di manifestazioni anti-siriane, "la rivoluzione dei cedri", che costrinse Damasco a ritirare le proprie truppe dal Libano. «L'Italia è pronta a partecipare all'apertura di un corridoio umanitario tra Libano e Cipro per consentire l'afflusso di consistenti aiuti alla popolazione libanese», ha detto D'Alema durante l'incontro con Saad Hariri. Ipotesi avanzata anche da Bruxelles, dove la presidenza dell'Ue fa sapere che «i corridoi sono necessari per far fronte all'emergenza e per permettere l'accesso agli aiuti per la popolazione in grave difficoltà», mentre la commissione Ue ha stanziato aiuti per 10 milioni di euro per il Libano.
    LA VISITA DI HARIRI D'ALEMA FORSE A BEIRUT D'Alema poi ha parlato anche della possibilità di una sua visita a Beirut. «Se il primo ministro mi invitasse potrei andare, ma per ora in preparazione non c'è niente. Però non vogliamo lasciare nulla di intentato per dare un contributo sul fronte umano e politico. Bisogna difendere l'integrità del Libano, perché la sua disgregazione sarebbe un brutto colpo anche per Israele. Anche per questo abbiamo invitato il governo di Gerusa lemme alla moderazione», ha precisato D'Alema. A chiamare in causa l'Italia è stato proprio il primo ministro libanese Fuad Siniora che, in un'intervista al Corriere, ha chiesto la mediazione dell'Italia per la soluzione del conflitto, esprimendo fiducia per un ruolo di "facilitatore" da parte di Prodi. Hariri ha confermato la richiesta di aiuto all'Italia e all'Europa affinché «il sogno libanese non finisca». «Noi siamo l'unica democrazia moderata del Medio Oriente», ha detto Hariri, «gli unici a com battere il fondamentalismo, per questo dovete aiutarci. Hezbollah ha sbagliato a rapire i soldati israeliani, ma Gerusalemme ci sta scatenando contro una guerra che noi non abbiamo voluto. Per mettere fine al conflitto serve una soluzione globale». Infine, secondo D'Alema l'invio di truppe di pace in Libano non è un'ipotesi ravvicinata: «Non siamo ancora la vigilia della partenza dei caschi blu. La situazione è ancora molto complessa». ANDREA VALLE IN VISITA A ROMA FIGLIO DEL PREMIER Saad Hariri è il figlio dell'ex premier libanese Rafik Hariri, Assassinato nel 2005 e protagonista della ricostruzione del Libano dopo la guerra civile. Proprio il suo omicidio scatenò una serie di manifestazioni anti-siriane che costrinsero Damasco a ritirare le proprie truppe dal Libano. AMICO DI CHIRAC Rafik Hariri ha assunto per la prima volta la guida del governo nel '92 ed è quasi sempre stato primo ministro, con un intervallo di due anni fra il 1998 e il 2000. Hariri ha sempre coltivato importanti amicizie internazionali, fra cui il presidente francese Jacques Chirac.
    "

    Shalom

  5. #5
    SENATORE di POL
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Alessandria
    Messaggi
    23,784
     Likes dati
    2
     Like avuti
    10
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    dal quotidiano IL GIORNALE di ieri........Il livore antisraeliano del ministro degli esteri Prodinottista, il kompagno Massimo D'Alema in un editoriale di Livio Caputo....

    " «Livore Maximo»



    Che Massimo D'Alema fosse antiisraeliano e avrebbe ben presto rovesciato gli eccellenti rapporti che il governo Berlusconi aveva instaurato con lo Stato ebraico, lo sapevamo prima ancora che si installasse alla Farnesina. Solo negli ultimi giorni, tuttavia, è emerso tutto il suo livore, culminato mercoledì in un'audizione alle Commissioni Esteri di Senato e Camera in cui ha accusato il governo di Gerusalemme di incendiare l'intero Medio Oriente, di avere dilapidato il consenso internazionale di cui godeva dopo l'aggressione degli Hezbollah e - naturalmente - di avere esagerato nella reazione. Ma la cosa più grave è che per dare corso alle sue convinzioni D'Alema, presumibilmente con l'accordo di Prodi, ha portato l'Italia su posizioni insostenibili, differenziandosi non solo da quelle di Stati Uniti e Gran Bretagna, ma anche da quelle della Germania che - si diceva ancora un mese fa - avrebbe dovuto essere il nostro punto di riferimento nell'Unione Europea. Non per nulla la sinistra radicale era così soddisfatta della sua relazione, da chiedere addirittura il richiamo del nostro ambasciatore a Gerusalemme. L'idea del nostro ministro degli Esteri è che Israele deve cessare immediatamente la sua offensiva, perché solo dopo la fine delle ostilità e chiari accordi politici tra le parti sarà possibile provvedere all'invio di una «forza di pace» da schierare lungo il confine libanese. Peccato che questa tesi non stia in piedi, perché in totale contrasto con la realtà. Se, infatti, Tsahal interrompesse le sue operazioni prima di avere completato almeno la creazione di una fascia di sicurezza ed arrestato il lancio di missili sulla Galilea, l'Hezbollah proclamerebbe vittoria, tornerebbe a consolidarsi sul terreno e si tornerebbe virtualmente allo status quo ante. Garantire l'applicazione della risoluzione 1559 (cioè il disarmo dell'Hezbollah) toccherebbe a questo punto alla forza internazionale, che non solo dovrebbe ricevere dall'Onu un forte mandato di peacemaking, non solo dovrebbe essere composta da reparti d'élite equipaggiati con armi pesanti, ma anche essere schierata nel giro di pochi giorni («Di due ore» sostiene il premier israeliano Olmert). Un simile spiegamento è purtroppo impossibile per almeno due ragioni. Primo, nessun Paese sembra disponibile a partecipare a una operazione così rischiosa e politicamente compromettente: non per nulla, la riunione preliminare per la formazione di questo corpo di spedizione è già stata rinviata due volte in attesa di chiarimenti. Secondo, il governo libanese, in cui la componente Hezbollah è sempre più influente e che comunque non può ignorare i desiderata di Siria ed Iran, non darà mai il suo benestare a una forza internazionale con queste caratteristiche, almeno fino a quando i guerriglieri sciiti non saranno stati sbaragliati. Il ministro degli Esteri di Beirut, Tarek Mitri, lo ha detto ancora ieri in tutte lettere. A tutt'oggi, i tentativi compiuti da Francia e Spagna per coinvolgere Damasco e Teheran in una soluzione negoziata non sono approdati a nulla e ancora ieri il presidente iraniano Ahmadinejad ha ripetuto - oltre a chiedere come D'Alema un immediato cessate il fuoco - che l'ideale sarebbe l'eliminazione dello Stato ebraico dalle carte geografiche In questa situazione la «forza di pace» proposta dal titolare della Farnesina, con l'obbiettivo primario di garantire il ritorno dei profughi, sarebbe inutile esattamente come si è rivelata a tutt'oggi l'Unifil, che negli ultimi sei anni non ha mosso un dito per impedire che gli Hezbollah trasformassero il Libano meridionale in una base fortificata. Per quanto possa dispiacere a molti, l'unica soluzione è perciò che Israele completi il suo lavoro, in modo da lasciare alla forza di interposizione solo un compito di consolidamento ed Hezbollah ed alleati siano costretti ad accettarla per evitare una disfatta peggiore. Oltre all'aspetto militare, ce n'è anche uno psicologico non meno importante. Se vuole tenere a bada anche in futuro i suoi nemici, lo Stato ebraico deve concludere questa guerra con una vittoria indiscutibile, come furono quelle del '67 e del '73. «Un cessate il fuoco immediato non porterebbe solo rischi, ma orribili certezze» ha scritto David Brooks sul New York Times. «Se Hezbollah emergesse dal conflitto ancora in forze, diventerebbe il vero padrone del governo di Beirut. I movimenti estremisti di tutto il mondo verrebbero inondati di nuove reclute. Il prestigio dell'Iran nel mondo islamico salirebbe alle stelle. Gli sponsor della risoluzione 1559 verrebbero umiliati e il potere deterrente di Israele sarebbe in frantumi. Si affermerebbe definitivamente l'idea che l'arma più efficace dell'Islam è il terrore». È questo che ha in mente Massimo D'Alema, quando pretende da Israele che accetti il solito compromesso?"

    Shalom

  6. #6
    SENATORE di POL
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Alessandria
    Messaggi
    23,784
     Likes dati
    2
     Like avuti
    10
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    dal quotidiano IL CORRIERE DELLA SERA:

    «D'Alema tra le macerie «Ora una pace vera» - Il deputato Hezbollah accanto al ministro: l'Onu non interferisca»

    di Lorenzo Cremonesi



    BEIRUT — Davanti ai giornalisti arabi interessati a sapere quando arriveranno nel Sud del Libano i soldati italiani, Massimo D'Alema ha rinunciato alla vaghezza che accompagnava le versioni di Palazzo Chigi e Farnesina. «Potrebbero partire nel giro dieci giorni, due settimane. Anche se dipende dal governo libanese e dalle Nazioni Unite», è stata la risposta del ministro degli Esteri, durante la sua visita di ieri a Beirut, sul dispiegamento della forza voluta dall'Onu per tenere lontani da Israele i guerriglieri di Hezbollah. In vista di quel momento, nella città bombardata sino a poche ore prima dall'aviazione dello Stato ebraico D'Alema è sembrato porsi innanzi tutto un obiettivo: evitare che il «Partito di Dio» abbia motivo di attaccare il contingente italiano.
    Si è seduto a tavola con un ministro di Hezbollah, il vicepresidente del Consiglio del nostro Paese. È successo nel Grand Serrail, l'equivalente del Palazzo Chigi di Beirut, il una colazione offerta dal premier Fouad Siniora. Non erano in due, c'era quasi tutto il governo libanese. Ma per avere idea del valore politico del fatto basta un precedente. Prima di ammalarsi, Ariel Sharon si arrabbiò con Gianfranco Fini, allora titolare della Farnesina, perché il nostro ambasciatore Franco Mistretta aveva incontrato un ministro di Hezbollah, Mohamad Fneich, responsabile per l'Energia. Ieri a tavola con D'Alema c'era Trad Hamade, ministro del Lavoro, stesso partito. Fneich era altrove. Degli altri due sciiti presenti, i ministri degli Esteri Fai Salloukh e dell'Agricoltura Nawwar el Salili, almeno il primo è in buoni rapporti con il partito contro il quale Israele ha combattuto una guerra. «Una guerra che è stata una tragedia per tanti civili, una tragedia anche politica. Ora ci vuole una pace vera», ha dichiarato D'Alema dopo essere andato tra le rovine dei quartieri sciiti di Beirut sud (seguito da un'auto non richiesta con bandiera di Hezbollah). «In quelle macerie ho visto quanto è cresciuta la popolarità dei leader più estremisti», ha detto il ministro giudicando negativa l'offensiva di Israele, Paese al quale ritiene vada garantita comunque «sicurezza».
    Per il resto D'Alema ha lasciato capire ai padroni di casa di non giudicare inopportuno il contatto con la parte di loro in conflitto con lo Stato ebraico. «Abbiamo fatto colazione con l'intero governo del Libano. È stato molto interessante per noi, e un grande onore», ha riferito proprio il ministro italiano alla stampa, locale e non. In Svizzera o in Svezia sarebbe stata una frase di maniera, protocollare. Nel Paese che ha bisogno di 15mila caschi blu per provare a tenere distanti i razzi di Hezbollah da Israele, non era scontata.
    D'Alema ha fatto presente che per schierare la forza dell'Onu è indispensabile l'invio rapido al Sud dei 15mila soldati libanesi. Ma è lui stesso a sostenere: «In 10 giorni vanno messe nel conto numerose violazioni del cessate il fuoco. Finché ci sono militari stranieri sul suolo del proprio paese c'è un diritto di resistenza riconosciuto anche dall'Onu. Bisogna vedere se poi viene esercitato, e qui sta un'equilibrio delicato...». Delicate erano state le manovre necessarie per far atterrare l'aereo degli apparati dello Stato che ha portato Libano D'Alema e alcuni giornalisti. Discesa a vista, atterraggio in pista ridotta. Benché gran parte della città sia intatta, dalle zone sciite colpite prima del cessate il fuoco scattato alle 7 si alzavano tre nuvole di fumo. Poi, tra le tappe del giro del ministro, una Nabih Berry, sciita che chiese una mediazione all'Italia quando Hezbollah lo indicò come negoziatore sugli israeliani catturati. D'Alema: «Berry ritiene che la questione va trattata direttamente con i gruppi che hanno i prigionieri. Chi ci chiamava a quel ruolo non lo reputa più attuale».



    Che vergogna.

    Shalom

  7. #7
    SENATORE di POL
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Alessandria
    Messaggi
    23,784
     Likes dati
    2
     Like avuti
    10
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Gli ebrei italiani e la sinistra

    di Giorgio Israel

    Testata: Informazione Corretta
    Data: 18 maggio 2007


    L’ebraismo italiano ha rappresentato sempre un fenomeno peculiare nel panorama mondiale dell’ebraismo. Non c’è dubbio che questa peculiarità sia stata dovuta alla presenza della Chiesa Cattolica. Ne costituisce una rappresentazione emblematica la storia e la condizione della comunità ebraica romana. Ciò è stato molto bene descritto da Léon Poliakov nella sua Storia dell’antisemitismo.[1] La comunità ebraica romana è certamente l’unica al mondo che abbia mantenuto una residenza invariata nello stesso luogo, fin dai tempi di Giulio Cesare e abbia conservato una notevole continuità etnica, perpetuandosi mentre era costretta a mantenere scarsissimi contatti con l’esterno. Essa non è mai stata allontanata o scacciata, ma è stata mantenuta in una condizione di segregazione, di avvilimento e di degrado per dare al mondo l’esempio concreto dello stato deplorevole in cui doveva ridursi chi si ostinava a negare la divinità di Gesù Cristo. In conseguenza di ciò, la comunità ebraica romana ha presentato caratteristiche di depressione e impoverimento culturale che hanno pochi confronti. Ben diversa è stata la situazione nel resto dell’Italia, che è stato al contrario il crocevia di interazioni culturali molto feconde. Queste interazioni si sono avute con l’ebraismo spagnolo, già a partire dall’XI secolo e poi molto intensamente dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna, nel 1492, che fece dell’Italia un punto di transito o di nuova residenza dei profughi. Ma si ebbero anche importanti interazioni con l’Europa orientale soprattutto per il tramite delle città di Trieste e Venezia. L’Italia è un paese dove hanno soggiornato e prosperato illustri kabbalisti, come Abraham Abulafià o Moshe Hayim Luzzatto e dove si sono fecondati rapporti tra la Kabbalah ebraica e la Cabala cristiana rappresentata in particolare da Pico della Mirandola. In tal senso, il pensiero ebraico ha dato un significativo contributo allo sviluppo del pensiero rinascimentale.[2]


    Questa varietà e molteplicità di esperienze, il carattere spesso transitorio delle presenze (con la notevole eccezione di Roma) hanno dato luogo a una comunità tanto esigua quanto variegata e poco omogenea. Persino oggi, dopo un secolo e mezzo di unità nazionale, le differenze non sono affatto livellate e le diversità fra le comunità ebraiche di città come Roma, Milano, Torino o Livorno si fanno sentire in modo assai sensibile. Esiste, ad esempio, una diffidenza delle piccole comunità nei confronti delle due maggiori comunità, Roma e Milano, e soprattutto nei confronti di Roma, la cui preponderanza numerica soverchiante è vista quasi come una minaccia.


    La costituzione in Italia di un regno napoleonico, agli inizi dell’Ottocento, che procedette senza indugio ad abbattere le mura dei ghetti e ad introdurre un’emancipazione completa, sul modello francese, spinse gli ebrei italiani a un’adesione rapida e convinta ai principi della democrazia. Ancora una volta il caso di Roma fu peculiare, perché, dopo il ritorno della città sotto il regime papale, le porte dei ghetti furono aperte soltanto nel 1867 con l’annessione della città al Regno d’Italia e la fine definitiva del potere temporale della Chiesa. Comunque, l’esperienza napoleonica, l’atteggiamento aperto della monarchia sabauda e il manifestarsi di una concreta possibilità di integrazione nel nuovo stato nazionale, spinsero gli ebrei italiani verso un processo di assimilazione sempre più marcato. Questo processo ebbe conseguenza l’allentamento dei legami con le radici religiose e culturali ebraiche. Si verificò, per la comunità ebraica italiana, quel processo così bene descritto da Gershom Scholem in relazione al misticismo ebraico: quando, verso la fine del secolo XVIII, gli ebrei dell’Europa occidentale imboccarono con tanta decisione la via della cultura europea, la sfera della religiosità, soprattutto di quella mistica, fu sentita come estranea e perturbatrice, talmente estranea al razionalismo illuminato da dover essere abbandonata il più rapidamente possibile. «Ciò che restava aveva l’aspetto di un campo di macerie, impervio e ricoperto di sterpaglie, in cui solo qua e là apparivano immagini del sacro bizzarre, che offendevano il pensiero razionale».[3]


    Nelle mie ricerche sulla storia della scienza italiana dopo l’unificazione del paese sotto la monarchia sabauda, sono rimasto sempre colpito dal fatto che i tanti scienziati ebrei italiani di primo piano – soprattutto in matematica, in fisica, in biologia, ma anche nel campo delle scienze umane e della filosofia – non manifestassero la minima adesione o attaccamento alle proprie radici ebraiche. Negli scritti e nelle lettere di personalità di grande rilievo come Federigo Enriques, Vito Volterra (il celebre matematico considerato come il massimo rappresentante della scienza italiana, e difatti detto il “Signor Scienza Italiana”), o Tullio Levi-Civita, non ricorre una sola volta la parola “ebreo” o “ebraismo”.[4] La completa ed entusiastica integrazione dell’ebraismo italiano nella società nazionale proseguì anche sotto il regime fascista, almeno fino a che le politiche razziali di quest’ultimo non cominciarono ad assumere dei toni antisemiti. Le prime campagne antisemite scatenate negli anni trenta non sembravano ancora essere condivise da Mussolini e una parte consistente dell’ebraismo italiano coltivò l’illusione che i gruppi che le alimentavano sarebbero restati marginali nel contesto del fascismo. È fuori di dubbio che un cambiamento importante nell’atteggiamento della comunità ebraica italiana si ebbe con la diffusione del sionismo e in relazione ai rapporti altalenanti e poi definitivamente cattivi che la dirigenza del sionismo ebbe con Mussolini. Una parte consistente dell’ebraismo italiano, soprattutto quella più integrata o addirittura legata al fascismo, rifiutò energicamente la prospettiva sionista e riaffermò il suo legame con la nazione. D’altra parte, l’adesione al sionismo di strati significativi dell’ebraismo italiano fu un pretesto per le correnti antisemite del fascismo per mettere sotto accusa gli ebrei in quanto minoranza infedele alla nazione. In definitiva, questo argomento fu fatto proprio da Mussolini quando decise di lanciare una campagna razziale antisemita e di promuovere una legislazione razziale contro gli ebrei. Questa svolta del regime, che avvenne a partire dal 1937 e si concretizzò nelle leggi razziali che iniziarono ad essere promulgate nel 1938, gettò in uno sconforto incredulo gran parte della comunità ebraica italiana. Ne fu simbolo estremo il suicidio dell’editore Formiggini, che era stato fino a quel momento un fascista convinto, e che si gettò dalla torre della Ghirlandina di Modena.


    Ho ricordato rapidamente questi fatti perché segnano un momento di svolta nella coscienza della comunità ebraica italiana e di cui è necessario tener conto per comprendere gli sviluppi che si verificano nella seconda metà del Novecento, fino a quelli più recenti. Si incrina il sentimento di convinta adesione alla prospettiva di integrazione ed assimilazione, la comunità si spacca tra sionisti e antisionisti, fascisti ed antifascisti, e, come conseguenza finale delle leggi razziali, si diffonde un forte sentimento antifascista nell’ebraismo italiano. Coloro che non aderiscono totalmente all’ideale sionista, emigrando in Palestina, trovano un nuovo fondamento di identificazione con la società nazionale negli ideali dell’antifascismo e della democrazia. Si manifesta inoltre, con la ripresa di un sentimento di identità, una certa ripresa dell’interesse per la religione e la cultura ebraica.


    Dal punto di vista politico, l’ebraismo italiano del secondo dopoguerra è prevalentemente schierato con la sinistra. Questo è conseguenza della frattura ormai assoluta con la destra postfascista e della difficoltà di riconoscersi nelle posizioni di un partito come la Democrazia Cristiana, in un periodo in cui le manifestazioni dell’antigiudaismo cattolico non sono affatto spente nella Chiesa e, in generale, nel mondo cattolico. Resta aperto soltanto un possibile rapporto con i partiti della sinistra, tra i quali quelli moderati e non soggetti all’egemonia comunista rappresentano una ristretta minoranza. È indubbio che una parte molto consistente dell’ebraismo italiano, soprattutto nel periodo 1945-1967, si sia riconosciuto nelle posizioni politiche dei partiti comunista e socialista, sia pure con non pochi disagi dovuti alle posizioni ambigue mantenute da questi partiti nei confronti delle politiche antiebraiche perseguite dal regime sovietico, in particolare sotto Stalin. La questione della condizione degli ebrei in Unione Sovietica è stata un motivo di profondo malessere per l’ebraismo italiano e tuttavia non ha impedito un’adesione prevalente ai partiti della sinistra.


    Le cose cambiano in modo sempre più netto a partire dal 1967.[5] L’atteggiamento di forte ostilità nei confronti di Israele assunto dalla sinistra comunista durante la Guerra dei Sei Giorni crea un nuovo malessere e nuove grandi difficoltà. Malgrado questo non può parlarsi di una vera frattura tra l’ebraismo italiano e la sinistra, perché l’aspra critica nei confronti di Israele si mantiene sul terreno essenzialmente politico, anche da parte comunista, e non coinvolge mai una critica del sionismo e mantiene con una certa cura le distanze da ogni discorso relativo agli ebrei o all’ebraismo. Ma le cose cambiano rapidamente negli anni successivi, in particolare con la condanna da parte dell’ONU del sionismo come una “forma di razzismo”, in una mozione che, com’è noto, fu poi annullata. La mancata presa di distanza dalla sinistra da questa mozione, ed anzi il suo sostanziale avvallo, segnano – fin dalla metà degli anni settanta – l’emergere di un discorso che non riguarda più soltanto una critica della politica dello stato di Israele, bensì la natura dell’ideologia fondatrice dello stato ed aprono la strada a un discorso critico e persino polemico sugli ebrei e l’ebraismo e incanalano – sia pure in molti casi senza una cattiva intenzione soggettiva – vecchie tematiche apertamente antisemite. Pesa in tutto ciò la sostanziale disattenzione che la sinistra comunista ha avuto, per parecchi decenni, per la vicenda dello sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale e il silenzio totale sulle politiche razziali del fascismo. In breve, a partire dalla metà degli anni settanta viene alla luce un problema della sinistra con gli ebrei, che si mescola con il problema del sionismo e di Israele, e che apre dolorose fratture e un rapporto molto più tormentato e difficile di quanto era stato fino a quel momento. Tuttavia, può ben dirsi che l’adesione dell’ebraismo italiano agli ideali dell’antifascismo – che vengono spesso sommariamente identificati con con gli ideali della sinistra, o addirittura del comunismo – non viene meno e si mantiene maggioritaria. Ancora negli anni novanta, la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Tullia Zevi, sintetizza questa situazione con un’espressione clamorosa: “gli ebrei hanno i cromosomi di sinistra”. Ma, sia pur lentamente, il rapporto tra ebraismo italiano e sinistra conosce nel corso di un trentennio un progressivo declino che conduce agli inizi di questo secolo a un vero e proprio ribaltamento, portando le posizioni vicine alle sinistra in minoranza, come è stato sanzionato dal recente congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane svoltosi a Roma nel luglio 2006.


    Le tappe di questa crisi sono rappresentate soprattutto dalla guerra del Libano nel 1982 e dalle fasi più critiche dell’Intifada. Durante la guerra del Libano del 1982, avvenne un episodio molto traumatico: nel corso di un corteo dei tre principali sindacati nazionali, una bara fu deposta davanti al Tempio Maggiore di Roma, e precisamente sotto la lapide che ricorda i deportati nei campi di sterminio nazisti. Malgrado un atto di riparazione e riconciliazione con il Rabbino Capo di Roma, Elio Toaff, da parte della dirigenza sindacale, questo episodio lasciò una traccia molto seria. Inoltre, esso segnò l’inizio di una confusione sempre più marcata tra questione ebraica e questione israeliana nell’ambito della sinistra. La diffusione di stereotipi tipicamente antisemiti – come l’accusa non soltanto ad Israele, ma agli ebrei, di fare oggetto i palestinesi delle stesse persecuzioni che gli ebrei avevano subito da parte dei nazisti – ha avuto corso sempre più largo negli ultimi venticinque anni. Questo fatto si è collegato alla diffusione crescente di tematiche antisemite da parte della propaganda proveniente dal mondo politico arabo e islamico, con cui la sinistra italiana ha sempre intrattenuto stretti rapporti: diffusione dei “Protocolli dei Savi di Sion”, presentati come un testo autentico, insistenza sul tema dei delitti rituali e della profanazione delle ostie, e consimili tematiche tratte dal più classico armamentario dell’antisemitismo religioso e non. Purtroppo, buona parte della sinistra – in particolare quella comunista e post-comunista – ha manifestato una scarsa capacità di filtrare questa propaganda ed anzi, in alcuni casi estremi, se ne è fatta portavoce. Occorre comunque dire che non si sono mai raggiunti livelli di ostilità come in altri paesi, e in particolare in Francia.


    Questi sviluppi hanno condotto a un progressivo distacco di una parte consistente dell’ebraismo italiano dal tradizionale rapporto privilegiato con la sinistra. Questo distacco si è concretamente manifestato anche nello spostamento della più grande comunità italiana, quella di Roma, su posizioni vicine al centro-destra, da almeno cinque anni. Si è dapprima avuto il passaggio del governo della comunità a una maggioranza orientata verso il centro-destra e poi, nelle successive elezioni, ad un governo di coalizione tra centro-destra e centro-sinistra in cui comunque la prima componente è preponderante. Si è inoltre già accennato al fatto che, nel congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, tenutosi a Roma nel luglio 2006, è prevalsa per la prima volta una maggioranza orientata verso il centro-destra, anche se pure in questo caso è stata trovata la via di una gestione unitaria e non conflittuale.


    Questi mutamenti sono stati senza dubbio favoriti dal cambiamento della linea di politica estera verificatosi tra il 2001 e il 2006 da parte del governo presieduto da Silvio Berlusconi, il quale ha seguito la linea più comprensiva delle ragioni di Israele di qualsiasi governo italiana da parecchi decenni a questa parte. La politica estera dei governi italiani, a partire dagli anni settanta – e in particolare da quando si verificò la convergenza politica tra partito democristiano e partito comunista, detta “compromesso storico” – si era costantemente ispirata a un punto di vista fortemente filo-arabo e molto critico nei confronti delle politiche di tutti i governi israeliani, indipendentemente dai loro orientamenti. Il recente avvento del nuovo governo di centro-sinistra presieduto da Romano Prodi ha richiuso la parentesi apertasi nel 2001, riportando la politica estera nel solco della tradizionale linea filo-araba e filo-palestinese. È indubbio che questo sviluppo abbia nuovamente aperto un problema tra una parte maggioritaria dell’ebraismo italiano e la sinistra, a seguito della delusione provocata dallo schierarsi del governo su posizioni molto critiche di Israele, malgrado le promesse reiterate di voler seguire un atteggiamento di amicizia e comprensione.[6]


    Vedono gli ebrei italiani un futuro nel loro paese? Nonostante la diffusione di pregiudizi che vengono veicolati attraverso un atteggiamento “antisionista” e di critica a Israele ma di fatto riprendono i soliti stereotipi antisemiti, la situazione italiana è senza alcun dubbio una delle più tranquille e favorevoli d’Europa. Ben altrimenti difficile è la situazione in Spagna e in Francia. Non a caso, la comunità ebraica francese – la più numerosa d’Europa – conosce un fenomeno di emigrazione verso Israele di notevole rilevanza. In termini assoluti e percentuali si tratta di cifre modeste, ma esse sono assai significative e testimonianza di un profondo malessere, se si tiene conto che stiamo parlando di una comunità profondamente integrata nella realtà nazionale. Nulla del genere accade in Italia, dove l’emigrazione verso Israele riguarda pochissimi casi. Anche le oscillazioni politiche di cui abbiamo parlato non hanno determinato svolte drammatiche di atteggiamento perché, malgrado le tendenze filo-arabe e un inquinamento antisionista-antisemita presente in una parte significativa dell’estrema sinistra o del mondo cattolico di sinistra, esiste una tendenza ad un certo moderatismo nella politica italiana e una fascia consistente di persone molto comprensive delle ragioni di Israele e vigilanti nei confronti del pericolo di un risorgere dell’antisemitismo che è distribuita in tutti i partiti politici. Una maggiore preoccupazione desta la crescita dell’immigrazione islamica, che comporta la presenza di gruppi fortemente ostili a Israele e agli ebrei e che non mancano di manifestare in vari modi questi sentimenti. Il caso più clamoroso, in questo senso, è dato dalla presenza di un organizzazione, l’Unione delle Comunità Islamiche in Italia (Ucoii), nell’ambito della Consulta Islamica creata presso il Ministero degli Affari Interni. Questa organizzazione si è resa responsabile di un proclama, pubblicato con rilievo sulla stampa a sue spese, in cui si tacciava Israele e il sionismo di essere il nuovo nazismo. L’Unione della Comunità Ebraiche Italiane è intervenuta energicamente e si è aperta una grave crisi nella Consulta Islamica che non è stata ancora sanata.


    Si può quindi concludere che non è la situazione specifica del paese a destare le maggiori preoccupazioni della comunità ebraica italiana, malgrado tutti gli aspetti critici che abbiamo messo in luce e le specifiche difficoltà di rapporti con taluni ambienti della sinistra e dell’attuale governo. La maggiori preoccupazioni sono provocate dal contesto internazionale che si è determinato dopo l’11 settembre, dalla gravità della situazione mediorientale e soprattutto dalla connessione che l’integralismo islamico ha stabilito – soprattutto con i discorsi e gli atti del presidente iraniano Ahmadinejad – tra questione mediorientale e questione ebraica, fino alla messa in discussione della verità della Shoah. Si tratta di processi che hanno una portata mondiale e che coinvolgono l’ebraismo mondiale nel suo complesso ed è evidente che la comunità ebraica italiana si sente pienamente coinvolta da questi processi. Tanto più questa preoccupazione è viva in Europa a causa del diffondersi nel continente di un atteggiamento passivo e persino remissivo nei confronti dell’integralismo islamico e da una diffusione marcata di atteggiamenti antiamericani. Situazioni gravissime come quella olandese ed episodi preoccupanti, come quello di cui è stato vittima l’intellettuale francese Redeker che, per aver scritto un articolo critico dell’islam, è costretto a vivere in clandestinità, destano il timore che simili processi degenerativi possano dilagare in tutto il continente, anche in situazioni per ora relativamente tranquille come quella italiana. È una condizione, lo ripeto, che riguarda in generale tutto il continente europeo, e che desta anche nella comunità ebraica italiana un sentimento di malessere e di inquietudine circa le prospettive future.


    Giorgio Israel

    Shalom

  8. #8
    SENATORE di POL
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Alessandria
    Messaggi
    23,784
     Likes dati
    2
     Like avuti
    10
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    dal quotidiano IL GIORNALE del 19 luglio 2007




    Masochismo con Hamas


    di Fiamma Nirenstein

    Cinismo: pensiamo che alla base delle recenti dichiarazioni di D’Alema e di Fassino su Hamas ci sia principalmente questo. Tuttavia, prima di cercare ancora di far ragionare il ministro degli Esteri e quella brava persona che è sempre stata in politica mediorientale Piero Fassino, segretario dei Ds, ci sono due novità che la cronista ha il dovere di raccontare.
    La prima è che D’Alema, nello stesso discorso di San Miniato in cui lunedì ha ribadito l’idea che si debba parlare con Hamas in quanto «forza reale che rappresenta tanta parte del popolo palestinese», si è anche espresso in un modo che rende chi come me si occupa da tanti anni di Medio Oriente un povero reietto. Infatti il ministro ha bollato i giornalisti che hanno scritto della sua passeggiata a braccetto con gli Hezbollah, montando, a suo dire «una campagna», chiamandoli, né più né meno che «dei deficienti». Finalmente sappiamo ciò che siamo. Ma siamo contenti almeno che il titolo abbia valore mondiale, dato che sia la foto della passeggiata che lo stupore che ne è derivato hanno costellato parecchi giornali, in molte lingue, in tutto il mondo. Ma il disprezzo di D’Alema per chi non ammira la sua politica è una sua antica abitudine. «So let it be with Caesar».
    La seconda storia, ed entriamo in argomento, è che un’indagine recentissima della Near East Consulting, compiuta a Gaza in questi giorni, dimostra che il consenso di Hamas è in discesa, mentre quello di Fatah cresce: gli schiaffi della messa in mora internazionale cominciano a fare effetto. Hamas ha ora il 23 per cento dei consensi a fronte del 29 del mese scorso, Fatah è salito dal 31 al 43. Il 66 per cento di quelli che hanno votato per Hamas oggi voterebbe per Fatah. Il margine di errore è valutato al 3 e mezzo per cento. Ismail Haniyeh con il 37 per cento è oggi nettamente sotto Abu Mazen che ha il 63 per cento. Questo significa che le stragi compiute da Hamas dopo le elezioni, la percezione (secondo Jamil Rabah, capo del Near East Consulting) del boicottaggio internazionale di Gaza, i disagi della popolazione, la disapprovazione per il comportamento criminale di Hamas hanno ottenuto quei risultati che D’Alema e anche Fassino, quando ripetono che Hamas è una forza «democraticamente eletta» e quindi indispensabile alla pace, ritengono evidentemente impossibili. La sviolinata su Hamas come forza maggioritaria eletta in libere elezioni, anche evitando ovvi paragoni, per esempio quello con Hitler, è del tutto irrilevante: elezioni e democrazia non sono sinonimi, soprattutto quando la forza eletta dichiara ripetutamente che disprezza il sistema democratico come espressione della cultura blasfema dell’Occidente, e che quindi usa le elezioni come puro veicolo di affermazione. La democrazia è un pacchetto complessivo, che prosegue anche il giorno dopo le elezioni: se una forza «democraticamente» eletta si avvale del consenso elettorale per imporre un regime teocratico e sanguinario, qualcuno mi deve spiegare dove è rintracciabile la sacralità del patto con le forze di minoranza. Inoltre, non è affatto vero, come sostiene D’Alema, che Hamas venga consegnata ad Al Qaida se non ci si parla. Hamas nasce nel ventre di Al Qaida e viceversa, i loro legami sono molteplici e intrinseci, come ha detto anche Abu Mazen, e nel passato ne abbiamo dato conto parecchie volte nei particolari, con le date e i nomi. Infatti, queste due organizzazioni non hanno nessun’altra ragione sociale se non quella religiosa messianica antioccidentale, ovvero la jihad. Non esisterebbero senza. Basta leggere la Carta di Hamas e, se poi non convince perché si pensa che siano tutte chiacchiere, basta dare un’occhiata alle gesta del Movimento, sia sul fronte del terrorismo sia su quello della guerra interna. La mostruosa (ripeto, mostruosa) crudeltà dell’organizzazione descrive pienamente le sue potenzialità politiche. Esiste già, con Hamas, un dialogo che riguarda le questioni indispensabili, quelle degli aiuti umanitari e quelle dello scambio dei prigionieri. Per il resto è semplicemente masochista e persino un po’ folle immaginare come strumento di pace la promozione degli estremisti nel momento in cui tutta l’idea della ricostruzione di un processo di pace mediorientale è basata sulla nuova costruzione della rilevanza dei moderati. Per questo Bush ha proposto la nuova conferenza di pace, per questo vuole conferire all’Autorità di Abu Mazen 190 milioni di dollari, per questo intende fare di questa conferenza un appuntamento che contesti e anzi spinga fuori l’egemonia iraniana, che (ma D’Alema non lo sa?) da Hamas è auspicata e utilizzata, uomini, danaro, armi. Tony Blair non accetterà, nel suo nuovo ruolo, la strategia italiana, George Bush riterrà un attacco diretto alla sua strategia la posizione del nostro ministro degli Esteri. Inoltre, non la accetteranno i nostri figli, cui insegniamo che non uccidere è il primo comandamento, e che poi invitiamo a sedersi con degli assassini patentati.

    Shalom

  9. #9
    SENATORE di POL
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Località
    Alessandria
    Messaggi
    23,784
     Likes dati
    2
     Like avuti
    10
    Mentioned
    1 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Il capo dei terroristi nazi-islamisti di Hamas invoca l'aiuto degli amici europei e in particolare degli italiani guidati dal governo di Romano Prodi:


    notizia ansa:
    "
    HANIYEH: PRODI CI AIUTI, BASTA AGGRESSIONI DA ISRAELE
    "Gli europei in generale e gli italiani in particolare esercitino pressione sugli israeliani per mettere fine alla loro aggressione". E' l'auspicio espresso in un'intervista all'ANSA dal leader di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, nella quale invoca l'aiuto direttamente del premier Roamno Prodi. "Il popolo italiano è sempre stato amico e sostenitore della causa palestinese. Necessitiamo gli aiuti del governo italiano e del primo ministro Romano Prodi per aiutare i palestinesi a recuperare i loro diritti".
    [ http://www.ansa.it/opencms/export/si..._37335691.html ]

    Shalom

 

 

Discussioni Simili

  1. Non riesce la manovra della sinistretta italica contro Frattini
    Di Pieffebi nel forum Centrodestra Italiano
    Risposte: 13
    Ultimo Messaggio: 18-11-04, 21:32
  2. Risposte: 15
    Ultimo Messaggio: 13-09-04, 22:30
  3. La Sinistretta italica e il boia tiranno Fidel Castro...
    Di Pieffebi nel forum Centrodestra Italiano
    Risposte: 8
    Ultimo Messaggio: 26-07-03, 08:59
  4. Tony Blair e la sinistretta italica (l'ala meno massimalista)
    Di Pieffebi nel forum Centrodestra Italiano
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 22-02-03, 20:14
  5. Risposte: 36
    Ultimo Messaggio: 25-12-02, 13:49

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito