DI DAVID R. BAKER
San Francisco Chronicle

Il piano dell'Iran circola su innumerevoli blog

L’Iran ha un piano per distruggere gli Stati Uniti, e non ha niente a che vedere con la bomba. In realtà, la repubblica islamica userà il petrolio e l’euro per distruggere il Grande Satana, come avverte un numero imprecisato di siti internet. L’attacco sarà così strutturato: l’Iran costituirà una borsa petrolifera che opererà in euro invece che in dollari, finora unica valuta usata nel mondo per acquistare il greggio. Gli altri paesi, le cui banche centrali si tengono ben strette le loro riserve di dollari per poter comprare il petrolio, si libereranno in massa di questa valuta. Il valore del dollaro crollerà, e l’economia degli Stati Uniti arriverà al collasso. Il Nuovo Ordine Mondiale voluto dagli statunitensi scomparirà in un turbinio di scambi monetari.

Questa storiella circola sulla rete da mesi, e ovviamente i blogger si scatenano con commenti apocalittici. Persone che si auto-definiscono economisti, si infervorano in dettagliati quanto oscuri dibattiti, e alla fine, come ogni buona storia che circola su internet, la saga della borsa petrolifera iraniana si è animata di vita propria, e si è diffusa come un virus.

Si è insinuata profondamente nel web, quel non-luogo dove regnano incontrastati i teorici della cospirazione: gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq perché Saddam Hussein aveva iniziato a commerciare petrolio in euro. Faremo la stessa cosa all’Iran, e per la stessa ragione. La disputa sul programma nucleare di Teheran? Soltanto una cortina di fumo per nascondere il vero intento degli USA: stroncare sul nascere la borsa iraniana.

La storia contiene un fondo di verità. L’Iran vuole davvero istituire una borsa petrolifera. Il paese, ricchissimo di petrolio, accarezza l’idea da anni, sia pure a fasi alterne. Questa borsa andrebbe a contrapporsi al NYMEX [1] e all’IPE [2] di Londra, i due centri mondiali del commercio petrolifero.

Ma è tutt’altro che scontato che il progetto decolli, e anche se ciò accadesse, gran parte degli economisti ritiene che non costituirebbe una minaccia per gli Stati Uniti.

Innanzitutto, per mettere in piedi una borsa, l’Iran ha bisogno della collaborazione degli stati produttori di petrolio suoi vicini, e con molti di essi le relazioni sono piuttosto tese.

“Io non credo che gli iraniani si azzarderebbero a procedere senza un accordo con l’Arabia Saudita”, dice Chris Cook, ex direttore dell’IPE che per primo ha suggerito agli Iraniani l’idea di una borsa del petrolio. A suo parere, probabilmente la borsa inizierebbe la propria attività con la vendita di prodotti chimici derivati dal petrolio, per poi passare al greggio in un secondo momento, dopo un eventuale accordo con gli altri paesi produttori di petrolio del Golfo.

“L’idea dell’Iran, a medio o a lungo termine, sarebbe quella di entrare nel commercio del greggio”, continua Cook “ma sappiamo quanto sia delicata la questione”.

Inoltre, spostare gli affari da New York e Londra alla repubblica teocratica dell’Iran potrebbe rivelarsi difficoltoso. All’Iran mancano molti degli elementi indispensabili a far sì che una borsa petrolifera abbia successo, inclusi stretti legami con istituzioni finanziarie internazionali, operatori di borsa, economisti e tecnici informatici.

“Non si può fondare una borsa petrolifera ad Omaha”, dice John Taylor, docente alla Stanford University ed ex sottosegretario del Tesoro agli affari esteri. Riferendosi all’Iran, aggiunge: “E’ fattibile, ma in questo caso particolare sembra decisamente difficile”.

Molti economisti considerano irragionevole l’ipotesi che un’eventuale borsa iraniana possa distruggere il dollaro. Sostengono che le valute possono facilmente essere scambiate sui mercati internazionali, e che non c’è bisogno di avere enormi riserve di banconote per poter comprare petrolio. I paesi conservano o vendono dollari per molte altre ragioni oltre al commercio del petrolio.

“C’è differenza fra la moneta di fatturazione e la moneta che di fatto la gente vuole possedere”, dice Richard Lyons, preside della Haas School of Business di Berkeley.

Gli scettici considerano la storia della borsa iraniana un classico esempio di come una discussione su internet può diffondersi senza freni. In quella gigantesca cassa di risonanza che è il Web, una storia che normalmente interesserebbe solo un ristretto gruppo di finanzieri e petrolieri si è trasformata nell’Armageddon. Perfino i suoi elementi più congetturali vengono presi come fatti assodati, almeno da qualcuno.

“Ha avuto 20.000 contatti su Google, quindi ci deve essere qualcosa di vero”, dice Geoffrey Bowker, direttore del Centro Studi sulla Scienza, Tecnologia e Società dell’Università di Santa Clara. “E’ quello che un tempo succedeva a scuola durante la ricreazione, quando si diffondeva un pettegolezzo, ed entro un’ora era diventato realtà”.

A gennaio, un articolo di Krassimir Petrov, comparso su numerosi siti web, ha fornito la versione più completa della storia della borsa.

Petrov, professore di economia all’Università Americana in Bulgaria, sostiene che il valore del dollaro è fortemente legato al petrolio, proprio come un tempo era legato all’oro. Il dollaro è diventato la moneta dominante nel mondo perché tutte le nazioni hanno bisogno di comprare petrolio. Se si iniziasse a commerciare il petrolio in un’altra valuta, questa posizione dominante avrebbe fine, portando via agli Stati Uniti gran parte del loro potere internazionale.

Scrive Petrov: “Il governo iraniano ha infine sviluppato l’arma ‘ nucleare’ definitiva in grado di distruggere rapidamente il sistema finanziario che costituisce le fondamenta dell’Impero Americano”.

Petrov afferma che, come risposta, gli Stati Uniti hanno a disposizione un limitato numero di opzioni, fra cui sabotare la borsa con attacchi informatici, farla saltare in aria, negoziare con gli Iraniani, dichiarare loro guerra totale o organizzare un colpo di stato.

“Qualunque sia la strategia scelta, da un punto di vista strettamente economico, se la Borsa Petrolifera Iraniana dovesse decollare, verrebbe appoggiata con entusiasmo dalle maggiori potenze economiche, e decreterebbe il crollo definitivo del dollaro”, scrive Petrov.

Per usare un eufemismo, non è un’analisi molto approfondita.

Molta gente non crede che i commercianti di petrolio internazionali, ora sprofondati nelle loro confortevoli poltrone a New York o Londra, siano impazienti di stabilirsi in Iran. Queste persone e le loro società potrebbero non essere così entusiaste di entrare in affari con un paese noto per il suo governo evanescente, per la sua rigida applicazione della legge coranica e per la sua ostilità nei confronti dell’occidente.

Sebbene Teheran possegga un suo attivo mercato azionario, non è un fulcro della finanza internazionale, né è il luogo prescelto per la locazione della borsa, che è invece una piccola isola nel Golfo Persico di nome Kish.

Inoltre la Borsa dell’Iran dovrebbe fronteggiare una concorrenza accanita a pochi chilometri da casa. Il NYMEX fa parte di una joint venture che progetta l’apertura di una borsa petrolifera in Dubai. Questo paese cresce ad una velocità impressionante, e da anni mira a diventare il principale centro finanziario della regione, nonostante le sue riserve di petrolio siano relativamente modeste. La Dubai Mercantile Exchange dovrebbe aprire nell’ultimo trimestre di quest’anno, e commercerà in dollari.

Note del traduttore:

[1] New York Mercantile Exchange = Il Mercato di New York specializzato in petrolio e prodotti energetici.

[2]International Petroleum Exchange = Borsa Petrolifera Internazionale.

David R Baker
Fonte: http://sfgate.com/