Oggi si compiono i 553 anni dalla caduta della Città, la Polis: Costantinopoli, augusta e cristiana capitale dell’Impero Bizantino, o Impero Romano d’Oriente, per mano dei turchi guidati dal sultano Maometto II. E’ stato un evento che ha avuto conseguenze nefaste e terribili su tutta la Cristianità. Voglio citare, a questo proposito, dall’opera storica di J. J. Norwich, “Bisanzio”:
“In quell’ultimo lunedì nella storia di Bisanzio [28 maggio 1453] furono dimenticate le liti e i contrasti. Sulle mura ferveva come sempre il lavoro, ma gli altri abitanti si riunirono per invocare tutti insieme l’intercessione divina. Si formò una lunga processione spontanea, che al suono delle campane portò per le vie della città e lungo tutta la cinta muraria le icone più venerate, fermandosi a recitare preghiere speciali nei punti in cui si prevedeva che il giorno dopo il sultano avrebbe concentrato il fuoco dell’artiglieria. L’imperatore [Costantino XI Paleologo] riunì per l’ultima volta i suoi comandanti. Parlò ai suoi sudditi greci. C’erano, disse, quattro grandi cause per le quali valeva la pena morire: la Fede, la Patria, la Famiglia, il Sovrano. Ora dovevano essere pronti a dare la vita per tutte. Lui, da parte sua, era pronto a sacrificare la propria. Quindi, rivolto agli italiani, li ringraziò per quello che avevano fatto con espressioni di affetto e di fiducia. Adesso, disse, essi formavano un solo popolo con i greci: con l’aiuto di Dio avrebbero vinto.
Calò il crepuscolo. Da ogni angolo della città la gente affluiva a Santa Sofia. Negli ultimi cinque mesi i greci l’avevano evitata, ritenendola contaminata dalle usanze latine che nessun bizantino degno del suo nome poteva accettare. Ma ora le differenze liturgiche non contavano più. Santa Sofia era il centro spirituale di Bisanzio, come nessun’altra chiesa avrebbe mai potuto essere. Bisognava raccogliersi a Santa Sofia.
L’ultima celebrazione di vespri nella Chiesa Grande fu anche la più commovente. Chi era di guardia sulle mura rimase al suo posto, ma tutti gli altri, uomini, donne e bambini, si strinsero dentro la chiesa, a comunicarsi e pregare per la liberazione. La funzione non era ancora terminata quando entrò l’imperatore. Chiese perdono per i suoi peccati a tutti i vescovi presenti, cattolici e ortodossi, poi ricevette l’eucaristia. Tutte le candele, tranne quelle perenni, si spensero e Santa Sofia piombò nel buio. Costantino rimase solo, raccolto in preghiera. Poi tornò alle Blacherne [il Palazzo Imperiale] e si congedò dai familiari e dai domestici. Verso mezzanotte, accompagnato da Sphrantzes, percorse a cavallo per l’ultima volta l’intero perimetro delle mura di terra per accertarsi che tutto fosse pronto.
Mehmet diede il segnale dell’attacco all’una e mezzo. Il silenzio fu improvvisamente lacerato: gli squilli di tromba e il rullo dei tamburi, mescolati alle agghiaccianti grida di guerra dei turchi, sollevarono un clamore che avrebbe svegliato anche i morti. Le campane di Costantinopoli presero a suonare a martello, per annunciare alla città che era cominciata la battaglia finale.