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    Dal partito popolare al partito conservatore europeo

    di Mario Caciagli


    Il Partito Popolare Europeo, «federazione dei partiti democristiani europei», come ancora si definisce, è stato fondato nel 1976 in vista delle prime elezioni del Parlamento europeo, quelle del 1979. Il PPE conta attualmente – il dato ultimo è del luglio 2002 – 52 membri, dei quali 24 effettivi, 18 associati e 10 osservatori. I membri effettivi sono i partiti dei 15 Stati dell’Unione europea; gli altri partiti sono associati o osservatori, indipendentemente dal fatto che gli Stati ai quali appartengono siano o meno candidati ad entrare nell’Unione europea. Fra i partiti dell’Unione uno è diventato da effettivo a osservatore negli ultimi due anni: si tratta della Südtiroler Volkspartei, che forse ha preso le distanze dal PPE contando sulla formazione di una federazione dei partiti etno-nazionalisti che potrebbe non tardare a costituirsi.

    Il Partito Popolare Europeo, «federazione dei partiti democristiani europei», come ancora si definisce, è stato fondato nel 1976 in vista delle prime elezioni del Parlamento europeo, quelle del 1979. Il PPE conta attualmente – il dato ultimo è del luglio 2002 – 52 membri, dei quali 24 effettivi, 18 associati e 10 osservatori. I membri effettivi sono i partiti dei 15 Stati dell’Unione europea; gli altri partiti sono associati o osservatori, indipendentemente dal fatto che gli Stati ai quali appartengono siano o meno candidati ad entrare nell’Unione europea. Fra i partiti dell’Unione uno è diventato da effettivo a osservatore negli ultimi due anni: si tratta della Südtiroler Volkspartei, che forse ha preso le distanze dal PPE contando sulla formazione di una federazione dei partiti etno-nazionalisti che potrebbe non tardare a costituirsi. Se molti paesi sono rappresentati da un solo partito, l’Italia risultava rappresentata nel luglio 2002 da ben cinque: Forza Italia, PPI, Udeur, CDU e CCD, questi ultimi evidentemente ancora separati in quel contesto.

    Un Gruppo parlamentare europeo, invece, era stato fondato addirittura nel 1953 in seno all’Assemblea della prima Comunità, quella del carbone e dell’acciaio (CECA) e recava la denominazione di «Gruppo democratico cristiano». Cambiò nome in «Gruppo del Partito Popolare Europeo» dopo le elezioni del 1979. Lo ha cambiato di nuovo nel luglio del 1999, all’indomani dell’ultima consultazione, ribattezzandosi «Gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico-cristiano) e Democratici Europei». Questo avvicendarsi di nomi, con l’attuale soluzione che si è stati costretti a trova re, è rivelatore di un’evoluzione politica, di ideologia e di programmi, molto evidente rispetto al nucleo fondatore, quello che si vantava di essere «democratico» e «cristiano». Se al PPE hanno aderito nel corso degli anni, come ricorderò più avanti, partiti di origine non democratico-cristiana, il Gruppo di Strasburgo ha assunto quel nome perché ne ha accolti altri ancora, primo fra tutti per numero di deputati e per peso politico, il Partito conservatore britannico.

    Un’analisi del PPE non può non fare riferimento al Gruppo parlamentare e non solo perché esso fornisce un’ulteriore prova di come siano andati cambiando i democratici cristiani europei. I rapporti fra i due soggetti politici sono infatti molto stretti, spesso intrecciandosi negli atti e nelle persone e confondendo i relativi confini. Il Gruppo, che pur aggrega formalmente deputati e non partiti, è importante perché tiene i contatti più stretti con i politici dei partiti associati e osservatori grazie alle risorse di cui dispone. Quel che vale di più è che il Gruppo opera, nei limiti che gli attuali assetti istituzionali dell’Unione consentono alle forze parlamentari, nelle sedi ufficiali del potere comunitario. Infine, il Gruppo è divenuto, dopo il voto del 1999, il più forte dell’assemblea di Strasburgo, scavalcando quello del Partito Socialista Europeo, con 224 seggi contro i 180 (nella legislatura precedente il rapporto era di 214 a 201 a favore dei socialisti). Per raggiungere questo ambito traguardo ci sono volute anche le scelte del PPE, a riprova dei mutui rapporti con il Gruppo. La scelta più importante al fine di far crescere il numero dei seggi a Strasburgo – rivelatasi poi non decisiva, visti gli ottimi risultati elettorali conseguiti in quasi tutti i paesi europei – era stata quella di accogliere nel 2000 Forza Italia. Su questo passaggio, significativo non solo per i casi italiani, tornerò più avanti. Ma è forse il caso di fare un passo indietro e ripercorrere gli antecedenti e le tappe più importanti della vicenda del PPE.

    La maggior parte dei partiti di ispirazione democratica e cristiana nacque negli anni Venti, anche se non tutti sopravvissero all’età delle dittature e alla seconda guerra mondiale. Nel secondo dopoguerra i nuovi o i superstiti con nome antico o con nome nuovo, erano destinati a diventare i protagonisti dei sistemi dei principali Stati dell’Europa occidentale. Non solo, ma anche ad essere gli artefici della costruzione della Comunità europea, se è vero che ad essa contribuirono in prima persona tre grandi politici democristiani, il francese Robert Schumann, l’italiano Alcide De Gasperi e il tedesco Konrad Adenauer. Quest’ultimo, d’altronde, durante un congresso che i democratici cristiani europei avevano tenuto nel 1932 a Colonia, città della quale egli era sindaco, aveva già parlato di necessità della «cooperazione fra le nazioni europee per arrivare a un mercato comune». Nel 1947 i rappresentanti dei partiti democratici cristiani si ritrovarono a Chaudfontaine, nei pressi di Liegi, per fondare la loro associazione, alla quale dettero il nome di Nouvelles Équipes Internationales. Già a quel tempo non c’era stato infatti accordo sulla denominazione di «Democratici Cristiani», preferendo alcuni quella di «Democratici di Centro». Erano per questa seconda opzione i francesi del MRP, il Mouvement Républicain Populaire, perché paventavano un’ipoteca clericale, quindi, all’epoca, per ragioni di sinistra.

    Dovettero passare quasi venti anni perché nascesse un’altra aggregazione internazionale. Questa assunse un nome che poteva conciliare le distinte esigenze: Unione di Centro Democratico Cristiana. Fondata nel 1965, la UCDC ebbe una struttura organica e si dette programmi comuni. I partiti che contavano erano la tedesca CDU/CSU, l’italiana DC e l’austriaca ÖVP. Mi preme sottolineare che negli anni Settanta, instaurato nei loro Stati un regime democratico, aderirono all’UCDC, la Uniò Demócrata Cristiana (UDC) catalana, il Partido Nacionalista Vasco (PNV) e il Centre Democratico Cristiano (CDC) portoghese. Ebbene, si trattava di partiti autenticamente cattolici, d i versamente dal Partido Popular spagnolo e dal Partido Socialdemocrata (PSD) portoghese che entreranno nel PPE negli anni Novanta. Provocando, ad esempio, l’uscita del PNV, ultracattolico ma contrario a convivere con la destra spagnola.

    Già negli anni Sessanta, infatti, si andava ponendo il problema dei rapporti con i partiti conservatori. Contrari a stabilire rapporti diretti e organici erano i partiti che non solo tenevano alla loro identità confessionale, ma che occupavano una posizione di centro nello spettro dei rispettivi sistemi partitici; favorevole era però il partito più importante, la CDU/CSU, che ha sempre occupato tutto lo spazio di centrodestra del suo sistema e sul fianco di destra dello schieramento non ha mai avuto seri rivali o concorrenti. Quando nacque finalmente il PPE, la questione del nome ritornò a proporsi con i risvolti politico-ideologici che portava con sé. Nel 1976 i nomi in alternativa erano «Partito Democratico Cristiano» e «Centro Democratico». Erano favorevoli al primo coloro che volevano dare al partito un carattere inequivocabilmente democratico-cristiano, cioè gli italiani, gli olandesi e i belgi che si trascinarono dietro tutti i minori; erano favorevoli al secondo, spalleggiati ma non troppo dagli austriaci, soltanto i tedeschi che volevano proporre di entrare nel costituendo partito ai conservatori inglesi e danesi che a loro volta stavano dando vita al Gruppo Democratico.

    La scelta del nome di Partito Popolare Europeo nacque quindi da un compromesso che sottolineava l’ e redità democratico-cristiana, ma manteneva la porta aperta secondo la volontà dei tedeschi. I quali continuarono con insistenza nei due anni seguenti, preparando documenti e proponendo gruppi di lavoro, a sostenere la necessità di trovare comunque forme di collaborazione con tutti i partiti europei «di centrodestra», «non socialisti», «anticollettivisti». È stato detto che in quegli anni la posizione della CDU/CSU si poteva spiegare con il fatto che era stata mandata all’opposizione dalla coalizione di socialisti e liberali, dopo aver governato per due decenni di seguito la Repubblica federale tedesca, e che stesse cercando quindi una rivincita sul piano europeo, disposta per questo ad allearsi con chiunque. Le scelte che la CDU/CSU avrebbe imposto quindici/venti anni dopo smentiscono questa interpretazione e confermano invece una coerente strategia di aggregazione di tutte le forze conservatrici del continente. Nelle prime elezioni europee il PPE ottenne il 32,6% dei voti, sopravanzando i socialisti che ne ottennero solo il 29,3%. Tuttavia i seggi parlamentari dei socialisti furono 112, quelli democristiani 107. In seguito i socialisti sarebbero rimasti sempre il primo partito nel parlamento di Strasburgo, fino, come ho già ricordato, alle elezioni del 1999.

    Con il passare degli anni il PPE, conservando il carattere di partito federato, si è dato alcune solide strutture che gli consentono un’attività costante senza mettere in questione le modalità organizzative dei suoi membri. Come ogni partito tradizionale, il PPE ha una serie di associazioni collaterali che aggregano le seguenti categorie: donne, giovani, studenti universitari, anziani, lavoratori, piccoli e medi imprenditori e rappresentanti di regioni ed enti locali. Come ogni partito tradizionale, tiene un congresso, di solito ogni due anni. Il PPE ha un comitato esecutivo e un ufficio politico, un segretario generale, un vice presidente e un presidente. Il primo presidente fu il belga Leo Tindemans che rimase in carica dal 1976 al 1985; l’olandese Piet Buckman fu il secondo per soli due anni, dal 1985 al 1987; il lussemburghese Jacques Santer il terzo, dal 1987 al 1990. Dal 1990 è presidente del PPE il belga Wilfried Martens. Si tratta, come si vede, di importanti uomini politici dei rispettivi paesi, e tuttavia esponenti di partiti minori: la scelta è dovuta all’intenzione di non far occupare la carica da politici di partiti troppo ingombranti. Non va però trascurato il fatto che attualmente è presidente del potente e ricco Gruppo parlamentare proprio un tedesco, Hans-Gert Pöttering. Quanto al segretario del PPE, questi non dovrebbe essere un politico, ma un tecnico dell’organizzazione; in Italia è divenuto molto noto per il suo dinamismo il penultimo segretario, Alejandro Agag, che aveva stretto rapporti molto amichevoli con Silvio Berlusconi e che ha preparato l’ingresso di Forza Italia nel PPE.

    L’iniziativa politica del PPE si è dispiegata con più vigore e in più direzioni dopo il congresso di Dublino del 1990. Il rilancio della Comunità europea a partire dal 1986, il crollo del sistema sovietico nel 1989 con la conseguente instaurazione di rapporti con i nuovi partiti dell’Est unitamente alla prospettiva di ulteriori allargamenti, la conferenza di Maastricht del 1991, l’ingresso di Austria, Svezia e Finlandia, queste ed altre sfide richiedevano al PPE un impegno di nuove dimensioni. Nel congresso di Dublino fu garantito maggior peso alle rappresentanze dei vari partiti, fu affrontata la stesura di un nuovo programma, fu assunto il compito di rendere irreversibile il processo d’integrazione europea. I passi cruciali compiuti dalla conferenza di Maastricht per accelerare tale processo – con i corollari del rafforzamento della Commissione, della creazione della Banca europea, della creazione del Comitato delle regioni e del consolidamento dei poteri del parlamento – sono stati rivendicati dal PPE come sua conquista, visto che tutti quei punti facevano parte del suo programma.

    Ricordato tutto questo, è utile ripercorrere il cammino compiuto recentemente dal PPE verso la sua trasformazione in un partito conservatore. Tappe rilevanti sono state rappresentate dall’ingresso di nuovi membri, di grande rilievo politico, ma di scarse, se non nulle, tradizioni democratico-cristiane. Nel 1983, due anni dopo l’ingresso della Grecia nella Comunità, fu accolta nel PPE Nea Demokratia che è di certo un partito molto vicino alla Chiesa, quella ortodossa, ma che è anche il partito che occupa nel suo sistema tutto lo spazio di centrodestra. Tutto lo spazio di centrodestra del sistema spagnolo occupa a sua volta il Partido Popular, battezzato come tale nel 1989 dopo essere uscito dalle spoglie della vecchia Alianza Popular, fondata nel 1977 dall’ex ministro franchista Manuel Fraga Iribarne. Il ritiro di Fraga dalla scena nazionale e le capacità di pochi ma abili democristiani spagnoli, primo fra tutti Marcelino Oreja che era, fra l’altro, segretario generale del Consiglio d’Europa, fecero sì che un partito postfranchista si trasformasse in un moderno partito conservatore, presentabile sulla scena europea. E giustificarono nel 1991 l’ingresso a gonfie vele del PP nel PPE. Da allora anche nel sistema dei partiti, come in altre zone focali dello scacchiere europeo, gli spagnoli hanno assunto la parte di partner fra i più attivi e i più influenti.

    Nel 1992 i conservatori inglesi e quelli danesi fecero il loro ingresso nel Gruppo parlamentare, anche se non sono ancora entrati nel partito, com’era e com’è nei voti dei tedeschi. Dopo le elezioni del 1994 fu la volta del PSD portoghese, socialdemocratico di nome ma limpida espressione della destra del suo paese (anch’esso, ormai, senza competitori sul fianco destro) e certamente tutt’altro che confessionale (anche se ha assorbito alcuni dirigenti di partitini cattolici scomparsi). Nello stesso periodo entrarono tre partiti moderati del Nord, il Konservativ Folkeparti danese, il Kokoomus finlandese e il Moderaterna svedese. Nel 2001 sarebbero entrati nel PPE anche i deputati del gollista RPR. Nel 1996 sembrava esser venuto il turno di Forza Italia. Ma l’opposizione durissima degli ex democristiani italiani, in testa il P PI, spalleggiato da belgi, olandesi, irlandesi e greci, impedì che ciò avvenisse. Berlusconi avrebbe dovuto aspettare cinque anni prima di centrare il suo obiettivo, perseguito con comprensibile tenacia al fine di far ottenere al suo partito credibilità internazionale e di farlo consacrare come erede della DC. Artefice principale dell’ingresso di Forza Italia nel PPE è stato Helmut Kohl, di nuovo sulla scena dopo l’infortunio dei fondi neri che nella primavera del 2000 l’ a ve vano addirittura costretto a lasciare la presidenza onoraria del suo partito. Coadiuvato da Martens nell’intento di scavalcare i socialisti, Kohl ave va sollecitato l’adesione dei deputati europei di Forza Italia al Gruppo parlamentare che ave va allungato il suo nome anche per facilitare tale operazione. Nel congresso del PPE del gennaio 2001 a Berlino Fo rza Italia entrò finalmente anche nel partito.

    Il congresso di Berlino fu il trionfo di Kohl e di Berlusconi. Quest’ultimo fu l’unico italiano a parlare dal palco, essendo il leader del partito italiano più grande. Kohl vi tenne il discorso del suo rientro in politica, sia pure come padre nobile di ex allievi poco fedeli e di nuovi discepoli molto improvvisati e sia pure ribadendo la necessità di una ferma identità centrista. Ma se la DC di De Gasperi era «un partito di centro che guarda a sinistra», il PPE di Kohl – e del postfranchista Aznar, e di Berlusconi che sta con il postfascista Fini e con il razzista Bossi, e di Schüssel che a Vienna governato con la FPÖ di Jörg Haider – è nella migliore ipotesi un «partito di centro che guarda a destra».

    Così, nel programma del PPE di oggi l’Europa federale convive con l’Europa degli Stati, l’economia sociale di mercato con il liberismo, gli anatemi sulla bioetica con il riconoscimento delle coppie di fatto (avvenuto proprio a Berlino). Il PPE dovrebbe essere più liberale sul piano dei diritti e più liberista sul piano sociale. Ma i custodi della tradizione democratico-cristiana continuano a sostenere la dottrina sociale della Chiesa, la collocazione centrista nei vari sistemi partitici, la critica del capitalismo selvaggio; la corrente conservatrice, che non fa riferimento, secondo la propria natura, a principi universali, è comunque per l’ordine, i nazionalismi, gli egoismi degli Stati, quindi praticamente contro l’allargamento a Est dell’UE. Le tensioni fra le componenti del PPE sono continuate e continueranno. Il presidente Ma rtens è stato però molto esplicito, quando ha detto a Berlino che il suo è «un partito ormai inserito nel paesaggio politico del centrodestra», anche se – ha accortamente aggiunto – «il centro è molto presente».

    A Berlino ci fu anche una patetica contestazione di giovani militanti dell’Udeur e del PPI contro la svolta conservatrice. In seguito, Castagnetti ha continuato a lamentarsi per la deriva a destra del PPE. PPI e Udeur, insieme a Rinnovamento italiano, sono i due partiti che più hanno sofferto la nuova situazione, ma erano anche quelli più compromessi agli occhi dei conservatori per essersi alleati con i «comunisti». Ora che in Italia c’è la Margherita, il PPI e gli altri potrebbero essere addirittura espulsi, se non decideranno di uscire prima di propria iniziativa. Da qui potrebbe derivare un effetto a cascata: se non interi altri partiti, almeno singoli esponenti nazionali e deputati europei potrebbero scegliere la stessa strada. Ma se i dissidenti uscissero davvero e fossero in molti, il PPE imboccherebbe definitivamente la strada per essere il partito conservatore europeo, per costituire il profilato polo di centrodestra di un bipolarismo europeo ben più netto dell’attuale.

    http://www.italianieuropei.net/content/view/1043/1/
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  2. #2
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    Predefinito Riferimento: ESTERI / Dal partito popolare al partito conservatore europeo

    Articolo ben vecchio

    Oggi i democristi della Margherita son nell'ALDE e il PPE ha perso i conservatori cechi e inglesi, che si apprestano a unirsi all'AEN (compresa la Lega) nel nuovo Gruppo Conservatore Europeo (Movement for a European Reform) !

  3. #3
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    Predefinito Riferimento: ESTERI / Dal partito popolare al partito conservatore europeo

    Citazione Originariamente Scritto da Manfr Visualizza Messaggio
    Articolo ben vecchio

    Oggi i democristi della Margherita son nell'ALDE e il PPE ha perso i conservatori cechi e inglesi, che si apprestano a unirsi all'AEN (compresa la Lega) nel nuovo Gruppo Conservatore Europeo (Movement for a European Reform) !
    E' vero che l'articolo è vecchio. Tuttavia spiega molto bene l'evoluzione storica del Partito Popolare Europeo e la sua progressiva mutazione (ragione per cui l'ho postato).

    I tories se ne vanno, ma loro in Europa non ci sono mai veramente stati. Ci sarà invece il PDL, partito non di estrazione democristiana, con un folto numero di parlamentari. La situazione non cambia a mio parere. Il PPE sarà un gruppo conservatore-moderato europeista, laddove i tories giocoforza finiranno con il confondersi con gli euroscettici. Che dire? Peggio per loro...
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  4. #4
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    Predefinito Riferimento: ESTERI / Dal partito popolare al partito conservatore europeo

    Citazione Originariamente Scritto da Mr. Right Visualizza Messaggio
    i tories giocoforza finiranno con il confondersi con gli euroscettici. Che dire? Peggio per loro...
    non è che "si confondono"... sono euroscettici
    comunque uscendo dal gruppo popolare conteranno sicuramente di meno, il che non può che essere un bene per l'Unione...

 

 

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