Servizi segreti? Sì, ma senza segreti
di Giovanni Calabresi - 7 luglio 2006
Il fiancheggiamento da parte di certe frange della nostra sinistra estrema del comunismo sovietico e dei servizi di oltrecortina durante la guerra fredda, non è reato; al contrario, collaborare con gli Stati Uniti per un'eventuale operazione volta a tutelare la sicurezza nazionale ed internazionale contro il terrorismo islamista, diventa un crimine. Il dossier Mitrokin ci ha raccontato retroscena agghiaccianti relativi al periodo della contrapposizione est-ovest. Abbiamo appreso di fondi sovietici entrati nelle tasche del nostro Partito comunista italiano; di operazioni clandestine orchestrate dai servizi segreti Urss, con la presunta collaborazione di spezzoni del comunismo militante italiano e della creazione di un apparato coperto filosovietico... ma tutto è stato messo a tacere.
Qualora fosse vero che anche solamente una frangia del nostro servizio segreto militare avesse partecipato ad un'operazione clandestina di prelevamento di un probabile terrorista qaedista, sinceramente - con tutto lo sforzo di immaginazione possibile - non si riesce a vedere il reato. O ai servizi segreti gli lasciamo svolgere «servizi segreti» ed eventuali operazioni clandestine, in nome della sicurezza democratica del Paese o, altrimenti, i nostri agenti sul campo, gli analisti e tutti coloro che sono definibili operatori intelligence, che ci stanno a fare? Di sicuro, il tasso di maturità e di civiltà di un Paese, si misura anche sul grado di fiducia che esso nutre nei confronti degli apparati di sicurezza dello stato e sul livello di affidabilità oggettiva degli stessi.
Certo, è vero che in Italia si parla da anni e anni di riforma dei servizi; ed è altrettanto vero che, a differenza di Gran Bretagna e Stati Uniti, tanto per fare un esempio di «grandi tradizioni» nel campo dell'intelligence, l'Italia non riesce a parlare di servizi segreti con naturalezza e mantenendosi nell'alveo della normalità. A partire dagli anni '60, si è incominciato a parlare di deviazione dei servizi in occasione di stragi e vicende di terrorismo nero o rosso; per non parlare del tentativo di «golpe Borghese» a cavallo tra il giallo spionistico e la comica, ma comunque, il sospetto sulle cosiddette «barbe finte» è stato costante e spesso e volentieri strumentale a progetti politici del momento.
Fatto sta, che mille progetti di riforma sono stati presentati ma non ne è passato nemmeno uno. Forse anche perché il tentativo è quello di far passare un'eventuale riforma a botte di maggioranza. E dire che si tratterebbe di stabilire un processo di reclutamento delle risorse umane, in linea con gli altri Stati a democrazia avanzata; di assicurare al personale «i» delle garanzie operative e funzionali delle quali, adesso - basta pensare proprio al «caso Mancini» - i nostri 007 non godono. Quindi, assistiamo ad una situazione paradossale: un servizio segreto dovrebbe agire nella totale trasparenza e senza svolgere operazioni «particolari» neanche in un momento in cui possiamo tranquillamente parlare di «nuova guerra fredda» non più sull'asse est-ovest, ma su quello democrazia-fondamentalismo/terrorismo. Non è accettabile... e una riforma urge.
Anche perché, al di là dell'evidente attacco politico ai vertici del Sismi, delle «singolarità» sono comunque evidenti nella struttura organizzativa dei servizi. Chi vive, o ha vissuto, in ambiente militare sa perfettamente che viene trasferito ad «incarichi speciali», una quota di personale, o in procinto di pensionamento, secondo un meccanismo di gratificazione economica - è noto infatti che nei servizi si guadagna di più che negli altri enti delle FFAA - o secondo il meccanismo del «promoveatur ut amoveatur», ovvero promozione come rimozione. Insomma, all'interno di Forte Braschi si conta un gran numero di «Ufficiali superiori» delle diverse Forze Armate, per lo più dietro le scrivanie.
E, se fosse realmente vero tutto ciò che racconta il Corriere della Sera di questi giorni, vi sarebbe comunque da preoccuparsi del fatto che un Brigadiere dei Carabinieri sia al comando di un dipartimento del Sismi. Praticamente un brigadiere facente funzione di un colonnello o di un generale e con tanto di «scodazzo» e di corrente organizzata interna. Quindi, al di là della vicenda «Abu Omar» qualcosina di strano ci potrebbe anche essere. Poi, è ovvio che quando si parla di Servizi, bisogna andarci cauti con giudizi affrettati e «condanne», però, si registra che, dopo i primi anni '90, in cui fu interrotto il reclutamento a chiamata diretta dall'esterno del personale intelligence, l'organizzazione interna si è coperta sempre più di un alone di ambiguità. In Gran Bretagna, in questi anni, si stanno operando nel settore «i» nuove assunzioni con trasparenza ed il Sis, meglio conosciuto come Mi6 è il fiore all'occhiello di Sua Maestà.
Efficienza, trasparenza, professionalità e sicurezza. Una comunità intelligence con una storia onorata alle spalle. Poi, anche lì, vi sono stati dei problemi. Proprio in questi giorni si sono scoperti dei tentativi di infiltrazione nell'Mi5, il servizio segreto interno inglese, da parte di personale qaedista, grazie al meccanismo «aperto» di reclutamento; ma i controlli incrociati sui nuovi assunti, ha scoperto il gioco e ha portato a «proficui» arresti. A casa nostra, dopo la vicenda Calipari che stava restituendo ai Servizi la giusta positiva ribalta, siamo nuovamente ai presunti scandali, con un brigadiere - sicuramente in gamba, ma pur sempre un semplice brigadiere - che fa il generale e con tanti generali ridotti a brigadieri. Singolare no?
Giovanni Calabresi