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    Predefinito Due italiani rischiano l'ergastolo in Kenya

    Un uomo di 70 anni e sua moglie accusati di traffico di droga. Nessuna prova contro di loro. Probabili vittime di un complotto






    NAIROBI – Alla lettura della sentenza del giudice Aggrey Muchelule, il più alto magistrato della Corte di Nairobi («Ci sono prove contro di voi, vi rinvio a giudizio») Estella Dominga Furuli è scoppiata a piangere, mentre il marito, Angelo Ricci, ha indurito la mascella fino a far scoppiare i muscoli (leggi la loro intervista). I due italiani sono accusati di traffico di droga. Non pochi grammi, ma ben una tonnellata e 141,5 chili di cocaina, per un valore di 76 milioni di euro. Angelo 70 anni, e sua moglie, Estella, 43, da più da 14 mesi sono rinchiusi in una putrida e affollata cella del penitenziario di Nairobi, capitale del Kenya. Il loro avvocato John Kaminwa è furibondo: «Sono scioccato, non c’entrano nulla non c’è una sola prova del loro coinvolgimento in questa storia. Ma poiché si tratta di uno dei più colossali sequestri di droga di tutti i tempi cercano capri espiatori. Ora rischiano l’ergastolo». Uno degli altri 6 imputati, un keniota di origine indiana, Tansukahal Jivanal Thanki, è stato assolto mentre gli altri 5 anch’essi rinviati a giudizio. Michael Billing, il suo avvocato è raggiante ma sottolinea: «Il mio cliente si trova nelle stesse condizioni dei due italiani. Non capisco a diversità di trattamento». All’udienza era presente Peter Njeru , il capo della polizia criminale (il CID, Criminal Investigative Department) che grazie a quest’inchiesta è stato promosso. Alla lettura della sentenza ha tirato un sospiro di sollievo. «Certo, durante il dibattimento lui ha fatto una lunga relazione durata due giorni, ma non ha presentato nessuna prova – aggiunge l’altro avvocato dei due italiani, James Gekonge Mouko -. Il rinvio a giudizio è senza senso».
    TANGENTOPOLI KENYOTA - Qualcuno avanza l’ipotesi che questo processo sia inquinato da infiltrazioni politiche. In Kenya da alcune settimane è cominciata una violentissima campagna di stampa contro la corruzione. Una tangentopoli africana che ha sollevato il coperchio su una decina di casi di malaffare in politica (qualcuno tra l’altro coinvolge italiani) che hanno portato nelle tasche di deputati e ministri decine di milioni di dollari. La continua pubblicazione di documenti e di verbali da parte dei giornali riguarda gli ultimi vent’anni e coinvolge sia il vecchio regime, guidato dal vecchio inossidabile leader Daniel arap Moi (arap vuol dire figlio di), sia il nuovo, entrato in carica nel 2003, dopo le elezioni vinte dall’opposizione, presieduto da Mwai Kibaki. Una campagna che ha già fatto alcune vittime (ministri che si sono dovuti dimettere) tra la classe politica keniota che – come scrive l’organizzazione internazionale specializzata in lotta alla corruzione, Transparency International – «è tra le più corrotte del mondo e si piazza al 122° posto su 133 Paesi esaminati».
    Tra i dimissionati anche il ministro della Sicurezza Nazionale, Chris Murungaru. «Un uomo che – spiega un suo collega deputato, appartenente anch’egli alla maggioranza - si è seduto sullo scranno del parlamento povero e in due anni è diventato miliardario. Un uomo pericoloso, che molti indicano come trafficante d’armi e di droga». L’hanno scorso i governi inglese e americano hanno negato il visto all’ex ministro, che al momento della scoperta del ingente traffico di cocaina sedava ancora al suo posto. Da qui le voci – anche da parte di persone attendibili – insistenti a Nairobi secondo cui dietro al traffico di droga che ha proiettato i Ricci in un allucinante gorgo giudiziario e nelle terrificanti e putride carceri keniote, ci siano grossi papaveri della politica locale. Gente considerata intoccabile, come Murungaru. I due italiani, dunque, sarebbero veramente dei capri espiatori. Altri, molto più implicati nella vicenda, sono stati subito rilasciati.
    LA VICENDA - La confisca della montagna di polvere bianca avviene a Malindi, il 14 dicembre 2004. Ma tutto comincia il 14 settembre 2004. Due europei, accompagnati da un keniota, George Kiragu, piombano sulla costa keniota alla ricerca di una casa in affitto. Si fa avanti un mediatore, Ibrahim Abdalla Omar, arabo keniota. Si offre di contattare Angelo Ricci, che ha a disposizione una villa in zona Casuarina di proprietà di Pompeo Rocchi, imprenditore alberghiero milanese. (tra l’altro con partecipazioni all’Hotel Villa D’Este di Cernobbio e all’Hotel Victoria di Menaggio). Rocchi, che vuole disfarsi di quella villa perché a Malindi è stato rapinato a mano armata, l’ha affidata poco tempo prima a Ricci perchè se ne occupi: vendere o affittare. Il nome di Pompeo Rocchi è risuonato più volte durante le udienze al tribunale di Nairobi. Avvocati e procuratore si sono domandati: «Dov’è? Perché non si è mai fatto vivo? In fondo la casa dove (come vedremo ndr) è stata trovata gran parte della droga è sua? E’ coinvolto anche lui nel grande traffico?».
    Quando Ibrahim telefona a Ricci per avvisarlo che ha per le mani dei clienti, Ricci è in ospedale a Mombasa per accertamenti. Angelo non parla né inglese né swahili e ha difficoltà persino con l’italiano, data la sua pronuncia, in foggiano strettissimo. Se ne occupa la moglie che suggerisce a Ibrahim di rivolgersi al loro factotum a Malindi, Salim Aboud, fino al loro arrivo. Salim si mette d’accordo e affitta la casa: 4 mila euro per sei mesi, la sua commissione e quella di Ibrahim compresa. Ma gli stranieri hanno fretta vogliono entrare subito in quella villa. Estella protesta, non ci sono materassi, occorre aggiustare i bagni, dipingere alcuni muri. Non fa niente, loro vogliono le chiavi. La prima cosa che fanno quando entrano in casa, il 19 settembre, licenziano il giardiniere e la cameriera: «Abbiamo il nostro staff da mettere nella villa», assicurano.
    Angelo Ricci li vede una sola volta e intima a Salim: «Ridagli i soldi. Voglio indietro la villa». Ma Salim protesta: “Ho già speso la commissione e anche Ibrahim si è già fatto fuori la sua». Ricci, suo malgrado accetta, ma fa un errore: non registra alcun contratto. Sarà il punto cardine dell’accusa. «Lui conosceva i trafficanti e ha voluto coprirli», sancisce l’accusa. Ribatte L’avvocato John Kaminwa: «Il giudice Aggrey Muchelule ha preso per buona questa versione e non ha tenuto conto che in Kenya la registrazione dei contratti d’affitto inferiori a sei mesi non è obbligatoria».
    Il 14 dicembre due azioni contemporanee della polizia. La prima a Nairobi, frutta 253 pacchi di cocaina pura per 304 chili, la seconda nella casa di Pompeo Rocchi, a Malindi, 701 sacchetti per 837.5 chili. Totale oltre una tonnellata: un sequestro mastodontico. Quando gli agenti fanno irruzione nella villa italiana non trovano nessuno. Tutti sono fuggiti in gran fretta, lasciando nel cortile un motoscafo Boston Whealer con la chiglia imbottita di droga. Ricci, informato dell’invasione della Narcotici venuta da Nairobi, cerca di precipitarsi a Casuarina. Ma viene fermato da una telefonata di Piero Romeo, un altro italiano, gestore del Savana Resort. «Vieni da me che c’è il capo della polizia criminale», gli dice. Lui dirotta e, invece di presentarsi nella villa affittata, va al Savana. L’ispettore Njeru lo accoglie con le manette tintinnanti. «Perché il giudice è stato così duro. Se io avessi saputo della cocaina dopo che mi avevano avvisato dell’irruzione della polizia non sarei forse fuggito? Addirittura mi avevano detto che nella casa erano state trovate anche armi. E’ per questo che mi sono precipitato laggiù. Volevo sapere cos’era successo».
    «PESCI GROSSI» OLANDESI - I pesci grossi, i registi di questo gigantesco traffico di droga, sei bianchi, due uomini e due donne, con tutta probabilità olandesi, sono sfuggiti dalla rete, precipitandosi in Europa il giorno prima. Chi li ha avvisati, chi ha dato loro la soffiata, costringendoli ad abbandonare un carico così prezioso? Un keniota, George Kiragu, che era il loro factotum locale, è stato arrestato appena sceso all’aeroporto di Amsterdam il 20 dicembre 2004. Le galere olandesi sono sicuramente meglio di quelle keniote. E poi in Olanda per buona condotta, se condannato, potrà uscire dopo 5/6 anni. Nell’ambito della stessa inchiesta, in Olanda sono stati arrestati altri presunti trafficanti legati alla filiera di Malindi: Robertus Johannes Stehman, Hendrik Baptiste Hermanj, Johan Neelen, Arien Gorter and Marinus Hendrik van Wezel. «Se loro dicessero quello che sanno, gli italiani –sostengono con veemenza i loro avvocati – sarebbero immediatamente rilasciati». «E invece – conclude Kamiwa scuotendo la testa – rischiano l’ergastolo

  2. #2
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    Stiano a casa loro e se proprio non possono vadano in paesi di pari cultura o depravazione.

  3. #3
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    è cosa da considerare
    Addio Tomàs
    siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i 5 stelle

 

 

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