User Tag List

Risultati da 1 a 6 di 6
  1. #1
    Forumista senior
    Data Registrazione
    09 Jun 2009
    Messaggi
    4,094
     Likes dati
    0
     Like avuti
    1
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Approfondimenti bibliografici

    Sarei interessato ad approfondire le conoscenze riguardo alcune tra le più eminenti figure del cattolicesimo. In modo particolare, sarò grato a tutti coloro che avranno la gentilezza di aiutarmi a trovare materiale (file o cartaceo) inerente a :

    - Monsignr Benigni
    - Padre Giovanni Maria Sanna Solaro
    - Padre Dehon
    - San Giovanni Crisostomo (in particolare le "Omelie contro gli Ebrei")

    oltre ai succitati, non mi dispiacerebbe rivolgere l'attenzione su Joseph-Marie de Maistre e Juan Donoso Cortés .

    Rinnovo a tutti l'augurio per un anno di felicità da riversare al mondo.

  2. #2
    Gioventù Universitaria
    Data Registrazione
    14 Jun 2005
    Località
    Roma giovuniv.giovani.it
    Messaggi
    1,777
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Omelie contro gli ebrei
    San Giovanni Crisostomo


    S. GIOVANNI CRISOSTOMO
    Giovanni nacque ad Antiochia da una distinta famiglia attorno all'anno 350. Come consuetudine in quel tempo, Giovanni, educato alla fede dalla pia madre Antusa, rimasta vedova all'età di appena 20 anni, ricevette il battesimo in età adulta, nel 372. Era stato istruito nella Sacra Dottrina insieme a Teodoro, poi vescovo di Mopsuestia. Dapprima condusse in casa della stessa madre una vita di austero ascetismo, che proseguì poi per quattro anni sotto la direzione di un vecchio anacoreta, e per altri due da solo in una regione montuosa nei pressi della città. Costretto dalla salute malferma a ritornare in città, vi venne consacrato diacono nel 381 e sacerdote nel 386. Per 12 anni, fino al 387, ebbe l'incarico della predicazione nella cattedrale conquistandosi fama di magnifico oratore.
    Nel 397, alla morte di Nettario, vescovo di Costantinopoli, Giovanni venne eletto suo successore. Di fronte alla ritrosia dell'interessato, l'imperatore lo fece condurre nella capitale con l'astuzia e vi fu consacrato arcivescovo il 26 febbraio 398.
    Il nuovo presule diede subito esempio di grande semplicità e modestia di vita, destinando le sue ricchezza alla fondazione di ospedali e all'aiuto dei poveri. Il suo desiderio di eliminare una quantità di abusi nella vita del clero gli meritò presto l'ostilità di alcuni. Quando in un Sinodo ad Efeso fece deporre alcuni vescovi simoniaci e si attirò, per il suo rigore morale, l'ostilità dell'imperatrice Eudossia, i malcontenti incominciarono ad agitarsi contro di lui, sotto la guida dell'ambizioso Teofilo di Alessandria, la cui Chiesa si trovava in contesa con quella di Costantinopoli. Chiamato nel 402 a Costantinopoli per giustificarsi di varie accuse che gli venivano mosse, il vescovo Teofilo passò al contrattacco gettando tutte le colpe su Giovanni Crisostomo, che fu chiamato in tribunale e quindi dichiarato deposto ed esiliato dall'imperatore. Già all'indomani, però, Giovanni venne richiamato, ma i tumulti e gli intrighi resero difficile la sua vita a Costantinopoli.
    La tensione tra amici ed avversari del vescovo divenne sempre più forte. Fallito il tentativo di farlo deporre da un altro Sinodo, i suoi avversari ottennero dall'imperatore un nuovo decreto di esilio il 9 giugno 404. Giovanni Crisostomo morì il 14 settembre del 407 in una lontana regione del Ponto.
    Il Crisostomo fu anzitutto pastore di anime e predicatore. I suoi contemporanei, e al pari di essi anche le generazioni posteriori, non si stancarono mai di proclamarlo il più grande dei predicatori della Chiesa greca. Pio X lo proclamò patrono dei predicatori cristiani. La sua produzione letteraria oltrepassa quella di tutti gli altri scrittori orientali a noi pervenuta. In Occidente solo Agostino può essergli paragonato. I suoi scritti sono un'inesauribile miniera non solo per i teologi, ma anche per gli archeologi e gli storici della cultura. Quello che conquista nei discorsi del Crisostomo è il loro contenuto e l'efficace esposizione oratoria, che unisce insieme lo spirito cristiano e la venustà ellenica della forma. I suoi sermoni, che duravano a volte anche due ore, non stancano, poiché sono magistralmente ravvivati da immagini e paragoni, si riallacciano negli esordi e nelle conclusioni con eventi contemporanei, e talora sono corredati di digressioni intorno ad argomenti di grande interesse.
    La maggior parte dei suoi discorsi, come in generale delle sue opere, sono omelie, spesso raccolte da stenografi e poi pubblicate.

    Prima Omelia
    1 - Mi propongo oggi di riprendere l’argomento che "non si può comprendere Dio" iniziato precedentemente, illustrandolo con maggiore ampiezza. Domenica scorsa ne ho già parlato a lungo portando le testimonianze di Isaia, Davide e Paolo. "Chi racconterà la sua origine" esclamava il primo (Is. LIII, 8) mentre il secondo rendeva grazie a Dio del fatto di non poterLo comprendere: "Riconoscerò - diceva - che ti sei manifestato in maniera terrificante. Le tue opere sono meravigliose" (Salmo CXXXVIII, 14). E ancora: "La tua scienza è mirabilmente posta al di fuori di me, è straordinaria ed io non sono in grado di raggiungerla" (Ibid., v. 6). Paolo poi, non rivolgeva la sua attenzione all’essenza di Dio ma soltanto alla Sua provvidenza, anzi, non appena ebbe intravisto quella piccola parte che si era manifestata nella vocazione delle genti, come se avesse scorto un vasto ed immenso oceano esclamò: "O abissi delle ricchezze, della sapienza e della scienza di Dio! Imperscrutabili sono i suoi giudizi e insondabili le sue vie!" (Rom. X, 33). Queste testimonianze avrebbero potuto essere sufficienti per la nostra dimostrazione; tuttavia io non mi sono accontentato della testimonianza dei Profeti, non mi sono fermato a quella degli Apostoli, ma sono salito in cielo e vi ho mostrato il coro degli Angeli che cantano: "Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà" (Lc. II, 14). Avete ancora udito i Serafini esclamare a gran voce con meraviglia e terrore: "Santo, Santo, Santo il Signore degli eserciti: tutta la terra è piena della sua gloria" (Is. VI, 3). Ho anche aggiunto le voci dei Cherubini dicenti: Sia benedetta la gloria del Signore nell’alto della sua dimora" (Ezech. III, 12). Tre testimonianze prese sulla terra, altrettante in cielo, vi dimostrano che non è possibile raggiungere la Maestà Divina. La mia dimostrazione è quindi stata indiscutibile, ha ricevuto un grande applauso e l’assemblea si è riscaldata e tutti gli spettatori si sono infiammati. Ed io mi rallegravo non già per le lodi che ricevevo, bensì per tutte quelle che ricoprivano Dio. Infatti questi vostri applausi e queste vostre lodi erano indice dell’amore dei vostri animi per Dio. E come i servitori affezionati ai loro padroni, quando odono qualcuno lodarli si infiammano di affetto per costui a causa dell’amore che portano al padrone, nello stesso modo voi avete manifestato con i vostri applausi l’amore che portate a Dio. Era dunque mia intenzione continuare oggi questa stessa battaglia. Infatti, se i nemici della verità non si stancano mai di insultare i benefattori, tanto più noi dobbiamo desiderare di celebrare in continuazione il Dio dell’Universo. Ma cosa dobbiamo fare? Un altro male estremamente grave necessita delle cure offerte dalla nostra parola, un male riposto nel corpo stesso della Chiesa. Occorre anzitutto guarire questo male, di poi ci occuperemo del male esterno: infatti, ci si deve occupare prima dei familiari, poi degli estranei.
    Che male è questo? Sono ormai imminenti le feste di questi miseri e disgraziati Giudei, feste che si susseguiranno senza interruzione: le Feste delle Trombe, le Feste dei Tabernacoli, i Digiuni. Vi sono molti nei nostri ranghi che dicono di avere i nostri stessi sentimenti, ma poi di essi alcuni assistono allo spettacolo di queste feste, altri vi partecipano e digiunano con i Giudei: io voglio ora estirpare dalla Chiesa questa perversa consuetudine. I nostri discorsi contro gli Anomei potranno aver luogo in un altro momento e questo rinvio non recherà danno, invece se non curiamo i malati colpiti da questo male adesso che le Feste sono alle porte, temo che questa inopportuna abitudine e la loro ignoranza li facciano partecipi della dissolutezza dei Giudei e che più tardi le nostre esortazioni divengano inutili. Se infatti, non udendo nulla oggi, alcuni dei nostri partecipassero al digiuno dei Giudei, una volta commesso il peccato, invano cercheremmo di portarvi rimedio. Per questa ragione mi affretto a occuparmi di ciò. Nello stesso modo si comportano i medici i quali, quando si trovano di fronte alle malattie più acute e gravi, si occupano di curare queste per prime: ma la battaglia presente è strettamente legata a quella precedente. Infatti, dato che l’empietà degli Anomei è molto affine a quella dei Giudei, anche la nostra battaglia odierna si presenta molto simile a quelle precedenti. L’accusa che formulano i Giudei è la stessa che formulano gli Anomei. Qual’è tale accusa? (Gv. V, 18). Il fatto che Cristo dichiarasse che Dio era suo Padre e che si facesse l’eguale di Dio. Questa accusa, anche gli Anomei la formulano, anzi meglio, non la formulano, bensì cancellano la parola di Cristo ed il suo significato, anche se non materialmente ma con la mente e con l’animo.
    2 - Invero non stupitevi se ho definito miseri i Giudei. Infatti sono ben sventurati e disgraziati poiché hanno ricevuto nelle loro mani tanti beni e li hanno ripudiati, ed hanno respinto i tesori che erano loro offerti. È sorto per loro il sole della giustizia ed essi, rifiutati i suoi raggi, stanno nelle tenebre: mentre noi che eravamo nelle tenebre, abbiamo attirato a noi la luce e ci siamo liberati dall’ombra dell’errore. Essi erano i rami della radice sacra (Rom. XI, 16 - 17) ma sono stati spezzati; noi non eravamo parte della radice, eppure abbiamo portato il frutto della pietà. Essi hanno letto i Profeti sin dalla più tenera età ed hanno crocifisso Colui che dai Profeti era stato annunziato. Noi che non avevamo mai udito parlare delle Sacre Scritture, noi abbiamo adorato questo stesso crocifisso. Perciò essi sono miseri, perché hanno respinto i beni che erano loro inviati mentre altri li hanno presi per sé, portandoli loro via. Ma essi, chiamati ad essere adottati come figli, si sono abbassati alla condizione di cani: noi che eravamo nella condizione di cani, con l’aiuto della grazia divina abbiamo potuto spogliarci di questa indole bruta ed elevarci alla dignità di figli. Cosa lo fa manifesto? Cristo ha detto alla donna di Canaan "Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cuccioli" (Mt. XV, 26), designando come figli i Giudei e come cani i gentili. Vedete quindi come l’ordine è stato invertito, i Giudei sono diventati cani e noi figli. "Guardatevi dai cani, dice Paolo, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi dai circoncisi.Siamo noi i circoncisi" (Filipp. III, 2-3). Vedete dunque come quelli che prima erano figli sono caduti nella condizione di cani? Volete sapere in qual modo noi che eravamo nella condizione di cani siamo diventati figli? "Invero, a tutti coloro che lo hanno ricevuto, Egli ha dato il potere di diventare figli di Dio" (Gv. I, 12).
    Nulla è più miserabile di questi Giudei che da ogni parte vanno in senso contrario alla loro salvezza. Quando bisognava osservare la Legge, essi l’hanno calpestata: adesso che la Legge è stata abrogata, con insistenza essi vogliono che sia osservata. Che cosa ci potrebbe essere di più miserabile di costoro che dispiacciono a Dio non soltanto quando trasgrediscono la Legge ma anche quando la osservano? Per questo è detto: "Duri di cervice e incirconcisi di cuore, voi sempre resistete allo Spirito Santo" (Atti VII, 51): non soltanto violando le leggi, ma anche volendole osservare a sproposito. "Duri di cervice": giustamente sono stati chiamati così, perché non hanno voluto portare il giogo di Cristo per quanto dolce e benché non avesse nulla di pesante o di spiacevole. Egli dice: "Imparate da me che sono dolce ed umile di cuore (Mt. I, 29 - 30) e prendete il mio giogo su di voi poiché esso è dolce ed il mio fardello leggero". Essi però non lo sopportavano a causa della loro testardaggine, anzi non soltanto non lo hanno sopportato ma lo hanno rotto e fatto a pezzi. "Sin dall’inizio hai spezzato il tuo giogo, hai rotto i tuoi legami" (Ger. II, 20; V, 5; Sal. II, 3). È un profeta, non Paolo che dice queste parole indicando il giogo ed i legami come segni distintivi del potere: perché i Giudei avevano respinto il potere di Cristo quando avevano detto: "Non abbiamo altro re che Cesare" (Gv. XIX, 15). Avete spezzato il giogo, rotto i legami, vi siete esclusi dal regno dei cieli e vi siete sottomessi al potere dell’uomo. Vorrei che esaminaste con quanta abilità il Profeta ha espresso la sregolatezza del loro animo. Infatti non dice: avete deposto il giogo, bensì: l’avete spezzato, atto proprio della brutalità animale, dei vizi sfrontati che respingono ogni freno e non sopportano alcun potere. Da dove proviene questa loro durezza? Dalla gozzoviglia e dalla intemperanza. Chi lo dice? Mosè stesso. "Israele mangiò ed il popolo diletto ingrassò e si rimpinzò.Si rivoltò" (Deut. XXXII, 15). Come gli animali che si nutrono in ricchi pascoli diventano più ostinati ed indocili e non sopportano più né giogo né freno né la mano dell’auriga, così il popolo giudeo, spinto nell’abisso della malvagità dall’intemperanza e dalla troppa abbondanza materiale ha vissuto licenziosamente e non ha sopportato il giogo di Cristo, né trascinato l’aratro della sua dottrina. È quanto un altro Profeta aveva espresso con le parole: "Israele si comporta da pazzo, come una giovenca eccitata da un tafano" (Osea IV, 16). Un altro definisce questo popolo: vitello non istruito a sopportare il giogo (Ger. III, 18). Animali come quelli, incapaci di lavorare vanno bene per essere sacrificati. Lo stesso è stato per il popolo dei Giudei: essendosi resi da soli incapaci di agire, sono diventati adatti ad essere uccisi. Perciò Cristo ha detto: "Portate qui i miei nemici, quelli che non hanno voluto che io regnassi sopra di loro ed immolateli" (Lc. XIX, 27). È allora, o Giudeo, che dovevi digiunare, quando la tua intemperanza ti stava conducendo a questi mali, quando i tuoi eccessi ti portavano all’empietà, non adesso. Adesso il digiuno è inopportuno ed abominevole. Chi lo dice? Isaia che a gran voce esclama: "Non ho scelto io questo digiuno" (Is. LVIII, 4-5). Perché dice così? "Perché voi digiunate per intentare azioni giudiziarie e liti, e prendete a pugni coloro che stanno sotto di voi".
    Perciò se il tuo digiuno era abominevole quando colpivi i tuoi fratelli, adesso, dopo che hai immolato il Signore, come potrebbe essere bene accetto? Per quale motivo? Colui che digiuna deve mostrarsi contrito, modesto, umile e non in preda alla collera; e tu colpisci i tuoi fratelli? Un tempo digiunavano e al tempo stesso litigavano e intentavano processi; ora digiunano con sfrontatezza ed estrema intemperanza, mentre danzano a piedi nudi nelle piazze col pretesto dell’astinenza; in realtà si comportano come ubriachi. Ascolta come il Profeta vuole che si digiuni: "Santificate il digiuno", dice, non celebratelo con danze. "Predicate la parola; riunite gli anziani" (Gioele I, 14). Ma costoro radunano stuoli di effeminati e portano nella sinagoga una accozzaglia di donne ignobili, il teatro intero, e gli attori: infatti non vi è alcuna differenza tra il teatro e la loro sinagoga. So in verità che ci sono delle persone che mi accuseranno di eccessiva audacia perché ho detto che non vi è differenza tra la Sinagoga e il teatro ma io li accuserò di essere impudenti, se non sono daccordo con me. Condannami se dico queste cose da solo; ma se uso le parole del Profeta allora approva quello che dico.
    3 - So che molti rispettano i Giudei e pensano che i loro riti odierni sono degni di stima; per questo sono incitato a cercare di sradicare completamente tale dannosa opinione. Dissi che nessun teatro val meglio della sinagoga e porterò i profeti a testimoni; i Giudei non sono degni di fede più dei profeti. Dunque uno che dice? "La tua fronte è diventata quella di una prostituta, non vi è più nessuno davanti a cui tu arrossisca" (Ger. III, 3.) Invero il luogo in cui la meretrice si prostituisce, questo è il vero lupanare. Anzi la sinagoga non è soltanto un teatro e un luogo di prostituzione, ma anche una caverna di briganti e un rifugio di belve. Infatti il profeta dice: "La vostra dimora è diventata la tana della iena" (Ger. VII, 11), non semplicemente di una belva ma di una belva impura. E ancora: "Ho lasciato la mia casa, ho abbandonato la mia eredità" (Ger. XII, 7). A colui che ha abbandonato Dio che speranza di salvezza rimane? Se Dio lascia un luogo questo diventa dimora di demoni. Ma dicono di adorare anch’essi il Signore. Lungi da noi il dire questo: nessun giudeo adora Dio. Chi lo dice? Il Figlio di Dio. "Se aveste riconosciuto il Padre mio avreste riconosciuto anche me. Ora voi non avete riconosciuto né me né il Padre" (Gv. VIII, 19). Che testimonianza addurrò più degna di fede di questa? Se non riconobbero il Padre, se crocifissero il Figlio, se respinsero l’assistenza dello Spirito, chi oserà sostenere che la loro sinagoga non è l’asilo dei demoni? No, Dio non vi è adorato, statene lontani. È di conseguenza il luogo dell’idolatria; tuttavia alcuni frequentano tali luoghi come se fossero sacri.
    Ciò che dico non è derivato da una congettura, ma l’ho dedotto dall’esperienza. Tre giorni or sono, credetemi, dico il vero, vidi una donna onesta, libera, di costumi irreprensibili e fedele, costretta da un uomo impuro ed insensato, che si suppone cristiano (in verità udendolo non l’avresti detto un sincero cristiano), costretta dico, a entrare in un tempio degli Ebrei e ivi affermare con giuramento alcunché di relativo ad affari controversi. Siccome implorava aiuto e desiderava ribellarsi a questa scellerata violenza, protestando che avendo preso parte ai divini misteri non le era permesso di entrare in quel luogo, io mi levai infiammato ed ardente di zelo, non sopportando che questa infelice fosse trascinata oltre in tale prevaricazione, e la strappai a questo ingiusto rapimento! Poi domandai a colui che la trascinava se era cristiano: lo confessò. Lo rimproverai energicamente mettendo in risalto la sua stupidità ed infinita follia; gli dissi che non valeva più di un asino colui che, pretendendo di adorare Cristo, trascinava un fratello nelle spelonche dei Giudei, che proprio Cristo avevano crocefisso. Proseguendo nel discorso gli insegnai per prima cosa che, come afferma il Vangelo, non è mai permesso giurare o esigere da altri un giuramento; inoltre, un fedele cristiano, ma anche chi non lo fosse, non deve mai esser spinto a tale necessità. Quando, dopo lunghe considerazioni, ebbi liberata la sua anima da tali errori, gli domandai per quale motivo avesse lasciata la Chiesa e volesse portare la donna alle riunioni dei Giudei. Mi rispose che molte persone gli avevano detto che un giuramento fatto lì, incuteva molto più timore. A tali parole gemetti profondamente, poi mi infiammai di collera ed in ultimo non potei impedirmi di ridere. Gemetti infatti, vedendo l’astuzia del diavolo che riusciva a persuadere gli uomini a fare ciò; m’infiammai poi di furore, considerando l’indolenza di coloro che sono tratti in inganno; infine risi, considerando fra di me l’inconcepibile follia degli stessi.
    Vi dissi e vi narrai tutto ciò perché mostrate un animo completamente privo d’umanità e non provate pena per coloro che tentano e fanno tali cose; se vedete un vostro fratello cadere in questo peccato ne deducete che la disgrazia non è vostra, ma di altri. Se poi siete accusati, vi stimate assolti dicendo: "Che mi importa? Che cosa ho in comune con costui?". Queste parole suonano come odio mortale e satanica crudeltà verso gli uomini. Ma che dici? Poiché sei un uomo, partecipi della sua stessa natura; anzi, se dobbiamo parlare di comunione della natura, il cui capo è Cristo, osi dire che non hai nulla in comune con gli altri membri? Dunque in che modo confessi Cristo come Capo della Chiesa? Giacché il capo per sua natura congiunge tutte le membra, le coordina e con cura le volge a sé. Se non hai nulla in comune con chi è membro del tuo stesso corpo, allora non hai nulla in comune con tuo fratello, né hai Cristo come capo. I Giudei vi spaventano come foste fanciullini e non ve ne accorgete. Poiché come dei servi malvagi mostrano ai bambini delle maschere orribili e ridicole, che per loro natura non sono terrificanti ma sembrano tali alle anime semplici, e fanno fare grandi risate, così i Giudei atterriscono i cristiani ignoranti con i loro fantasmi. Come possono far paura quei riti giudaici pieni di onta e di derisione, propri di uomini respinti con ignominia e ripudiati dalla giustizia divina?
    4 - Non sono così le nostre chiese, ma sono realmente terribili e incutono una santa paura. Infatti dove vi è il Dio che ha potere di vita e di morte, quello è un luogo terribile: là dove si pronunciano innumerevoli sermoni sulle pene eterne, sui fiumi di fuoco, sul verme velenoso, sui ceppi che non si possono rompere, sulle tenebre esteriori. I Giudei in verità non conoscono neppure in sogno queste verità, dediti come sono al ventre, agognando i beni presenti, per nulla migliori dei porci e dei caproni quanto a lascivia e ubriachezza. E soltanto questo conoscono: servire il ventre, essere ebbri, battersi per dei saltinbanchi, ferirsi a causa dei guidatori di cocchi. Forse che queste cose sono gravi e terribili? Chi lo ha detto? Come possono sembrarvi terribili, a meno che non si dica che degli schiavi noti per la loro ignominia, che non hanno libertà di parola e che fuggirono dalla casa del padrone, sono terribili per gli uomini onorati e liberi? Ma veramente queste cose non stanno così, non stanno così assolutamente. Un’osteria infatti è meno rispettabile delle corte del re, e la Sinagoga è ancora meno onorabile di qualunque osteria. Infatti non è semplicemente l’abitazione dei ladri o dei tavernieri, è l’abitazione dei demoni; anzi non solo la Sinagoga, ma le stesse anime dei giudei. Il che tenterò di dimostrare nell’epilogo dell’omelia. Vi prego pertanto di ricordare l’essenziale di questa questione. Infatti non per esibizione, né per applausi parliamo, ma per curare le vostre anime. Perché quale scusa vi resta se in così grande abbondanza di medici molti sono ammalati? Dodici erano gli Apostoli e convertirono il mondo; la maggior parte della città è cristiana, e ancora qualcuno è tormentato dal male del giudaismo. E noi che siamo sani quale scusa useremo? Certo i malati sono colpevoli, ma neppure noi manchiamo di colpa perché li lasciamo al loro male. Se godessero delle nostre attente cure, difficilmente continuerebbero ad essere infermi. Per la qual cosa vi premetto fin d’ora: ognuno attiri a sé un fratello, anche se è necessario opporsi, anche se si debba farlo con la forza, anche con contumelie e dispute: smuovete la pietra perché si liberi dal laccio del diavolo e rompa il legame con coloro che consegnarono Cristo perché fosse messo a morte.
    Se vedessi nella piazza qualcuno condotto al supplizio, giustamente condannato, e tu potessi strapparlo dalle mani del carnefice, forse che non faresti quanto puoi per portarlo via? Ora vedendo un tuo fratello trascinato ingiustamente e contro il volere divino, non dal carnefice, ma dal diavolo nel baratro della perdizione, ti rifiuti di fare lo sforzo col quale lo libereresti dal legame dell’iniquità. E come potrai essere degno di indulgenza? "Ma è più forte e robusto di me", voi dite. Ebbene mostratemelo: se ostinatamente rimarrà nel suo proposito, affronterò un pericolo mortale piuttosto che sopportare che egli entri nel vestibolo del tempio. Infatti cosa hai in comune con la libera e celeste Gerusalemme, o cristiano giudaizzante? Hai preferito la Gerusalemme terrestre. Sii schiavo con lei: infatti essa è schiava con i suoi figli, come dicono le parole dell’Apostolo (Gal. IV, 25). Digiuni con i giudei? Allora togliti con loro anche le scarpe e a piedi nudi cammina sulla pubblica piazza, partecipe dei loro comportamenti indecorosi e ridicoli. Ma tu non oseresti fare questi gesti, ti vergogneresti e arrossiresti. Certo è vergognoso comportarsi come loro, al contrario non arrossisci ad essere compagno della loro empietà. Che indulgenza chiederai se sei cristiano a metà? Credetemi, metterò in pericolo la mia vita prima di abbandonare qualcuno oppresso da questo male, se ne verrò a conoscenza! Altrimenti, se non ne verrò a conoscenza, che Dio lo perdoni! Ognuno di voi ripeta a sé stesso queste riflessioni e non stimi ciò cosa da poco e da farsi occasionalmente. Non siete stati attenti a quanto dice ad alta voce il Diacono nei Sacri Misteri? "Riconoscetevi gli uni gli altri" dandovi la facoltà di scoprire con diligenza i fratelli. Fate la stessa cosa con i giudaizzanti. Se conoscerai qualcuno che è favorevole ai Giudei, fermalo, denuncialo, affinchè tu non sia esposto allo stesso pericolo. Infatti negli accampamenti militari, se un soldato è scoperto come complice dei barbari o dei persiani, non mette in pericolo soltanto la sua vita, ma anche quella di chi, conscio di ciò, non ne informa il comandante dell’esercito. Allora siccome voi siete l’esercito di Cristo, ricercate diligentemente e accuratamente se mai qualche straniero si è mescolato a voi, e riferitene il nome, non perché lo si uccida (come avrebbero fatto quelli), né per infliggergli un castigo o un supplizio, ma perché si possa liberarlo dall’errore e dall’empietà e ricondurlo a noi pentito.
    Se non vorrete fare questo, se scientemente lo nasconderete, anche voi, lo sapete bene, subirete la stessa pena esattamente come lui. Paolo infatti punisce con pena e castigo non solo coloro che compiono azioni malvagie, ma anche coloro che li approvano (Rom. I, 32). E pure il Profeta condanna alla stessa pena e per la stessa colpa non soltanto i ladri, ma anche quelli che fuggono con loro (Salmo IL, 18). Perché veramente colui che, consapevole, nasconde e protegge la colpa di un altro, favorisce la sua viltà e gli dà maggior sicurezza nel commettere il male.
    5 - Ma torniamo di nuovo ai malati. Riflettete dunque con chi hanno rapporto coloro che digiunano adesso: con quelli che gridarono: "Crocifiggetelo, Crocifiggetelo", con coloro che dicevano "Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli" (Mt. XXVII, 23-25). Se fossero dei rei condannati per aver aspirato alla tirannide, osereste avvicinarvi e conversare con loro? Non lo credo. Non è allora assurdo fuggire con tanta cura quelli che peccarono contro l’uomo, e invece stringere rapporti con quelli che oltraggiarono Dio stesso? E adorando il Crocifisso, far festa con quelli che lo inchiodarono alla croce? Questa non è soltanto stupidità, ma estrema pazzia. Inoltre poiché alcuni giudicano che la Sinagoga è un luogo venerabile, è necessario fare alcune considerazioni contro di loro. Perché venerare quel luogo che si deve disprezzare e considerare abominevole, e da cui si deve stare lontani? Tu rispondi: "La legge e i libri profetici sono qui riposti". Cosa vuol dire? Forse che i libri conferiscono santità al luogo in cui si trovano? Giammai! Io, in verità, provo odio e avversione verso la Sinagoga. Infatti hanno i profeti e non vi credono; leggono i testi sacri e non ne accettano la testimonianza, il che è oltremodo offensivo. Ora vi chiedo: se vedeste un uomo venerabile ed illustre entrare in una bettola o in una spelonca di briganti e poi sopportare contumelie, insulti ed i peggiori maltrattamenti, forse che trovereste degne di ammirazione la bettola o la spelonca perché quell’uomo grande e illustre vi entrò e lì fu maltrattato?
    Uguale è il giudizio sulla Sinagoga. Infatti han preso con sé Mosè e i Profeti ma non per onorarli bensì per trattarli con infamia e disprezzo, negando che essi abbiano conosciuto Cristo e che abbiano detto qualcosa della sua venuta. Qual maggiore oltraggio potrebbero fare a quei santi accusandoli di aver ignorato il loro stesso Dio e affermando che sono stati loro compagni nell’empietà? Per questo motivo odiamo ancora di più la Sinagoga e i Giudei, perché trattano con furore i Profeti. Ma perché parlo di libri e di luoghi? Nel tempo delle persecuzioni i carnefici afferrano i martiri, lacerano e dilaniano con la frusta i loro corpi: diverranno dunque sante le mani di quelli che toccarono i corpi dei martiri? Niente di tutto questo. Rimangono empie perché li toccarono con animo empio; e i Giudei, che trattano con ingiuria gli scritti dei santi allo stesso modo dei carnefici, diventeranno per questo venerabili? Forse che questo non sarebbe il massimo della pazzia? Se è impossibile infatti che diventino santi coloro che tennero i corpi dei martiri con empietà, anzi per questo sono ancor più abominevoli, a maggior ragione gli scritti letti con incredulità non potranno mai essere di giovamento a chi li legge. Ci convince della grande empietà dei Giudei il fatto che conservano i libri con l’intento di disprezzarli. La loro colpa non sarebbe tanto grave se non possedessero i libri dei Profeti, e sarebbero meno impuri e abominevoli se non li leggessero; essi non hanno diritto ad alcun perdono, perché possedendo gli araldi della verità resistono con ostilità sia a quelli che alla verità. Perciò la loro colpa è ancor maggiore, perché hanno i Profeti e li trattano ostilmente.Vi incito dunque a fuggirli e ad evitare le loro assemblee; il frequentarle non è di poco danno per i vostri fratelli che sono più deboli, né piccolo pretesto alla superbia dei Giudei. Poiché, se vedessero voi, gli adoratori di Cristo da essi crocifisso, ricercare e rispettare le cerimonie giudaiche, come non dovrebbero pensare che il loro comportamento è ottimo e il vostro di nessun valore, dal momento che voi, che seguite e onorate il Cristo, accorrete da loro che lo combattono? "Se qualcuno, dice l’Apostolo, vedesse te che hai la scienza, seduto a tavola in un tempio di idoli, forse che la coscienza di lui che è debole non lo spingerebbe a mangiare le carni sacrificate agli idoli?" (I Cor. VIII, 10). Ma io dico, se qualcuno vedesse te che hai la scienza, andare alla Sinagoga ed assistere alle feste delle Trombe, forse che la sua coscienza, poiché è debole, non lo porterebbe all’ammirazione per le feste dei Giudei? Colui che cade non sarà punito soltanto per la sua caduta, ma sarà punito perché la cagionò anche ad altri: allo stesso modo colui che si è mostrato fermo non sarà premiato soltanto per la sua virtù ma sarà ammirato perché incitò altri allo zelo. In conclusione: fuggite le assemblee e i luoghi di riunione dei Giudei, e non venerate la Sinagoga per i libri, anzi proprio per questo abbiatela in odio e avversione. Infatti essi fanno ingiuria ai Libri Sacri perché rifiutano di prestarvi fede, e li travisano, rendendoli colpevoli di empietà.
    6 - Ma affinché sappiate che i libri sacri non conferiscono alcuna santità al luogo in cui si trovano, bensì che esso è insozzato dalla condotta di coloro che vi si radunano, vi narrerò una storia del passato. Tolomeo Filadelfo, dopo aver raccolto libri provenienti da ogni parte della terra, avendo appreso che i giudei possedevano scritti che trattavano di Dio e del miglior modo di governo, fece venire degli uomini della Giudea e fece loro tradurre in lingua greca questi testi che poi ripose nel tempio di Serapide. Tolomeo Filadelfo era greco, e da allora fino ad oggi la traduzione dei libri dei profeti è stata ivi conservata. Forse che il tempio di Serapide sarà sacro perché vi si trovano questi scritti? Assolutamente no. Ma i libri possiedono una loro propria santità, che non trasmettono al luogo che li custodisce, a causa dell’empietà delle persone che vi si radunano. Si deve pensare nello stesso modo per quanto riguarda la Sinagoga. Anche se in essa non si trova alcun idolo, tuttavia vi abitano i demoni. E non parlo soltanto di questa Sinagoga qui, parlo anche di quella di Dafne, ove si trova un antro ancora peggiore, denominato antro di Matrona. Ho udito che molti fedeli vi si recano e dormono nelle vicinanze di quel luogo. Ma lungi da me il chiamare costoro fedeli. Il tempio di Matrona e quello di Apollo sono ugualmente impuri; e se qualcuno mi accuserà di eccessiva audacia, io lo accuserò a mia volta di estrema follia.
    Infatti rispondimi, forse che non è impuro il luogo in cui i demoni abitano, anche se non vi si trovano idoli. Dove si radunano gli assassini di Cristo, dove la Croce è scacciata via, dove Dio è bestemmiato, dove il Padre è ignorato, il Figlio ricoperto di ingiurie e la grazia dello Spirito respinta: anzi dove abitano i demoni stessi, forse che non è un luogo ancor più dannoso?
    Là infatti l’empietà è scoperta e bene in vista, e non le sarà facile sedurre o ingannare le persone virtuose ed assennate: qui invece, dicono di adorare Dio, di ripudiare gli idoli, di rispettare e adorare i Profeti, mentre con le loro parole preparano trappole ed irretiscono gli imprudenti ignoranti. Per questa ragione la loro empietà è uguale a quella dei greci, ma i Giudei fanno uso di un’impostura molto più funesta. Infatti anch’essi hanno un altare perfido, non visibile, dove non immolano pecore e vitelli bensì uccidono le anime degli uomini. Insomma, se tu ammiri le abitudini dei Giudei che cosa vi è di comune tra noi? Infatti se le abitudini dei Giudei fossero venerabili e nobili, le nostre sarebbero false; se invece le nostre sono veritiere, ed in realtà lo sono, le loro saranno piene di menzogna. Non parlo delle Scritture Sacre; esse infatti mi hanno condotto come per mano fino a Cristo: parlo dell’empietà e della follia attuale dei Giudei.
    Ma è ora giunto il momento di mostrare che i demoni abitano qui, non soltanto nella Sinagoga, ma negli animi stessi dei Giudei: "Lo spirito immondo - dice Cristo - dopo essere uscito da un uomo si aggira nei luoghi aridi cercando la pace, ma non trovandola esclama: ‘‘Ritornerò nella mia dimora" ed essendovi ritornato, la trova vuota, ben pulita ed ordinata. Allora riparte e prende seco sette altri spiriti più malvagi di lui e li fa entrare e l’ultima condizione dell’uomo sará peggiore della precedente. Cosi sarà anche per questo popolo" (Mt. XII, 43-45) (Lc. XI, 24-26). Vedi come nei loro animi ora dimorano demoni peggiori dei precedenti. E non è una ingiuria! Infatti allora essi peccavano contro i Profeti, oggi insultano lo stesso Signore dei Profeti. E voi dunque, ditemi: vi riunite nello stesso luogo con questi uomini indemoniati, abitati da spiriti immondi, allevati e nutriti nel sangue e nell’assassinio, e non inorridite? Invece di salutarli e anche solo di conversare con loro, non bisognerebbe piuttosto stare lontani come dalla pestilenza e da un’epidemia mortale? Non hanno forse compiuto empietà di ogni genere? Non li condannano forse tutti i profeti in lunghi e numerosi discorsi? Quali fatti tragici, quali esempi di malvagità essi non hanno eclissato con i loro sacrileghi assassinî! Hanno sacrificato ai demoni i loro figli e le loro figlie, hanno abbandonato le leggi naturali, hanno dimenticato i dolori del parto, hanno calpestato l’educazione dei figli, hanno sconvolto dalle fondamenta le leggi della consanguineità e sono stati peggiori di qualsiasi belva (Salmo CV, 37). Infatti frequentemente le belve sacrificano la vita, posponendo la propria salvezza alla difesa dei loro piccoli: costoro invece, senza essere spinti da alcuna necessità, hanno sacrificato i figli con le loro proprie mani, per onorare i nemici della nostra vita, i demoni sacrileghi. Di questo loro comportamento che cosa ci stupisce di più? L’empietà oppure la crudeltà o la loro totale mancanza di umanità? Il fatto che abbiano sacrificato i figli, oppure il fatto che li abbiano immolati ai demoni? Ma non hanno forse superato nella loro smisurata dissolutezza ed insolenza anche le peggiori belve? Udite come si esprime il Profeta a proposito della loro smodata intemperanza: "Si sono trasformati in stalloni, ognuno nitriva alla donna del suo prossimo" (Ger. V, 8). Non ha detto che ognuno desiderava la donna del vicino ma ha chiaramente espresso la follia dei Giudei chiamandola dissolutezza di bruti.
    7 - Che altro vi dirò? Vi parlerò delle loro rapine, della loro avarizia, delle spogliazioni a danno dei poveri, dei furti, delle truffe? Non mi basterebbe una giornata intera. Ma, mi direte, le loro feste hanno in sé qualcosa di nobile e di grandioso. Eppure si sono dimostrate empie. Ascoltate il Profeta, anzi ascoltate Dio stesso, con quanta forza le detesta: "Io odio, bandisco le tue feste" (Amos V, 21). Dio le odia e voi vi partecipate. Egli non ha indicato questa o quella singola festa, bensì assolutamente tutte. Non sapete che Dio odia anche il culto che viene esercitato con cembali, cetra, salterio e altri strumenti? "Allontana da me il suono dei tuoi canti" dice "non ascolterò il suono dei tuoi strumenti" (ibid. V, 22). "Allontana da me" dice Dio, e voi correte ad ascoltare le trombe? Ma questi sacrifici e queste offerte non sono forse odiose? "Se mi offrirete fior di farina lo farete invano. Per me il vostro incenso è cosa esecranda" (Is. I, 13). L’incenso è cosa esecranda e il luogo in cui viene offerto non lo è? E allora quando lo sarebbe? Prima che avessero commesso il più grande delitto, prima che avessero condannato il loro Signore, prima della Croce, prima del sacrificio di Cristo era cosa esecranda. E adesso forse non lo è molto di più? In verità che cosa vi è di più profumato del fumo dell’incenso? Ma Dio non guarda alla natura dei sacrifici offerti, bensì all’animo di coloro che li offrono, e secondo la loro intenzione misura l’entità delle offerte. Egli ha rivolto la sua attenzione ad Abele ed ai suoi doni: ha visto Caino e ha respinto i suoi sacrifici. Infatti è detto: "Non ha rivolto la sua attenzione a Caino ed alla sua offerta" (Gen.IV, 5). Noè offrì a Dio un sacrificio di pecore, vitelli ed uccelli, "ed il Signore sentì un profumo soave" dice la Scrittura (Gen. VIII, 21) il che significa che Dio gradì l’offerta. Infatti Dio non ha sensi perché è incorporeo. Benché dall’altare si alzi soltanto puzzo di bruciato e fumo di corpi combusti - e non vi è nulla di più sgradevole per l’odorato - Dio, affinché voi sappiate che Egli accetta o respinge i sacrifici a seconda dell’animo dell’offerente, chiama odore soave il puzzo ed il fumo, e cosa esecranda l’incenso. Questo perché lo spirito degli offerenti è ripieno di grande fetore. Vi farà piacere sapere che Dio è avverso al tempio, anche quando vi sono sacrifici, musiche, feste e profumi, a causa delle persone che vi entrano. Egli lo ha chiaramente dimostrato, prima consegnandolo nelle mani dei barbari, poi radendolo al suolo. Ed in verità, prima di distruggerlo, attraverso il Profeta dice: "Non fidatevi delle parole dei bugiardi perchè non vi saranno utili quando dicono: "È il tempio di Dio! È il tempio di Dio!"" (Ger. VII, 4). Infatti non è il tempio che santifica coloro che vi entrano, sono invece quelli che vi entrano che lo rendono un luogo sacro. Se il Tempio non serviva allora, quando i Cherubini e l’Arca erano lì presenti, tanto meno servirà ora che sono stati portati via, dopo che Dio ha distolto lo sguardo dai Giudei e è il motivo della Sua avversione è ancora più grave. Quale follia, quale demenza sarebbe partecipare alle feste di uomini bollati di infamia, che si sono allontanati da Dio, che hanno provocato l’ira del Signore! Ditemi, potreste sostenere la vista di uno che avesse ucciso vostro figlio? Lo stareste ad ascoltare? O non fuggireste lontano come se fosse il diavolo in persona? I Giudei hanno ammazzato il figlio del vostro Signore e voi osate andare insieme a loro, nello stesso luogo? Colui che è stato da loro ucciso vi ha fatto un così grande onore, elevandovi alla condizione di fratelli e di coeredi e voi lo disonorate a tal punto che frequentate i suoi assassini, che lo hanno crocifisso, partecipate alle loro feste, vi recate nei loro luoghi sacrileghi, entrate negli edifici empi e partecipate alla mensa dei demoni. È la morte che essi hanno inflitto a Dio che mi induce a chiamare così il digiuno degli ebrei. Per quale ragione non si dovrebbero chiamare servi dei demoni coloro che agiscono in modo del tutto contrario al volere di Dio? Vi aspettate forse un sollievo dai demoni? Quando, col permesso di Cristo i demoni entrarono nel corpo dei porci, li buttarono subito in mare (Mt. VIII, 31 segg); forse che risparmieranno i corpi degli uomini? Volesse il cielo che non uccidessero, e che non tendessero agguati! Hanno cacciato via dal Paradiso gli uomini, li hanno privati della gloria celeste, e ne rispetteranno i corpi? È ridicolo, sono false dicerie! I demoni sanno tendere insidie e recar danno, ma non portare aiuto: non hanno alcun riguardo per l’anima e l’avranno per il corpo? Tentano di cacciarci dal regno dei cieli e vorranno liberarci dai mali? Non avete udito il Profeta dire, anzi Dio stesso dirlo per mezzo del Profeta, che essi non possono farci né del bene né del male? E ammesso pure che essi possano e vogliano recare aiuto, il che non può essere, non bisogna esporsi al pericolo delle pene eterne per un piccolo guadagno di breve durata. Curerai il corpo per perdere l’anima? Il tuo scambio non è vantaggioso, irriti Dio creatore del corpo, e chiedi aiuto a chi ti tende insidie. Forse che con questo ragionamento, conoscendo la scienza medica, qualsiasi persona superstiziosa vi potrebbe indurre ad adorare, senza aver nulla in cambio, gli dei di altre genti? Infatti spesso anche i pagani hanno curato le malattie a modo loro ed hanno guarito dei malati. E ci faremo per questo partecipi della loro empietà? Lungi da noi! Ascolta quello che Mosè dice ai Giudei: "Se in mezzo a voi si alza un profeta o una persona che dormendo ha fatto un sogno, e vi predice un evento o un prodigio, e se questo evento o questo prodigio si verificano, e se allora colui vi dice: "Andiamo a servire gli dei stranieri che erano sconosciuti ai nostri padri", non ubbidite alle parole di quel sognatore" (Deut. XIII, 1). Il significato di queste parole è che se un profeta si alza e compie un atto prodigioso, come resuscitare un morto, o guarire un lebbroso o sanare uno storpio, e dopo aver compiuta questa azione straordinaria ti invita all’empietà, tu non dovrai obbedire solo per il fatto che si è verificato il prodigio. Perché? "Il tuo Dio ti metterà alla prova per vedere se tu lo ami con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima" (Deut. XIII, 3). Da quanto ho detto appare evidente che i demoni non guariscono. Ché, se qualche volta, col permesso di Dio guariscono come fanno gli uomini, questo permesso è concesso per metterti alla prova; non perché Dio non sappia come tu sei, ma perché tu impari a cacciar via quei demoni che guariscono. Ma che dirò delle cure del corpo? Se qualcuno ti minacciasse dell’inferno se non rinneghi Cristo, forse che tu lo ascolteresti? Se uno ti promette un regno purché tu abbandoni il figlio unico di Dio, voltagli le spalle, respingilo e detestalo; sii fedele discepolo di Paolo e ripeti le parole che ha pronunciato quel beato e generoso Apostolo a gran voce: "Sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le virtù, né le cose presenti, né le cose future, né l’altitudine, né la profondità, né alcuna creatura potrà separarci dalla carità divina che è in Gesù Cristo Nostro Signore" (Rom. VIII, 38-39). Né gli Angeli, né le virtù, né le cose presenti, né le cose future, nessun’altra creatura può separare l’Apostolo dalla carità di Cristo e tu te ne allontani per la salute del corpo? Che indulgenza si potrà mai sperare?Giustamente noi temiamo Cristo più della geenna e Lo preferiamo ad un regno. Supponiamo di ammalarci: è meglio che rimaniamo preda della malattia piuttosto che, per liberarcene, cadere nell’empietà. Se il demone ci guarisce, la sua guarigione nuocerebbe più che giovarci. Infatti avrà recato sollievo al nostro corpo che comunque poco dopo dovrà morire e marcire, mentre avrà danneggiata l’anima immortale. I demoni ci promettono la salute del corpo, mentre portano alla completa rovina la salute dell’anima, proprio come fanno i rapitori che promettono ai bambini dolciumi, focacce, dadi per giocare ed altri simili doni e dopo averli adescati li privano della libertà e della vita stessa.
    Ebbene, miei cari, non tolleriamo questo, ma cerchiamo in ogni maniera di liberarci dall’empietà. Forse che Giobbe non avrebbe potuto lasciarsi convincere da sua moglie a bestemmiare Dio e liberarsi così dal male che lo affliggeva? "Pronuncia una parola contro Dio e morirai" (Giob. II, 9) gli diceva, ma egli preferì essere preda di tormenti e dolori e sopportare quelle terribili piaghe piuttosto che bestemmiare e liberarsi così dei mali che lo affliggevano. Devi imitare Giobbe anche se il demonio ti promette di guarirti per sempre dai mali che ti affliggono, non credergli e non ascoltarlo, proprio come ha fatto quel giusto che non si è lasciato persuadere dalla moglie. Sopporta con fermezza i tuoi mali piuttosto che annullare la tua fede ed annientare la salvezza della tua anima. Dio non ti abbandona, ma spesso colpisce il corpo con una infermità per darti maggior merito. Sopporta dunque per sentirti dire anche tu: "Perché credi che io ti abbia rivelato il mio responso se non perché tu ti dimostri giusto?" (Giob. XL, 8).
    8 - Mi sarebbe possibile dire ancora molto su questi argomenti: ma affinché le considerazioni che avete udite non siano dimenticate, terminerò questa orazione con le parole già pronunziate da Mosè: "Prendo testimoni contro di voi il cielo e la terra" (Deut. XXX, 19). Se qualcuno di voi andrà alla festa delle Trombe o si recherà alla Sinagoga o salirà al tempio di Matrona o parteciperà ai loro digiuni o al loro Sabbato, o osserverà un qualsiasi rito giudaico, io almeno sarò innocente del sangue di tutti voi. Queste parole saranno presenti a me e a voi nel gran giorno di Nostro Signor Gesù Cristo: se voi obbedirete aumenteranno molto la vostra fiducia; se non obbedirete od oserete tenere nascosti tali misfatti, queste parole vi accuseranno aspramente. "Non evitai alcunché per farvi conoscere i disegni del Signore" (Atti XX, 27; Mt. XXV, 27). Ora io ho consegnato il denaro nelle mani del banchiere, tocca a voi farlo fruttare e far crescere il patrimonio ed adoperare il frutto dei sermoni per la salvezza dei vostri fratelli. "Ma non è spiacevole e odioso denunciare chi è caduto in quei peccati?". Altrettanto lo è il tacere. Infatti questo silenzio porterà danno tanto a voi che li coprite come a quelli che restano nascosti, poiché ci rende nemico il Signore! Non è meglio renderci odiosi ai nostri fratelli per la loro salvezza, piuttosto che suscitare contro di noi l’ira di Dio? Infatti nessuno di loro, benché indignato, potrà recarci danno, anzi alla fine ci ringrazierà per la medicina; mentre se taceremo e gli nasconderemo il male per amore di amicizia, causando la sua rovina, Dio ci punirà severamente.
    Dunque tacendo ti rendi Dio nemico e nuoci al fratello, al contrario, denunziandolo e rendendolo noto, avrai Dio propizio e gioverai al fratello; mentre prima era furibondo, te lo farai amico, e ammaestrato dall’esperienza comprenderà che gli hai fatto del bene. Non pensate di fare un regalo ai vostri fratelli se vedendo il loro comportamento assurdo non li biasimate con tutte le vostre forze. Se ti avessero rubato una veste, forse che non considereresti ugualmente nemici tanto il ladro quanto colui che sapendo del furto non lo svela? La Chiesa, nostra Madre, non ha perso una veste soltanto ma un fratello, che il diavolo ha rapito di nascosto e trattiene nel giudaismo. Ma come? Tu conosci il rapitore, conosci la vittima, mi vedi far risplendere la dottrina come una fiaccola e cercarlo ovunque con dolore, e tu te ne stai zitto e non riveli nulla? Per te, quale indulgenza può esservi? Forse che la Chiesa non dovrà considerarti come un grande nemico, e giudicarti avversario e traditore?
    In verità non avvenga mai che qualcuno di quelli che ascoltano questi consigli cada in tale colpa e tradisca un fratello per il quale Cristo è morto. Cristo versò per lui il suo sangue e tu non hai il coraggio di dire per lui una parola? Vi esorto a non esitare, ma appena usciti affrettatevi a questa cattura delle anime e ognuno di voi mi porti un malato. Può essere, al contrario, che non vi siano tanti uomini affetti da questo male, allora due o tre di voi o anche dieci o venti, ne portino uno, di modo che quel giorno visto nella rete il pesce pescato, io vi offra una più lauta mensa. Infatti quando avrò visto attuato il consiglio che vi ho dato, mi prenderò cura di loro con animo ancor più ardente, e tanto voi che loro ne trarrete grande vantaggio. Dunque non trascurate questo consiglio, ma le donne cerchino le donne, agli uomini il compito di conquistare gli uomini, ai servi i servi, ai liberi i liberi, ai fanciulli i fanciulli; ognuno infine con ogni cura cerchi di attirare quelli che sono corrotti dal male. Venite così alla prossima riunione, al fine di ricevere le nostre lodi, ma più che per i nostri rallegramenti per ottenere da Dio molta e ineffabile ricompensa, che vale molto di più delle fatiche. Voglia il Cielo che tutti la otteniamo per la grazia e la carità di Nostro Signor Gesù Cristo per il quale e con il quale sia gloria al Padre unitamente allo Spirito Santo, ora e sempre nei secoli dei secoli. Così sia.

    Seconda Omelia
    1 - Ormai è imminente la celebrazione del malvagio e impuro digiuno dei Giudei.
    Non meravigliatevi se chiamai impuro quel digiuno, in verità tutto quello che va contro lo spirito di Dio, sia pure un sacrificio o un digiuno, è impuro al massimo. Dunque questo digiuno giudaico che ho definito impuro, comincerà tra dieci giorni da oggi, ma io, dieci giorni or sono, e anche prima, vi feci molte esortazioni per fortificare i vostri fratelli. Nessuno poi accusi la nostra orazione di essere intempestiva, dato che la esposi tanto tempo prima: infatti quando si teme una febbre o una qualsivoglia malattia, molto prima che essa colpisca, i medici con medicamenti vari si premuniscono e, innanzi che il morbo si manifesti, si affrettano a sottrarre il corpo ai mali imminenti. Allo stesso modo, noi, vedendo che ci minaccia un male gravissimo, vi abbiamo supplicati molto tempo prima, affinché si possa porre rimedio innanzi che il male ci colpisca. Per questo non ho atteso l’ultimo momento per istruirvi: la brevità del tempo vi avrebbe forse impedito di cercare di attirare i vostri fratelli, invece, con molti giorni di anticipo sarà sicuramente possibile ricercare quelli che sono colpiti dal male, e liberarli da questa peste. Così sogliono agire coloro che solennizzano le nozze o preparano sontuosi banchetti: non il giorno stabilito, ma molto tempo prima parlano ai pescatori e ai cacciatori perché un periodo di tempo troppo limitato non crei impedimenti allo svolgersi dei festini. Noi pure che stavamo per offrirvi cibo contro la stupidità dei Giudei, dapprima vi interpelliamo come pescatori, affinché, dopo essere andati in cerca dei più infermi tra i vostri fratelli, fatta opera di convincimento li portiate ai nostri sermoni. Tutti quelli che avrete pescato e che tenete ben sicuri nella rete, costringeteli ad ascoltare il sermone; per la preclara preda che ancora non avete preso, avrete cinque giorni di tempo, sufficienti per conquistarla. Dispieghiamo dunque le reti della dottrina, circondiamoli come una muta di cani, e spingiamoli da ogni parte, verso le leggi della Chiesa; se vi par bene ricorriamo a quell’ottimo cacciatore, al beato Paolo che esclamava: "Ecco, io Paolo, vi dico: se vi farete circoncidere Cristo non vi servirà affatto" (Gal. V, 2).
    Molte belve e animali selvaggi, rintanati sotto gli arbusti, appena sentono la voce del cacciatore, per la paura escono fuori, e spinti dalla voce autoritaria e spesso anche agitati dalle grida, vanno contro voglia a gettarsi nelle trappole. Così i vostri fratelli, che si rintanano nel giudaismo, come le fiere negli arbusti, se udranno la voce di Paolo, non dubito che facilmente cadranno nelle reti della salvezza e respingeranno tutti gli errori dei Giudei. Non è infatti Paolo che parla, ma Cristo che infiamma l’anima dell’Apostolo. Allora se udrete l’Apostolo proclamare: "Ecco io Paolo vi dico: se vi farete circoncidere Cristo non vi servirà a nulla" non giudicate che queste parole siano soltanto di Paolo, ma piuttosto che lo ispirava il sentimento e il dogma di Cristo. Qualcuno forse mi obbietterà: "Perché la circoncisione è di tal danno da rendere inutile tutto il bene dispensato da Cristo?". Eppure è così. Il danno della circoncisione è tanto grave non per la sua natura, ma per l’iniquità. Vi fu un tempo in cui era una legge utile e necessaria, ora è abrogata ed è inutile. Se dunque tu la usi a sproposito, rendi inutile per te il dono di Cristo. Perciò Cristo non vi servirà a nulla poiché non volete avvicinarvi a lui. Se mai qualcuno fosse in carcere per adulterio o per colpe gravissime, ed essendo venuto il momento del giudizio e della sentenza di condanna, giungesse una lettera del Re che ordinasse di mettere in libertà tutti i carcerati, senza distinzione e senza indagini, e quel prigioniero non volesse usufruire del dono regale, ma volesse subire il processo e sostenere il supplizio, non potrebbe, dopo, usare del beneficio. Infatti accettando il giudizio e la sentenza, spontaneamente si è privato del dono del Re. Così accade ai Giudei. Vedete perché: tutta l’umanità si era resa colpevole di turpi delitti; "tutti gli uomini hanno peccato" (Rom. III, 23) dice l’Apostolo, ed erano chiusi, dal maledetto peccato, come in un carcere. Ormai la sentenza stava per essere data dai giudici contro di loro; venne allora la lettera del Re dei cieli, anzi venne il Re in persona, che, senza alcuna indagine e senza esigere alcunché, liberò l’umanità dalle catene del peccato.
    2 - Quindi tutti coloro che si presentano fruiscono del dono, e son fatti salvi dalla grazia; coloro che, al contrario, vogliono giustificarsi per mezzo della legge, sono privati della grazia. Non potranno godere della clemenza regale coloro che pretendono di conseguire la salvezza con le proprie forze, e attirano su di loro la maledizione della legge, poiché nessuna carne sarà giustificata dalle opere della legge. Da ciò le parole: "Se vi fate circoncidere Cristo non vi servirà a nulla" (Gal. V, 5). Colui che vuol salvarsi con le opere della legge, nulla ha di comune con la grazia. Questo vuol anche dire Paolo quando afferma: "Se è per la grazia certamente non è per le opere: altrimenti la grazia non è più grazia. Se al contrario è per le opere allora non è per la grazia: del resto l’opera non è tale" (Rom. XI, 6). E ancora: "Se avrai infatti giustizia dalla legge allora Cristo è morto invano" (Gal. II, 21). Ancora un’altra volta: "Tu che cerchi giustizia nella legge ti sei allontanato dalla grazia" (Gal. V, 4). Dalla legge sei cancellato, sei come morto, non ti è necessario rimanere a lungo sotto il giogo o più a lungo sotto la costrizione, perché dunque inutilmente e senza ragione, ti affanni a tale compito? Invero per qual ragione Paolo pose in evidenza in quel punto il suo nome e non disse semplicemente: "Ecco io vi dico..."? Volle richiamare alla loro mente quello zelo che aveva mostrato contro il giudaismo. Se fossi stato un gentile, disse, ignorante della religione giudea, qualcuno potrebbe dire che non essendo iniziato nei misteri religiosi, ignoravo l’importanza della circoncisione e per questo voglio escluderla dai riti della Chiesa. Paolo mise il suo nome, rievocando nella loro memoria quanto aveva fatto per la legge; proprio come se dicesse "non agisco per odio contro la circoncisione, ma per conoscenza della verità. Io, Paolo dico questo, lo stesso Paolo che fu circonciso l’ottavo giorno" (Fil. III, 5), di stirpe israelita, ebreo nato da Ebrei della tribù di Beniamino, Fariseo secondo la legge, che ho perseguitato la Chiesa (Atti VIII, 3) che entravo nelle case, trascinavo fuori uomini e donne e li mettevo in prigione; con tutti questi argomenti mi è facile persuadere gli insensati che agisco non per odio, o per ignoranza del giudaismo, ma per la grande dottrina di Cristo che ha stabilito questa legge. E ancora disse: "Testifico che ogni uomo che si fa circoncidere è obbligato all’obbedienza della intera legge" (Gal. V, 3). Perché non disse: denunzio, affermo, dico, ma testifico? Per richiamare alla vostra memoria il futuro giudizio, infatti dove vi sono testimoni vi è giudizio e sentenza. Paolo atterrisce chi ascolta, ravvivando il ricordo del trono regale, e indicando i suoi sermoni come testimoni in quel giorno futuro in cui tutti renderemo conto di quanto fatto, detto e udito. Ascoltavano allora queste parole i Galati, le ascoltino, adesso, coloro che sono malati come i Galati, sebbene non siano presenti; ascoltino allora, per mezzo vostro, Paolo che esclama: "testifico che ogni uomo che si fa circoncidere è obbligato all’obbedienza dell’intera legge" (Ibid. 3). Non ditemi che la circoncisione è soltanto un precetto, perché questo solo precetto ti impone il giogo di tutta la legge. Invero se ti sottometti in una parte al comando della legge, è necessario che tu agisca anche nelle rimanenti parti secondo i comandi della stessa legge, in quanto se tu non li adempi è assolutamente necessario che tu sia punito e maledetto. Allo stesso modo che un passero caduto nella rete sebbene sia trattenuto da una sola zampa, ha tutto il corpo prigioniero, così chi adempie a un precetto, sia circoncisione, sia digiuno, per questo si sottomette interamente, né potrà liberarsi per tutto il tempo in cui avrà voluto obbedire a quella parte della legge. Queste cose sono dette da noi non per accusare la legge, ce ne guardiamo bene, ma perché vogliamo mostrarvi le abbondanti ricchezze della grazia di Cristo. Infatti la legge non è contraria a Cristo, e come potrebbe esserlo essendoci data da Lui stesso, che ci conduce a lui come fa il maestro?
    Ma noi siamo costretti a tutto questo per l’inopportuna disputa di coloro che non se ne valgono correttamente. I veri oltraggiatori della legge sono proprio coloro che, prima comandano di abbandonarla e di avvicinarci a Cristo, e poi aderiscono nuovamente ad essa. Soprattutto io affermo che la legge ha ben meritato, né mai lo negherò, ma tu, che vi aderisci oltre il tempo legittimo, non permetti che appaia la grandezza della sua utilità.
    Infatti, come per un maestro la massima lode suole essere che il giovane, che egli ha educato, non ha più bisogno di sorveglianza, essendo grandemente progredito in virtù, così anche per la legge, la massima lode è il non avere più bisogno del suo sostegno. A noi, con l’aiuto della legge, è successo che la nostra anima sia stata resa maggiormente adatta a comprendere la più alta filosofia. Perciò colui che resta ancora legato ad essa (legge) e non può considerare altro se non quello che vi è scritto, non trae da essa un gran vantaggio. Ma io che l’ho abbandonata innalzandomi ai più sublimi dogmi di Cristo, posso lodarla grandemente poiché mi ha reso tale da potere, superata l’insufficenza di quanto scritto, ascendere all’altezza della dottrina che Cristo ci portò per il nostro bene.
    Alla nostra natura molto bene avrà apportato la legge se, lealmente, ci avrà condotti a Cristo. Se invece ciò non accade, ci porterà addirittura danno, ci avrà defraudati dei beni maggiori mantenendoci in quelli minori e ci avrà obbligati a innumerevoli ferite per le trasgressioni.
    Se vi fossero due medici uno meno capace e l’altro più valido, e che il primo, dopo aver usato i suoi rimedi sulle ulcere, non abbia potuto liberare il malato dal dolore da esse causato, allora...
    (Lacuna nel testo originale).
    3 - "…Fratello, lascia la tua offerta davanti all’altare e va riconciliarti con il tuo fratello, dopo verrai a presentare il tuo dono" (Mt. V, 23-24).
    Non disse: tralascia di fare il sacrificio e allontanati, ma lascia che il sacrificio resti incompiuto e vai a riconciliarti con tuo fratello; e non soltanto qui disse questo, ma anche prima e altrove.
    Se un tale ha la moglie infedele, cioè gentile, non può assolutamente essere costretto a ripudiarla. Disse: "Se qualcuno ha la moglie infedele e questa consente ad abitare con lui, non la scacci" (I Cor. VII, 12). Ma se invece è meretrice e adultera, non si può proibirgli di ripudiarla. Infatti: "Chiunque avrà ripudiato la moglie se non a causa di fornicazione, la rende colpevole di adulterio" (Mt. V, 32). Quindi è lecito ripudiare la moglie per la colpa di fornicazione. Ammira la bontà e la sollecitudine del Signore! Se è pagana, dice, non ripudiarla, se è meretrice non ti proibisco di farlo. Se fu empia verso di me, il Signore, non ripudiarla; se invece fece a te ingiuria nessuno ti proibisce di farlo. Ma dunque Dio ci fece tanto onore, e noi non lo degniamo di pari deferenza, ma sopportiamo che le nostre mogli lo offendano, pur sapendo che ci è riservato il più grande castigo se avremo trascurata la loro salvezza? Per questa ragione il Signore ti ha costituito capo della donna e Paolo diceva: "Se le donne vogliono sapere qualcosa interroghino gli uomini in casa" (I Cor. XIV, 35). Perché tu, come maestro, protettore e capo guidi la moglie alla pietà.
    Inoltre voi, mentre il tempo dell’assemblea vi invita in Chiesa, non sollecitate i pigri; ma quando il demonio vi invita a quelle feste delle Trombe, non trattenete prontamente quelli che odono il richiamo, ma permettete che siano trascinati nei crimini dell’empietà e scivolino nell’intemperanza, perché colà sono soliti radunarsi le cortigiane, gli effeminati e tutto il coro dei teatranti. Ma, perché mai io parlo delle impudicizie che ivi si commettono? Non temi dunque che la moglie torni corrotta dal demone? Non avete udito nel nostro primo incontro l’orazione che ha chiaramente dimostrato che le anime stesse dei Giudei ed i luoghi in cui si radunano sono abitati dai demoni? Come osate, vi chiedo, ritornare nell’assemblea degli Apostoli dopo aver danzato con gli attori demoniaci? Come può accadere che dopo essere andati ed essersi intrattenuti con coloro che versarono il sangue di Cristo, non abbiate orrore di tornare a prendere parte alla Sacra Mensa, ed essere partecipi del Prezioso Sangue? Non provate orrore, non temete per aver commesso atti così scellerati? Non rispettate neppure la Sacra Mensa? Con queste parole mi rivolgo a voi, e voi a loro, ed essi alle loro spose lo ripetano: "Edificatevi l’un l’altro" (I Tess. V, 11). Se per caso colui che è affetto da questo male è un catecumeno, lo si faccia stare lontano dal vestibolo del Tempio; se invece è un fedele o un iniziato ai sacri misteri, sia respinto dalla Sacra Mensa. In verità non tutti i peccati hanno bisogno dell’esortazione e del consiglio, ve ne sono di quelli che è necessario curare con azione breve e violenta. Come le ferite meno gravi si curano con medicazioni leggere, così per le ferite profonde, putrefatte e che divorano il resto del corpo, sono necessarie punture di ferro e di fuoco, allo stesso modo vi sono certamente peccati per cui bastano le esortazioni, mentre altri peccati devono essere puniti con più severi castighi.
    Per queste ragioni, anche Paolo raccomandò di non adoperare in tutti i casi l’esortazione, ma di rimproverare severamente, e fu quando disse: "Per questa ragione colpiscili duramente" (Tit. I, 13). Colpiamoli dunque severamente, affinché, vergognandosi dei peccati prima commessi, essi stessi li condannino, e non sopportino un maggior danno con l’osservanza dell’iniquo digiuno. Io stesso, perciò, astenendomi dal continuare l’esortazione, vi chiamo a testimonio e grido: "Se qualcuno non ama Gesù Cristo Signore, sia anatema" (I Cor. I, 22). Qual maggior prova si può dare di non amare Gesù Cristo di quella della partecipazione alle solennità di coloro che l’hanno ucciso?
    Non io colpii con anatema costoro, ma Paolo, anzi in verità Cristo che parlava per suo mezzo e che prima aveva detto: "Perché coloro che si giustificano con la legge rinunciano alla grazia" (Gal. V, 4). Dite loro queste parole, recitate loro queste sentenze con grande cura e zelo e li salverete, li strapperete alle fauci del demonio; portateli a noi nel giorno del digiuno, affinché nel compiere il resto della promessa, uniti tutti nel consenso e con una sola voce, glorifichiamo con i nostri fratelli Dio, Padre del Signor Gesù Cristo a cui sia gloria nei secoli. Così sia.

    Terza Omelia

    1 - Ancora una volta una circostanza urgente ed inevitabile, interrompendo la serie di questioni di cui prima abbiamo parlato, richiede per sé il nostro discorso e ci distoglie, oggi, dalle già intraprese controversie con gli eretici. Eravamo preparati a suscitare ancora la vostra carità per la gloria dell’Unigenito, ma l’intollerabile accanimento di quelli che vogliono digiunare nella prossima Pasqua, ci costringe a dedicare tutti i nostri insegnamenti alla loro guarigione. Il buon pastore infatti, non solo scaccia i lupi, ma cura le pecore ammalate con la massima sollecitudine; a che giova che il gregge sfugga ai denti delle fiere, se poi muoiono infettate dal morbo? Così il bravo comandante non solo respinge gli assedianti, ma per prima cosa rappacifica la città divisa dalla rivolta, sapendo benissimo che a nulla servirà una futura vittoria esterna fino a quando continueranno all’interno le lotte civili. Per comprendere appieno come nulla sia più dannoso delle contese e della disunione, ascolta quel che disse Cristo: "Non potrà resistere un regno con divisioni intestine" (Matt. XII, 25).
    Chi più potente di un regno al quale danno grande forza: ricchezze, armi, mura, fortificazioni, armate numerose coi loro cavalli? Tanta potenza, tuttavia, sarà dispersa se i dissidi nasceranno nel suo interno.
    Nulla, in verità, è causa di debolezza quanto la lotta e le dispute, così come l’amore e la concordia danno forza e potenza. Comprendendo bene questo pensiero, Salomone affermava: "Il fratello che è aiutato dal fratello è come una città potente e un regno ben fortificato" (Prov. XVIII, 19).
    Vedi quanta è la forza della concordia? Vedi quanto il danno delle contese? Un regno diviso dalla discordia cade in rovina; due uomini d’accordo e strettamente uniti sono più forti di qualsiasi baluardo.
    So che, per grazia di Dio, la maggior parte di questo gregge è immune da questo male e pochi sono gli infetti dal morbo, tuttavia non bisogna trascurare la loro cura. Infatti se per caso fossero dieci, se fossero cinque, se fossero due, o se fosse uno soltanto ammalato pure sarebbe necessario non trascurare nulla per la sua guarigione. Quell’uno può essere da noi valutato vile ed abbietto, tuttavia è un fratello per cui Cristo è morto, e che Cristo ha valutato al massimo prezzo. Cristo ha detto: "Chiunque avrà scandalizzato uno di questi miseri sia preso, e legatagli una pietra da macina al collo, sia gettato in mare" (Matt. XVIII, 6), e ancora disse: "Per tutto il tempo in cui nulla hai fatto per questi meschini, nulla hai fatto per me" (Matt. XXV, 45) e in un altro punto troviamo: "Non è volontà del padre vostro che è nei cieli che anche uno solo di questi miseri perisca" (Matt. XII, 14). Quindi non è assurdo che, mentre Cristo si prende tanta cura di questi miserrimi noi, per pigrizia, li trascuriamo? Non dirmi: "È uno soltanto" perché quell’uno può trasmettere il morbo agli altri come disse Paolo: "Una particella di lievito fermenta tutta la massa" (Gal. V, 9). È proprio questa nostra trascuratezza verso i meschini che tutto manda in rovina e distrugge, perché le piaghe si estendono mentre con la cura adatta si ridurrebbero. Quindi per prima cosa ripetiamoci che non vi è nulla di peggio delle dispute e della discordia giacché, se la Chiesa sarà da esse lacerata, anche quella tunica che gli stessi assassini non avevano osato strappare, sarà lacerata in tanti pezzi. Non sono sufficienti le altre eresie senza che si creino delle divisioni tra di noi? Non odi Paolo? Egli dice: "Se vi azzannate e sbranate tra di voi state attenti perché vi distruggerete a vicenda" (Gal. V, 15). Tu cammini lontano dal gregge, non temi il leone che si aggira intorno? Ammonisce l’Apostolo: "Perché il nemico come un leone vi circuisce ruggendo mentre cerca chi possa ghermire" (I Pietro V, 8).
    Agiscono così le madri affettuose con i figliuoli: minacciano i piccoli che piangono di gettarli ai lupi che li divorino, non per gettarli davvero, ma perché smettano di gridare; così Cristo fece ogni cosa in modo che avessimo cura di mantenere la pace e di stare ben uniti tra noi.
    2 - Anche per questo Paolo, pur potendo accusare i Corinzi di molti e gravi peccati, anzitutto li accusò della discordia. Avrebbe potuto accusarli di fornicazione, di orgoglio, di fare ricorso a giudici pagani, di partecipare a conviti in templi idolatri; avrebbe potuto accusare le donne di non velarsi il capo e gli uomini di coprirselo, e, oltre a tutte queste colpe, anche l’indifferenza per i poveri, l’innata arroganza per i doni dello spirito, le opinioni sulla resurrezione dei corpi, inoltre poteva ancora accusarli delle liti e discussioni intestine; ma tralasciando tutte le colpe prima elencate, scelse come la prima da correggere proprio questa: la disunione.
    Per non annoiarvi, mostrerò, con le stesse parole di Paolo, come egli, pur potendo accusarli di tante colpe giudicò che questa fosse la prima da correggere. Senti come parla dei fornicatori: "Si sente generalmente dire che tra voi vi sono dei fornicatori" (I Cor V, 1); di coloro che sono orgogliosi e superbi: "Alcuni sono gonfi di orgoglio come se io non dovessi venire da voi" (idem IV, 19). E sul litigare pubblicamente ricorrendo a giudici infedeli: "Osa qualcuno di voi, avendo una lite contro un altro, farsi giustizia presso gli infedeli?" (idem VI, 1). E per coloro che mangiano carne di animali offerti in sacrificio agli idoli: "Non potete partecipare alla mensa di Dio e alla mensa dei demoni" (idem X, 21).
    Castiga, con queste parole, le donne che non si velano il capo e gli uomini che al contrario se lo coprono: "Ogni uomo che prega o fa profezie con il capo coperto sfigura il suo capo: invece ogni donna che prega o fa profezie senza velarsi il capo, sfigura il suo capo" (idem XI, 4-5). Che i Corinzi disprezzassero i poveri, Paolo lo mostra dicendo: "L’uno è nell’indigenza, l’altro è ubriaco" (idem XI, 21) e anche: "Disprezzate dunque la Chiesa di Dio e volete umiliare chi nulla possiede?" (idem XI, 21-22). Poi, siccome tutti desideravano i doni più grandi e nessuno voleva accettare quelli minori, così dice: "Siete tutti forse apostoli, tutti forse profeti?" (idem XII, 29). Per quelli che dubitavano della resurrezione dei morti conclude: "Qualcuno chiede come possono risuscitare i morti? Con quale corpo torneranno?" (idem XV, 35). Pur potendo rimproverarli di queste numerose colpe, prima di tutto egli trattò delle loro contese e delle loro disunioni; subito all’inizio dell’epistola dice: "Vi scongiuro, fratelli, nel nome di nostro Signor Gesù Cristo, che abbiate tutti le stesse parole e che non vi sia scisma tra di voi" (idem I, 10). Perché l’Apostolo sapeva, e lo sapeva con certezza, che questo argomento urgeva più di tutti gli altri. Se l’idolatra va spesso in Chiesa, o il superbo o quello afflitto da vizi, godendo assiduamente della dottrina, scacciano presto i vizi da cui sono affetti e riacquistano la salute; al contrario colui che volontariamente si stacca dall’assemblea, si sottrae all’insegnamento della dottrina dei Padri e sta lontano dal laboratorio del medico, sebbene sembri essere sano, assai presto sarà colpito dal male.
    Il bravo dottore prima calma la febbre e dopo cura le ulcere e le fratture, così fece anche Paolo: prima elimina il dissidio, poi cura le ferite di ogni singolo membro. Per questo anzitutto li scongiura di non avere delle divisioni, di non nominare capi particolari e di non dividere in tante parti il corpo di Cristo.
    Queste parole non le rivolgeva soltanto ai Corinzi, ma anche a quelli che, dopo di loro, sono colpiti dallo stesso male. A questi ultimi domanderei volentieri: che cosa è la Pasqua, che cosa la Quaresima? Che cosa appartiene al giudaismo e che cosa appartiene a noi? Perché una avviene una sola volta all’anno e l’altra è celebrata ad ogni assemblea? E anche il significato degli azimi e ancora tante altre domande su questi argomenti.
    Comprenderai allora compiutamente quanto intempestiva sia la contesa di costoro che, mentre non sanno rendere ragione di quanto fanno, si comportano come se fossero i più sapienti e non accettano lezioni. Questo è sommamente riprovevole: sono ignoranti e non ascoltano quelli che sanno e, per i loro interessi, seguono sconsideratamente abitudini detestabili e cadono a precipizio nel baratro.
    3 - In verità quale saggio discorso oppongono a quanto obbiettiamo? Domandano: ma voi prima non osservavate il digiuno? Non a me certamente dovete chiedere questo, ma io posso rispondervi che se è vero che prima digiunavamo, poi tuttavia si è preferita la concordia all’osservanza dei tempi. Questo è quanto Paolo diceva e questo è quanto io dico a voi: "Siate come me perché io fui come voi" (Gal. IV, 12). Che significano queste parole? Paolo aveva persuaso i Galati a rinunziare alla circoncisione, a trascurare il rito del sabato, e altri obblighi legali, ma poi vedendo che erano inquieti e temevano di dover subire pene e supplizi per le trasgressioni, sostenne il loro animo portandosi come esempio e dicendo: "Siate come me perché io ero come voi". "Non sono forse nato da famiglia gentile? Oppure ignoro gli usi legali e le pene che la legge impone a quelli che li trasgrediscono?" "Io sono ebreo nato da ebrei, fariseo nell’osservanza della legge, per zelo persecutore della Chiesa. Ma tutto quello che avevo stimato un vantaggio, a causa di Cristo lo giudico un danno" (Filipp. III, 5-7).
    Così mi sono staccato dagli ebrei una volta per tutte. Siate voi dunque come sono io, giacché io ero come siete voi. Ma perché mai parlo in nome mio?
    Trecento Padri e forse più, convenuti in Bitinia hanno decretato queste cose, e tu le disprezzi tutte? Due sono le ipotesi: o tu condanni i Padri come ignoranti, che non avevano studiato accuratamente, oppure tu accusi i Padri di vigliaccheria perché pur conoscendo la questione hanno dissimulato e tradita la verità. Se non segui quanto hanno decretato, sono queste le considerazioni che ne conseguono. Quanto stabilito fu veramente modello di grande saggezza e fermezza, come testimoniano gli avvenimenti che seguirono.
    La saggezza è dimostrata dalla loro esposizione della fede, esposizione che chiuse la bocca agli eretici e ne respinse le insidie come un inespugnabile baluardo; il loro coraggio è dimostrato dalla persecuzione, cessata da poco, e dalla guerra suscitata contro le chiese. Come strenui combattenti, carichi di trofei e segnati da molte ferite, tornavano da ogni parte i presuli delle chiese, portando le stigmate di Cristo; essi potevano enumerare i tanti supplizi sofferti per aver confessato la fede. Alcuni potevano descrivere le sofferenze della vita nelle miniere metallifere, altri narrare di come erano stati spogliati di ogni bene e proprietà, ricordare la fame o le innumerevoli ferite. A certuni erano stati lacerati i fianchi, ad altri la schiena duramente colpita, o gli occhi strappati dalle orbite e vi erano quelli che potevano mostrare quale parte del loro corpo era stata mutilata per la fedeltà a Cristo. Il Sinodo era formato dalla riunione di questi atleti i quali, contemporaneamente alla definizione della fede, decretarono che la solennità della Pasqua fosse celebrata in modo unanime e identico. Forse che gli stessi uomini, che in momenti difficilissimi non avevano abbandonata la fede, avrebbero agito con dissimulazione per una questione di giorni? Considera come ti comporti quando condanni questi Padri così importanti, così coraggiosi e così sapienti e capaci: se il fariseo condannando il pubblicano perde tutti i suoi beni, tu che ti opponi ingiustamente e contro ogni ragione a tanti dottori cari a Dio, quale indulgenza meriterai o quale giustificazione potrai portare?
    Non udisti Cristo dire: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro?" (Matt. XVIII, 20). Ma se quando due o tre sono riuniti nel suo nome Cristo è presente, a maggior ragione quando trecento e molti di più erano presenti, Cristo era presente, e designava e definiva ogni cosa.
    Tu non condanni soltanto quei Padri, ma la terra intera che approvò la loro sentenza. Allora giudichi i giudei più sapienti dei Padri venuti da ogni parte, questi giudei che, ripeto, sono privi dei riti degli antenati e che non celebrano nessun giorno solenne? Da loro non vi sono né il pane azimo né le feste pasquali (anche se sento che molti dicono che hanno Pasqua e azimo); che effettivamente non vi siano da loro gli azimi, lo comprendi dalle parole del legislatore: "Non potrai celebrare la Pasqua in nessuna delle città che ti dà il Signore Dio tuo, ma soltanto nel luogo in cui il suo nome sarà invocato" (Deut. XVI, 5-6): parla di Gerusalemme. Considera dunque come il Signore abbia prima limitato ad una sola città il giorno festivo, e poi abbia distrutto questa stessa città per strappare gli abitanti, malgrado loro, da quelle usanze religiose. Non c’è dubbio che il Signore prevedeva le conseguenze. Per qual ragione del resto radunò qui i giudei venuti da ogni parte della terra, pur prevedendo che in futuro la città sarebbe stata distrutta? Non è evidente che voleva abolire questa festività? Dio dunque la cancellò, e tu ricerchi la compagnia dei giudei, dei quali il Profeta disse: "Chi è cieco se non i miei figli, e chi è sordo se non coloro che li comandano?" (Isaia, XLII, 19). Infatti verso chi furono ingrati e stupidi? Verso gli apostoli, verso i profeti, verso i loro dottori? Ma che bisogno vi è di parlare di profeti e di dottori quando uccidevano persino i loro figli? "Immolarono ai demoni i loro figli e le loro figliuole" (Salmo CV, 37). Non hanno tenuto conto della voce della natura, come dunque, ti chiedo, potevano osservare le solennità? Calpestarono i congiunti, dimenticarono i legami con i figli, e hanno dimenticato il Dio da cui erano stati creati; disse il Profeta: "Hai abbandonato il Dio che ti ha generato e dimentichi il Dio che ti ha nutrito" (Deut. XXXII, 18). Dunque avrebbero dimenticato Dio e celebrato le solennità? Ma chi dice questo? Se Cristo celebrò la Pasqua con loro, non fu perché noi pure la celebrassimo coi giudei, ma per passare dall’ombra alla luce della verità. Fu circonciso, osservò il sabato e ne celebrò la festività, mangiò il pane azimo e tutto questo lo compì a Gerusalemme; tuttavia noi non siamo più tenuti all’osservanza di questi obblighi, come proclama Paolo quando dice: "Se ti farai circoncidere, Cristo non ti servirà più a nulla" (Gal. V, 2) e sugli azimi: "Celebreremo la solennità non con l’antico lievito, né con il lievito della malizia e dell’iniquità, ma con gli azimi della sincerità e della verità" (I Cor. V, 8). In verità i nostri azimi non sono farine mescolate, ma consistono in rapporti sinceri e in una vita virtuosa.
    4 - Ma per qual ragione, in quel tempo, Cristo si comportò in tal modo? Perché l’antica Pasqua era l’immagine della Pasqua futura; poi fu necessario aggiungere la verità all’immagine e, dopo aver mostrato l’ombra, nella stessa cena, introdusse la verità. In seguito, mostrata la verità, l’ombra scompare, e non ha più ragione d’essere. Non voler dunque oppormi questo argomento, ma piuttosto dimostrami che Cristo ha comandato che così fosse. Perché io dimostro il contrario: cioé che Cristo non solo non comandò che queste festività fossero osservate, ma anzi ci ha affrancati da questo obbligo. Ascolta, riflettendo, le parole di Paolo, e invero dicendo Paolo, dico Cristo: perché è Cristo che ispira l’animo dell’Apostolo. Cosa dice dunque Paolo? "Voi osservate i giorni, i mesi, le stagioni e gli anni. Temo per voi che io abbia lavorato tra voi inutilmente" (Gal. IV, 10-11) e ancora: "Ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo vino, annunzierete la morte del Signore" (I Cor. XI, 26). Dicendo chiaramente "ogni volta che" dichiarò che colui che si accosta alla sacra mensa ha la libertà di scegliere il tempo e lo liberò da ogni osservanza di giorni stabiliti.
    Pasqua e Quaresima non sono la stessa cosa: Pasqua è una cosa, la Quaresima un’altra. La Quaresima ha luogo soltanto una volta all’anno, la Pasqua invece tre volte alla settimana, talvolta anche quattro o, per meglio dire, addirittura ogni volta che lo vogliamo. Perché la Pasqua non è un digiuno, ma un’oblazione, e un sacrificio che celebriamo in ogni assemblea.
    Che le cose stiano in questo modo lo comprendi dalle parole di Paolo: "Il nostro Agnello pasquale, immolato per noi è Cristo" (I Cor. V, 7) e "tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice annunzierete la morte del Signore" (I Cor. XI, 26). Pertanto ogni volta che con coscienza pura ti accosti alla sacra mensa, celebri la Pasqua, non quando digiuni, ma quando partecipi al sacrificio: "In verità ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo vino annunzierete la morte del Signore". Celebrare la Pasqua è annunziare la morte. L’oblazione offerta oggi, quella di ieri, quelle celebrate in un qualsiasi giorno sono perfettamente identiche a quella del sabato santo: né questa è più venerabile di quella, né quelle sono meno perfette di questa, ma tutte ugualmente temibili ed ugualmente salutari. Ma, chiede, perché dunque digiuniamo per quaranta giorni?
    Molti, una volta, si accostavano ai sacri misteri, senza riflettere e senza preparazione, soprattutto al tempo in cui Cristo li istituì. Ora i nostri Padri, comprendendo quale danno derivasse da un atto tanto sconsiderato, stabilirono d’accordo quaranta giorni consacrati al digiuno, alle preghiere, all’ascolto della parola di Dio, alle riunioni, affinché, dopo esserci purificati in tutti questi quaranta giorni, per mezzo delle preghiere, dell’elemosina, del digiuno, delle veglie, delle lacrime, della confessione, e di molte altre pratiche di pietà, secondo le proprie forze, potessimo accedere ai sacri misteri con animo puro.
    Che i Padri abbiano raggiunto un eccellente ed importante risultato, con la loro sollecitudine, abituandoci a questo periodico digiuno, è provato sicuramente: se anche per tutto l’anno non cessassimo di annunziare con veemenza il digiuno, nessuno darebbe ascolto alle nostre parole; invece adesso, quando arriva il tempo della Quaresima, senza incitamenti, senza avvertimenti, anche il più negligente si anima e segue i consigli e le esortazioni che gli dà quest’epoca dell’anno. Quindi se qualcuno, giudeo o gentile, ti chiede le ragioni del tuo digiuno, non dire che è per la Pasqua, e neppure per la Croce, perché gli offriresti un pretesto per biasimarti: in realtà noi digiuniamo non a causa della Pasqua o a causa della Croce, ma a causa dei nostri peccati perché vogliamo accostarci ai sacri misteri: del resto la Pasqua non è affatto occasione di digiuno o di tristezza, ma di gaudio ed esultanza.
    La Croce infatti ha cancellato il peccato, purificato la terra intera, riconciliato antichi odi, aperte le porte del cielo, reso amici coloro che si odiavano, riportato l’uomo in cielo, collocò la natura umana a destra del trono celeste, colmando noi tutti d’altri infiniti benefici. Per tutte queste ragioni non bisogna quindi piangere o rattristarsi, ma, al contrario, essere lieti e rallegrarsi. Paolo diceva: "Lungi da me il pensiero di gloriarmi se non per la Croce di Nostro Signore Gesù Cristo" (Gal. VI, 14) e ancora: "Dio ha mostrato la grandezza della sua carità verso di noi, perché quando eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi" (Rom. V, 8).
    Chiaramente lo dice Giovanni: "Dio ha tanto amato il mondo" (III, 16). In qual modo, ti chiedo? L’Apostolo, tralasciando tutte le altre considerazioni, mise in primo luogo la Croce. Infatti dopo aver detto: "Così Dio amò il mondo", aggiunge "...che diede il suo Figlio Unigenito, perché fosse crocefisso, affinché chiunque crede in Lui, non perisca, ma abbia la vita eterna" (Giov. III, 16). Quindi, se la Croce è occasione di amore e di gloria, non diremo che piangiamo a causa della Croce; in verità non per essa piangiamo, bensì per i nostri peccati. E per i nostri peccati digiuniamo.
    5 - Certamente il catecumeno, sebbene digiuni ogni anno, non celebra la Pasqua, dal momento che non partecipa all’oblazione; al contrario, colui che non digiuna, se si presenta con la coscienza pura, celebra la Pasqua oggi, o domani, o in qualsivoglia momento si comunichi. Non dobbiamo infatti giudicare la perfezione della comunione secondo il momento in cui è stata fatta, ma secondo la purezza della coscienza. Invece noi facciamo proprio il contrario: non purifichiamo la nostra anima, ma se ci comunichiamo in quel determinato giorno stimiamo di aver celebrato la Pasqua, sebbene carichi di mille peccati. Ma non così stanno le cose, in realtà se in quel sabato santo hai partecipato con animo impuro alle sacre cerimonie, sei venuto via senza aver celebrato la Pasqua; se invece oggi, purificato dai peccati ti comunichi, avrai celebrato la Pasqua in modo perfetto.
    Per la partecipazione ai divini misteri sono necessari zelo e fervore e non l’osservanza di questo o quel momento. Ma tu preferiresti molto sopportare, piuttosto che mutare la consuetudine; ebbene è invece necessario disprezzarla e fare tutto il possibile e anche soffrire per non accostarsi alla sacra mensa macchiati da peccati. Affinché tu comprenda come Dio non dà peso al tempo e alla sua osservanza, ascolta quanto Egli stesso proclama: "Mi vedesti affamato e mi nutristi; mi vedesti assetato e mi desti da bere; mi vedesti nudo e mi copristi" (Matt. XXV, 35); e a coloro che sono alla sua sinistra egli rimprovera la condotta contraria.
    In un altro momento per ricordare i peccati, così rimprovera: "Cattivo servo, ho cancellato tutti i tuoi debiti; non dovevi tu pure aver compassione del tuo simile come io ho avuto compassione di te?" (Matt. XVIII, 32). Escluse dal ricevere lo sposo le vergini, perché non avevano olio nelle lampade (Matt. XXV, 7); scacciò dal festino un convitato che era entrato con l’abito non adatto alle nozze, ma con indumenti sporchi e macchiati da gozzoviglie e impurità (Matt. XXII, 11 e segg.). Invece mai nessuno fu punito o rimproverato per aver celebrata la Pasqua in questo o in quel mese.
    Ma perché mai parlo di noi che siamo liberi da questi obblighi, noi la cui dimora è su nei cieli dove non ci sono né mesi, né sole e luna, né il corso degli anni? Ma se vogliamo guardare con attenzione, si vedrà che neppure per i giudei la considerazione del tempo ha grande importanza, ma che si deve anteporre la considerazione del luogo, cioè Gerusalemme. Quando alcuni chiesero a Mosè: "Siamo immondi per aver toccato un corpo morto, saremo per questo privati della possibilità di offrire doni al Signore?". Mosè rispose: "Chiediamo al Signore". Quando Mosè ritornò, portò una legge che prescriveva: "Se qualcuno sarà impuro per aver toccato un morto o se dovrà fare un lungo viaggio e non potrà per questo celebrare la Pasqua il primo mese, la celebrerà nel secondo" (Num. IX, 7, 8, 9).
    In conclusione, presso i giudei l’osservanza rigorosa del tempo non è obbligatoria purché la Pasqua sia celebrata a Gerusalemme. Tu, invece anteponi il tempo alla concordia con la Chiesa; anzi, mentre ti sembra opportuno osservare certi giorni, non oltraggi forse la nostra madre comune, la Chiesa, portando la disunione nelle sante assemblee? Di quale perdono ti stimerai degno tu che senza motivo vuoi commettere tali peccati? Ma perché parlo ancora dei giudei? Perché anche a noi non sarebbe possibile, per quanto ardentemente lo desiderassimo e volessimo, celebrare la Pasqua proprio in quel giorno in cui Cristo fu crocefisso.
    Anche supponendo che i giudei non fossero trasgressori della legge, né ingrati, né insensati, né empi, né sprezzanti, quand’anche non abbandonassero i riti dei padri ma anzi li osservassero con somma diligenza, non sarebbe possibile a noi, seguendo le loro orme, celebrare nello stesso giorno quello in cui Cristo fu crocefisso e quello in cui celebrò la Pasqua.
    Te ne dirò chiaramente la ragione. Quando Cristo fu crocefisso era il primo giorno degli azzimi e vigilia del sabato; orbene, che entrambi cadano insieme non succede tutti gli anni. Infatti quest’anno il primo giorno degli azzimi cade di domenica ed è necessario che digiuniamo tutta la settimana, di modo che quando la Passione sarà trascorsa e i giorni della crocefissione e della resurrezione saranno arrivati, noi staremo ancora digiunando. In realtà accade spesso che dopo che sono arrivati i giorni della crocifissione e della resurrezione, noi digiuniamo ancora, poiché la settimana non è interamente trascorsa; di conseguenza l’osservanza del tempo è, si può dire, nulla.
    6 - Non stiamo a discutere e a dire: "Come, ho digiunato per tanto tempo in questo modo e adesso cambierò?". Proprio per questa ragione devi cambiare, poiché per tanto tempo sei stato lontano dalla chiesa ora devi tornare alla Madre. Nessuno dica: "Poiché per tanto tempo ho provato odio, mi vergogno di riconciliarmi". È invece vergogna e disonore non il mutare in meglio ma persistere in un rancore inopportuno; ed è questo che ha perduto i giudei: mentre persistevano nel costume antico, precipitavano nell’empietà.
    Ma perché parlo del digiuno e dell’osservanza dei giorni? Paolo non trascurava di osservare la legge, sopportava molte fatiche ed affanni, intraprendeva viaggi, resisteva pazientemente a molte altre tribolazioni, superando tutti i suoi contemporanei nell’esatta osservanza delle prescrizioni religiose: tuttavia pervenuto alla perfezione della religione giudea, comprendendo che tutto questo tornava a suo danno e lo portava alla perdizione, non esitò a mutare immediatamente. Non disse a sé stesso: "Che mai è questo? Perderò i frutti di tanto lavoro? Renderò inutili tante fatiche?". Proprio per queste ragioni si affrettò a cambiare, per non soffrire una seconda volta simili danni, abbandonò la giustizia della legge per accettare la giustizia della fede e lo proclama dicendo: "Tutto quello che credevo un profitto, lo giudico adesso un danno a causa di Cristo" (Filipp. III, 7). "Se mentre presenti la tua offerta all’altare ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, vai prima a riconciliarti con lui e poi vieni a fare la tua offerta" (Matt. V, 23).
    Che ne dici? Se tuo fratello ha qualcosa contro di te, non ti è permesso offrire il sacrificio finché non ti sarai riconciliato; e mentre la Chiesa intera e molti Padri ti sono contrari, saresti tanto audace da partecipare ai sacri misteri senza aver prima messo fine a questo odio insolente? Come potresti con questo stato d’animo celebrare la Pasqua? Mi rivolgo non soltanto ai fratelli smarriti, ma mi rivolgo anche a voi che siete ancora sani, affinché raduniate con molto zelo e dolcezza quelli che vi sembrano ancora in errore e poi li riportiate in seno alla Madre Chiesa. Può darsi che oppongano resistenza, può darsi che siano ostinati, ma qualunque cosa facciano non stanchiamoci di insistere finché non li avremo convinti. In verità non vi è nulla che valga più della pace e che possa essere paragonato alla concordia.
    È per questa ragione che il Padre entrando qui non sale su questo seggio senza aver prima augurato la pace a tutti voi, e levatosi non incomincia a darvi i suoi insegnamenti senza prima aver dato a tutti la pace. Anche i sacerdoti quando debbono benedire, anzitutto fanno questo augurio di pace, poi incominciano le loro benedizioni. Inoltre il Diacono quando vi ordina di pregare tutti insieme vi raccomanda di supplicare, nella preghiera, l’angelo della pace e che tutte le offerte siano di pace; di più rimandandovi da questa riunione chiede per voi lo stesso favore dicendo: "Andate in pace". Senza la pace nulla è possibile dire o fare.
    La pace è realmente la nostra nutrice e madre che ci sostiene con attenzione e tenerezza; ma quando dico pace non voglio indicare solo quello che di solito esprimiamo con questa parola, né voglio chiamare pace il sedersi alla stessa tavola, ma pace secondo Dio, cioè quella pace che nasce dall’unione spirituale, e che oggi molti fedeli distruggono; come quelli che danneggiano la nostra fede con inopportune dispute ed esaltano il giudaismo reputando i dottori giudei più degni dei loro Padri. A proposito della passione di Cristo poi credono a quanto dicono gli assassini: vi può essere qualcosa di più assurdo? Non sapete dunque che il giudaismo era l’immagine e che questa è la realtà? Considerate ora quanta è la differenza: quella proibiva la morte corporale, questa placò la collera contro l’intero universo; la prima ci affrancò dal giogo d’Egitto, la seconda ci liberò dal giogo dell’idolatria; e ancora, l’una soffocò il Faraone, l’altra il demonio; e dopo quella, la Palestina, dopo questa, il cielo.
    Perché mai dunque siedi accanto alla lucerna ora che è apparso il sole? Dimmi, ti prego, vuoi continuare a nutrirti di latte mentre ti sono offerti cibi più sostanziosi? Per questo sei stato nutrito di latte, perché non ne fossi del tutto soddisfatto, per questo ti hanno fatto luce con la lucerna, per condurti a vedere il sole. È arrivata l’epoca delle cose perfette, non torniamo indietro, non stiamo ad osservare né i giorni, né i tempi, né gli anni, seguiamo con fedeltà la Chiesa e in ogni cosa anteponiamo a tutto la carità e la pace. Quand’anche la Chiesa sbagliasse, dall’esatta osservanza del tempo non deriverebbe tanto bene e tanto vantaggio, quanto danno risulterebbe invece dalla divisione e dallo scisma. Per conto mio non do nessuna importanza all’osservanza del tempo perché nessuna ne dà Dio, come con molte considerazioni ho dimostrato nei miei sermoni.
    Ma una sola cosa chiedo: che tutto si faccia in pace e concordia e che, mentre noi digiuniamo e il popolo con noi, mentre i Sacerdoti pregano per il bene di tutto il mondo, tu non stia a casa a gozzovigliare. Rifletti come questo tuo comportamento sia opera del demonio e porti con sé non uno, o due, o tre peccati, ma molti di più. Ti sei separato dal gregge e mentre condanni tanti Padri della Chiesa precipiti nella disputa; vai a cacciarti dai giudei dando scandalo ai fratelli e agli estranei. Come potremo rimproverare ai giudei di stare nelle loro case proprio quando tu corri da loro? Non vi sono soltanto questi peccati, ma resta il grave danno di non godere delle scritture, delle assemblee, delle benedizioni e delle preghiere fatte in comune durante i digiuni; tu passi tutto il tuo tempo con cattiva coscienza, tremando e temendo di essere scoperto come se tu fossi straniero e d’altra stirpe, mentre sarebbe necessario che tu, con fiducia e piacere, con gioia e al tempo stesso in assoluta libertà, partecipassi alle celebrazioni con tutta la Chiesa.
    All’inizio neppure la Chiesa conosceva l’esatto computo del tempo, ma poiché ai Padri che erano dispersi sembrò bene riunirsi e stabilire questo giorno, la Chiesa desiderosa dell’unione ovunque, e sollecita della concordia, accolse la decisone. È stato già sufficientemente dimostrato che sarà impossibile a voi, a noi, a chiunque compiere nello stesso giorno i sacri misteri.
    Non combattiamo con le ombre, non rechiamoci danno nelle questioni importanti, discutendo su piccolezze. Poiché non è colpa digiunare in questo o quel momento, ma lo è dividere la Chiesa, perdersi in discussioni, privarsi sempre delle sacre riunioni: questo è imperdonabile, degno di condanna e di grave castigo. Molto si potrebbe ancora dire, ma a coloro che ci hanno seguiti con attenzione quanto abbiamo detto è sufficiente; per i meno attenti dire di più non servirebbe.
    Terminiamo qui il nostro discorso pregando tutti i nostri fratelli di tornare a noi, di abbracciare la pace, di abbandonare ogni inopportuna contesa, e, trascurando le inezie, di elevare la mente e il pensiero, liberandosi dall’osservanza dell’obbligo del tempo, e tutti insieme con un solo spirito e una sola voce rendere gloria a Dio, Padre di nostro Signor Gesù Cristo, a cui appartengono la gloria e la potenza ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia.

    Quarta Omelia

    1 - Ancora una volta, questi miserabili Giudei, i più funesti di tutti gli uomini, si apprestano a digiunare, e ancora una volta è necessario che il gregge di Cristo sia messo in guardia. Quando non vi è da temere alcun animale feroce, i pastori sdraiati sotto una quercia o un pioppo, suonano la zampogna lasciando le pecore pascolare in libertà; ma, appena prevedono l’attacco dei lupi, subito, gettata la zampogna, afferrano la fionda e, abbandonato il flauto, si armano di bastoni e di pietre e si pongono a difesa davanti all’ovile, urlando con fortissime grida e molto spesso con il solo clamore, cacciano la belva prima che si avventi.
    Così è anche per noi: nei giorni precedenti godevamo nell’esporvi le Sacre Scritture, come i cantanti del coro in una ridente prateria, e non toccavamo alcun argomento di litigio poiché nulla ci turbava o ci spiaceva.
    Ma oggi che i Giudei, più spietati dei lupi, ci assediano, è nostro dovere prepararci alla battaglia e al duello, perché nessuno, a noi strappato, cada in preda alle fiere. In verità, non stupitevi che, sebbene il digiuno incominci tra dieci e anche più giorni, noi sin d’ora armiamo e fortifichiamo gli animi vostri. Gli agricoltori attenti e laboriosi, se hanno vicino un torrente che danneggia e distrugge i campi, non aspettano l’arrivo dell’inverno, ma, molto tempo prima, rinforzano gli argini, elevano dighe, scavano fossati, e si preparano con tutti i mezzi possibili a contrastare la futura violenza del torrente. Finché è tranquillo nel suo letto, facilmente si potrà tenerlo sotto controllo, invece non sarà altrettanto facile fermarne lo straripamento quando sarà ingrossato e l’impeto delle acque molto violento. Per questo gli agricoltori prevengono con molto anticipo l’inondazione, preparando tutto quello che può rendere sicuri i campi.
    Questa è anche la consuetudine dei soldati, dei marinai, dei contadini e dei mietitori. I soldati, prima che arrivi il momento della battaglia, puliscono la corazza, esaminano attentamente lo scudo, mettono in ordine le redini, nutrono abbondantemente i cavalli, e curano che ogni cosa sia in perfetto ordine. Similmente i marinai, prima di condurre la nave in porto, riparano la carena, rimettono in buono stato le fiancate, raschiano i remi, rattoppano le vele e infine diligentemente sistemano tutta l’armatura della nave; anche i mietitori molti giorni prima affilano le falci, preparano le aie, i buoi, i carri, in breve tutto quello che serve al raccolto e alla trebbiatura.
    Vedi dunque che tutti gli uomini, ogni volta che si tratta di cosa importante, fanno i loro preparativi, perché giunto il tempo di eseguire i lavori si potrà compiere l’opera più facilmente. Prendendo esempio da questi, noi premuniamo le vostre anime, esortandovi a fuggire questo empio e scellerato digiuno degli ebrei.
    Invero non dirmi: "Digiunano soltanto!", ma mostrami piuttosto che digiunano per comando di Dio; se non è così, allora il digiuno è più scellerato dell’intemperanza; infatti non si deve considerare soltanto ciò che i Giudei fanno, ma occorre ricercare la ragione per la quale agiscono in tal modo.
    Quello che è fatto per volontà di Dio è ottimo anche se può sembrare malvagio; al contrario ciò che è fatto contro la volontà di Dio e gli dispiace, anche se viene giudicato ottimo, è invece pessimo e iniquo. Perciò, se qualcuno uccide un uomo, perché così vuole Dio, commette un omicidio che è meglio di qualsiasi atto di carità; e, ancora, se qualcuno risparmia un uomo, e lo tratta con indulgenza contro il volere di Dio, questa bontà è più criminale di un omicidio. Non è la natura dei fatti che rende le azioni buone o cattive, ma la volontà del Signore.
    2 - Ascolta attentamente per comprendere bene questa verità: Achab aveva catturato un monarca siriano e, contro il volere di Dio lo lasciò in vita, non solo, ma lo fece sedere accanto a sé e infine lo lasciò andare con molte dimostrazioni di rispetto. Allora un Profeta che era presente, avvicinatosi a un compagno gli disse: ""In nome di Dio percuotimi". Ma il compagno non volle colpirlo. E il Profeta: "Poiché non hai ascoltato la voce del Signore, appena mi avrai lasciato un leone ti ucciderà". L’uomo si allontanò e in effetti un leone lo incontrò e l’uccise. Lo stesso Profeta, incontrato un altro uomo gli disse di nuovo: "Percuotimi, in nome di Dio". Costui lo picchiò e lo ferì ed il Profeta si bendò il viso [per non farsi riconoscere dal Re]" (III Re 20, 35-38). Cosa vi è di più strano e stupefacente? Quello che colpisce il Profeta se ne va incolume, colui che lo ha risparmiato è punito. Senza dubbio questo è per far comprendere che non si deve indagare con curiosità sui voleri divini ed esaminare la natura dei comandi, si deve solamente obbedire. Affinché il rispetto dovutogli non spingesse l’uomo a risparmiarlo, il Profeta non gli disse semplicemente: "Percuotimi", ma aggiunse: "In nome di Dio" cioè Dio lo comanda e non chiedere di più. È il Signore, sovrano di tutto il creato, che ha stabilito questa legge; inchinatevi davanti alla maestà di chi comanda e obbedite con la massima prontezza. Colui al quale queste parole erano state dette rifiutò di obbedire e fu gravemente punito, per ammonire i posteri ed esortarli a cedere ed obbedire senza indugio qualsiasi cosa Dio comandi.
    Dunque, dopo che il secondo uomo lo ebbe colpito e ferito, il profeta si avviluppò il capo, si coprì gli occhi e si rese irriconoscibile. Per qual ragione agì in tal modo? Per poter accusare il Re e comunicargli la sentenza di condanna per aver lasciato in vita il Re della Siria. Poiché questo empio monarca aveva sempre odiato i Profeti, temendo che, avendolo visto e riconosciuto, si allontanasse e non ricevesse il rimprovero, il Profeta si velò il viso e modificò il racconto per poter dire ciò che voleva, costringendo il Re a confessare. Infatti al passaggio del Re lo interpellò ad alta voce dicendo: "Il vostro servo era uscito per combattere i nemici ed ecco che un uomo me ne porta un altro dicendomi: "Fai la guardia a costui, ma se egli riuscirà a fuggire, la tua vita risponderà della sua o pagherai un talento d’argento". Accadde che mentre il tuo servo guardava in giro da una parte e dall’altra, l’uomo scomparve. Disse il Re di Israele: "Tu sei per me il tuo stesso giudice, hai ucciso". Subito il profeta si tolse il velo che gli copriva gli occhi ed il Re di Israele lo riconobbe poiché era uno dei figli dei profeti, e rivolto al Re il profeta aggiunse: "Ecco che cosa dice il Signore: poiché hai lasciato sfuggire dalle tue mani un uomo che meritava di morire, la tua vita risponderà della sua e il tuo popolo per il suo popolo" " (III Re, XX, 39 e segg.).
    Vedi? Non solo Dio ma anche gli uomini giudicano allo stesso modo, considerando non la natura delle cose, ma il fine e i motivi che li ispirano. É vero, disse anche il Re, tu sei per me il tuo stesso giudice: sei un omicida; sì, sei un omicida perché hai lasciato fuggire un nemico. Velandosi il volto e sottomettendo al re un fatto diverso il profeta l’aveva indotto a pronunziare una giusta sentenza. Allora, dopo che il re ebbe pronunziata la sentenza che condannava anche il proprio operato, il Profeta, toltosi il velo, così parlò: "Poiché avete lasciato andare libero un uomo meritevole di morte, risponderete della sua vita con la vostra vita e del suo popolo col vostro popolo".
    Rifletti sulla gravità del castigo che toccò al re per il suo atto, e sul supplizio a cui lo condannò la sua clemenza fuori luogo: di modo che è punito chi salvò la vita, è approvato chi uccise (Num. XXV, Salmo CV, 30). Phinees che commise nello stesso tempo un duplice omicidio, colpendo mortalmente un uomo e la moglie, fu onorato con la dignità sacerdotale, e la sua mano non solo non fu insozzata dal sangue, ma il sangue addirittura la rese più pura. Quindi: quando vedete che è salvo colui che percosse il Profeta e punito a morte chi lo ha risparmiato; quando vedete che è castigato chi non lo ha colpito ed è altamente approvato chi al contrario lo ha fatto, allora considerate sempre con grande cura quale sia la volontà divina, piuttosto che considerare la natura degli avvenimenti e delle azioni: questo solo deve essere fatto, quello che è conforme alla volontà di Dio.
    3 - Usiamo questa regola ed esaminiamo attentamente il digiuno degli ebrei. In realtà se non ci comportassimo in tal modo, ma ci limitassimo ad esporre e considerare le cose in sé stesse, avremmo grande confusione e grandi dubbi. Infatti si straziano i fianchi ai briganti, ai profanatori di tombe, agli impostori, ma i martiri sopportarono le stesse sevizie; di modo che le azioni sono uguali, ma le intenzioni e le cause per cui accaddero non sono le stesse e perciò vi è una grandissima differenza tra le une e le altre. In questi fatti non consideriamo soltanto i tormenti inflitti, ma, prima di tutto, la ragione e i sentimenti che causarono le torture: ed allora amiamo i martiri non perché furono torturati, ma perché sopportarono i tormenti per Cristo, e detestiamo i malfattori non perché furono puniti ma perché lo furono per la loro malvagità. Applicate questo principio anche nel caso del digiuno; quando vedrete che i Giudei digiunano per amore verso Dio allora apprezzateli, ma se vedrete che digiunano contro la volontà divina, detestateli ancora di più e odiateli come se fossero degli ubriachi dediti alle orge e alla dissolutezza.
    Inoltre per questo digiuno bisogna non solo ricercare la causa, ma considerare anche il luogo e il tempo. In verità prima di muovere guerra contro gli ebrei, volentieri mi rivolgerei a quelli che sono nostri membri, che mentre continuano a far parte del nostro corpo, seguono le pratiche giudaiche e non trascurano nessuna fatica per difenderle; per questo, a mio avviso, sono molto più colpevoli degli stessi Giudei. Che ciò sia vero l’ammetteranno con me non solo gli uomini saggi ed avveduti, ma anche tutti quelli che hanno un’ombra di raziocinio e di buon senso. Per dimostrarlo non vi è bisogno di sofismi, di artifici oratori o di lunghi discorsi. La risposta ad una semplice domanda renderà tutto chiaro. Quale domanda? Ad ognuno di quelli che sono colpiti dal morbo chiederò: Sei cristiano? Se sì, allora perché emuli i Giudei nell’osservanza dei loro riti? Se sei un ebreo, perché perseguiti la Chiesa? Un persiano non si interessa forse degli affari persiani? E un barbaro non segue forse i riti barbari? Colui che abita nelle terre sottomesse ai romani non segue forse le nostre stesse leggi? Dimmi dunque: se qualcuno di questi che vivono con noi fosse sorpreso ad avere un’intesa con i barbari, non sarebbe forse punito subito senza inchiesta o discussione, qualsiasi scusa volesse portare in sua difesa? E se presso i barbari vi fosse qualcuno che si conformasse alle leggi romane, non sarebbe forse punito allo stesso modo? Come speri salvezza tu che sei passato a quell’empio modo di vita? Tra noi e i Giudei vi è soltanto una piccola differenza?
    E le questioni che ci separano sono talmente futili e senza importanza che tu puoi stimare essere una sola e stessa religione la nostra e la loro? Perché mescoli cose tra loro incompatibili? I Giudei crocefissero quel Cristo che tu adori; vedi quale abisso ci separa? Come può essere che tu corra da quelli che uccisero Cristo, quel Cristo crocefisso che tu proclami di adorare?
    Non è mia questa legge che li incrimina, né io scoprii questa accusa. La Sacra Scrittura non li accusa forse nello stesso modo? Ascolta le parole di Geremia contro i Giudei: "Andate a Cedar e osservate: mandate messaggeri alle isole Cethim e giudicate se sono mai state fatte azioni simili alle vostre; le genti non cambiano i loro dei anche se non sono dei veri dei. Voi invece cambiate la vostra gloria in un’altra da cui non trarrete alcun beneficio" (Ger. II, 10-11). Geremia non disse: avete cambiato i vostri dei, ma disse: avete cambiato la vostra gloria; questi uomini, spiega, adorano degli idoli e servono dei demoni, ma sono tanto fermi nel loro errore che non vogliono abbandonarli e passare alla verità. E voi che adorate il vero Dio, abbandonato il culto dei vostri padri, vi affrettate a seguire un culto estraneo e non mostrate per la verità tanta strenua fermezza quanta gli idolatri per l’errore.
    Per questo il Profeta dice: "Si è mai fatto qualcosa di simile? Queste nazioni hanno cambiato i loro dei, che pure dei non sono, ma voi avete cambiato la vostra gloria per una che non vi servirà a nulla" (Mal. III, 6). Non disse: "Avete cambiato il vostro Dio", perché Dio non si può cambiare, ma "avete cambiato la vostra gloria". Dice il Signore: "Non io sono stato ferito, né a me è stato arrecato danno, voi vi siete disonorati da soli; non la mia gloria avete sminuito, ma la vostra".
    Permettetemi perciò di rivolgere lo stesso discorso ai nostri fratelli, se, tuttavia, possiamo chiamare così quelli che hanno con i Giudei lo stesso modo di sentire. Andate nelle Sinagoghe e osservate se i Giudei hanno modificato il loro digiuno, se celebrano con noi il digiuno pasquale, se hanno una qualche volta mangiato in tal giorno. Quindi questo loro digiuno non è vero digiuno, ma una trasgressione della legge, è un errore, è un peccato e tuttavia essi nulla hanno cambiato. Voi invece, voi avete rinunziato alla vostra gloria, senza alcun vantaggio, e per di più siete passati ai loro riti. Quando mai i Giudei hanno celebrato il digiuno pasquale? Quando mai hanno celebrato con noi le feste dei martiri? Quando mai hanno celebrato con noi l’Epifania? Essi non muovono un passo verso la verità e voi vi affrettate a correre verso l’iniquità. Sì l’iniquità, lo ripeto, perché questi digiuni non sono fatti nel tempo giusto. Una volta vi fu un’epoca in cui bisognava osservarli, ma ora non più, e perciò quello che allora era conforme alla legge divina, ora è diventato contrario.
    4 - Concedete anche a me di dire contro di loro quello che disse il Profeta Elia. Vedendo i Giudei vivere con empietà, ora obbedendo a Dio, ora servendo gli idoli, così Elia parlò loro: "Fino a quando zoppicherete da entrambe le parti? Se il Signore è il vostro Dio venite e seguitelo; se al contrario il vostro Dio è Baal andate dietro a Baal" (III Re, XVIII, 21). Lo stesso io dico ora a costoro: se reputate che il giudaismo è la verità, perché importunate la Chiesa? Se il Cristianesimo è la verità, come lo è in modo certo, restate con lui e seguitene le pratiche: sarete con noi partecipi dei misteri. Suvvia ditemi: adorate Dio come cristiani, gli chiedete delle grazie e celebrate le festività con i suoi nemici? E, infine, con qual animo vi presentate in Chiesa?
    Ho parlato sufficientemente ormai per quelli che affermano di credere come noi, mentre imitano i comportamenti dei Giudei.
    Ora voglio proprio rivolgere ai Giudei il mio discorso; permettetemi quindi di esporre più ampiamente la dottrina, per mostrare in modo chiaro come i Giudei che ora digiunano oltraggino ignominiosamente la legge, calpestando i precetti divini, e, così facendo, agiscano in modo contrario alla volontà di Dio. Quando il Signore voleva che digiunassero, essi rimandavano il digiuno ad altro tempo mangiando a quattro palmenti; e poi, quando il Signore non voleva che digiunassero, essi al contrario digiunavano. Quando Dio voleva che offrissero sacrifici, essi correvano agli altari degli idoli, quando Dio voleva che celebrassero una festività non si prendevano cura di farlo; per questo Stefano disse loro: "Voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo" (Atti VII, 51). E ancora disse: "La vostra sola preoccupazione è di fare il contrario di ciò che Dio comanda"; tale è anche ora la loro condotta.
    Che cosa ce lo mostra chiaramente? Senza dubbio la legge stessa. Per quanto concerne le festività giudaiche, la legge non comanda solamente di osservare il tempo prescritto, ma anche il luogo. A quelli che discutevano per la Pasqua così disse: "Non potrete celebrare la Pasqua in nessuna delle città che il Signore vi dà" (Deut. XVI, 5-6). Fissa inoltre la celebrazione di questa festa il quattordicesimo giorno del primo mese e ordina di celebrarla in Gerusalemme. Nello stesso modo sono accuratamente determinati il luogo e il tempo in cui si doveva celebrare la Pentecoste. Il Signore comanda inoltre di celebrarla dopo sette settimane; e precisa: "Nel luogo scelto dal Signore tuo Dio" (Deut. XII, 11). Così anche per la Festa dei Tabernacoli.
    Esaminiamo ora quale di queste due prescrizioni è più necessaria: nel caso in cui l’importanza non fosse uguale, bisogna osservare il tempo non curandosi del luogo, oppure non curarsi del tempo per osservare il luogo? Mi spiego meglio: il Signore prescrive che la Pasqua sia celebrata il primo mese dell’anno e in Gerusalemme. Ecco precisati tempo e luogo. Ora supponiamo che due uomini celebrino la Pasqua; l’uno la celebra nel tempo dovuto ma non nel luogo prescritto; l’altro obbedisce all’obbligo del luogo, ma trasgredisce riguardo al tempo; di modo che colui che osserva il tempo trascurando il luogo celebra la Pasqua nel primo mese, ma lontano da Gerusalemme; colui che osserva il luogo trascurando il tempo, celebra la Pasqua a Gerusalemme, tuttavia non nel primo mese ma nel secondo.
    Vediamo ora quale dei due è da giudicare colpevole e quale da approvare. Approveremo quello che osservò il luogo trascurando il tempo, oppure quello che, al contrario, osservò il tempo trascurando il luogo? In verità se ci sembra da approvare quello che trascurò il tempo per celebrare la Pasqua a Gerusalemme, e se, al contrario, dobbiamo condannare per empietà chi trascura la questione del luogo per mantenere quella del tempo, ne consegue con somma evidenza che i Giudei violano la legge, non facendo nel luogo prescritto quanto fanno, anche se ripetessero diecimila volte che osservano il tempo.
    Dove troveremo noi la prova? Nelle parole di Mosè. Alcuni ebrei che stavano per celebrare la Pasqua, si recarono da Mosè e gli dissero: ""Noi siamo impuri perché abbiamo toccato un cadavere, non potremo per questo offrire i doni al Signore in mezzo ai figli di Israele nel tempo fissato?". Ad essi Mosè rispose: "Aspettate. Sentirò quello che il Signore comanderà per voi". E il Signore parlò a Mosè dicendo: "Ogni uomo tra voi, o tra i vostri discendenti, che sia impuro per aver toccato un cadavere, o che sia impegnato in un lungo viaggio, celebri la Pasqua nel secondo mese"" (Num. IX, 7-11). In altri termini disse: "Chiunque si trovi in viaggio nel primo mese, non deve celebrare la Pasqua fuori di Gerusalemme, ma nel secondo mese, appena potrà recarvisi; piuttosto che celebrare la Pasqua in un’altra città, non tenga conto del tempo". Dichiarando così che è più necessaria l’osservanza del luogo che non quella del tempo.
    Cosa rispondono questi Giudei che celebrano la Pasqua fuori dalla città stabilita? Infatti poiché trasgrediscono all’obbligo più grave, non può giustificarli l’osservanza del tempo che è di minore importanza. Potrebbero osservare mille e mille volte il tempo prescritto, non sarebbero meno colpevoli di grave trasgressione alla legge. E che questa sia la verità lo provano non solo queste considerazioni ma anche le parole dei Profeti. Sappiamo infatti che non offrivano sacrifici, non cantavano inni sacri, non digiunavano quando erano in terra straniera (Salmo CXXXVI, 4). Cosa possono dire per scusarsi i Giudei di questi giorni? Tuttavia quegli antichi ebrei si aspettavano di ritrovare il loro modo di vita e continuavano a obbedire agli obblighi della legge; quella legge che prometteva che questo sarebbe accaduto. Gli ebrei di questi tempi agiscono in questo modo senza nessuna speranza di ritornare allo stato primitivo; del resto in qual profeta troverebbero questa promessa? Non sanno, inoltre, starsene tranquilli; quand’anche avessero grandissime speranze di ritornare nella loro città, tuttavia dovrebbero imitare quei santi uomini e astenersi dal digiuno e da ogni pratica simile.
    5 - Che quegli antichi santi ebrei si siano totalmente astenuti lo comprenderete dalle risposte date a chi li interrogava. Infatti ai barbari che premevano con insistenza per obbligarli a cantare accompagnandosi con i loro strumenti dicendo loro: "Cantateci gli inni del Signore" (Salmo CXXXVI, 3), essi che avevano ben chiaro nella mente che non era lecito farlo fuori di Gerusalemme, risposero: "Come potremmo cantare gli inni del Signore essendo in terra straniera?". E ancora, ecco che cosa dicevano i tre giovani prigionieri a Babilonia: "Non vi è ora principe, né profeta, né luogo in cui sia permesso sacrificare in vostra presenza e ottenere misericordia" (Dan. III, 38). Certamente vi era là molto spazio, ma poiché non vi era il tempio, si astenevano dall’offrire sacrifici.
    Ad altri poi il Signore parlò per mezzo di Zaccaria; parlando degli anni che avevano passati in cattività chiese: "Avete osservato il digiuno per settanta anni?" (Zac. VII, 5). Perché dunque tu giudeo ora digiuni, mentre i tuoi antenati si sono astenuti dai sacrifici, dai digiuni, dalla celebrazione delle feste? Risulta evidente che essi non celebravano la Pasqua, giacché dove non c’era sacrificio non poteva esserci festività, dato che la festività esige il sacrificio.
    Ma se volessimo dare una dimostrazione ancora più precisa, ripeteremmo quello che dice Daniele: "Io Daniele passai quei giorni piangendo; per tre settimane non mangiai pane; né vino né carne entrarono nella mia bocca; in quelle settimane non unsi il mio corpo con unguenti e il ventiquattresimo giorno del primo mese ebbi una visione" (Dan. X, 2-4). Ascoltatemi ora con molta attenzione perché questo passo dimostra chiaramente che allora gli ebrei non celebravano la Pasqua. Come risulta questo? Ve lo spiegherò: durante i giorni degli azimi, agli ebrei non era permesso il digiuno; ora Daniele passò ventun giorni senza toccare pane. Subito qualcuno obbietterà: "Come sai che questi ventun giorni coincidevano con i giorni degli azimi?". Questo è dimostrato dalle parole di Daniele che dice: il ventiquattresimo giorno del primo mese. Ora le celebrazioni di Pasqua terminavano il ventunesimo giorno dello stesso mese. Cominciavano infatti il quattordicesimo giorno del primo mese e si celebravano per sette giorni continui; la fine era fissata al ventunesimo giorno. Tuttavia Daniele continuava a digiunare anche se il tempo pasquale era ormai passato (Dan. X, 4). Avendo cominciato il terzo giorno del primo mese e continuato per ventun giorni, vuol dire che giunto al quattordicesimo giorno aveva continuato a digiunare per altri sette giorni e poi ancora per altri tre.
    Non sono dunque da considerare empi e violatori della legge quelli che, per spirito di contesa e ostinazione, si ostinano ad agire in modo contrario, mentre quegli antichi santi uomini non compivano in terra straniera alcuno degli obblighi comandati dalla legge? Se invero fossero stati uomini sconsiderati e poco attenti si sarebbe potuto attribuire a negligenza la mancata osservanza di queste pratiche; ma essendo essi uomini religiosi e pii, uomini che offrirono la vita per obbedire ai precetti divini, è chiarissimo che non agirono in tal modo per negligenza, ma perché convinti dalla legge stessa che non era lecito osservare gli obblighi fuori di Gerusalemme. Ne consegue un altro principio estremamente importante, cioè che l’osservanza dei sacrifici, sabati, noviluni, e tutti gli altri riti simili, erano aggiunti alla vita giudaica come un sovrappiù; se venivano osservati non aggiungevano nulla di considerevole alla virtù, se trascurati non potevano far diventare cattivo l’uomo buono o diminuire in qualche modo la santità insita nell’animo. Perciò quegli uomini che ci mostrarono di vivere sulla terra come degli angeli, sebbene non abbiano celebrato nessuna di queste cerimonie, né offerto sacrifici oppure osservato il giorno festivo, tuttavia talmente piacquero a Dio che si elevarono sopra la natura stessa, e per le circostanze della loro vita portarono al mondo intero la conoscenza di Dio. Chi è capace di mostrare qualcuno paragonabile a Daniele? O ai tre fanciulli? Poiché essi, prima del Vangelo, fecero proprio quel grande precetto evangelico che è la causa prima di ogni bene e lo mostrarono con i fatti. "Nessuno può dare più gran prova di amore di colui che dà la sua vita per i suoi amici" (Giov. XV, 13). Ed essi in verità diedero la vita per Dio. Non solo per questo sono da ammirare, ma ancora di più perché non lo hanno fatto per ricevere una ricompensa. Infatti dicevano: "Il Signore che è nei cieli è tanto potente da liberarci, ma se anche non lo farà, sappi o re che noi non adoreremo i tuoi dei" (Dan. III, l7). Come ricompensa a noi basta morire per Dio. Ecco che cosa fecero, ecco la testimonianza della loro grande virtù, eppure nessuno di loro osservava le prescrizioni della legge.
    6 - Ma allora mi domandi: "Perché Dio diede degli ordini se non voleva che fossero osservati? E se ne voleva l’adempimento perché ha distrutto la tua città?".
    Se voleva mantenere quei riti bisognava agire in uno di questi due modi: o non imporre che i sacrifici fossero celebrati in un luogo determinato, mentre voi sareste stati dispersi in ogni parte del mondo; oppure se voleva che sacrificaste in un solo luogo non doveva disperdervi in tutto l’universo e non doveva rendere inaccessibile quella città nella quale soltanto aveva comandato di immolare le vittime dei sacrifici. E allora? Mi ribatti: "Non è Dio in contraddizione con sé stesso, comandando che i sacrifici devono essere celebrati in un solo luogo e poi rendere impossibile l’accesso a tale luogo?". Niente affatto, Dio è assolutamente coerente: infatti sin dall’inizio non voleva che gli fossero offerti dei sacrifici ed io porto a testimonianza lo stesso profeta Isaia che diceva: "Ascoltate la parola del Signore, principi dei Sodomiti, state attenti alla legge del vostro Dio, o popolo di Gomorra" (Is. I, 10). Con queste parole il Signore non si rivolgeva soltanto agli abitanti di Sodoma e Gomorra, ma ai Giudei. Così li chiama perché imitandone i vizi ne diventano quasi parenti! Similmente li chiama cani e stalloni non perché si sia trasformata la loro natura, ma perché sono simili a quegli animali nella loro lussuria. ""Che mi importa del numero delle vostre vittime?" dice il Signore" (Is. I, 11). Le parole del Signore sono rivolte agli ebrei perché gli abitanti di Sodoma non hanno mai immolato vittime; ed il Signore chiama gli ebrei "sodomiti" per quella affinità nel male di cui prima abbiamo parlato.
    ""Che mi importa del gran numero delle vostre vittime?", dice il Signore. "Sono sazio di montoni sacrificati e di grasso di agnelli, e non voglio neppure sangue di tori o di caproni, né voglio che vi presentiate al mio cospetto. Chi mai ha preteso tutto questo dalle vostre mani?"" (Is. I, 11 segg.). Udite la voce di Isaia proclamare chiaramente che sin dall’origine questi sacrifici non erano richiesti? Infatti se il Signore li avesse voluti, avrebbe imposto a quei virtuosi patriarchi che erano vissuti prima, quello stile di vita. Chiedi: "Perché allora ha introdotto più tardi questi usi?". A causa senza dubbio della vostra debolezza. Come un medico che vede un uomo in preda alla febbre diventare inquieto, impaziente, desideroso di bevande fredde, e minacciare, se non accontentato, di impiccarsi o di gettarsi nel vuoto, questo medico desideroso di strapparlo ad una morte violenta e per impedire un gran male, permette un male minore. Così fece il Signore, quando vide gli ebrei fuor di senno, inquieti, avidi di offerte di vittime e in uno stato tale che ormai, se non avessero ottenuto quanto desideravano, erano pronti a passare all’adorazione degli idoli, anzi non solo pronti ma già caduti nella colpa, allora il Signore permise l’immolazione delle vittime. Affinché tu ben comprenda che questa fu la causa, dirò che quanto io affermo è dimostrato dal momento in cui il permesso fu proclamato. Infatti dopo la festa nella quale gli ebrei avevano celebrato con gli empi demoni, proprio in quel momento il Signore permise loro di immolare animali, quasi dicendo: pazzi, smaniosi di immolare delle vittime, allora piuttosto immolatele a me. Tuttavia non lo permise perché fosse fatto in perpetuo, ma in seguito lo revocò con grandissima saggezza. E come quel medico di cui abbiamo parlato (nulla vieta di usare di nuovo lo stesso esempio), dopo aver ceduto al desiderio del malato, gli prescrive di bere l’acqua solo nella coppa da lui portata da casa, e in seguito, avendo persuaso il malato a farlo, raccomanda a quelli che lo assistono di rompere, segretamente e a sua insaputa, quella coppa per liberarlo dal desiderio di bere acqua fredda: lo stesso fece il Signore permettendo i sacrifici. Infatti non permise che fossero celebrati in nessun altro luogo, ma soltanto a Gerusalemme. Dopo che per breve tempo ebbero sacrificato, subito distrusse la città. Come il medico aveva infranto la coppa, così Dio distruggendo la città fin dalle fondamenta portò i Giudei, loro malgrado, a rinunziare alle vittime.
    Infatti se avesse detto chiaramente e semplicemente "Smettete!", non avrebbero facilmente abbandonato il loro insano desiderio di sacrifici. Invece l’obbligo di andare in un solo luogo stabilito, li allontanò senza che se ne rendessero conto dalla pazzia delle offerte. Così Dio è come il medico, la coppa Gerusalemme, il malato intrattabile è il popolo degli ebrei ed infine la bevanda fredda è il permesso e la facoltà di immolare le vittime. Dunque come il medico rompendo la coppa arresta nel malato quell’insensato desiderio di bevanda fredda, così Dio distruggendo completamente la città, tanto da renderla inaccessibile, allontanò gli ebrei dai sacrifici. Se non fosse per questa ragione, perché mai avrebbe limitato questo culto ad un solo luogo, Egli che è presente ovunque e che riempie l’universo intero?
    Del resto, perché mai il culto ridotto alle vittime, le vittime sacrificate in un solo luogo, questo luogo legato ad un tempo determinato, questo tempo circoscritto ad una sola città, infine perché distruggere questa stessa città? Non è forse sorprendente e straordinario che agli ebrei sia concesso il mondo intero, dove tuttavia non è permesso di fare sacrifici, e l’unico luogo in cui sarebbe lecito, Gerusalemme, sia per essi inaccessibile? Non è quindi chiarissimo ed evidente anche ai più stolti che la città è stata distrutta per questa ragione? Invero come un architetto che ha gettato le fondamenta di un edificio, elevato i muri, costruita la volta e posata la pietra che ne è la chiave, se mai toglie questa pietra distrugge e scompagina tutto l’edificio, similmente Dio, che aveva fatto della città di Gerusalemme quasi la chiave di volta della religione giudaica, distruggendo questa città non ha insieme demolito le istituzioni che le erano proprie?
    7 - A questo punto fermiamo i nostri attacchi contro i Giudei. Oggi abbiamo soltanto lanciato dardi da lontano, e abbiamo parlato quanto bastava per scacciare il pericolo dai nostri fratelli e forse abbiamo parlato anche troppo ampiamente. Tuttavia mi resta ancora, ed è molto necessario, di esortare voi presenti ad avere una grandissima sollecitudine per i nostri fratelli. Non dite: "Che mi importa? Perché mai debbo essere sollecito ed occuparmi degli affari altrui?". Il Signore è morto per noi e tu non dici neppure una parola? Che scusa troverai, che giustificazione potrai portare? Dimmi come potrai presentarti fiducioso al tribunale di Cristo dopo aver finto di non vedere la perdita di tante anime? Volesse il cielo che io potessi vedere quelli che corrono alle assemblee giudaiche, non sarebbe necessario il vostro aiuto: li correggerei immediatamente.
    Ma tu, ogni volta che vi è un fratello da ammonire, non esitare, fosse anche necessario rischiare la vita. Imita il tuo Signore. Se hai un servo o una sposa trattienili in casa con fermezza; infatti se non permetti loro che vadano a teatro, non devono con più ragione star lontani dalla sinagoga dei Giudei? L’andare alla sinagoga è più grave che andare a teatro: infatti andare a teatro è una colpa, ma andare alla sinagoga è un’empietà. Non dico questo perché si permetta alla moglie o ai servi di andare a teatro, poiché è un male, ma perché si proibisca con maggior cura di andare alla sinagoga. Ma dimmi, cosa corri a vedere alla sinagoga dei Giudei nemici di Dio? Forse degli uomini che suonano le trombe? Ah! sarebbe meglio per voi restare a casa e versare, gemendo, lacrime per questi disgraziati che si ribellano ai comandi del Signore e che hanno il demonio come guida per le danze del coro. Perché come dissi prima, quello che è fatto contro la volontà di Dio, anche se per caso fosse stato precedentemente permesso, dopo diventa violazione della legge e causa di innumerevoli castighi. I Giudei suonavano la tromba quando avevano ancora i sacrifici, ma adesso non è più permesso di farlo; ascolta dunque per qual ragione sono state date loro le trombe: "Fatevi delle trombe di argento battuto" aveva detto il Signore (Num. X, 2) e poi indicando il loro impiego, aggiunse: "E con esse suonerete durante gli olocausti e i sacrifici fatti per la vostra salvezza". Ebbene dove è ora l’altare, dove l’arca, dove il Tabernacolo e il Santo dei Santi, dove i sacerdoti, dove la gloria dei cherubini, dove l’aureo turibolo, dove il propiziatorio, dove la coppa, dove i sacri vasi per le libagioni, dove quel fuoco disceso dal cielo?
    Avete perduto tutto questo, non conservate altro che le trombe. Ma tu non vedi che il loro culto è un gioco, non un atto di omaggio a Dio? Ma in verità, se condanniamo loro perché trasgrediscono la legge, con molta più energia condanniamo voi che accorrete da loro, e non soltanto rimproveriamo quelli che vanno dai Giudei, ma anche quelli che avendo l’autorità di proibirlo rifiutano di farlo. Non dirmi: "Che cosa ho io in comune con questo o con quello? È uno straniero, non lo conosco". Invece finché sarà un fedele, partecipe degli stessi misteri, finché verrà con noi nella stessa chiesa, ti è più parente di fratelli, di congiunti, di amici e di tutti gli altri. Perciò come non si condannano soltanto i ladri, ma con la stessa pena, si condannano anche coloro che potendo impedire il furto, non lo hanno fatto, così allo stesso modo sono puniti stessa non solo coloro che agiscono con empietà, ma anche quelli che potendoli strappare dal male non vollero farlo, per pigrizia o per indifferenza.
    Se invero il servo del Vangelo che aveva ricevuto un talento lo aveva sotterrato, restituendolo poi integro, viene punito per non averne tratto frutto (Mt. XVIII, 24), così anche tu, se pure resterai pio ed innocente, subirai la stessa pena se non fai fruttare il tuo talento e non porti in salvo un fratello. Pretendo troppo? Che ciascuno di voi mi salvi uno dei fratelli, sia zelante e premuroso, cosicché alla prossima assemblea saremo senza dubbio presenti con gran fierezza per portare i doni al Signore, i doni, lo ripeto, più preziosi di tutti, cioè le anime degli erranti riportate a Lui. Dovessimo anche essere insultati, percossi, offesi in ogni modo, facciamo di tutto per riconquistarli. Talora i malati ci maltrattano, ma tolleriamo le contumelie e gli incessanti rimbrotti e non siamo offesi dai loro modi perché non desideriamo nient’altro che la guarigione dell’uomo che la malattia spinge ad un tale comportamento. Più di una volta il paziente ha strappato l’abito del medico, che tuttavia non ha per questo cessato di curarlo. Non è incomprensibile che mentre con tanta diligenza ci occupiamo dei bisogni del corpo, si abbia tanta indifferenza per le anime avviate alla perdizione, quasi che non accada nulla di grave se si corrompono dei nostri fratelli? Non così giudicava Paolo. Ma allora in che modo? "Chi, disse, è debole senza che io sia debole con lui? Chi è scandalizzato senza che anch’io bruci?" (II Cor. XI, 29). Brucia anche tu di questo fuoco, e se vedi un fratello che sta per perire, anche se grida, lancia insulti, ti percuote, minaccia di esserti nemico in futuro, qualsiasi malvagità tenti contro di te, sfida tutto coraggiosamente per procurargli la salvezza.
    Se pure egli ti sarà nemico, ti sarà amico il Signore e in quel giorno supremo ti ricompenserà largamente. Potessimo noi vedere che per i voti e le preghiere dei santi si salvano quelli che si erano smarriti e che voi tornate soddisfatti da questa caccia, e che questi Giudei blasfemi, guariti della loro empietà, riconoscono Cristo che è stato da loro crocefisso! Sicché con un sentimento comune ed una sola voce rendiamo grazie a Dio, Padre di Nostro Signor Gesù Cristo, cui appartengono gloria e potere, in unità con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Così sia.

    Quinta Omelia
    1 - Come mai, oggi, la nostra riunione è più numerosa? Certamente siete qui convenuti per reclamare quanto vi avevo promesso, per ricevere quell’argento provato dal fuoco che mi ero impegnato a mostrarvi. Poiché, come dice il salmista: "Le parole del Signore sono parole pure: argento purificato dal fuoco e depurato dalle scorie" (Salmo XI, 7). Benedetto sia il Signore che vi ispirò un così ardente desiderio di ascoltare i sermoni spirituali! Allo stesso modo che gli uomini amici del vino e della buona tavola ogni giorno si aggirano qua e là e si informano dove si faranno simposi, dove conviti, dove banchetti, dove baldorie con orgie e bevute, così voi ogni giorno appena alzati, vi informate con premura del luogo dove potrete ascoltare esortazioni, insegnamenti, dottrina e discorsi consacrati alla gloria di Dio. Per questo, con tanto maggior ardore intraprenderemo a parlarvi dell’argomento promesso e saremo felici di esporlo.
    La lotta che avevamo intrapreso contro i Giudei ha avuto l’esito che si meritava, come era da attendersi. È innalzato il trofeo, la corona ci appartiene e abbiamo riportato il premio nel nostro precedente discorso.
    Il compito che ci eravamo proposti consisteva nel dimostrare che la condotta attuale dei Giudei era una trasgressione alla legge di Dio, una prevaricazione: null’altro che una lotta e una guerra degli uomini contro il Signore; con l’aiuto di Dio lo abbiamo dimostrato con la massima evidenza.
    Infatti anche se i Giudei dovessero un giorno rientrare nella loro città, tornare ai loro antichi costumi e vedere ricostruito il tempio, il che giammai accadrà, non avrebbero un giusto motivo per fare quanto fanno. Quei tre fanciulli, Daniele e tutti gli altri ebrei che vivevano in prigionia, aspettavano di ritornare nella loro città, di rivedere dopo settant’anni il suolo della patria e di vivere secondo le antiche leggi: ma sebbene tutto questo fosse stato loro promesso in modo chiaro, non osavano prima del ritorno compiere alcuno di quei riti come fanno questi ebrei.
    Ecco come potrete chiudere la bocca a costoro. Domandate loro: perché digiunate mentre non avete più la vostra città? Se rispondono: perché speriamo di ritornarvi, voi allora aggiungete: allora astenetevi fino a che siete tornati. I santi personaggi non ebbero il coraggio di fare quello che oggi voi fate, fino a che non furono ritornati in patria. È dunque evidente che voi violate la legge divina, anche se come voi dite ritornerete nella vostra città, e che rompete i vostri legami con Dio e oltraggiate la vostra stessa legge.
    Dunque per chiudere l’impudente bocca dei Giudei, per convincerli della loro trasgressione, quanto abbiamo detto nel nostro precedente sermone è sufficiente alla vostra carità. Del resto poiché il nostro intento non era soltanto di chiudere loro la bocca, ma di istruire la Chiesa compiutamente sui dogmi che la concernono, dimostreremo che il tempio non sarà mai ricostruito, e che i Giudei non riprenderanno mai il loro antico modo di vita. In tal modo voi conoscerete meglio la dottrina apostolica e i Giudei si convinceranno di essere caduti in profonda empietà.
    A testimonio di queste verità non invocherò un angelo, né un arcangelo, ma il Principe dell’universo, il Signor Nostro Gesù Cristo. Egli infatti, entrato in Gerusalemme, vedendo il tempio disse: "Verrà un giorno che Gerusalemme sarà calpestata da popoli diversi fino a che il tempo di molte nazioni sarà compiuto" (Lc. XXI, 24). Significando con la parola "tempo": "fino alla consumazione dei secoli". Un’altra volta accennando al tempio disse ai discepoli che non sarebbe rimasta pietra su pietra e che tutto sarebbe stato distrutto, predicendone in modo chiaro la rovina e la desolazione (Mat. XXIV, 2). Certo l’ebreo non accetta questa testimonianza e non dà peso alle nostre parole. "Chi parla in questo modo, ribatte, è mio nemico, l’ho messo in croce, come vuoi che accetti la sua testimonianza?". Ma, o giudeo, quello che è veramente straordinario è che costui che tu hai crocefisso, dopo essere stato inchiodato alla croce, ha mandato in rovina la vostra città, distrutta la vostra nazione, disperso il popolo giudeo per tutto l’orbe terracqueo, mostrando in tal modo che Egli è veramente risuscitato e ora ben vivente nei cieli.
    Poiché, tu ebreo, non hai voluto riconoscere la sua potenza dai suoi benefici, Egli con castighi e supplizi ti mostrò la sua forza che non puoi evitare e contrastare. Tuttavia tu non credi, non riconosci che è Dio, Signore di tutto l’universo; ma lo stimi un uomo come tutti gli altri. Ebbene procediamo come se si trattasse di un uomo ordinario. Quando si presentano uomini di cui constatiamo l’assoluta sincerità in ogni circostanza, uomini che non mentono mai, fossero pure nostri nemici, se siamo saggi, accettiamo le loro parole; al contrario ben difficilmente accetteremmo le parole di uomini bugiardi anche se qualche volta dicessero la verità.
    2 - Orsù, consideriamo ora la condotta e la vita di Cristo.
    Egli infatti non predisse soltanto quanto noi abbiamo citato, ma preannunziò molti altri avvenimenti che dovevano realizzarsi in un lontano tempo futuro. Esporremo alcune di queste predizioni: se fra esse ne troverai anche una sola in cui Egli ha mentito, non accettarla, e non considerarlo degno di fede. Al contrario se vedrai che Egli è stato veritiero in tutto, che proprio questa profezia si è avverata e che il gran trascorrere del tempo mostra la verità delle sue predizioni, vorrai perseverare in così impudente ostinazione ed impugnare una verità più chiara del sole?
    Consideriamo dunque le altre predizioni: andò un giorno da Lui una donna con un vaso d’alabastro pieno di prezioso unguento e lo sparse. Indignati i discepoli dicevano: "Perché non lo ha venduto per trecento denari e non li ha dati ai poveri?". Il Salvatore li rimproverò con queste parole: "Perché molestate questa donna? Essa ha fatto un’opera buona. E vi assicuro che ovunque nel mondo sarà predicato il Vangelo, si narrerà quello che essa fece e si perpetuerà la sua memoria" (Mt. XXVI, 9 segg.). Cristo ha mentito oppure ha detto il vero? Si avverò quello che aveva predetto o fu un vaticinio senza valore? Interroga un ebreo; avesse anche una faccia di bronzo non oserà alzare gli occhi per contraddire: infatti, in tutte le chiese udiamo ricordare questa donna. In tutte le città vi sono magistrati, comandanti, uomini e donne, nobili, illustri e ragguardevoli; in qualsiasi parte del mondo tu vada sentirai, ascoltato con silenziosa attenzione, l’atto compiuto da questa donna e non vi è angolo del mondo in cui sia ignorata.
    Quanti re hanno fatto per le loro città molte e grandi opere! Quanti hanno riportato vittorie, eretto monumenti, salvato popoli, fondato città, aumentate le ricchezze, eppure, malgrado questi meriti, i loro nomi non sono forse sepolti nel silenzio? Di molte regine e di molte donne insigni, nonostante il bene che hanno fatto, non si conoscono i nomi; invece questa donna oscura, soltanto per aver sparso un po’ d’unguento, è celebrata in tutto il mondo, né il lungo tempo trascorso ha potuto estinguerne la memoria né potrà mai estinguerlo in avvenire, benché non si tratti di un fatto straordinario: in fondo cosa è versare un po’ di unguento profumato? Non era una donna famosa ma era una sconosciuta; né erano molti i testimoni, infatti intorno vi erano soltanto gli apostoli, e neppure il luogo era eccezionale, perché non scelse un teatro ma una casa e alla presenza di dieci uomini. Tuttavia né la sua misera condizione, né il piccolo numero dei testimoni, né la modestia del luogo o qualsivoglia altra ragione, hanno potuto seppellire il suo ricordo nell’oblio e adesso questa donna è più celebre di tutti i re e di tutte le regine, e il tempo non ha potuto far dimenticare quanto essa ha fatto!
    Dimmi tu qual’è la causa di tutto questo? Chi ne è l’autore? Non è forse lo stesso Dio a cui era stato reso quest’atto di omaggio che ha fatto conoscere in tutta la terra la fama di questa donna? Ti domando ancora: ti sembra possibile che un essere umano sappia fare tali previsioni? Chi mai, se sano di mente oserà affermarlo? Infatti predire le cose che avverranno è meraviglioso e straordinario: ma predire le cose che altri faranno, fare in modo che si presti fede ad esse e che siano evidenti a tutti, è ancora più notevole e meraviglioso.
    In altra circostanza Cristo predisse a Pietro: "Su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei" (Mt. XVI, 18). Ebbene, dimmi dunque o giudeo, hai qualcosa da criticare o puoi dimostrare la falsità di quanto detto? Con quale argomento puoi affermare che questa predizione è menzogna? Anche se tu in mille modi cerchi il contrario, non è forse dimostrata vera da innumerevoli fatti? Non sono forse state molte le guerre scatenate contro la Chiesa? Non sono stati forse preparati eserciti ed approntate armi, ed inventate torture e supplizi? Quante graticole, catapulte, caldaie, fornaci, fosse, precipizi, fiere dai denti aguzzi, esilii, proscrizioni e innumerevoli altri tormenti, impossibili da ricordare e impossibili da sopportare! E tutto questo è stato causato non soltanto da estranei ma addirittura da persone a noi vicine e familiari. Una sorta di guerra civile si era accesa ovunque, anzi una guerra più crudele di qualunque guerra civile. Infatti si combattevano non soltanto cittadini contro cittadini, ma congiunti contro congiunti, parenti contro parenti, amici contro amici; tuttavia tutto questo non demolì la Chiesa, né la sminuì. Ed è una cosa veramente meravigliosa e incredibile, perché tali lotte sono accadute fin dai primordi. Se queste persecuzioni si fossero abbattute sulla Chiesa quando si era già ben radicata, oppure quando il Vangelo era ormai diffuso in tutto il mondo, non ci sarebbe da meravigliarsi che la Chiesa non fosse stata annientata. Ma il fatto che all’inizio della diffusione della dottrina cristiana, quando il seme della fede era appena stato gettato e gli animi dei fedeli erano ancora deboli, siano state scatenate tante lotte e che la Chiesa invece di esserne sminuita abbia fatto progressi più rapidi, questo supera senza dubbio ogni altro miracolo.
    Perché poi nessuno possa dire che la Chiesa si è stabilita fermamente per la pace accordata dai re, Dio permise queste lotte quando era piccola e sembrava più debole; affinché si comprenda che la sicurezza non è da attribuirsi alla pace garantita dai re, ma è effetto della potenza del Signore.
    3 - Per ben comprendere questa verità rifletti ai molti tentativi che sono stati fatti dai filosofi per introdurre in Grecia nuove credenze morali e un nuovo stile di vita: Zenone, Platone, Socrate, Diagoras, Pitagora e innumerevoli altri. Non soltanto non vi riuscirono, ma di molti non ci è neppure più noto il nome; Cristo invece non solo stabilì un nuovo modo di vita ma lo diffuse in tutta la terra. Non si dice che molto ha fatto Apollonio di Tiana? Eppure ciò che ti dimostra che la sua opera era menzogna, falsità e sogno è il fatto che ormai è completamente estinta.
    Nessuno giudichi un oltraggio a Cristo il ricordare, mentre parliamo di Lui, Pitagora, Platone, Zenone e il filosofo di Tiana; non lo facciamo per una opinione personale, ma per abbassarci all’infermità mentale dei Giudei, i quali affermano che Cristo era soltanto un uomo. La stessa cosa fece Paolo quando andò ad Atene; non parlò subito dei Profeti o del Vangelo, ma cominciò le sue esortazioni parlando di un altare, non certo perché egli avesse più fede in quell’altare che nei Vangeli, né perché le iscrizioni avessero maggior valore delle parole dei Profeti, ma, siccome si rivolgeva ai greci i quali non accettavano nessuna delle nostre credenze, incominciò per convincerli a parlare proprio delle loro dottrine.
    Ecco quanto disse: "Mi son fatto giudeo coi Giudei, con quelli che non avevano legge mi sono fatto come fossi senza legge, sebbene io abbia la legge di Dio essendo sotto la legge di Cristo" (I Cor. IX, 20-21). Così anche negli scritti del Vecchio Testamento leggiamo: "Chi fra gli dei è simile a Voi, o Signore?" (Es. XV, 11). Che mai dice Mosè? Si può forse fare un confronto tra il vero Dio e i falsi dei? Io non pretendevo fare paragoni, spiega Mosè, ma siccome parlavo ai Giudei che avevano dei demoni una grande opinione, condiscendendo alla loro debole capacità di giudizio, adoperai questo genere di linguaggio per istruirli. Siccome anche la nostra disputa è contro i Giudei che stimano essere Gesù Cristo unicamente un semplice uomo e per di più un violatore della legge, noi lo paragoniamo proprio a quegli uomini che i greci tengono nella massima considerazione. Ma se voi volete che vi enumeri gli esempi di quelli che, tra gli stessi ebrei, hanno fatto questi tentativi, riunito discepoli, nominato principi e potenti, e sono rapidamente scomparsi, ebbene, mi accingo a farlo: ecco come Gamaliele chiuse la bocca agli ebrei suoi contemporanei. Vedendoli furiosi e desiderosi di versare il sangue dei discepoli di Cristo, e volendo calmare questo inutile delirio, ordinò agli apostoli di appartarsi per breve tempo, e così parlò agli altri: "Pensate bene a quello che volete fare a questi uomini. Un po’ di tempo fa spuntò un certo Teuda che diceva di essere importante: quattrocento uomini lo seguirono, ma egli perì e i quattrocento seguaci furono tutti dispersi. Dopo Teuda apparve Giuda Galileo che trascinò una moltitudine, ma anch’egli perì e perirono i suoi discepoli. Ora io dico a voi: aspettate, se questa è opera umana, sarà dissolta; invece se è opera di Dio non potreste dissolverla se non riducendovi a combattere contro Dio medesimo" (Atti V, 35-39). Quindi è chiaramente manifesto che se l’opera viene dagli uomini cadrà in rovina; ne avete fatto l’esperienza con Giuda e Teuda, aggiunse Gamaliele. Perciò se colui di cui gli apostoli predicano è simile a quelli, cioé a Teuda e a Giuda, e la potenza divina non lo sorregge, aspettate un po’ e lo stesso svolgimento degli avvenimenti vi convincerà; conoscerete se Cristo è, come dite voi, un impostore e un trasgressore delle leggi oppure il Dio che regge ogni cosa e che, con ineffabile potenza, governa e dispensa i destini degli uomini.
    Così fu fatto: attesero e gli stessi avvenimenti mostrarono l’invincibile potenza divina. E la menzogna preparata per ingannare molti uomini si è rivolta contro il diavolo. Lo spirito maligno, quando vide che Cristo sarebbe venuto, volendo oscurarne l’avvento e la predicazione, mandò quegli ingannatori di cui prima abbiamo parlato, affinché si credesse che Cristo era simile a loro.
    Questo il diavolo fece anche nella crocifissione, affiancandogli due ladroni, così come aveva fatto alla sua nascita, sforzandosi di alterare il vero con la menzogna. Ma non riuscì nel suo intento né nell’uno né nell’altro caso: anzi questo stesso fatto manifestò ancora più chiaramente la potenza di Cristo. Dimmi tu, perché dei tre uomini crocefissi nello stesso luogo, nello stesso tempo, con sentenza degli stessi giudici, non si parla mai di due di essi e solo il terzo è addirittura adorato? Ancora, perché degli altri uomini che hanno tentato di instaurare un nuovo sistema di vita e raccolto dei discepoli, oggi non si conosce più nemmeno il nome, e invece quello di Cristo è onorato in ogni parte del mondo?
    Nulla ci illumina meglio di questo raffronto; fai con me, o giudeo, questo paragone e impara l’eccellenza della verità. Quale impostore ha mai avuto tante chiese in tutto l’orbe terracqueo? Quale ha esteso il suo culto da un punto all’altro della terra? Quale mai ebbe tanti adoratori nonostante gli innumerevoli ostacoli? Certamente nessuno. È evidente allora che Cristo non è un impostore, ma il Salvatore, il benefattore, il protettore, il sovrano della nostra vita.
    Ritornerò al nostro argomento ma prima voglio ancora aggiungere un’altra profezia. "Non venni, disse Cristo, a portare la pace sulla terra ma la spada", dichiarando con queste parole non quello che desiderava, ma predicendo quello che sarebbe accaduto. Disse: "Sono venuto a separare il figlio dal padre, la nuora dalla suocera, la figlia dalla madre" (Matt. X, 34, 35). Come avrebbe potuto predire questo se fosse stato null’altro che un uomo, anzi un uomo qualsiasi e uguale agli altri uomini?
    Ecco il significato di quanto disse: può accadere che nella stessa casa vi sia un credente e un infedele; che un padre voglia trascinare il figlio nell’empietà, e proprio predicendo questo Cristo aggiunse: ma la forza del Vangelo vincerà, così che i figli non terranno conto del volere dei padri, le figlie del volere delle madri e i genitori di quello dei loro figli. Non soltanto saranno fermi nell’opporsi ai familiari, ma saranno pronti addirittura a sacrificare la vita, a sopportare e affrontare coraggiosamente qualsiasi sofferenza, piuttosto che rinnegare la loro religione. Come ha potuto sapere queste cose, come ha potuto realizzarle, se era un uomo qualsiasi uguale agli altri? Come può essergli venuto in mente di pensare che i figli sarebbero stati più rispettosi verso di Lui che verso i padri, che egli sarebbe stato per i genitori oggetto di un affetto più dolce di quello provato per i figli, e per le donne oggetto di un amore più ardente di quello verso lo sposo? E questo non in una casa, o due, o tre, o dieci, o venti, o cento, ma ovunque sulla terra, in tutte le città e regioni, sulla terra e sui mari, nei luoghi abitati e in quelli deserti! Né puoi dire: "È vero, Egli disse questo, ma non lo portò a compimento".
    Ai primordi della chiesa, e anche oggi, molti sono odiati a causa della loro fede, cacciati dalla casa paterna senza potervi tornare, eppure provano una grande consolazione perché tutto sopportano per Cristo.
    Dimmi, chi mai tra gli uomini ha avuto un tal potere? Cristo dunque ha fatto tutte queste predizioni: riguardo alla donna che sparse l’unguento, sul futuro della chiesa e sulle lotte scatenate contro di essa; ha predetto inoltre che il tempio sarebbe stato distrutto, Gerusalemme conquistata, e che mai più essa sarebbe stata la città dei Giudei quale era stata prima (Matt. XXIV). Quindi: se Cristo ha mentito in tutto quanto ha detto e le sue predizioni non si sono avverate, allora non prestargli assolutamente fede. Ma se vedi chiaramente che queste predizioni si sono realizzate, che ogni giorno sono più evidenti, che le porte dell’inferno non hanno prevalso, se vedi che l’azione della donna è ancora, dopo tanto tempo, ricordata in tutto il mondo, se vedi che gli uomini che credettero in Cristo lo preferirono ai genitori, mogli o figli, perché allora, ti chiedo, perché non presti fede a questa sola predizione? Il lungo volgere del tempo poi, impone silenzio alla tua sfrontatezza.
    Se dopo la rovina di Gerusalemme fossero passati solo dieci anni o venti o trenta o cinquanta, anche se fosse stato sconveniente ostinarsi, ripeto, tanto sfrontatamente, tuttavia avreste avuto una certa ragione nell’opporvi; ma adesso che sono trascorsi non soltanto cinquanta o cento o due o trecento anni ma molti di più dopo la caduta di Gerusalemme, e non è apparso neppure il più leggero segno del cambiamento che attendete, perché allora inutilmente e senza fondamento persistete nella vostra insolente opposizione?
    4 - Quanto detto era sufficiente a dimostrarvi che il tempio non risorgerà mai dalle rovine. Ma, siccome questa verità si può dimostrare in più modi, allora passerò dal Vangelo ai Profeti ai quali, mi sembra, che gli ebrei prestino maggior fede.
    Da essi renderò evidente che né la città, né il tempio saranno loro restituiti. Invero non toccava certo a me dimostrare che né il tempio, né la città sarebbero stati loro restituiti, non sono fatti nostri; a loro invece toccava dimostrare che, al contrario, tempio e città sarebbero risorti. Io ho, come testimonianza a mio favore, gli avvenimenti accaduti nel tempo; essi, abbattuti dallo stesso svolgersi degli eventi, non sanno dimostrare quanto affermano; null’altro mostrano che parole in aria, mentre occorre esibire delle testimonianze reali. Quanto io vi dico, dimostro che è vero da quanto è accaduto: cioè che la città è andata in rovina e che dopo così lungo tempo non è stata ricostruita; quanto dicono i Giudei non si appoggia che su parole. Devono essi mostrare perché in futuro la città sarà ricostruita. Anche nelle cause civili vediamo che deve essere portata la prova di quanto si afferma. Ogni volta che nasce una controversia tra due parti, e l’una presenta per iscritto le sue argomentazioni, se la parte avversa le contesta, tocca a lei portare le prove che quanto è scritto non è vero, e non certo alla parte che le produsse. A questi ebrei che ci contestano, conviene agire nello stesso modo: presentarci un profeta che abbia predetto chiaramente che la città in futuro sarebbe risorta.
    Perché se l’attuale cattività dovesse in futuro avere fine, questo sarebbe stato preannunziato certamente dai profeti, e questo è evidente a tutti quelli che hanno letto, anche solo superficialmente, i libri profetici. Infatti presso gli ebrei, i profeti, ispirati da Dio, hanno predetto quello che nel bene e nel male sarebbe accaduto. Perché? Per la grande malvagità ed ingratitudine dei Giudei che dimenticavano rapidamente i benefici elargiti da Dio ed attribuivano ai demoni quanto accadeva loro e tutto il loro benessere.
    Infatti, usciti dall’Egitto dove il mare si era aperto davanti a loro con molti altri prodigi, dimentichi che Dio ne era; l’autore, attribuivano tutto ai falsi dei e dicevano ad Aronne: "Facci degli dei che ci precedano" (Es. XXXII, 1). A Geremia dicevano: "Non ascolteremo le parole che tu ci dici in nome del Signore, ma faremo tutte le cose che stabiliremo con la nostra bocca. Adoreremo la regina del cielo, aspergeremo le libagioni votive, come abbiamo fatto noi e come fecero i nostri padri, i nostri re e i nostri principi. Siamo stati saziati di pane e fummo felici e non soffrimmo alcun male. Dopo che abbiamo cessato di adorare la regina del cielo e di offrirle le libagioni, manchiamo di tutto e siamo sterminati dalla spada e dalla fame" (Ger. XLIV, 16-18).
    Affinché non attribuissero gli avvenimenti ai falsi simulacri, ma si convincessero che tanto i castighi che i benefici erano opera del Signore, i primi a causa dei peccati, i secondi per la benevolenza di Dio, i Profeti ispirati dal cielo predicevano, lungo tempo prima, quello che doveva accadere. E perché si sappia con certezza che questa è la causa delle predizioni, ascolta quanto disse a gran voce Isaia al popolo giudeo: "So che sei ostinato e che il tuo collo è di ferro (cioé che tu sei inflessibile) e che la tua faccia è di bronzo (noi di solito diciamo che coloro che non arrossiscono mai hanno la faccia di bronzo). Ti annunziai molto tempo prima quanto doveva capitarti in avvenire e ti obbligai ad ascoltare". Per indicare il motivo di queste predizioni aggiunse: "Affinché tu non dica: sono queste statue scolpite o fuse che mi comandano, oppure: sono gli idoli che mi hanno dato tutto questo" (Is. XLVIII, 4-5).
    Siccome poi alcuni ostinati ed orgogliosi, dopo la realizzazione del fatto, agivano in modo sfacciato, come se prima nulla avessero udito, i Profeti, non solo predicevano gli avvenimenti futuri, ma prendevano anche dei testimoni di queste profezie. Per questo Isaia dice ancora: "Datemi come testimoni degli uomini di sicura fede: Uria e il sacerdote Zaccaria figlio di Barachia" (Is. VIII, 2). Non ancora contento, raccolse in un volume nuovo la descrizione delle sue profezie, affinché, dopo che si fossero avverate, il libro potesse essere portato come testimonianza contro i Giudei di quanto egli, ispirato dal Signore, aveva predetto molto tempo prima.
    Isaia dunque, non solo raccolse le profezie in un volume, ma lo volle nuovo, in modo che potesse durare integro a lungo, non alterarsi facilmente e quindi essere in grado di attendere il compimento di quanto aveva profetato. Quello che affermo è la verità ed è evidente che tutti questi fatti a venire furono preannunziati da Dio; io lo dimostrerò non solo con queste considerazioni, ma con il male e il bene che di volta in volta toccò ai Giudei.
    5 - I Giudei sopportarono tre schiavitù durissime, ma nessuna di esse fu mandata da Dio senza essere stata da Lui preannunziata. Anzi ogni volta il Signore ebbe cura di predirne il luogo, il tempo, il carattere, il genere delle sofferenze, il termine, precisando con somma accuratezza ogni altra circostanza. Per prima ricorderò la predizione della cattività in Egitto. Dio parlando ad Abramo, usò queste parole: "Sappi bene che i tuoi discendenti andranno a vivere in terra straniera, saranno ridotti in schiavitù e perseguitati per quattrocento anni. La nazione che li avrà tenuti soggetti, io il Signore, la giudicherò. Alla quarta generazione torneranno e con grandi ricchezze" (Gen. XV, 13-14).
    Osserva che è indicato con precisione il numero degli anni, quattrocento, e il carattere della schiavitù, in quanto non disse semplicemente "saranno ridotti in schiavitù", ma aggiunse "e perseguitati". Ascolta come Mosè in seguito descrive i maltrattamenti: "Non è più data la paglia ai tuoi servi e comandano che facciamo i mattoni" (Es. V, 16). Poiché erano percossi ogni giorno puoi capire cosa significava "saranno ridotti in schiavitù e perseguitati". "Le genti di cui saranno servi, dice ancora il Signore, io le giudicherò", alludendo al castigo con cui sommerse gli egiziani nel mar Rosso. Così lo descrive Mosè nei suoi canti: "Precipitò in mare cavallo e cavaliere" (Es. XV, 1).
    Poi il Signore parla del ritorno e dice che torneranno carichi di ricchezze. Afferma: "Prendete a prestito dai vicini e dagli amici vasi d’oro e d’argento" (Es. III, 22). Poiché per lungo tempo avevano servito gli egiziani senza mercede alcuna, Dio permise che la ottenessero contro la volontà di quegli ingiusti padroni. Il profeta esclama: "Li feci uscire dalla cattività con oro e argento; e non vi era in tutte le tribù neppure un infermo" (Salmo CIV, 37). Questa cattività è stata predetta in maniera esattissima.
    Procediamo e passiamo ora, con il nostro discorso, ad un’altra cattività, quella che gli ebrei sopportarono a Babilonia. Con grande precisione è stata predetta da Geremia; ecco le parole del Profeta: "Così dice il Signore: dopo che avrete trascorsi in Babilonia settanta anni vi visiterò e avrò per voi parole di benevolenza affinché possiate ritornare; metterò fine alla vostra cattività, vi radunerò da tutte le nazioni e paesi nei quali vi ho dispersi e vi riporterò nel luogo da cui vi feci allontanare" (Ger. XXIX, 10 segg.).
    Vedi? Di nuovo è indicata la città, il numero degli anni, da dove li avrebbe richiamati, e dove condotti. Perciò Daniele non sollecitò dal Signore il ritorno prima che fossero passati settant’anni. Chi lo dice? Lo stesso Daniele: "E io Daniele ubbidivo agli ordini del re ed ero stupefatto della visione e non vi era nessuno che comprendesse. Io compresi dai libri sacri il numero degli anni di cui parlò il Signore al profeta Geremia, cioè che la rovina di Gerusalemme sarebbe durata settant’anni. Alzai il viso verso il Signore Dio mio per pregarlo e supplicarlo digiuniando in sacco e cenere" (Dan. VIII, 27 e IX, 2-3).
    Hai sentito come questa cattività fu predetta e come il Profeta non osò rivolgere a Dio preghiere e suppliche prima del tempo stabilito, per timore di farlo invano e sconsideratamente, e di udire le parole che udì Geremia: "Non intercedere per questo popolo e non chiedere nulla per lui: poiché non ti esaudirò" (Ger. XIV, 11-12).
    Ma Daniele, quando vide che il vaticinio era completato e anche l’ora del ritorno era giunta, allora non soltanto pregò ma digiunò e si vestì di sacco, cospargendosi il capo di cenere.
    Daniele si comportò verso Dio come gli uomini tra loro. Infatti se noi vediamo qualcuno che mette in ceppi dei servi che hanno commesso molte e gravi colpe, non andiamo ad intercedere all’inizio della punizione; ma alcuni giorni dopo, quando comprendiamo che è più calmo, allora andiamo da lui, aiutati anche dal tempo trascorso. Così si comportò il Profeta: infatti, dopo che avevano subìto la pena, non certo quanto avrebbero meritato, ma tuttavia l’avevano subìta, egli si presentò al Signore per parlare in loro favore. Se volete ascoltiamo questa supplica: "Confessai le mie colpe, dice Daniele, e dissi: Signore Iddio grande ed ammirabile, che sei fedele e misericordioso verso quelli che ti amano ed osservano i tuoi comandamenti" (Dan. IX, 4). Che fai Daniele? Intercedi per uomini che peccarono e mi offesero e parli di essi come di uomini che osservarono la legge? Sono forse degni di perdono coloro che violano i precetti? Non per costoro parlo, disse Daniele, ma per i loro progenitori, per Abramo, per Isacco, per Giacobbe. A quelli Dio fece una promessa, si impegnò con quelli che osservano i suoi comandamenti. Giacché questi Giudei non hanno nessun diritto di chiedere la salvezza, per questo rievoco i loro progenitori. Perché non si pensasse che egli parlava degli ebrei ribelli, aggiunse: "Dio potente e misericordioso che sei fedele verso quelli che ti amano ed osservano i tuoi comandamenti, e subito aggiunge, noi abbiamo peccato, abbiamo commesso delle iniquità e delle ingiustizie, siamo stati empi e ci siamo allontanati dai tuoi precetti e dai tuoi giudizi e non abbiamo dato ascolto ai tuoi servitori, i Profeti" (Dan. V, 6).
    Dopo il peccato, la sola espiazione che resta al peccatore è la confessione del suo peccato. Considera ora la virtù del giusto e la malvagità degli ebrei. Il giusto anche se in coscienza è certo di non aver commesso alcun male, si autocondanna con severità, dicendo: "Abbiamo peccato, abbiamo commesso iniquità ed ingiustizie"; gli ebrei invece, carichi di colpe, dicevano: "Abbiamo osservato i tuoi comandamenti ma ora chiameremo beati gli altri che non li osservano e trionfano con le iniquità commesse" (Malac. III, 14-15). I giusti dopo aver compiuto il bene restano modesti, al contrario i malvagi si vantano dopo aver commesso il male. Colui che in coscienza sapeva di non aver compiuto azioni malvage, diceva: abbiamo compiuto delle iniquità, ci siamo allontanati dai tuoi precetti; quelli che ben sapevano delle loro innumerevoli colpe, dicevano: abbiamo osservato i tuoi comandamenti. Questo dico affinché imitiamo il comportamento degli uni evitando quello degli altri.
    6 - Dopo aver parlato delle colpe degli ebrei Daniele ricorda anche il castigo con cui le hanno espiate, e per invocare la clemenza di Dio dice: "Poiché abbiamo peccato cadde su di noi la maledizione che è scritta nella legge di Mosè servo di Dio" (Dan. IX, 11). Che cosa è questa maledizione? Volete che la leggiamo? "Se non servirete il Signore Dio vostro manderò contro di voi un popolo spudorato, non comprenderete la sua lingua e sarete ridotti a pochi" (Deut. XXVIII, 49-50). Lo proclamarono apertamente i tre fanciulli: questo genere di espiazione era stato causato dalle loro cattive azioni; dopo aver confessato le colpe comuni si rivolsero a Dio dicendo: "Ci avete consegnati nelle mani dei nemici più perversi e crudeli, di un re ingiusto, il più perverso di tutta la terra" (Dan. III, 32).
    Considerate inoltre le parole che chiudono la maledizione: "Sarete ridotti a un piccolo numero" e anche "Manderò contro di voi gente sfrontata" e Daniele vi allude giustamente precisando: "Siamo stati colpiti da mali tali che non si sono mai visti sotto il cielo. Non ve ne è nessuno come quelli che sono caduti su Israele". Quali sono questi mali? "Le madri divorarono i loro figli". Tutto questo è chiaramente predetto da Mosè, e Geremia attesta essere accaduto. Ecco cosa dice Mosè: "La donna tenera e delicata che per la sua mollezza e delicatezza quasi non avrebbe osato toccare terra con la pianta dei suoi piedi, si siederà ad una mensa orrenda e mangerà i suoi stessi figli" (Deut. XXVIII, 56). Anche Geremia conferma che questo è accaduto: "Le mani di donne pur misericordiose posero a cuocere i loro figli" (Lament. IV, 10). Daniele dopo aver parlato dei loro peccati e ricordato come furono puniti, non chiede tuttavia che siano salvati. Ammira la virtù di questo servo di Dio.
    Dopo aver mostrato che non avevano ancora sopportato quanto avrebbero meritato, né pagato quanto dovevano per il male compiuto Daniele si rivolge alla misericordia di Dio e alla consueta bontà divina verso il genere umano: "E ora, o Signore Dio nostro, che hai fatto uscire il tuo popolo dalla terra di Egitto e che ti sei creato un nome che dura fino ad oggi; riconosciamo che abbiamo peccato e commesso delle iniquità" (Dan. IX, 15). Allo stesso modo, aggiunse, hai salvato gli antichi ebrei, non per le loro buone azioni, ma, considerando le loro tribolazioni e le loro angosce, hai esaudito le loro grida di aiuto; così ora liberaci dai mali presenti unicamente per la tua bontà verso il genere umano, perché non abbiamo nessun diritto di sperare la salvezza.
    Dopo aver detto questo ed aver pianto a lungo, allora Daniele introduce nel discorso la città di Gerusalemme e ne parla come di una donna prigioniera: "Volta il viso verso il tuo santuario, porgi il tuo orecchio, o mio Dio, e ascoltaci. Apri i tuoi occhi e guarda la rovina nostra e della tua città nella quale è invocato il tuo santo nome" (Dan. IX, 17-18). Dopo essersi guardato intorno e non aver visto neppure un uomo che possa placare Dio, il Profeta fa ricorso agli edifici, e Gli pone davanti la città stessa di Gerusalemme e la sua desolazione, e conclude la sua preghiera, come si vedrà in seguito, sforzandosi di rendere Dio propizio.
    Ma è necessario ritornare al nostro argomento; in realtà queste digressioni non sono state fatte senza ragione o scopo, ma per dare un po’ di ristoro ai vostri animi stanchi di queste lotte continue.
    Ritorniamo dunque al nostro punto di partenza e dimostreremo che tutti i mali che sarebbero poi capitati agli ebrei erano stati predetti, con la massima precisione, dai Profeti ispirati da Dio. Il nostro discorso vi ha già dimostrato che le due cattività di cui furono vittime, non sono state fortuite o inattese, ma erano state previste dalle profezie. Resta ancora da parlare della terza cattività; di quella cioè in cui si trovano ora. Diremo in seguito e lo mostreremo chiaramente che nessun profeta ha promesso loro che saranno un giorno liberati dai mali che li affliggono, e salvati.
    Quale è dunque questa terza schiavitù? Quella sotto Antioco Epifane. Alessandro re della Macedonia, avendo vinto Dario, re dei Persiani, prese possesso del suo impero. Morto Alessandro gli successero quattro re; molto tempo dopo, Antioco, discendente di uno di questi quattro, incendiò il tempio, profanò il Santo dei Santi, abolì i sacrifici, costrinse gli ebrei a sottomettersi e distrusse completamente il loro Stato.
    7 - Ebbene, tutti questi eventi sono stati predetti da Daniele, con una precisione tale da indicare addirittura il tempo, il modo, da chi e per quale causa, quale sarebbe stata la fine e quali i mutamenti che ne sarebbero seguiti. Lo comprenderete perfettamente quando udrete la visione che il profeta ci propone per mezzo di una parabola: egli designa con l’ariete il re dei Persiani Dario, col caprone il re dei Greci Alessandro il Macedone, con le quattro corna i quattro re che vennero dopo di lui, con la figura dell’ultimo corno lo stesso Antioco. Anzitutto è meglio ascoltare il racconto della visione: "Ho avuto una visione, dice il Profeta, ero seduto presso Ubal (luogo chiamato così in lingua persiana), alzai gli occhi ed ecco ritto davanti ad Ubal un ariete che aveva due alte corna, di cui uno era più alto dell’altro, e il più alto si alzò al di sopra di tutto e vedevo l’ariete battere con questo corno l’occidente, il settentrione e il mezzogiorno. Nessuna bestia poteva resistere in sua presenza né poteva strapparsi dalla sua stretta. Faceva tutto quanto voleva e fu glorificato, ed io comprendevo" (Dan. VIII, 2 segg.).
    Parla poi della potenza persiana e della dominazione che regnò su tutta la terra. Quindi passando a parlare di Alessandro il Macedone, il Profeta dice: "Ed ecco che un caprone venne dall’occidente percorrendo tutta la terra, ma non toccava il suolo e aveva un corno prominente piantato in mezzo agli occhi". Narra poi la lotta di Dario contro Alessandro e la vittoria riportata da quest’ultimo con la forza: "Venne il caprone contro l’ariete che aveva le corna. Gli si precipitò contro e lo percosse". Dirò brevemente il seguito: "Gli ruppe entrambe le corna e non vi fu possibilità di liberare l’ariete". Ecco poi come Daniele narra la morte di Alessandro e la successione dei quattro re. "E mentre era nel pieno vigore il suo gran corno fu spezzato e sotto di lui si formarono quattro corna verso i quattro venti del cielo". Passando in seguito a parlare del regno di Antioco dichiara che egli è un discendente di questi quattro: "Da uno di queste corna ne uscì uno forte che si innalzò grandemente a mezzogiorno e ad oriente". Per indicare che Antioco distrusse completamente lo stato giudaico: "Dopo queste cose a causa di lui il sacrificio fu macchiato dal peccato. Fece questo e aumentò la sua potenza. Il Santuario venne profanato e al posto del sacrificio vi fu il delitto; dopo aver distrutto e rovesciato l’altare, calpestati i vasi sacri, mise un idolo all’interno e contro la legge immolò ai demoni le vittime, e così cancellò la giustizia; fece questo e aumentò ancora la sua potenza".
    Un’altra volta Daniele parlando di nuovo del regno di Antioco Epifane, della prigionia, dell’eccidio del popolo e della rovina del tempio, determinò anche il tempo in cui tutto ciò sarebbe accaduto. Prese infatti come punto di partenza il regno di Alessandro, e fino alla fine della sua profezia, ricordò ancora una volta tutti gli avvenimenti intercorsi: le lotte che i Ptolomei e i Seleucidi combatterono gli uni contro gli altri, le gesta dei loro comandanti, gli inganni, le vittorie, gli eserciti, i combattimenti per mare e per terra. Arrivato a parlare di Antioco, concluse dicendo: "Si leveranno da lui delle forze armate, e profaneranno il Santuario e faranno cessare le continuazioni" (si chiamano in tal modo i sacrifici solenni e quotidiani) (Dan. XI, 31 segg.); e vi porranno l’abominio della desolazione. E quelli che violano l’alleanza, cioè i Giudei che prevaricheranno, li condurrà alla rovina, portandoli con sé in cattività, e il popolo sa che il suo Dio prevarrà, si allude ai Maccabei, a quanto accadde sotto Giuda, Simone e Giovanni: "I saggi del popolo comprenderanno molte cose ma cadranno di spada e saranno bruciati col fuoco", alludendo di nuovo all’incendio della città. "Fatti prigionieri e colpiti dalla rovina di quei giorni, quando saranno caduti, pochi verranno in loro aiuto, volendo significare che in mezzo a quei mali potranno trovare un sollievo e emergere dall’afflizione che li aveva travolti; "ma i più si uniranno a loro per rovinarli e persino i saggi vacilleranno nella fede" (id. XI, 34-35). Con queste parole Daniele allude al tempo futuro e vuol significare che molti che in quel momento sembravano fermi e sicuri cadranno essi pure.
    In seguito il Profeta rivela anche il motivo per cui Dio permise che gli ebrei cadessero in preda a tanti mali. Qual’è questa causa? Dice: "Perché col fuoco siano provati, scelti e resi puri fino alla fine del tempo stabilito". A tale scopo permise tutto questo, per purificarli e per mostrare chi tra di loro aveva una virtù a tutta prova. Daniele ricorda ancora la potenza di Antioco: "Egli agirà secondo la sua volontà e sarà esaltato e glorificato". Per indicarne lo spirito blasfemo aggiunge: "Parlerà con arroganza contro il Dio degli dei e avrà prosperità sino a che la collera del Signore sia esaurita", mostrando che Antioco crebbe in potenza, non per la propria saggezza ma per la collera divina contro gli ebrei. Enumerando poi quanto male questo principe avrebbe fatto all’Egitto e alla Palestina e dopo aver detto in qual modo sarebbe tornato, da chi chiamato e per quale causa urgente, Daniele annunzia un cambiamento decisivo; spiega come per i Giudei, passati attraverso tutte queste prove, giungerà un aiuto: un angelo sarà mandato in loro soccorso. Dice il Profeta: "In quel tempo si leverà Michele il grande principe che è protettore dei figli del tuo popolo. Sarà un periodo di afflizioni tali quali mai ve ne sono state da quando le nazioni sono esistite sulla terra sino a quel momento. Allora molti saranno salvati. Tutti coloro che saranno trovati scritti nel libro", cioè che saranno degni della salvezza (Dan. XII, 1).
    8 - Veramente non si è ancora chiarita la questione che ci eravamo posta. Qual’era? Naturalmente se era prevista la durata di questi mali, come per i quattrocento anni della prima cattività e i settanta della seconda. Vediamo ora se, anche per questa, è prefissato un tempo determinato: dove sarà possibile trovare la risposta? Nelle parole che il profeta dirà in seguito: invero Daniele aveva udito di molti e gravi mali, dell’incendio di Gerusalemme, della distruzione dello Stato, della prigionia degli ebrei e desiderava conoscere la fine di tutto questo e quale sarebbe stato il futuro cambiamento. Così interrogò il Signore: "O Signore, quale sarà la fine di tutto questo? Rispose: Vieni qui Daniele, perché le parole sono chiuse e sigillate sino alla fine del tempo stabilito", indicando in tal modo l’oscurità di quanto detto (Dan. XII, 8 e segg.). Spiega poi la causa di tante sciagure permesse da Dio: "Sino a che molti siano scelti e resi puri e provati dal fuoco, finché i malvagi agiranno con malvagità e sia gli empi che i prudenti capiscano". In seguito, predicendo la durata di questo triste periodo, dice: "Dal tempo in cui saranno aboliti gli endelechismi"; così erano chiamati i sacrifici quotidiani, perché endeleces significa perpetuo, frequente, continuo. Era infatti uso dei Giudei offrire al mattino e alla sera di ogni giorno un sacrificio al Signore: per questa frequenza e continuità venivano definiti perpetui. Ora dopo che Antioco avrà abolito e mutato questo uso o secondo l’espressione dell’angelo "dopo l’abolizione del sacrificio perpetuo, cioè da quando questo sacrificio sarà tolto, passeranno mille duecento novanta giorni" cioé un po’ più di tre anni e mezzo; allora sarebbe arrivata la fine dei loro mali e aggiunge: "Beato colui che avrà sopportato e arriverà a mille trecento trentacinque giorni". Ai milleduecentonovanta ne sono stati aggiunti quarantacinque. Il conflitto che rese completa la vittoria durò appunto questi quarantacinque giorni; con la vittoria si ebbe il cambiamento e la liberazione. Dicendo: "Beato colui che avrà sopportato per mille trecento trentacinque giorni" conferma che dopo vi sarà un cambiamento. Non disse semplicemente "chi arriverà", ma "chi avrà sopportato e arriverà", perché molti di quelli che avevano commesso delle iniquità vedranno il cambiamento, ma non essi sono detti beati, bensì quelli che nei giorni dell’afflizione avevano reso testimonianza, non avevano tradito la loro religione ed avevano ottenuto la liberazione.
    Si può essere più chiari? Vedi dunque: il Profeta non solo annunzia nella maniera più esatta gli anni e i mesi di questa cattività, ma persino il giorno in cui doveva aver termine.
    Affinché sia evidente che non parlo in base a mie congetture, vi presento un testimone che è un autore di grandissimo valore per gli ebrei, parlo di quel Giuseppe che descrisse le tragiche calamità e spiegò ampiamente il Vecchio Testamento come una parafrasi. Questo Giuseppe visse dopo l’avvento di Cristo e ricordando la cattività predetta dal Salvatore, parlò anche dell’altra e spiegò la visione di Daniele: il significato dell’ariete, del caprone, delle quattro corna e del corno che uscì per ultimo. E perché non si abbiano sospetti sulle nostre parole, riferiremo le sue parole. Egli lodò Daniele, anteponendolo a tutti gli altri profeti. Della visione dice: ci lasciò il monumento dei suoi scritti che mostrano l’incomparabile certezza e precisione delle sue profezie. Ecco le parole di Giuseppe: mentre era a Susa, capitale della Persia, uscito in aperta campagna con alcuni compagni, improvvisamente la terra fu scossa violentemente come da un terremoto. I compagni fuggirono e Daniele restò solo; cadde prono e restò appoggiato sulle mani. In seguito sentì che qualcuno lo toccava e gli ordinava di alzarsi e di vedere il destino riservato a parecchie generazioni. Alzatosi in piedi gli si mostrò un ariete gigantesco a cui spuntarono molte corna, ma l’ultimo fu più alto delle altre. Dopo questo, avendo guardato ad occidente vide un caprone che arrivava con impeto nell’aria e che, appena ebbe raggiunto l’ariete, lo colpì due volte con le corna, lo gettò a terra e lo calpestò. Allora il caprone sembrò diventare anche più grande e sulla sua fronte spuntò un corno enorme. Rotto questo grande corno, ne spuntarono altri quattro, ognuno volto verso uno dei quattro venti. Da queste corna ne uscì poi un altro più piccolo che si accrebbe. Dio, che mostrava tutto questo al Profeta, gli disse che il personaggio raffigurato da questo corno avrebbe debellato il popolo ebraico, preso la loro città con la forza, saccheggiato il tempio e proibiti i riti sacri. Gli eventi futuri sarebbero durati mille duecentonovanta giorni. Questa è la visione che Daniele racconta aver avuta in campagna presso Susa. Il Profeta supplicò Dio di spiegargli chi fossero quelli che erano apparsi e Dio rispose che l’ariete indicava i regni della Persia e della Media, le corna i re che sarebbero succeduti; l’ultimo corno indicava l’ultimo re che tutti li avrebbe superati per ricchezza e gloria. Degli altri il caprone indicava un re greco che avrebbe combattuto e vinto due volte i persiani, e che si sarebbe impadronito di tutto il loro regno. Il primo grande corno che era di fronte al caprone rappresentava il primo monarca; le quattro corna che spuntarono dopo che il primo si era rotto, i quattro successori che dopo la morte del primo re avrebbero diviso il regno tra loro e, sebbene non fossero né figli né parenti, avrebbero regnato per molti anni su tutta la terra. Da questi sarebbe poi venuto un re che avrebbe distrutto le leggi ebraiche, abolito la religione e i suoi riti, spogliato il tempio e vietato i sacrifici per tre anni. Questo è certamente quanto ha sofferto il vostro popolo sotto Antioco Epifane come Daniele molti anni prima aveva predetto e scritto che sarebbe capitato.
    9 - Dimmi dunque, vi può essere qualcosa di più chiaro? È il momento, se non vi sembriamo fastidiosi, di ritornare al nostro argomento: cioé alla odierna cattività e servitù, argomento per il quale abbiamo fatto tante ricerche. Ascoltate dunque con la massima attenzione, perché la nostra battaglia non è certo per cosa senza importanza. Sarebbe vergognoso per noi vedere gli altri sedere pazientemente nell’anfiteatro ai giochi olimpici, da mezzanotte fino a mezzogiorno per sapere chi riporterà la corona; oppure sopportare, a testa nuda, i brucianti raggi del sole, e non allontanarsi mai prima che siano stati proclamati i risultati dei combattimenti; ripeto, sarebbe vergognoso per noi ora essere stanchi e annoiati mentre combattiamo non per una corona terrena, ma per una corona immortale.
    Che tre cattività siano state previste molto prima che avvenissero, una per la durata di quattrocento anni, una di settanta e la terza di tre anni e mezzo, è ormai ampiamente dimostrato. Occupiamoci di quella che rimane e di cui parlavamo.
    Anche di questa vaticinò il profeta e di nuovo porterò a testimone quel Giuseppe che divide gli stessi sentimenti con i Giudei. Dunque, dopo quanto aveva detto e noi abbiamo citato, aggiunse: "Nello stesso modo Daniele scrisse della dominazione romana, della distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani e della rovina del tempio". Considera con me come colui che scrisse tutto questo era un giudeo tuttavia ben lontano dall’avere la vostra ostinazione. Infatti dopo aver detto che Gerusalemme sarebbe stata distrutta, non osò aggiungere che sarebbe stata ricostruita né indicarne un tempo sicuro.
    Egli sapeva che il profeta non aveva predetto questo tempo e mentre prima, parlando delle vittorie e della rovina di Antioco aveva precisato quanti anni e giorni sarebbe durata la cattività, non disse niente di simile per la vittoria dei Romani. Parlò solamente della rovina di Gerusalemme e del Tempio. Non aggiunse altro riguardo alla fine della desolazione poiché aveva notato che il profeta non aveva detto nulla a questo proposito.
    Disse invece che tutte queste predizioni, ispirate dal Signore, erano state scritte e lasciate da Daniele perché chiunque le avesse lette e ne avesse vista la realizzazione, ammirasse l’onore fatto dal Signore a questo profeta.
    Ora anzitutto prenderemo in considerazione il punto in cui Daniele dice che il tempio sarebbe stato ridotto in rovina. Quando Daniele ebbe terminato le sue suppliche e penitenze, gli apparve Gabriele che così gli disse: "Settanta settimane sono concesse al tuo popolo e alla città santa" (Dan. IX, 24).
    Ecco che qualcuno dirà: il periodo di tempo è qui espresso.
    Sì, ma è quello in cui doveva ricominciare la schiavitù e non quello in cui doveva finire. Altrimenti si sarebbe dovuto precisare, oltre al tempo in cui sarebbe cominciata la schiavitù, un altro che ne indicasse la durata.
    "Settanta settimane, ha detto, sono concesse al tuo popolo"; non ha detto "al mio popolo". Daniele aveva pregato: "Volgi il tuo viso al tuo popolo", ma Dio a causa delle colpe future lo giudica estraneo. Subito ne spiega la causa: "Finché la prevaricazione abbia fine e il peccato sia giunto al compimento". Ma cosa vuol significare "finché il peccato sia giunto a compimento"? Commettono molti peccati, ma il peggio sarà quando uccideranno Cristo. E questo disse Cristo: "Colmate la misura dei vostri padri" (Matt. XXIII, 32). Avete ucciso i servi, aggiungetevi il sangue del Signore. Vedi come concordano le sentenze. Cristo disse: "Colmate"; il profeta: "Finché il peccato sia consumato" e "messo il sigillo all’iniquità". Ma che significa "mettere il sigillo"? Che non vi può essere iniquità maggiore. "E che arrivi la giustizia eterna". Quale può essere la giustizia eterna se non quella data da Cristo? "E finché la visione e la profezia siano compiute e il santo dei santi riceva l’unzione", cioè finché finiscano le profezie; questo è il senso delle espressioni: mettere un sigillo, porre fine all’unzione e alle visioni. Questo disse Cristo: "La legge e i profeti sono durati fino a Giovanni" (Matt. XI, 13). Considera queste minacce di ogni sorta di disastri e di vendette per i delitti e le iniquità. Il Signore non promette di perdonarli ma minaccia di punirli per i loro peccati.
    10 - Ma quando è accaduto questo? Quando sono finite completamente le profezie? Quando è scomparsa l’unzione senza più tornare? E se noi taceremo, le pietre stesse grideranno: tanto è forte la voce dei fatti. Noi non possiamo indicare altro tempo, per il compimento di queste predizioni, se non quello trascorso che è già molto lungo, e quello ancor più lungo che deve ancora venire.
    Daniele parlando con ancora maggior precisione dice: "Sappi ancora e intendi bene: dal momento in cui sarà dato l’ordine di ricostruire Gerusalemme fino al Principe Unto vi saranno sette settimane e sessantadue settimane" (Dan. IX, 25). Ascoltami con estrema attenzione, questo è il punto cruciale della questione: sette settimane e sessantadue settimane fanno quattrocentottantatre anni. Infatti qui non si parla di settimane composte da giorni o da mesi, ma di settimane di anni. Da Ciro ad Antioco Epifane e alla cattività di cui fu l’artefice, si contano trecentonovantaquattro anni. Il Profeta mostra poi che non si tratta della distruzione del Tempio avvenuta sotto Antioco, ma di quella seguente sotto Pompeo, Vespasiano e Tito, giacché propone un tempo più lontano. E ci insegna come è necessario calcolare questi anni, dimostrando che non bisogna prendere come inizio il ritorno dalla cattività. Ma allora da quando prendere inizio? "Dal momento in cui sarà dato l’ordine di ricostruire Gerusalemme". Ma Gerusalemme non fu ricostruita sotto Ciro, ma sotto Artaserse detto Longimano. Dopo il ritorno degli ebrei venne Cambise, poi i Magi, dopo questi Dario, figlio di Istaspe; dopo Dario, suo figlio Serse e poi Artabano. Dopo Artabano fu Artaserse Longimano a comandare sull’impero persiano. Nel ventesimo anno del regno di Artaserse, Neemìa che era tornato in patria, restaurò la città santa. E tutto questo Esdra ci ha accuratamente descritto (II Esd. II). Se noi contiamo quattrocentoottantatre anni da quel momento, senza dubbio arriviamo all’epoca dell’ultima distruzione. Il Profeta ha detto: "Saranno ricostruite le piazze e le cinte di mura". Allora, quando la città sarà ricostruita e avrà ripreso il suo antico modo di vita, conta da quel momento settanta settimane, e vedrai che questa cattività non è ancora giunta al termine. Ma in modo ancora più evidente si vedrà che gli attuali mali non avranno fine, dalle parole che il Profeta ha aggiunto: "Dopo settanta settimane la sacra unzione sarà abolita, non vi sarà più giurisdizione. La città e il Santuario saranno devastati da un comandante che verrà e tutti periranno come in un diluvio" (Dan. IX, 26). Nessuno si salverà e non resteranno radici che diano germogli "fino alla fine della guerra che la strage abbrevierà". Parlando ancora di questa cattività il Profeta dice: "Saranno aboliti incenso e offerte e inoltre nel tempio si aggiungerà l’abominio della desolazione e questa desolazione durerà fino alla consumazione del tempo" (Dan. IX, 27). Quando senti: "fino alla consumazione" cioè sino alla fine, cosa aspetti? "E inoltre". Che cosa significa "e inoltre"? Significa che oltre alle gravi disgrazie di cui ha parlato, si aggiungerà, dopo la cessazione dei sacrifici e delle offerte votive, un male ancora più grande.
    Qual’è questo male? "Nel tempio l’abominio della desolazione". Il Profeta parla del Tempio e chiama abominio della desolazione la statua che venne collocata nel tempio da colui che aveva conquistato e distrutto Gerusalemme. "E questa desolazione durerà fino alla consumazione del tempo". E così anche Cristo, che secondo la carne è venuto dopo Antioco Epifane, vaticinando l’imminente rovina della città dichiarò che tutto era stato predetto dal Profeta Daniele: "Quando vedrete l’abominio della desolazione di cui ha parlato il profeta Daniele posta nel luogo sacro, colui che legge comprenda" (Matt. XXIV, 15).
    Siccome gli ebrei chiamano abominio ogni simulacro o figura d’uomo, Daniele con questa designazione enigmatica della statua annuncia nello stesso momento il tempo e l’autore di questa futura cattività. Che si vogliano indicare i Romani lo afferma anche quel Giuseppe di cui abbiamo già parlato.
    Che mai vi resta da dire dal momento che i profeti, quando predicevano le altre cattività, ne determinavano l’esatta durata e di questa, non solo non ne determinano il tempo, ma al contrario affermano che durerà fino alla fine dei tempi?
    A questo punto, per capire che quanto abbiamo detto non è senza fondamento, considera la testimonianza dei fatti. Poiché se i Giudei non avessero mai tentato di riedificare il tempio, potrebbero dire: se avessimo voluto intraprendere la ricostruzione del tempio, certamente lo avremmo potuto fare e condurre a termine. Ma è dimostrato che non una volta o due o tre hanno tentato e ne furono impediti; non diversamente da quanto accade nei giochi olimpici, non vi è alcun dubbio che la corona della vittoria tocca alla Chiesa. Dove sono dunque questi intraprendenti che sempre resistono allo Spirito Santo, che si affannano per le novità e che suscitano rivolte?
    11 - Dopo la catastrofe accaduta sotto Tito e Vespasiano, vi fu, sotto Adriano una sollevazione e il tentativo di restaurare lo Stato precedente: non comprendendo che muovevano guerra ai decreti del Signore, il quale aveva stabilito che la loro città sarebbe stata desolata per sempre. Ma è impossibile vincere quando si combatte contro il Signore. L’insurrezione degli ebrei contro Adriano spinse infatti l’imperatore a distruggere la città dalle fondamenta. Dopo averli vinti e assoggettati e aver disperso anche gli ultimi avanzi della rivolta, affinché non potessero in avvenire agire con tanta impudenza, collocò sul luogo una statua che lo raffigurava. Poi, sapendo che in futuro col passar del tempo la statua sarebbe crollata, per porre un marchio indelebile della sua vittoria e un segno della loro sfrontatezza, impose il suo nome alle rovine della città. Siccome si chiamava Elio Adriano, ordinò che alla città si imponesse il nome di Elia, così come si chiama ancor oggi, dal nome del vincitore e conquistatore.
    Questo fu il primo tentativo dei Giudei per la ricostruzione di Gerusalemme. Consideriamo adesso l’altro.
    Sotto Costantino tentarono nuovamente, ma Costantino vedendo il loro intento tagliò loro le orecchie, impresse sui loro corpi un marchio di ribellione, obbligandoli ad andare in giro come schiavi fuggitivi o delinquenti da fustigare, segnalandoli a tutti per le mutilazioni del corpo. Ammoniva in tal modo anche quelli che erano sparsi nel paese a non tentare, nell’avvenire, di fare come costoro. Ma dicono: tutte queste sono storie vecchie e dimenticate. Niente affatto, perché tutto ciò è noto anche a quelli fra di voi che sono anziani e quello che sto per dire è chiaro ed evidente pure ai giovani.
    Non accadde sotto Adriano o Costantino, ma sotto l’imperatore che regnò vent’anni prima della nostra generazione.
    Giuliano, che superò tutti gli imperatori per empietà, chiamò i Giudei a sacrificare agli idoli e tentò di trascinarli nella sua scelleratezza; in seguito i Giudei cercarono di tornare all’antico rito dicendo: Dio è sempre stato onorato dai nostri antenati. In questo modo confessavano, loro malgrado, quanto noi abbiamo testé dimostrato, che non era permesso immolare vittime fuori di Gerusalemme; anzi, aggiungevano che infrangeva la legge colui che faceva sacrifici in terra straniera. E ancora: se volete vederci fare i sacrifici, rendeteci la nostra città, restituiteci il tempio, mostrateci il Santo dei Santi, rimettete l’altare, e noi celebreremo come si faceva un tempo. Non ebbero vergogna, questi scellerati e spudorati, di rivolgere la loro richiesta ad un uomo empio e pagano e domandare che quelle mani impure innalzassero il Santo dei Santi.
    Non capivano di voler intraprendere un’impresa impossibile, e neppure comprendevano che se Gerusalemme fosse stata distrutta da un uomo, un altro uomo avrebbe certamente potuto ricostruirla; ma siccome il vero distruttore della città era stato Dio, questa ricostruzione non sarebbe mai stata possibile, perché una forza umana non può prevalere sui decreti del Signore. "Chi mai rovescierà ciò che il Signore Iddio ha stabilito? Chi mai allontanerà la sua eccelsa mano?" (Isaia, XIV, 27).
    Infatti rimarrà fermo tutto quello che Egli avrà stabilito e voluto e nessun uomo potrà demolirlo; e così tutto quello che Dio avrà distrutto e vorrà che resti tale, nessun uomo potrà restaurarlo. Ma supponiamo, o Giudei, che questo principe abbia restituito il tempio e riedificato l’altare, fatti che voi a torto ritenete realizzabili, avrebbe anche potuto far discendere dall’alto il fuoco celeste? E se questo fosse mancato, il sacrificio sarebbe stato empio ed impuro. Per questo perirono i figli di Aronne, perché avevano usato un fuoco straniero. (Lev. X - Num. III).
    Tuttavia, completamente accecati, quei Giudei supplicavano e scongiuravano l’imperatore di unirsi a loro ed intraprendere la ricostruzione del tempio. Giuliano diede molto denaro, mise a dirigere l’opera uomini capaci, comandò che fossero chiamati operai da ogni parte; non lasciò nulla di intentato, pur agendo con misura e prudenza, sperando di poterli indurre in futuro a sacrificare e poi facilmente portarli al culto degli idoli. Al tempo stesso questo insensato e disgraziato sperava rendere vana la sentenza di Cristo, per la quale il tempio non si sarebbe mai potuto ricostruire.
    Ma Colui che cattura i sapienti con la loro stessa astuzia, subito mostrò con i fatti che il decreto di Dio è il più potente di tutti e che gli oracoli del Signore si realizzano sempre (I Cor. III, 19 - Gb. V, 13). Infatti appena i Giudei ebbero incominciato questo empio tentativo, scavato per porre le fondamenta, ammucchiata molta terra e stavano ormai per costruire l’edificio, improvvisamente un gran fuoco, scaturito dalle fondamenta, uccise molti operai, fece crollare le pietre sistemate e interruppe l’inopportuna ostinazione. Non soltanto coloro che lavoravano, ma anche molti ebrei restarono stupefatti e turbati. L’imperatore Giuliano, udita questa notizia, sebbene si fosse dedicato a questa impresa con tanto ardore, temendo che col proseguire avrebbe attirato sul proprio capo il fuoco celeste, desistette con tutto il popolo.
    E ora, se voi andate a Gerusalemme, vedrete le nude fondamenta, e se ne chiederete la ragione non ne udrete altra che questa. Di questo avvenimento siamo tutti testimoni: è accaduto nel nostro tempo e non in tempo remoto. Considera quanto sia grande la nostra vittoria: tutto ciò non accadde sotto gli imperatori cristiani, perché non si potesse dire che i cristiani si erano opposti all’opera, ma è avvenuto mentre noi eravamo perseguitati, le nostre vite in pericolo, ogni libertà proibita, mentre il paganesimo fioriva, e parte dei fedeli si nascondeva in casa e parte fuggiva. Questo accadde in quel tempo perché ai Giudei non restasse pretesto alla loro sfrontatezza.
    12 - Dubiti dunque ancora, o Giudeo, mentre vedi la predizione di Cristo, i vaticini dei profeti e la dimostrazione portata contro di te dagli stessi avvenimenti? Veramente non c’è da meravigliarsi: così fu sempre la vostra nazione fin dall’inizio, falsa e testarda e sempre in lotta con la verità.
    Vuoi tu che io porti contro di te altri profeti che dicono apertamente che la vostra religione avrà fine, mentre la nostra fiorirà? Che la predicazione di Cristo si propagherà per tutta la terra e che un altro genere di sacrificio sarà introdotto dopo che i vostri saranno aboliti? Ascolta dunque Malachia che è venuto dopo gli altri profeti; non voglio avere come testimoni Isaia o Geremia e nessuno degli altri che sono vissuti nel tempo precedente alla cattività, perché tu non possa pretendere che i mali che essi predissero sono accaduti durante la cattività stessa. Porto a testimonio un profeta che visse dopo il ritorno da Babilonia e dopo la restaurazione della città e che predisse pubblicamente le vostre vicende.
    Infatti, quando gli ebrei, essendo ritornati, ricostruirono il tempio e celebrarono nuovamente i sacrifici, Malachia predisse la presente desolazione e la futura abolizione dei sacrifici, e parlando in nome di Dio, così disse: "Come potrò accogliere le vostre suppliche? Dice Dio Onnipotente. Poiché da oriente ad occidente il mio nome è glorificato fra le genti, e in ogni luogo si offrono sacrifici d’incenso al mio nome insieme a un’offerta pura: ma voi lo avete profanato" (Mal. I, 9-11). Dunque, o Giudeo, quando accadde tutto questo? Da quando l’incenso è offerto in mio nome in ogni luogo? Da quando il sacrificio è puro? Non puoi mostrare altro tempo che questo: dopo la venuta di Cristo.
    Perché se la predizione non riguarda il tempo presente e il vaticinio non riguarda il nostro sacrificio, ma quello giudaico, allora la profezia è contraria alla legge. Poiché Mosè vieta che il sacrificio possa essere celebrato in alcun altro luogo, se non in quello stabilito da Dio, e poiché aveva limitato le celebrazioni dei sacrifici ad un solo luogo (Deut. XVI, 5), allora quando il profeta Malachia dice che in ogni luogo si deve offrire l’incenso e un sacrificio senza macchia, contraddice Mosè e lo combatte. Ma in verità non esiste nessuna lotta od opposizione: Mosè parlò di un sacrificio, Malachia poi ne profetizzò un altro. Dove troviamo noi la prova? Anzitutto dalle stesse parole, poi da altri numerosi indizi.
    Per primo dall’indicazione del luogo: infatti non in una sola città, com’era presso i Giudei, ma "dall’oriente all’occidente" si doveva celebrare questo sacrificio. Il profeta accenna poi al tipo di sacrificio, e chiamandolo puro determina di qual sacrificio parla. In terzo luogo: gli offerenti. Infatti non disse: in Israele, ma "da tutte le genti". Perché poi non si pensasse che questo culto dovesse essere instaurato soltanto in due o tre città, non disse solamente: in ogni luogo, ma "dall’oriente all’occidente", indicando che tutte le terre su cui risplende il sole avrebbero ricevuto la predicazione del Vangelo. Inoltre definisce "puro" il sacrificio, non perché i sacrifici precedenti fossero impuri nella loro intrinseca natura, ma a causa dell’intenzione degli offerenti; da ciò le parole: "Il vostro incenso è per me abominevole" (Isaia I, 13).
    Del resto se si confrontano tra di loro l’antico sacrificio con il nuovo, si troverà una così grande differenza che in paragone solo questo merita di essere chiamato puro. È ciò che san Paolo disse della legge e della grazia; ciò che era glorioso nella legge non merita più questo titolo perché la grazia è di gran lunga più grande della legge (II Cor. III, 10). Questo possiamo ripeterlo con certezza: paragonando i due sacrifici solo il nuovo può essere definito puro; perché offerto non con il fumo e l’odore, non con il sangue e il prezzo del riscatto, ma con la grazia conferitagli dallo Spirito Santo.
    Ascolta ancora un altro profeta che predice gli stessi avvenimenti e dichiara che il culto a Dio non sarà più limitato ad un solo luogo, e che d’ora in avanti tutti gli uomini dovranno conoscerlo. Ecco come parla Sofonia: "Il Signore si manifesterà a tutte le genti, distruggerà le loro divinità e tutti lo adoreranno ciascuno nel proprio paese" (Sof. II, 11).
    Questo non era permesso ai Giudei perché Mosè aveva comandato di sacrificare in un solo luogo. Ma tu ascolta ora i Profeti vaticinare ed annunziare che gli uomini non saranno più obbligati a riunirsi in una sola città o in un solo luogo, ma che ognuno potrà onorare Dio restando ove dimora; quale altro tempo puoi designare, se non il tempo presente? Ascolta attentamente come concordano perfettamente i Profeti con i Vangeli e gli Apostoli (Tito, II, 11). Sofonia dice: "Il Signore si manifesterà", l’Apostolo dice: "La grazia di Nostro Signore si è mostrata a tutti gli uomini per istruirci". E ancora, il Profeta: "A tutte le genti"; l’Apostolo: "A tutti gli uomini" e l’uno dice: "Distruggerà i falsi dei", l’altro: "Insegnandoci a rinnegare l’empietà e i desideri terreni e a vivere con temperanza, giustizia e pietà".
    Cristo disse alla samaritana: "Credimi, o donna, è venuta l’ora in cui non adorerete più il Padre né in questo monte né a Gerusalemme. Dio è spirito; bisogna che quelli che lo adorano lo adorino in spirito e verità" (Giov. IV, 21). Con queste parole Cristo toglie l’obbligo di adorare Dio in un luogo determinato e ci guida, al tempo stesso, ad un culto più sublime e più spirituale. Tutto questo è sufficiente a dimostrare che non vi saranno più, per i Giudei, né sacrifici, né sacerdozio, né Re. La rovina di Gerusalemme è la prova di tutto quanto detto.
    Potremmo ancora aggiungere altri profeti che hanno chiaramente parlato, ma capisco che la lunghezza dell’omelia vi ha affaticati e non vorrei sembrarvi noioso e senza frutto. Perciò, mentre prometto che completerò il mio discorso in un altro momento, vi prego nel frattempo di occuparvi dei vostri fratelli e di strapparli dall’errore e di ricondurli alla verità.
    Non servirebbe a nulla l’ascoltare se poi i fatti non fossero d’accordo con le parole. In verità quanto abbiamo detto non è soltanto per voi ma anche per i deboli affinché, dopo aver imparato da voi ed essersi liberati dalle cattive abitudini, mostrino un cristianesimo sincero e schietto; fuggano le perverse riunioni e le assemblee dei Giudei, sia in città che nei sobborghi, perché sono come antri di banditi e abitacoli di demoni. Non trascurate quindi la salute dei vostri fratelli, ma fate tutto il possibile, senza lasciare nulla di intentato, per riportare a Cristo questi malati, per ricevere in questo secolo e nella vita futura un premio ben superiore ai meriti. Per la grazia e la bontà del Signor nostro Gesù Cristo, per il quale e con il quale sia gloria al Padre insieme allo Spirito Santo Vivificatore, ora e sempre nei secoli dei secoli. Così sia.
    Sesta Omelia
    1 - Sino a quando vivono nelle foreste e non hanno ancora combattuto contro gli uomini, le belve sono meno selvagge e meno feroci; ma, quando i cacciatori dopo averle catturate le portano in città e chiuse in gabbia le incitano a combattere contro gli uomini, le belve, dopo averli assaliti, gustata la carne e bevuto il sangue umano, non solo non si astengono facilmente da tale cibo, ma anzi si precipitano con avidità su questo pasto.
    Questo è veramente quello che proviamo anche noi: infatti, dopo che abbiamo combattuto contro i Giudei e respinto con energia i loro impudenti attacchi, sovvertito i loro ragionamenti, distrutto ogni superbia che si eleva contro la conoscenza di Dio e portato all’obbedienza di Cristo i pensieri ribelli, ci prese un desiderio, ancora maggiore, di riprendere la lotta contro di loro.
    Che farò dunque? Vedete come la mia voce si è fatta debole e non può sostenere di nuovo un lungo sermone; mi accade come al soldato il quale, dopo aver respinto molti nemici, attaccato con grande vigore le loro schiere, e averne uccisi molti, improvvisamente, confuso, è costretto a ritirarsi tra i suoi essendosi rotta la spada. Quanto mi capita è ancora più grave. Infatti, il soldato a cui si è rotta la spada può pur sempre impadronirsi della spada di un vicino, assecondare il suo impeto e mostrare grande valore; ma se viene a mancare la voce non è possibile prendere in prestito la voce di un altro. Che fare? Fuggiremo anche noi? No, non lo permette la potenza e la forza della vostra carità. Ho molto rispetto per la presenza del nostro Padre e per la vostra sollecitudine, perciò intraprenderò questo compito superiore alle mie forze, contando sulle sue preghiere e sulla vostra carità. Nessuno di voi condanni come intempestivo questo sermone, se oggi [era una festa dei martiri], mentre i martiri ci chiamano al loro ricordo, tralasciamo di esporre le loro lotte e scendiamo nell’arena a combattere contro i Giudei.
    Certamente questo sermone sarà più gradito agli stessi martiri; le nostre lodi non accrescono la loro gloria; che bisogno hanno delle parole umane essi le cui lotte hanno superato i limiti dell’umana natura, e il cui premio vince la forza della nostra mente? Sdegnarono questa vita terrena, sopportarono eroicamente i supplizi e le torture, disprezzarono la morte, volarono in cielo; sfuggiti ai flutti degli eventi umani raggiunsero un porto sereno non con oro, argento e vesti preziose, ma con immensi tesori che nessuno può rubare: la sopportazione, la fortezza, la carità. Ora i martiri sono giunti nel coro di Paolo, felici di fronte alle corone che li attendono, liberi ormai dalle incertezze del futuro. A che servirebbe dunque il nostro discorso? Certamente questo argomento sarà loro più gradito. Infatti, come dicevo prima, le nostre lodi non accrescerebbero la loro gloria. Al contrario, le nostre lotte contro i Giudei aumenteranno il loro gaudio e ascolteranno molto volentieri i sermoni che hanno come fine la gloria di Dio. I martiri in verità odiano i Giudei in modo particolare, perché amano immensamente Colui che i Giudei hanno crocifisso. Infatti costoro dicevano: "Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli" (Matt. XXVII, 25), i martiri versarono il loro sangue per amore di Colui che essi avevano ucciso. Per questo ascolteranno volentieri il nostro sermone.
    2 - Abbiamo dunque sufficientemente dimostrato che, se questa servitù dei Giudei avesse dovuto avere fine, i profeti lo avrebbero predetto e mai avrebbero taciuto. Abbiamo infatti spiegato come tutte le cattività siano state predette: la prima, quella in Egitto; poi quella in Babilonia e la terza sotto Antioco Epifane.
    Dimostrammo inoltre che, nelle Sacre Scritture, erano stati determinati per ognuna il luogo e il tempo mentre per la presente cattività nessun profeta ha predetto il tempo della fine. Daniele ha predetto che sarebbe venuta, portando una totale desolazione e il cambiamento del potere e della religione; e quanto tempo dopo il ritorno da Babilonia ciò sarebbe accaduto. Tuttavia quando avrebbe avuto fine e quando questi mali sarebbero terminati, non lo predisse né Daniele né alcun altro Profeta.
    Al contrario predisse che sarebbe durata sino alla fine dei secoli. Quanto abbiamo detto è provato dalla durata del tempo trascorso, dalla mancanza sino ad oggi di un segno o un inizio di miglioramento e ciò, nonostante i numerosi tentativi di restaurazione del tempio. Tentativi fatti una prima volta, poi una seconda e ancora una terza: sotto Adriano, sotto Costantino, sotto Giuliano, ma tutti i loro sforzi furono contrastati; la prima volta dai soldati, poi dal fuoco divampato dalle fondamenta che ha posto un freno alla loro importuna ostinazione. Benevolmente ho chiesto loro: perché nonostante il lungo tempo trascorso in Egitto, siete tornati in patria? E perché, portati a Babilonia, veniste di nuovo a Gerusalemme? E la terza volta perché, malgrado tutti i mali sopportati sotto Antioco, siete tornati al vostro precedente costume, ai sacrifici, all’altare, al santo dei santi e a tutto quello che ritrovaste con l’antica dignità? Perché adesso nulla di simile è stato fatto? Anzi, sono trascorsi prima cento, poi duecento, poi trecento, quattrocento anni e ancora molti di più: poiché siamo ora nel cinquecentesimo anno da quel tempo (1) e non si vede apparire da nessuna parte un segno di cambiamento.
    La situazione dei Giudei è in rovina completa, e neppure in sogno si vede la speranza che avevano nei tempi precedenti. Infatti se gli Ebrei adducessero come motivo i loro peccati e dicessero: poiché abbiamo peccato contro Dio e lo abbiamo offeso, per questo non riacquistiamo la nostra patria; e se questi Ebrei che prima, quando erano accusati dai profeti reagivano con sfrontatezza e negavano gli atroci omicidi loro rimproverati, ora confessassero e condannassero le loro colpe, io, volentieri interrogherei ciascuno di loro: è dunque per i tuoi peccati o giudeo, che sei lontano da Gerusalemme da così lungo tempo? Che vi è in questo di nuovo e straordinario? Solo ora vivete in peccato, mentre prima vivevate con giustizia e rettitudine? Ma non è forse vero che da tempo, fin dall’inizio, avete peccato innumerevoli volte? Non vi rimprovera molte volte il profeta Ezechiele quando, rivolgendosi alle meretrici Olà e Oliba dice: "Edificaste in Egitto un lupanare, avete fatto pazzie con i barbari e adorato gli dei stranieri"? (Ezec. XXIII). Che dire di più? Quando il mare si apriva, quando le rupi si spaccavano, quando tanti miracoli accadevano nel deserto, non avete voi adorato il vitello d’oro? Non avete inoltre tentato di uccidere Mosè, una volta lapidandolo, un’altra scacciandolo, svariate volte e in molti altri modi?
    Non avete anche continuato a scagliare bestemmie contro Dio? E non vi siete iniziati al culto di Belfagor? Non avete persino offerto in sacrificio ai demoni i vostri figli e figlie mostrando ogni specie di peccato e di empietà? (Num. XXV, Salmo 105, 37).
    Non ha forse detto il profeta, parlando in nome di Dio: "Per quarant’anni sono stato disgustato con questa generazione e dissi: sempre costoro sono traviati nel loro cuore"? (Salmo 94, 10).
    Come è potuto accadere che Dio non vi abbia respinti dopo il sacrificio dei figli, dopo il culto degli idoli, dopo tanta malvagità, dopo tanta ingratitudine e abbia lasciato con voi quel grande profeta, Mosè, e vi abbia dato segni così straordinari e prodigiosi? Vi capitarono dei fatti mai accaduti a nessun altro popolo: foste ricoperti da una nube stesa su di voi come un riparo, come una colonna luminosa che vi precedeva, mentre i nemici si arrendevano spontaneamente e le città erano conquistate quasi solo dalla vostra voce. Non erano necessarie né armi, né esercito, né combattimento, suonaste solamente le trombe e le mura crollarono da sé. Vi fu dato in abbondanza un cibo nuovo e sconosciuto, il profeta lo annunzia a gran voce dicendo: "Diede loro un pane celeste; l’uomo ha mangiato il pane degli angeli: mandò loro cibi in abbondanza" (Salmo 77, 25). Ditemi dunque per quale causa quando disprezzavate il Signore, adoravate gli idoli, uccidevate i figli, lapidavate i profeti, commettevate tante scelleratezze, avevate tuttavia da Dio tanta benevolenza e tanta provvidenza, mentre ora che non adorate gli idoli, non uccidete i figli, non lapidate i profeti, passate la vita in perpetua cattività? Il Dio di allora era un altro Dio e non quello di adesso? Non è forse il medesimo Dio che allora governava e che adesso si occupa di quanto accade?
    Insomma, quale fu la causa per cui quando i vostri peccati erano ben più numerosi e più gravi, la benevolenza di Dio verso di voi era più abbondante, ed ora con peccati più lievi, Dio vi respinge fermamente e vi abbandona ad una perpetua ignominia? Se vi avversa oggi per i vostri peccati, a maggior ragione avrebbe dovuto farlo allora. Perché, se vi sostenne quando vivevate in modo empio, dovrebbe a maggior ragione sostenervi adesso che non commettete niente di simile.
    Ma dunque perché vi ha abbandonati? Se voi vi vergognate di dirne la causa, ebbene la dirò io chiaramente, anzi, non io la dirò, ma la proclamerà la verità dei fatti. Dopo che uccideste Cristo, dopo che alzaste le mani sul Signore, dopo che spargeste il suo prezioso sangue, non vi è più per voi speranza alcuna di riparazione, di perdono, di espiazione.
    Un tempo, le vostre azioni malvage furono commesse contro dei servi di Dio: contro Mosè, contro Isaia, contro Geremia; sebbene allora commetteste degli atti scellerati, la vostra impudenza non giunse al sommo della malvagità. Ora invece avete superato tutti i delitti di un tempo, avete raggiunto il colmo della malvagità, a causa dell’insania nel vostro furore contro Cristo, e per questo, ora, subite pene più gravi. E, se questa non è la causa della vostra vergogna, perché Dio vi sopportava quando uccidevate i figli e vi respinge oggi quando non fate più nulla di simile? Evidentemente con l’uccisione di Cristo, avete commesso un delitto ben più grave e scellerato che non l’uccisione dei vostri figli, o qualsiasi altra violazione della legge.
    3 - Oserete continuare a chiamare Cristo impostore e trasgressore della legge? Non dovreste piuttosto appartarvi e nascondervi voi che avete davanti agli occhi una verità tanto evidente? Infatti, se Gesù era un impostore come voi dite e un trasgressore della legge, allora voi, per averlo ucciso, meritereste addirittura una lode.
    Poiché, se Fineas con l’uccisione di un uomo calmò l’ira del Signore contro il popolo come dice il Profeta: "Fineas si levò, placò il Signore e cessò la tribolazione" (Salmo 105, 30), e se con l’immolazione di uno solo liberò tanti uomini dall’ira divina, un vantaggio ben maggiore sarebbe venuto a voi se colui che avete crocifisso fosse stato un trasgressore della legge. Allora di nuovo vi chiedo, perché Fineas per aver ucciso un uomo che trasgrediva la legge fu considerato un giusto ed ebbe l’onore del sacerdozio? (Num. XXV, 7-13). Come mai, invece, voi che avete messo in croce un impostore, come voi dite, e nemico di Dio, non avete né lodi né onori, anzi dovete sopportare pene assai più acerbe di quando uccidevate i vostri figli? Non è forse evidente anche ai più ottusi, che siete sottoposti a questi castighi perché vi siete comportati con empietà verso il Salvatore, Principe dell’universo? Adesso voi vi astenete dal sangue impuro e osservate il sabato, mentre allora violavate anche il precetto del sabato. Dio per mezzo di Geremia promise che avrebbe risparmiato la vostra città, se voi rinunciavate a portare carichi il giorno di sabato (Ger. XVII, 21); adesso voi obbedite, non portate carichi il sabato, tuttavia nonostante questo Dio non si riconcilia con voi. Infatti il vostro peccato è il più grave di tutti; sicché lo scusarvi alludendo ai peccati commessi è assolutamente senza fondamento. Non è per i peccati commessi, ma proprio per questo delitto che vi trovate nelle presenti calamità.
    Se così non fosse Dio non vi sarebbe stato tanto contrario, anche se aveste commesso peccati ben più numerosi; questo è evidente da quanto abbiamo detto prima e sarà ancor più chiaro da quanto dirò. Di che si tratta? Parlando per mezzo dei Profeti abbiamo udito Dio che diceva ai vostri antenati: "In verità voi meritereste innumerevoli mali, ma io agisco così a causa del mio nome perché non sia disonorato fra i gentili" (Ezech. XX, 22); e in altro momento: "Non per riguardo vostro io faccio questo, o casa d’Israele, ma per il mio santo nome" (Idem XXXVI, 22).
    E questa è la spiegazione: "Voi, o Ebrei, avreste meritato pene e castighi molto più gravi, ma io vi ho aiutati e protetti perché non si possa dire che Dio per debolezza o impotenza ha abbandonato i Giudei in mano ai nemici".
    Perciò se quel Cristo che avete crocefisso era un trasgressore della legge, anche se voi aveste commesso migliaia di peccati e molto più gravi dei precedenti, Dio vi avrebbe salvato proprio per questo: affinché il suo nome non venisse disonorato e Cristo non fosse considerato un grande uomo, e non si potesse dire che voi soffrite questi mali per causa di costui. Ora se vediamo che Dio per la gloria del suo nome perdonava i vostri peccati, a maggior ragione avrebbe dovuto farlo in questo caso: gradire questa uccisione e cancellare la moltitudine dei vostri peccati.
    Poiché Dio, com’è evidente, vi è perpetuamente ostile, allora è chiaro che con la sua ira e col perpetuo abbandono vuol mostrare, anche ai più impudenti di voi, che colui che avete ucciso non fu trasgressore della legge, ma l’autore stesso della legge, venuto per colmarvi di beni infiniti.
    Per questo voi che agiste contro di lui con empietà, trascorrete la vita nell’ignominia e nell’obbrobrio e invece noi, che lo adoriamo, mentre prima eravamo più disprezzati di voi, ora siamo più onorati e per grazia di Dio; siamo rispettati più di voi e tenuti in maggior considerazione. Chiedono: "Ma dov’è la prova che Dio ci ha respinti?". E allora io ti domando: "È forse necessario dimostrarlo con le parole quando gli avvenimenti lo gridano con voce più sonora delle trombe sia con la rovina della città, sia con la distruzione del tempio e con tutte le altre calamità, eppure voi desiderate ancora un’ulteriore dimostrazione?". Rispondono: "Sono gli uomini, non Dio, gli autori di questi mali". Al contrario, è certamente il Signore l’autore di tutto. Perché se incolpi gli uomini devi riflettere che se gli uomini avessero osato farlo e Dio non lo avesse voluto, non avrebbero potuto attuare il loro disegno.
    Quando quel re barbaro si precipitò contro di voi trascinando con sé tutta la Persia, con la speranza di sottomettervi, e vi aveva rinchiusi nella città come in una rete o in una trappola, non è forse vero che allora, ripeto allora, poiché Dio vi era favorevole, senza guerre, senza conflitti, senza battaglia, quel re fu costretto a fuggire, contento solo di salvarsi, lasciando dietro di sé i cadaveri di centottantacinquemila soldati assiri?
    In verità Dio ha frequentemente posto termine in tal modo a molte guerre.
    Perciò adesso, se Egli non vi avesse abbandonati, i nemici non avrebbero potuto impadronirsi di Gerusalemme e devastare il tempio; né questa desolazione si sarebbe mantenuta sino ad ora, e nonostante i ripetuti tentativi, i vostri sforzi non sarebbero rimasti infruttuosi.
    4 - Non queste sole considerazioni, ma altre ancora vi mostreranno chiaramente che gli imperatori romani vi hanno trattati così non a causa della loro bravura, ma perché avete suscitato la collera di Dio che vi ha abbandonati. Se questi avvenimenti fossero stati opera umana le vostre disgrazie avrebbero dovuto aver fine con la distruzione di Gerusalemme e la vostra ignominia non avrebbe dovuto durare fino ad ora. Supponiamo che, come voi dite, siano stati gli uomini ad abbattere le mura, a distruggere la città, a rovesciare l’altare, ma sono stati forse gli uomini a far sì che non abbiate più profeti? Sono gli uomini che vi hanno tolto la grazia dello Spirito Santo? Sono gli uomini che hanno abolito ciò che avevate di venerabile: la voce che usciva dal propiziatorio, la forza dell’unzione, la "dichiarazione" delle gemme preziose del sommo sacerdote? (2).
    Non tutte le cose nella religione giudaica erano di origine terrena, ma molte e le più importanti erano di origine sovrannaturale e celeste.
    Consideriamo un esempio: Dio volle che gli fossero offerti dei sacrifici; l’altare era di origine terrena, così la spada, la legna e persino il sacerdote, ma il fuoco che scendeva all’interno del santuario e consumava la vittima era di origine celeste. Non era un uomo a portare il fuoco nel tempio, ma una fiamma discesa dal cielo completava l’offerta del sacrificio. Inoltre, se vi era qualcosa da conoscere, una voce ispirata dai Cherubini usciva dal propiziatorio e prediceva il futuro; e ancora, le pietre preziose che ornavano i paramenti del sommo sacerdote, rilucevano di un particolare fulgore che indicava gli avvenimenti futuri e questo si chiamava "dichiarazione". Quando poi si doveva dare la Santa Unzione, la grazia dello Spirito Santo scendeva e penetrava nell’olio. I Profeti furono i ministri di questi servizi sacri, sovente una nube o un fumo oscuravano l’interno del santuario. Perché i Giudei con sfrontatezza non attribuissero agli uomini le loro sciagure, il Signore non solo permise la distruzione della città e la rovina del tempio, ma tolse loro anche tutto quanto aveva origine celeste, come il fuoco, la voce, il fulgore delle gemme e tutti gli altri prodigi di questo genere.
    Perciò quando un giudeo ti dirà: "Sono gli uomini che ci hanno fatto guerra, che ci hanno teso delle insidie", tu rispondigli: "No, gli uomini non ti avrebbero fatto la guerra se Dio non lo avesse permesso". Ma sia pur vero che gli uomini abbiano distrutto le mura, è forse un uomo che impedì al fuoco di scendere dal cielo? È forse un uomo che ha imposto silenzio alla voce che si faceva sentire abitualmente dal propiziatorio? E la "dichiarazione" delle gemme? E l’unzione sacerdotale? E tutte le altre meraviglie, le ha forse tolte un uomo? O non è forse Dio che ve le ha tolte? Nessuno può dubitarne, ma allora, per qual motivo Dio l’ha fatto? Non è forse chiaro che Dio lo ha fatto perché vi odia e vi respinge completamente? Replicano i Giudei: "Non è vero, ma siccome non abbiamo più la nostra capitale per questo siamo privati di tutto". E allora noi diciamo: perché non avete più la vostra capitale? Non è perché Dio vi ha abbandonati? Allora chiudiamo le loro bocche impudenti con un più ampio ragionamento, e con la testimonianza delle Sacre Scritture dimostreremo che non fu la distruzione del tempio a causare la fine delle profezie, ma l’ira di Dio e lo sdegno provocato dal loro furore contro Cristo, ira e sdegno ancora più grandi di quando essi adorarono il vitello d’oro.
    Quando Mosè vaticinava, non vi erano né tempio né altare; benché gli Ebrei persistessero nelle loro innumerevoli empietà, tuttavia non cessò il dono della profezia. Oltre a questo uomo grande e famoso, vi furono altri settanta profeti. Non solo, ma quando agli Ebrei fu ridato il tempio e ristabilito il culto e poi quando il tempio fu nuovamente distrutto dalle fiamme e gli Ebrei portati a Babilonia, Ezechiele e Daniele, ripieni di Spirito Santo, predicevano gli eventi futuri ed annunziavano molti fatti anche più straordinari di quelli passati. Ebbero pure una visione divina, nella misura in cui Dio glielo permise, sebbene non vedessero il Santo dei Santi, né potessero stare presso l’altare, e vivessero in un paese barbaro, fra uomini impuri. E allora ditemi, perché ora non avete nessun profeta? Non è chiaro che la causa è questa? Dio vi è contrario. E perché Dio vi è contrario? Anche questo è chiaro, a causa di Colui che avete crocifisso, a causa di questo empio delitto.
    Da cosa risulta? Da questo: prima vivevate empiamente ed eravate esauditi in tante cose, ora invece, dopo la Croce, conducete una vita più morigerata, eppure soffrite pene maggiori e non godete più di quei privilegi che avevate prima.
    5 - Questo è ben testimoniato dai profeti, e affinché comprendiate la causa dei presenti mali, ascoltate cosa dice Isaia, come egli predice allo stesso tempo i futuri benefici recati a tutti dalla venuta di Cristo e la vostra ingratitudine. Ecco le parole di Isaia: "Siamo stati sanati dalle sue piaghe" (LIII, 5) indicando la salvezza che la Croce ha portato a tutti noi; poi per indicare quali eravamo, il profeta aggiunge: "Siamo stati tutti come pecore sviate. Ciascuno deviava per la sua strada" (idem 6). Per spiegare il supplizio della Croce, così si esprime: "Non diceva una parola, come un agnello che si porta ad uccidere, come la pecora muta dinanzi a chi la tosa, così egli non aprì la bocca. Per la sua umiltà fu pronunziato il giudizio contro di lui" (idem VII, 8). Dove accadde questo? Nell’iniquo pretorio di Pilato.
    Molte furono le testimonianze portate contro di lui, Gesù non rispose nulla. Il governatore gli disse: "Senti quanti testimoniano contro di te?" (Mt XXVII, 12). Non rispose e continuò a tacere. Un tempo per ispirazione celeste il profeta aveva detto: "Fu condotto a morte come un agnello e come un agnello davanti a chi lo tosa restò muto" (Is. LIII, 7). Parlando delle iniquità compiute nel pretorio: "Per la sua umiltà fu pronunziata la condanna" (Is. LIII, 8). Nessuno pronunciò una sentenza secondo giustizia, ma tutti accettavano le false testimonianze contro di lui. Questo perché Gesù non voleva vendicarsi, se egli l’avesse voluto avrebbe confuso e sconvolto ogni cosa. Infatti se nel momento in cui pendeva dalla croce spaccò le rocce, oscurò tutta la terra, nascose i raggi del sole, fece notte a mezzogiorno in tutto l’orbe terracqueo, così avrebbe potuto fare mentre era nel pretorio, ma non volle, mostrando mansuetudine e dolcezza. Per questo Isaia ha detto: "Per la sua umiltà fu pronunziato giudizio di condanna" (idem). Poi per dimostrare che era un uomo diverso dagli altri aggiunge: "Chi racconterà la sua generazione?". Chi è colui di cui si dice: "La sua vita è stata strappata dalla terra?". Per questo Paolo scrive: "La nostra vita sta nascosta in Dio con Cristo. Quando Cristo che è la nostra vita apparirà, allora apparirete anche voi nella gloria con Lui" (Coloss. III, 3-4).
    Ma quello che mi ero proposto di esporre, cioè la causa dei mali presenti di cui soffrono i Giudei, lo farò dire dallo stesso Isaia. Dopo la seduta nel pretorio, dopo l’uccisione e l’Ascensione, il Profeta dice: "La sua vita è stata strappata dalla terra" e aggiunge: "Attribuirò ai malvagi la sua sepoltura e ai ricchi la sua morte" (Is. LIII, 9) (3). Non dice semplicemente Giudei ma malvagi: e chi invero può essere più malvagio di coloro i quali dopo aver ricevuto tanti benefici uccisero il benefattore? Se è vero che questo non accadde, se è vero che non vivete nell’ignominia, se è vero che non siete adesso privati di tutti i beni dei vostri padri, se è vero che la vostra città non è distrutta e il vostro tempio demolito, e infine se non è vero che le vostre disgrazie superano la peggiore tragedia, allora, o giudeo, non credere alle mie parole. Se al contrario i fatti parlano ad alta voce, se quanto era stato predetto dai profeti si è avverato, perché senza ragione sei tanto impudente?
    Dove è ora tutto quello che era venerabile, dove è il gran sacerdote, dove la tunica sacerdotale e il pettorale, dov’è la "dichiarazione"? E non parlarmi di questi odierni patriarchi, tavernieri e trafficanti pieni di ogni iniquità. Ma dimmi quale sacerdote puoi avere, mentre non hai l’antico olio, né alcuna delle sante cose di un tempo? Ti chiedo: quale sacerdote quando non vi è più sacrificio, né altare, né culto? Vuoi che io ti reciti le leggi che concernono il sacerdozio, e in qual modo si soleva consacrare i sacerdoti?
    Perché tu comprenda che coloro che chiamate patriarchi non sono sacerdoti, ma agiscono simulando come maschere di sacerdoti, non diversamente dalla recitazione degli istrioni sulla scena, dirò anzi che in verità non possono nemmeno sostenere la parte del sacerdote, tanto sono lontani non solo dalla verità ma dalla sua stessa immagine. Ricorda dunque, come il sacerdozio fu conferito ad Aronne, quanti sacrifici furono offerti per lui da Mosè, quante vittime immolate, come Mosè lo purificò, e come gli unse l’estremità dell’orecchio, la mano destra e il piede destro; come poi Mosè lo abbia introdotto nel Santo dei Santi e gli abbia ordinato di rimanervi per un determinato numero di giorni.
    Ma è molto meglio ascoltare il racconto della Sacra Scrittura. È scritto: "Questa è l’unzione di Aronne e dei suoi figli" (Levit. VII, 35). "Il Signore parlò a Mosè dicendo: "Prendi Aronne e i suoi figli, le loro vesti, l’olio dell’unzione, il vitello offerto in espiazione del peccato, un montone, e convoca tutto il popolo alla porta del tabernacolo". E Mosè, a tutta la moltitudine convocata, disse: "Questo è quanto il Signore ha comandato di fare". Dopo aver fatto avvicinare Aronne e i figli - qui riassumo un po’ il discorso - li lavò con l’acqua, poi vestì Aronne con la tunica e lo cinse con la cintura, lo rivestì del manto e sul manto l’ephod e lo strinse con la cintura, gli mise poi il razionale con su scritte le parole "Dottrina e Verità" (4). Sul capo di Aronne Mosè pose la tiara e su questa la lamina d’oro. Quindi preso l’olio ne asperse l’altare per santificarlo, lo stesso fece con la base, i vasi, il bacile. Versò l’olio anche sul capo di Aronne e dei figli.
    Mosè portò poi il vitello e dopo averlo immolato e dopo che Aronne e i figli ebbero poste le mani sulla testa della vittima, prese un po’ di sangue, unse le estremità dell’altare e lo purificò, poi versò un po’ di sangue anche sulla base dell’altare e lo consacrò per rendere propizio il Signore.
    Dopo aver bruciato parecchie cose, alcune dentro l’accampamento, altre fuori, portò il montone e lo immolò in olocausto. Portò poi un altro montone per il compimento del rito; lo uccise mentre Aronne e i figli gli stendevano le mani sulla testa e ancora unse col sangue l’estremità dell’orecchio destro di Aronne, l’estremità della mano destra e del piede destro; lo stesso fece con i figli.
    Mosè prese quindi una parte della vittima e la mise tra le mani di Aronne e dei figli, e così si fece l’offerta al Signore.
    In seguito Mosè prese nuovamente il sangue e l’olio dell’unzione e ne asperse Aronne e i suoi paramenti; ne asperse anche i figli e i loro paramenti, li santificò e ordinò di cuocere la carne nell’atrio del tabernacolo e di nutrirsi con questa carne. "Dall’ingresso del tabernacolo non uscite, disse, per sette giorni finché non siano trascorsi i giorni della consacrazione. Occorrono infatti sette giorni perché le vostre mani siano consacrate e perché il Signore vi sia propizio"" (Lev. VIII, 1 segg).
    Poiché la Scrittura racconta come fu consacrato Aronne, come venne purificato e santificato e con quali mezzi rese propizio il Signore e ora non vi è nulla di tutto questo, né vittima, né olocausto, né aspersione di sangue, né unzione di olio, né tabernacolo e neppure la permanenza nel tabernacolo per un numero di giorni prestabiliti, è evidente che l’odierno sacerdote dei Giudei è impuro ed empio, illegittimo e senza carattere sacro e che, infine, provoca l’ira del Signore. Infatti se non poteva essere consacrato se non con questi riti, è assolutamente certo che il loro sacerdozio non esiste. Vedi che posso dire a buon diritto che i Giudei sono lontani non solo dalla realtà ma anche dall’apparenza di verità.
    6 - Non vi è questa sola testimonianza, ma vi sono molti altri avvenimenti dai quali si può comprendere quanto grande sia stata la dignità del sacerdozio. Quando degli uomini scellerati e corrotti insorsero contro Aronne, tentando di cacciarlo dalla carica, disputando sulla sua dignità, Mosè, uomo oltremodo mansueto, desiderando persuaderli con i fatti che egli non aveva innalzato Aronne a quell’onore perché fratello o cognato o parente, ma perché il Signore gli aveva ordinato di elevarlo al sacerdozio, comandò che ogni tribù portasse una verga. Mosè ordinò la stessa cosa ad Aronne e quando tutte le verghe furono raccolte, le prese e tutte insieme le ripose al chiuso. Fatto ciò comandò di attendere il giudizio divino che sarebbe stato dato per mezzo di esse (Num. XVII, 2 segg.).
    Le verghe rimasero tutte insieme nello stesso luogo, ma la sola verga di Aronne germogliò e produsse fronde e frutta, affinché si comprendesse che il Signore della natura lo sceglieva per la seconda volta e lo faceva con le foglie invece che con le parole. In verità Colui che all’inizio aveva detto: "Germini la terra e si ricopra di erba" (Gen. I, 11) e aveva dato alla terra la forza di fare frutti, allo stesso modo fece sì che un pezzo di legno secco e senza linfa germogliasse pur senza terra e radice; in seguito la verga di Aronne fu argomento e testimonianza sia della malizia dei Giudei che del giudizio divino, pronunciato non con la voce ma con il suo solo aspetto, eppure più squillante di una tromba, e fu ammonimento perché tali misfatti non dovessero ripetersi in avvenire.
    Non soltanto in questo, ma anche in un altro modo il Signore dichiarò che Aronne era il sacerdote. Siccome molti Ebrei si erano sollevati contro di lui desiderando la sua carica (infatti il potere è occasione di lotta ed è ricercato da molti), Mosè allora comandò che fossero portati dei turiboli, si mettesse l’incenso, e si attendesse la sentenza celeste. Mentre facevano bruciare l’incenso la terra si aprì e inghiottì quelli che avevano preso parte al complotto, quelli che avevano preso i turiboli furono invece divorati da un fuoco sceso dal cielo (Num. XVI, 18). Perché il trascorrere del tempo non facesse cadere nell’oblio questo avvenimento e la meravigliosa sentenza di Dio venisse ignorata dai posteri, Mosè ordinò che i turiboli venissero fissati all’altare: come la verga senza voce parlò col solo suo aspetto, così i turiboli avrebbero parlato a tutti nell’avvenire ammonendo gli uomini e consigliandoli a non imitare la pazzia degli antenati, per non dover subire gli stessi castighi. Vedi dunque come venivano eletti un tempo i sacerdoti? Quello che accade ora presso i Giudei è un gioco che merita derisione, una vergogna, un traffico da osteria, pieno di immensa empietà.
    E tu, dimmi, segui questi uomini che ostinatamente sono sempre contrari alla legge di Dio, sia con i fatti che con le parole? E corri alla loro sinagoga? Non temi che un fulmine caduto dal cielo ti bruci il capo? Ignori forse che quelli che non avevano rubato, ma erano stati visti nella caverna dei ladri, furono puniti come gli stessi briganti? Ma perché parlo di briganti? Certamente sapete tutti e ricordate, cosa accadde quando uomini scellerati e ingannatori rovesciarono le statue: furono portati in giudizio e condannati all’estremo supplizio, non solo quelli che avevano compiuto il misfatto, ma anche quelli che ne erano stati spettatori, considerandoli consenzienti.
    E tu, dove corri? Là dove il Padre viene insultato, dove il Figlio è coperto di bestemmie, dove è disprezzato lo Spirito Santo e Vivificatore? Ma non hai timore, non inorridisci quando entri in questi luoghi impuri e malsani? Dimmi, che scusa, che perdono avrai tu che ti getti nel baratro e di tua volontà ti butti nel precipizio? Non dirmi che là vi è la legge e vi sono i libri dei profeti: questo non è sufficiente a rendere sacro un luogo. Quale di queste due domande è più importante? Che questi libri siano in quel luogo? O che si parli di quanto è scritto nei libri? Evidentemente è meglio che si parli di quanto è scritto nei libri e che li si tenga a cuore. Rispondimi dunque: qualora il diavolo recitasse le Sacre Scritture, per questo la sua bocca diverrebbe santa? Non puoi affermarlo, un diavolo resterebbe quello che era: un diavolo. E che dire dei demoni? Se predicassero e dicessero: "Questi uomini sono servi dell’Altissimo nostro Signore e vi annunziano la via della salvezza" (Atti XVI, 17), li metteremmo forse nel rango degli Apostoli? Giammai, continueremmo ad esecrarli e odiarli. Allora se le parole pronunziate non santificano, possono santificare i libri posti in un luogo? Assolutamente no. Per qual motivo? Proprio per questo io odio la sinagoga, perché possiede la legge e i profeti, e la odio ancora di più che se non li avesse mai posseduti. Perché? Perché possiede così svariate esche e mezzi fraudolenti con i quali inganna i più ingenui. Una volta Paolo si fece maggior premura di cacciare un demone perché parlava, che se quello avesse taciuto: "Infatti Paolo, stanco e annoiato di ascoltarlo disse allo spirito: "Esci da lei"". Perché? Perché gridava: "Questi uomini sono servi del sommo Dio" (Atti XVI, 18). Tacendo infatti i demoni non ingannavano molti, parlando invece potevano adescare e persuadere molte persone ingenue, che li avrebbero senza dubbio obbediti in tutto il resto. Era un mezzo per aprire la porta ai loro inganni e potere in seguito dire il falso più sfacciatamente: perciò mescolavano qualche verità, comportandosi come coloro che, preparando una bevanda avvelenata, ungono con miele il bordo della coppa perché il veleno sia accettato più facilmente. Questo infastidiva Paolo e lo spinse ad affrettarsi per chiudere la bocca al demone che usurpava un’autorità che non gli conveniva.
    Per questo io odio gli Ebrei, perché hanno la legge e la violano e in tal modo tentano di adescare gli ingenui. Sarebbero meno colpevoli se, non credendo più ai Profeti, rifiutassero anche di credere a Cristo. Ma in verità adesso hanno rinunciato ad ogni speranza di perdono, perché mentre ostentano di credere ai Profeti, coprono di ingiurie Colui che i Profeti hanno annunziato.
    7 - Insomma, se credi che un luogo sia santo perché vi sono riposti la legge e i libri dei profeti, devi considerare santi anche gli idoli e i loro templi. Una volta, in una guerra degli Ebrei contro gli Azoti, questi ultimi, vincitori, si impadronirono dell’arca e la misero nel loro tempio (I Re, V). Quel tempio divenne forse sacro perché vi era l’arca? Sicuramente no, ma restò profano ed impuro. E presto gli avvenimenti lo dimostrarono. Alfine di far vedere ai nemici che la loro vittoria era effetto non della debolezza di Dio, ma delle colpe degli Ebrei che avrebbero dovuto venerarlo, l’arca, prigioniera in terra straniera, mostrò la sua forza e per due volte rovesciò l’idolo al suolo e lo mandò in frantumi. Ben lontana dal santificare il luogo, addirittura lo combatteva. Ma adesso, che arca possono avere i Giudei in un luogo in cui non vi è il propiziatorio? E non vi sono neppure le tavole del testamento, l’oracolo, il Sancta Sanctorum, il velo, il sommo sacerdote. E ancora: non vi è l’olocausto, né l’incenso, né il sacrificio, nulla di quanto rendeva l’arca degna di venerazione. Per me l’arca che oggi hanno i Giudei, non vale più delle cassette che sono vendute in piazza, direi anzi che vale meno perché quelle cassette non possono ferire coloro che sono vicini, mentre l’arca può ogni giorno dare gran danno a quelli che si accostano a lei. "Fratelli, non siate fanciulli per la saggezza, ma siate bambini per la malizia" (I Cor. XIV, 20). Liberate da questo timore senza fondamento coloro che sono impauriti, e insegnate loro che non è necessario temere e rispettare quest’arca, ma che quelli che si affrettano in quel luogo profanano il tempio di Dio a causa della coscienza propensa al giudaismo e a causa di questo culto inopportuno. È detto: "Tutti voi che cercate giustificazione nella legge sarete allontanati dalla grazia" (Gal. V, 4). Questo è necessario temere, per non udire in quel giorno da chi vi giudicherà: "Andate via, non vi conosco" (Luca XIII, 27). Avete fatto causa comune con quelli che mi crocifissero, avete rinnovato, contro la mia volontà, le solennità che avevo abolito, siete corsi alla sinagoga dei Giudei che si comportavano verso di me con empietà e violavano la legge.
    Ora io ho abbattuto il loro tempio e ridotto ad un cumulo di rovine proprio quel tempio venerabile e pieno di oggetti degni di ogni rispetto e riverenza, e voi frequentate un luogo che non è meglio delle taverne o delle spelonche dei ladri.
    Quando vi erano ancora i Cherubini, vi era l’arca e fioriva la grazia dello Spirito Santo, il Signore aveva detto: "Avete fatto del tempio una spelonca di ladri" (Ger. VII, 11) e anche: "Una casa di mercanti" (Matt. XXI, 13) per le loro iniquità e i loro delitti. Ora, dopo che la grazia dello Spirito Santo li ha abbandonati, è scomparso tutto quello che era venerabile e grato a Dio; poiché praticano questa empia religione, quale appellativo trovi degno delle loro sinagoghe? Se il tempio era già una caverna di ladri quando là si adorava veramente Dio, adesso se lo chiami lupanare, luogo di malaffare, asilo di diavoli, fortezza del demonio, rovina delle anime, precipizio e baratro della perdizione, qualunque nome tu le dia è sempre meno di quanto si meriti.
    Desideri vedere il tempio? Non correre alla sinagoga, tu stesso sii il tempio. Dio distrusse l’unico tempio di Gerusalemme, ma ne eresse innumerevoli altri ben più venerabili. "Voi - dice l’apostolo Paolo - siete il tempio del Dio vivente" (II Cor. VI, 16). Ebbene adorna questo tempio, scaccia tutti i cattivi pensieri per essere un prezioso membro di Cristo e il tempio dello Spirito Santo, e poi cerca di rendere altri simili a te.
    E come quando vedi i poveri non ti allontani con indifferenza, così quando vedi qualcuno che corre alla sinagoga, non far finta di nulla, ma fermalo con le parole e riportalo alla chiesa. Questa è l’elemosina più grande che si possa fare e un guadagno maggiore di diecimila talenti; ma che dico? Diecimila talenti? Un guadagno maggiore di tutto l’universo visibile. Perché un uomo è più prezioso di tutto il mondo: per l’uomo furono creati il cielo e la terra, il mare, il sole e le stelle. Valuta quindi quanto grande è la dignità di colui che si tratta di salvare e non trascurare di averne cura.
    Poiché se tu spendessi anche delle enormi somme in elemosine, nulla sarebbe in confronto all’aver salvato un’anima e averla ricondotta dall’errore alla pietà. Chi dà al povero calma la sua fame, ma chi riconduce un giudaizzante sulla retta via estingue l’empietà: quello ha dato sollievo al povero, questo ha impedito l’iniquità; il primo ha liberato il corpo dall’indigenza, il secondo ha strappato l’anima dall’inferno.
    Ti ho mostrato il tesoro, non trascurare questo guadagno. Non parlarmi di povertà, non prendere a pretesto la miseria, si debbono soltanto adoperare delle parole e dispensare dei discorsi. Non abbandoniamoci dunque alla pigrizia, ma con premura e ardore cerchiamo i nostri fratelli e, anche loro malgrado, portiamoli a casa, serviamo loro un pranzo, sediamo oggi con loro ad una mensa comune, affinché dopo aver rotto il digiuno davanti ai nostri occhi, e averci dato una prova convincente e manifestato la loro piena fede e la loro conversione, ottengano per loro stessi e per noi i beni eterni: per la grazia e la carità di Nostro Signor Gesù Cristo, col quale e per il quale sia gloria al Padre in unità con lo Spirito Santo, ora e sempre nei secoli dei secoli. Così sia.


    Settima Omelia
    1 - Siete ormai stanchi di questa lotta ingaggiata contro i Giudei? Oppure volete che trattiamo anche oggi lo stesso argomento? Sebbene molto sia già stato detto, tuttavia credo che siate così interessati da desiderare di ascoltare le medesime cose. Poiché chi non è mai sazio dell’amore per Gesù, così non è mai sazio della lotta intrapresa contro coloro che odiano Cristo.
    Inoltre questo sermone è per noi ancora necessario: infatti restano da celebrare le rimanenti feste dei Giudei. Ma, come le loro trombe erano più detestabili di quelle che suonano nei teatri, il loro digiuno più turpe dell’ubriachezza e dell’intemperanza, così i tabernacoli che erigono ora non sono migliori degli alberghi nei quali stanno le prostitute e le suonatrici di flauto. Nessuno accusi questo sermone di essere troppo audace: poiché sarebbe audacia eccessiva e massima iniquità essere d’accordo con loro. Lottano contro Dio e resistono allo Spirito Santo, e allora perché non dobbiamo dare su di loro tale giudizio? Questa festa un tempo era venerabile perché si celebrava in conformità alla legge e al volere di Dio; ora invece non lo è più, ora ha perduto la sua dignità perché si celebra contro la volontà di Dio.
    Quelli che violano maggiormente la legge e le antiche solennità sono proprio coloro che sembrano, ora, celebrarle. Veneriamo la legge ben più noi che la lasciamo in riposo come si lascia in riposo un uomo invecchiato, né lo trasciniamo nell’arena quando è incanutito, obbligandolo a combattere in un tempo che non gli conviene più. Abbiamo già dimostrato abbastanza bene che ora non è più il tempo della legge, né dell’antica religione: esaminiamo dunque oggi quello che resta ancora da dire. Per considerare compiuta la nostra opera sarebbe stato sufficiente l’aver dimostrato, con tutti i Profeti, che è una trasgressione alla legge e un’empietà fare oggi celebrazioni fuori di Gerusalemme.
    Poiché se fosse vero, come costoro sempre e ovunque vanno ripetendo, che in un futuro riavranno la loro città, non potrebbero tuttavia essere assolti dal delitto di violazione della legge. Noi abbiamo inoltre dimostrato ampiamente che la città non sarà ricostruita e che i Giudei non riavranno l’antico Stato. Dimostrato questo non vi è dubbio su tutto quello che ne consegue: cioè che non può più sussistere il rito dei sacrifici, né quello degli olocausti, né la forza della legge, né alcuna altra parte delle istituzioni.
    Anzitutto infatti la legge prescriveva che ogni uomo si presentasse al tempio tre volte all’anno (Es. XXIII, 17). Poiché il tempio è stato distrutto, questo oggi non si può più fare. La legge poi comandava (Lev. XV) che offrissero dei sacrifici sia l’uomo sofferente di perdite seminali o contaminato dalla lebbra, sia la donna che avesse il flusso mestruale o avesse partorito. Neppure questo può essere fatto: manca il luogo, non vi è l’altare. La legge comandava di cantare gli inni sacri, ma abbiamo detto prima che questo è vietato in mancanza del luogo ed è condannato dai profeti, i quali biasimavano coloro che in terra straniera avevano letto la legge e mostrato pubblicamente la fede.
    Ma dunque, se la legge non poteva essere letta in terra straniera, come avrebbero potuto osservarla fuori di Gerusalemme? Per questo il profeta dice minacciandoli: "Non visiterò le vostre figlie che si saranno prostituite né le vostre nuore che avranno commesso adulterio" (Osea IV, 14). Cosa mai vuol dire con queste parole? Tenterò di renderle più chiare dopo avervi citata la vecchia legge. Che dice dunque la vecchia legge? "Se una moglie avrà peccato contro il marito, se lo avrà disprezzato, se avrà dormito con un altro uomo di nascosto dagli occhi del marito, se non vi saranno stati testimoni o non sarà stata scoperta, oppure se lo spirito della gelosia si impadronisce dell’animo del marito, senza che la moglie sia stata contaminata..." (Num. V, 12-14). Il senso di queste parole è il seguente: se la moglie commette adulterio e il marito la sospetta, oppure se il marito la sospetta senza che essa abbia commesso adulterio, e non vi furono testimoni o gravidanza, allora: "Egli la porterà dal sacerdote e offrirà per lei un’oblazione di farina d’orzo" (Num. V, 15 e segg.). Ma perché farina d’orzo e non fior di farina o farina di frumento? Siccome si trattava di un fatto penoso, di un’accusa o di un sospetto malvagio, allora la forma del sacrificio era simile alla disgrazia domestica e il profeta aggiunge: "Non spargere su di lei l’olio e non imporle l’incenso. In seguito - bisogna abbreviare il discorso - il sacerdote la porterà a prendere acqua santa in un vaso di argilla, un po’ di polvere dal pavimento del tabernacolo, che metterà nell’acqua. Il sacerdote farà stare la donna in piedi davanti al Signore e la farà giurare dicendo: "Se non hai peccato, e non hai disonorato tuo marito, quest’acqua di maledizione non ti faccia alcun danno. Ma se hai peccato e ti sei contaminata, se un altro uomo oltre a tuo marito è giaciuto con te, allora che il Signore ti renda oggetto di esecrazione e maledizione in mezzo al tuo popolo"" (Num. V, 15). Che cosa vuol dire: "esecrazione e maledizione"? Che tutti dicano: "Non mi succeda quello che è accaduto a quella donna!". [E il sacerdote aggiunge] ""Che il Signore rompa il tuo utero, che l’acqua di maledizione entri nel tuo ventre e lo squarci". E la donna dica: "Così sia, così sia". [Il sacerdote poi farà bere quell’acqua di maledizione] e accadrà che se ella si è contaminata, l’acqua di maledizione entrerà in lei, romperà il suo ventre e la donna sarà oggetto di esecrazione; se invece non si era contaminata, l’acqua le sarà innocua e potrà generare ancora".
    Dunque poiché i Giudei portati in cattività non potevano adempiere a queste prescrizioni non avendo né tempio, né altare, né tabernacolo, né offerta di sacrifici, il Signore disse minacciandoli: "Non visiterò le vostre figlie quando si saranno prostituite, né le vostre nuore quando si saranno rese colpevoli di adulterio" (Osea IV, 14).
    2 - Vedi quale forza trae la legge dal luogo? È evidente da quanto detto che non vi può essere sacerdote se manca la città. Come non può esservi imperatore se non vi è esercito, né porpora, né corona, né quant’altro costituisce la regalità, così non può esservi sacerdote dove il sacrificio è abolito, proibite le oblazioni, profanati gli oggetti sacri, soppresso ogni apparato; poiché il sacerdozio consisteva in tutto questo.
    Era sufficiente per noi aver dimostrato, come avevo detto, che non ritorneranno mai né i sacrifici, né gli olocausti, né le altre cerimonie di purificazione, né quanto costituiva l’osservanza giudaica. Era sufficiente dimostrare che il tempio non sarà mai ricostruito; siccome il tempio non esiste più, tutte le altre cose sono abrogate e se qualcosa viene fatto, è un delitto contro la legge.
    Dimostrando che mai più il tempio ritroverà la sua antica condizione, si dimostra anche che non ritorneranno all’antico stato neppure i riti e il culto, né vi sarà in avvenire sacerdote e re. Infatti se non era lecito a nessuno del loro popolo, benché plebeo, di servire agli stranieri, a maggior ragione non era lecito al re stesso di essere sottomesso agli stranieri.
    Siccome disputiamo e ci sforziamo non soltanto di chiudere la bocca ai Giudei, ma anche di ammaestrarvi nella carità, dimostreremo dunque questa verità in altro modo, cioè che sono finiti per i Giudei i sacrifici e il sacerdozio, sicché mai più ritorneranno alle antiche consuetudini.
    Chi lo afferma? Davide, l’ammirevole e grande profeta.
    Dichiarando che quel genere di sacrifici sarà abolito e un altro genere di sacrificio sarà introdotto, così parla il profeta: "Tu, Signore Dio mio, hai fatto molte meraviglie e non vi è chi ti somigli nei tuoi pensieri. L’ho annunziato e lo dico" (Salmo XXXIX, 6). Vedi la saggezza del profeta. Dopo aver esclamato: "Tu, Signore Dio mio, hai fatto molte meraviglie!", abbagliato dall’ammirazione per l’opera divina, nulla dice di quello che vediamo, del cielo, della terra, del mare, dell’acqua, del fuoco, nulla dice di quegli stupendi prodigi avvenuti in Egitto, né di altri simili miracoli. Ma quali sono i miracoli per Davide ? "Non hai voluto né sacrificio né oblazione" (idem, 7). Cosa ne dici? È questo lo straordinario e il meraviglioso? No, certamente: egli non vide soltanto queste cose, ma ispirato dal cielo, vide con occhi profetici che Dio avrebbe tratto a sé le nazioni, vide quelli che prima erano dediti al culto degli dei, che adoravano le pietre ed erano più miserabili dei bruti, trovare improvvisamente la luce, conoscere il Signore di tutte le cose e, dopo aver abbandonato l’impuro culto dei demoni, onorare Dio con purezza e senza spargimento di sangue.
    Allo stesso tempo il profeta comprese che non solo quei popoli, ma i Giudei dal cuore più semplice sarebbero pervenuti anch’essi alla nostra filosofia, dopo aver abbandonato le vittime, gli olocausti e l’osservanza di tutti gli altri riti materiali. Considerò anche l’ineffabile carità di Dio verso il genere umano, carità che supera ogni intelligenza, e fu preso da ammirazione di fronte a tanti futuri cambiamenti, come Dio avrebbe mirabilmente trasferito tutti questi riti in un ordine superiore, come gli uomini da demoni sarebbero divenuti angeli e si sarebbe introdotto un genere di vita degno del cielo. Tutto questo sarebbe avvenuto dopo l’abolizione del vecchio sacrificio e con un altro sacrificio, col corpo di Cristo: colmo di ammirazione e di stupore esclama: "Tu hai fatto o Signore molte meraviglie". Per insegnare che questo vaticinio era fatto nella persona di Cristo, dopo aver detto "Non volesti sacrificio e oblazione" soggiunge: "Ma mi hai dato un corpo". Parla del corpo del Signore, del sacrificio uguale in tutto il mondo, sacrificio che purificò le nostre anime, dissolse i peccati, distrusse la morte e aprì il cielo, mostrandoci molte e grandi speranze; predispose tutti gli altri eventi e Paolo nel vederli esclamò: "Oh profondità delle ricchezze della Sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie!" (Rom. XI, 33). Prevedendo tutti questi prodigi Davide diceva: "Tu, Signore Dio mio, hai fatto molte meraviglie!", poi parlando nella persona di Cristo: "Non chiedesti gli olocausti per i peccati" e soggiunse: "Allora dissi: ecco vengo" (Salmo XXXIX, 7-8). "Allora"? Quando? Quando verrà il tempo di una dottrina più perfetta. Poiché ciò che è imperfetto poteva essere insegnato dai suoi ministri, ma ciò che è sublime e che supera la natura umana doveva essere insegnato dall’autore stesso della legge.
    Per questo Paolo ha detto: "Un tempo molte volte e in molti modi Dio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti. In questi ultimi tempi ha parlato a noi per mezzo del Figlio che ha costituito erede di ogni cosa e per mezzo del quale ha creato anche i secoli" (Ebr. I, 1-2). E Giovanni ha scritto: "La legge è stata data da Mosè, la grazia e la verità sono venute da Gesù Cristo" (Giov. I, 17). Pertanto questo è l’onore più alto della legge, l’aver preannunciato la natura umana di quel Maestro. Inoltre perché non si creda che Egli sia un Dio recente oppure che abbia portato delle novità senza valore, ascoltate cosa dice: "All’inizio del libro è stato scritto di me" (Salmo XXXIX, 8). Già da molto tempo i profeti predissero la mia venuta e sin dall’inizio dei loro libri fecero conoscere agli uomini la mia divinità.
    3 - Così quando Dio al principio della creazione del mondo dice: "Facciamo l’uomo a nostra somiglianza" (Gen. I, 26) ci rivela in modo enigmatico la divinità del Figlio al quale si rivolge. Il salmista dichiara poi che questo modo di vivere [secondo la Nuova Legge] non è contrario a quello precedente, ma voluto da Dio, affinché all’antico sacrificio sia sostituito quello nuovo (si tratta di un miglioramento decisivo e non di opposizione o lotta), là dove dice: "All’inizio del libro è scritto di me" e aggiunge "affinché, o Dio, facessi la tua volontà lo volli e la tua legge sta nel mio cuore" (Salmo XXXIX, 8 segg).
    Dopo, esponendo quale fosse la volontà di Dio, tralasciando di parlare di vittime, olocausti, oblazioni, fatiche e sudori, dice: "Ho annunziato la giustizia in una grande assemblea" (idem, 10). Cosa vuol dire "ho annunziato la giustizia in una grande assemblea"? Non disse "ho dato" ma "ho annunziato". Perché dunque? Perché il genere umano è stato giustificato non per le opere buone, non per le fatiche, non per una ricompensa, ma solo per la grazia. Questo afferma anche Paolo quando dice: "Adesso la giustizia di Dio è stata manifestata indipendentemente dalla legge" (Rom. III, 21). Ora la giustizia di Dio si acquista con la fede in Gesù Cristo e non con il sudore e la fatica. E prendendo a testimonio quel salmo di Davide, l’Apostolo dice: "La legge infatti non essendo che un’ombra dei beni futuri non può mai con i sacrifici che si rinnovano sempre gli stessi ogni anno rendere perfetti coloro che li praticano". "Ecco perché entrato nel mondo dice: non hai voluto sacrificio e oblazione ma mi hai formato un corpo" (Ebr. I, 1-5; Salmo XXXIX, 7), significando l’ingresso nel mondo del Figlio unigenito per mezzo dell’Incarnazione. Così venne a noi non passando da un luogo ad un altro (infatti come poteva questo convenire a Lui, che è in ogni luogo e che tutto riempie?), ma per mezzo della carne si è manifestato a noi. Siccome la nostra lotta non è soltanto contro i Giudei, ma anche contro i gentili e molti eretici, ebbene vi mostreremo un significato più profondo e cercheremo perché Paolo, che aveva innumerevoli testimonianze che la legge e gli antichi riti dovevano cessare, si sia ricordato soltanto di questa. Né lo fece certamente senza riflettere o per caso, ma con intelletto e sapienza ineffabili. Tutti riconosceranno che avrebbe avuto altre testimonianze se avesse voluto presentarle, alcune più ampie altre più veementi.
    Dice Isaia: "Il mio volere non è più con voi. Sono sazio di olocausti di arieti; e non voglio grasso di agnelli e sangue di tori e capri neppure se verrete in mia presenza. Chi mai ha chiesto questo dalle vostre mani? Se mi offrirete fior di farina lo farete invano, il vostro incenso è da me aborrito" (Is. I, 11-13). Altrove: "Non io ti ho adesso chiamato, o Giacobbe, né ho dato pena a te, Israele. Non mi hai glorificato con i sacrifici né mi hai servito con i tuoi doni. Non ti ho importunato per l’incenso, non hai speso denaro per i profumi" (Is. XLIII, 22-23).
    E Geremia: "Perché mi offri l’incenso di Saba e la cannella dei lontani paesi? I vostri olocausti non mi hanno dato piacere" (Ger. VI, 20). E ancora: "Mettete insieme i vostri olocausti con tutti gli altri sacrifici e mangiate le carni" (idem VII, 21).
    E un altro dei profeti dice: "Allontana da me lo strepito dei tuoi canti, che io non oda la musica dei tuoi strumenti" (Amos V, 23). In altro luogo di nuovo ai Giudei che chiedevano: "Accetterà il Signore gli olocausti se gli darò il mio primogenito a causa della mia empietà, e il frutto del mio ventre per il peccato dell’animo mio?" (Mich. VI, 7). Il profeta li rimprovera con queste parole: "Ti è stato annunziato, o uomo, quello che è bene e che cosa il Signore ti chiede: cioè che tu ami la misericordia e agisca con discernimento e giustizia, e che tu sia pronto a seguire il Signore" (idem 8). Anche Davide così diceva: "Non accetterò vitelli dalla tua casa né capri dalle tue greggi" (Salmo XLIX, 9).
    Come mai potendo invocare così numerose testimonianze che ci mostrano come Dio respinga quei sacrifici, le cerimonie, i sabati, le solennità giudaiche, Paolo le tralascia tutte e fa menzione soltanto di questa? Non lo ha fatto senza riflettere o per caso, e ne dirò la ragione.
    Molti infedeli e anche quei Giudei che sono contro di noi dicono che l’antica religione è caduta in rovina non perché fosse imperfetta, o perché la nuova che si è presentata, cioè la nostra, sia migliore, ma per la malvagità di coloro che offrivano i sacrifici. Pertanto Isaia dice: "Se stenderete le vostre mani distoglierò i miei occhi da voi, se moltiplicherete le preghiere io non vi esaudirò" e per darne subito la ragione aggiunge "le vostre mani infatti sono piene di sangue" (Is. I, 15). E questa non è un’accusa contro i sacrifici, ma una condanna della malvagità degli offerenti. Per questo il Signore non accettò i sacrifici, perché offerti da mani impure. E ancora Davide, dopo aver detto "non accetterò vitelli dalla tua casa né capri dalle tue greggi" aggiunse: "Disse Dio al peccatore: perché continui a parlare dei miei precetti e hai sempre in bocca il mio patto? Hai odiato la disciplina e hai gettato dietro di te i miei sermoni. Se vedi un ladro corri da lui, stai dalla parte degli adulteri. La tua bocca abbonda di malvagità e la tua lingua ordiva la frode. Tu siedi a criticare tuo fratello e metti ostacoli contro il figlio di tua madre" (Salmo XLXI, 16-20).
    Da tutto questo, sostengono, è chiaro che il Signore non respinse i sacrifici in modo assoluto, ma soltanto perché coloro che li offrivano erano adulteri, erano ladri, erano ingannatori dei fratelli. Siccome ciascun profeta, dicono, accusa di malvagità coloro che offrono i sacrifici, in questo senso Davide dice che Dio li respinse.
    4 - Questo dicono i nostri avversari, ma Paolo con quella testimonianza infligge loro un grave colpo e costringe al silenzio la loro impudenza.
    Volendo infatti dimostrare che Dio ha respinto la religione degli ebrei perché più imperfetta rendendola inefficace, ha preso questa testimonianza nella quale non vi è nessuna accusa contro gli offerenti, ma l’imperfezione della religione è messa a nudo da sé stessa. Il profeta in verità non accusa in nulla i Giudei e parla così semplicemente: "Non hai voluto il sacrificio e l’oblazione ma mi hai formato un corpo. Non hai gradito gli olocausti per i peccati" (Salmo XXXIX, 7).
    Paolo parlando di questo dice: "Tolse il primo per stabilire il seguente" (Ebr. X, 9). Infatti, dopo aver detto "non hai voluto il sacrificio e l’oblazione" aggiunse "ma mi hai formato un corpo", mostrando che un altro sacrificio sarebbe stato introdotto; non diede, in seguito, nessuna speranza che in futuro l’antico sacrificio sarebbe stato ripristinato. Per spiegarlo Paolo scrive: "Con questa oblazione siamo stati santificati per volontà di Cristo" (Ebr. X, 10). "Se infatti il sangue di capri e tori e la cenere di una giovenca sparsa su coloro che sono impuri li santifica, procurando la purità del corpo, quanto più il sangue di Gesù Cristo, il quale per mezzo dello Spirito Santo offrì se stesso quale vittima immacolata a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte?" (Ebr. IX, 13-14).
    Da tutto questo è sufficientemente dimostrato che quell’antico sacrificio è stato abolito, che uno nuovo è stato introdotto al suo posto, quindi l’altro non sarà più ripristinato.
    Resta ancora quello che noi da qualche tempo tentiamo di dimostrare, cioè che quei riti sacerdotali non sono più e non ritorneranno mai più; lo faremo apertamente in modo più chiaro con le Sacre Scritture, dopo aver premesso qualche considerazione che renderà più evidente quanto diremo.
    Abramo tornato dalla Persia generò Isacco; Isacco generò Giacobbe e Giacobbe ebbe dodici figli dai quali ebbero origine le dodici tribù o piuttosto le tredici. Questo perché i due figli di Giuseppe, Efrem e Manasse, divennero capi di due tribù. Siccome ogni tribù portava il nome di un figlio di Giacobbe e vi erano la tribù di Ruben, di Simeone, di Levi, di Giuda, di Neftali, di Gad, di Aser e di Beniamino, così anche i due figli di Giuseppe, dopo di lui, diedero il nome a due tribù: quella di Manasse e quella di Efraim. Di queste tredici tribù, dodici avevano campi e molta abbondanza, tutti coltivavano la terra e si occupavano di tutto quello che è necessario alla vita. La sola tribù di Levi, onorata col sacerdozio, era sgravata da tutti questi lavori, non coltivava i campi né esercitava le arti, né qualsivoglia altro lavoro di tal genere; si occupava soltanto delle funzioni sacerdotali e riceveva da tutto il popolo il vino, le decime di frumento, l’orzo e tutti le davano la decima parte del resto, e questo costituiva per la tribù di Levi il suo provento. Non era permesso che vi fosse un sacerdote proveniente da un’altra tribù. In questa nacque Aronne, appunto dalla tribù di Levi e, per successione, dopo di lui, i discendenti ricevevano il sacerdozio; né vi fu mai un sacerdote tratto dalle altre. Così i leviti ricevevano dalle altre tribù le decime con cui provvedevano alle loro necessità.
    Ma prima di Giacobbe, al tempo di Isacco e di Abramo, ben avanti Mosè, quando la legge non era ancora scritta, non ancora istituito il sacerdozio levitico, quando non vi era tabernacolo, né tempio e nessuna divisione in tribù, quando Gerusalemme non esisteva e nessuno tra i Giudei deteneva la sovranità, visse un certo Melchisedech sacerdote dell’Altissimo. Questo Melchisedech era al tempo stesso re e sacerdote: era la figura di Cristo e la Sacra Scrittura lo ricorda espressamente; dopo aver narrato di Abramo che assalì i Persiani e strappò dalle loro mani Lot, figlio di suo fratello, e ritornò carico di bottino, avendo vinti i nemici col suo valore, la Scrittura parla di Melchisedech in questo modo: "E Melchisedech re di Salem offrì pane e vino. Era infatti sacerdote dell’Altissimo e benedisse Abramo dicendo: "Benedetto sii Abramo dall’Altissimo Iddio che creò il cielo e la terra, e benedetto l’Altissimo Iddio che ti diede nelle mani i tuoi nemici". E Abramo gli dette la decima di tutto quanto aveva" (Gen. XIV, 18-20). Se vi è dunque un profeta che dice: dopo Abramo, dopo quel sacerdozio e quei sacrifici ed oblazioni, sorgerà un altro sacerdote non da quella tribù, ma da un’altra da cui mai è stato creato un sacerdote, non secondo l’ordine di Aronne, ma secondo l’ordine di Melchisedech, allora è chiaro che il vecchio sacerdozio è finito e che un altro nuovo è stato introdotto al suo posto. Poiché se vi fosse stata in futuro la possibilità che il vecchio sacerdozio ritornasse, era necessario dire: secondo l’ordine di Aronne e non secondo l’ordine di Melchisedech. Chi mai dice questo? Quello stesso profeta che ha parlato dei sacrifici e che accennando a Cristo ha detto: "Il Signore ha detto al mio Signore, siedi alla mia destra" (Salmo CIX, 1).
    5 - Perché non si supponga che qui si parli di un uomo qualunque, questo non è detto da Isaia, né da Geremia, né da uno qualsiasi che fa profezie, ma da un re, perché ben si comprende che un re non può chiamare "suo signore" un uomo, ma soltanto Dio. Invero se Davide fosse stato una persona qualsiasi, un impudente avrebbe detto che parlava di un uomo, ma poiché egli è un re, non avrebbe potuto chiamare "suo signore" un uomo. Invero se Davide avesse parlato di un uomo qualunque, come avrebbe potuto dire che era seduto alla destra della maestà immensa ed ineffabile? Questo è veramente impossibile.
    Dice il salmo: "Disse il Signore al mio Signore, siedi alla mia destra, finché faccia dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi" (Salmo CIX,: 1-2). E perché non lo si reputasse debole e poco potente dice: "Il dominio nei giorni della tua potenza è con te" (idem, 3), poi esprimendosi ancora più chiaramente aggiunge: "Dal mio seno ti ho generato prima della stella del mattino". Ma nessun uomo è stato generato prima della stella del mattino.
    "Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech" (idem 4; Ebr. V, 6). Non disse secondo l’ordine di Aronne. Chiedi quindi al giudeo per quale causa se l’antico sacerdozio non era da abrogare, si introduce un nuovo sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedech.
    Osserva come l’apostolo Paolo arrivato a questo passaggio lo rende più chiaro. Infatti parlando di Cristo dice in un altro punto: "Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech"e soggiunge: "Di questo potrei parlare a lungo, ma è difficile da spiegarsi" (Ebr. V, 11); poi dopo aver rimproverato i discepoli (io cercherò di essere breve), Paolo spiega chi era Melchisedech e ne ricorda la storia dicendo: "Melchisedech andò incontro ad Abramo che tornava dall’aver vinto i re e lo benedisse; a lui Abramo dette la decima di tutto" (Ebr. VII, 1-2).
    Per spiegare il significato della figura aggiunge in seguito: "Considerate quanto era grande costui al quale il patriarca Abramo versò la decima di tutto quello che aveva" (Ebr VII, 4). Non lo disse senza ragione, ma perché desiderava mostrare che il nostro sacerdozio è di gran lunga superiore a quello degli ebrei.
    L’eccellenza è dimostrata dalle stesse figure: infatti Abramo era padre di Isacco, avo di Giacobbe, bisavolo di Levi, essendo Levi figlio di Giacobbe. Con Levi ebbe inizio il sacerdozio presso i Giudei; ora Abramo progenitore dei leviti e dei sacerdoti giudaici, in presenza di Melchisedech che raffigurava il nostro sacerdozio, svolse soltanto il ruolo di laico e questo è chiaro per due ragioni: primo perché Abramo gli dette la decima, ed erano i laici che dovevano dare la decima ai sacerdoti, poi perché Abramo ricevette la benedizione da Melchisedech e infatti sono i laici che ricevono la benedizione dai sacerdoti. Considera di nuovo quanto è grande la superiorità del nostro sacerdozio. Abramo, patriarca dei Giudei e progenitore dei leviti, riceve la benedizione di Melchisedech e gli dà la decima. Ora l’antico Testamento racconta entrambi questi fatti; cioè che Melchisedech benedì Abramo e che da Abramo ricevette la decima (Gen. XIV).
    Dopo aver esposto tutto questo Paolo aggiunge: "Vedete quanto grande è costui?". Chi? "Melchisedech, risponde, a cui Abramo patriarca dei Giudei diede la decima del ricco bottino; i discendenti di Levi che esercitano il sacerdozio hanno diritto di ricevere la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, sebbene usciti dal sangue di Abramo" (Ebr. VII, 4-5).
    Così è detto e così è. Paolo spiega ancora: i leviti che presso gli ebrei erano sacerdoti, avevano per legge il diritto di ricevere la decima dagli altri ebrei; sebbene tutti fossero discendenti di Abramo, tanto i leviti quanto il restante popolo, tuttavia i leviti ricevevano la decima dai loro fratelli. Ma Melchisedech in verità non aveva la loro stessa origine: non era, infatti, progenie di Abramo, né apparteneva alla tribù di Levi ma era di altra stirpe, eppure prelevò la decima da Abramo e Abramo gliela versò. Non fece questo soltanto, ma ben altro: benedisse colui che aveva ricevuto le promesse divine, benedisse Abramo. Mi chiedi: che significa questo? Che Abramo era molto inferiore a Melchisedech. Perché? "È incontestabile che l’inferiore riceve la benedizione dal superiore" (Ebr. VII, 7), cosicché se Abramo progenitore dei leviti non fosse stato inferiore a Melchisedech questi non lo avrebbe mai benedetto, né Abramo gli avrebbe dato la decima.
    Volendo poi mostrare che questo è avvenuto per la superiorità di Melchisedech soggiunge: "E per così dire anche lo stesso Levi che adesso riceve le decime, in un certo senso pagò la decima per mezzo di Abramo". Cosa vuol dire "pagò la decima"? Levi che non era ancora nato pagò la decima attraverso suo padre. "Infatti era ancora nei lombi del padre quando Melchisedech andò incontro ad Abramo". Perciò Paolo parlando di questo premette: "Per così dire", poi subito spiega: "Se dunque la perfezione stava nel sacerdozio levitico, infatti sotto di esso il popolo ricevette la legge, che necessità vi era che sorgesse un nuovo ordine, un altro sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedech e non secondo l’ordine di Aronne?" (Ebr. VII, 11).
    Che significa quello che Paolo dice? Ecco: se tutto nelle istituzioni giudaiche era perfetto, se la legge non era solo l’ombra di beni futuri, ma perfettamente efficace, se non doveva in seguito lasciare il posto ad un’altra, se il precedente sacerdozio doveva cessare e uno nuovo essere introdotto, perché il profeta ha detto: "Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech"? (Salmo CIX, 4). Avrebbe dovuto dire: secondo l’ordine di Aronne.
    Per questo motivo l’apostolo ha detto: se il sacerdozio levitico era perfetto, che necessità vi era di un altro sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedech e non secondo l’ordine di Aronne? Da tutto questo risulta chiaramente che quel sacerdozio è finito, che è stato sostituito da un altro assai migliore e più elevato. Detto questo bisogna anche riconoscere che doveva essere introdotto un nuovo genere di vita, conforme a questo nuovo sacerdozio così come una legge migliore, cioè la nostra.
    Questo dichiara Paolo quando dice: "Invero cambiato il sacerdozio anche la legge deve essere cambiata e l’autore di entrambe è lo stesso" (Ebr. VII, 12).
    Siccome molte disposizioni legali si riferivano alle funzioni sacerdotali, se il precedente sacerdozio è abrogato e un altro introdotto in sua vece, è anche necessario che sia introdotta una legislazione migliore in luogo della precedente. Poi, per spiegare chi è Colui di cui sta parlando, Paolo dice: "Colui del quale questo è stato detto fece parte di un’altra tribù da cui mai nessuno fu chiamato all’altare. È certo che nostro Signore è della tribù di Giuda, tribù alla quale Mosè non ha mai attribuito il sacerdozio" (idem, 13-14). Se è dunque chiaro che Cristo appartenne certamente alla tribù di Giuda ed è sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech e Melchisedech è più grande di Abramo, ne consegue che questo nuovo sacerdozio è sublime, molto più grande di quello di prima.
    Poiché se il sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedech superava in splendore quello giudaico, a maggior ragione quello vero gli è superiore; e Paolo così ne parla: "Anzi la cosa diventa ancora più evidente se a somiglianza di Melchisedech sorge un altro sacerdote [Cristo], il quale non lo è diventato per disposizione di una legge carnale, ma in virtù di una vita imperitura" (Ebr. VII, 15-16). Cosa vuol dire: "Non per disposizione di una legge carnale, ma in virtù di una legge imperitura"? Significa che nessun precetto di questa legge è carnale. Infatti non ordina di uccidere pecore e vitelli, ma di onorare Dio con le virtù dell’animo, e ci ha promesso in premio una vita che non avrà mai fine. In più ha riportato alla vita noi che eravamo morti a causa dei peccati, perché Egli ha distrutto la duplice morte: quella del peccato e quella della carne. Poiché è venuto portandoci questi doni l’apostolo ha detto: "Non per disposizione di una legge carnale, ma in virtù di una vita imperitura".
    6 - Si è dunque ormai provato che, cambiato il sacerdozio, doveva nello stesso tempo essere cambiata anche la legge. Questo si poteva dimostrare perfettamente con le testimonianze dei profeti che hanno detto che la legge doveva essere cambiata, che sarebbe mutata l’istituzione dello stato, che mai più vi sarebbe stato un re giudeo.
    Tuttavia siccome si deve dire solo ciò che gli ascoltatori possono capire e quindi non troppe cose insieme e neppure troppo a lungo, rimandiamo questo argomento ad altro tempo.
    Terminiamo questo sermone esortando la vostra carità perché ricordando tutte queste cose, le colleghiate con quanto avevamo detto prima. Vi avevamo pregato e vi preghiamo anche ora: riportate i vostri fratelli alla salvezza e abbiate molta sollecitudine per quelli che sono negligenti. A questo scopo noi sosteniamo tanta fatica non semplicemente per parlare, né per raccogliere il clamore degli applausi, ma per riportare i fratelli separati sulla via della verità. Nessuno mi dica: "Ma io non ho nulla a che fare con costoro, voglia il cielo che possa dirigere bene i miei affari". Nessuno può dirigere bene i propri affari se trascura l’amore e la salvezza del prossimo; perciò Paolo dice: "Nessuno cerchi il proprio vantaggio ma il vantaggio altrui" (I Cor. X, 24), ben sapendo che l’interesse di ciascuno si trova nell’interesse del prossimo. Tu sei sano, ma è malato tuo fratello; se sarai veramente sollecito con chi è infermo maggiormente te ne dorrai e imiterai anche in questo quel beato che dice: "Chi è malato senza che io non sia malato? Chi è scandalizzato senza che io ne arda?" (II Cor. XI, 29).
    Invero siamo contenti per aver versato due oboli o dato un po’ di denaro ai poveri, ma quale maggior letizia avremo se potremo salvare delle anime? E quale premio riceveremo nella vita futura? E poi ogni volta che qui ci riuniremo proveremo un grande piacere nel ritrovarci, ricordando l’aiuto che demmo loro; inoltre quando li vedremo comparire davanti a quel terribile tribunale saremo animati da grande fiducia. Allo stesso modo, gli uomini che commettono ingiustizie, che usurpano i beni altrui, che rubano, che arrecano tanto male al prossimo, quando saranno dinanzi a quel tribunale vedranno tutti quelli che hanno dovuto sopportare la loro malvagità (non vi è dubbio che li vedranno, come è chiaro dalla storia di Lazzaro e del ricco); non potranno aprire bocca, né pronunziare parola o scusarsi, ma schiacciati da una grande vergogna e da una grave condanna saranno sottratti a quella vista per essere gettati in un fiume di fuoco. Invece quelli che prendono a cuore la salvezza degli altri, che li istruiscono e li guidano, quando vedranno coloro che hanno salvato parlare in loro favore, saranno pieni di grande fiducia.
    Questo vuol dire Paolo quando dichiara: "Noi siamo la vostra gloria allo stesso modo che voi sarete la nostra" (II Cor. I, 14). Quando? "Nel giorno di Nostro Signor Gesù Cristo" e Cristo stesso ci esorta dicendo: "Fatevi degli amici con le ricchezze di iniquità, affinché quando verrete a mancare vi accolgano nei loro eterni tabernacoli" (Luca XVI, 9). Vedete quale grande sicurezza ci verrà da quelli che abbiamo aiutato perché se vi sono corone, ricompense, premi per aver dato un po’ di denaro, non avremo allora una ricompensa ben più grande per aver salvato un’anima? Infatti, se quella Tabita che vestiva le vedove, aiutava i poveri, fu richiamata dalla morte alla vita e le lacrime di coloro che erano stati beneficati riportarono la sua anima nel corpo prima della sua resurrezione, cosa non faranno per te le lacrime di coloro che hai salvati? (Atti IX, 36).
    Come le vedove che erano vicine a Tabita morta la riportarono in vita, così coloro che ora sono salvati da voi vi staranno intorno e faranno sì che voi otteniate da Dio molta indulgenza e vi strapperanno dal fuoco infernale.
    Sapendo questo, non dovete essere fervidi e vigilanti solo adesso, ma propagate il fuoco che ora vi accende: usciti fuori spartitevi la salvezza della città’. Se poi ignorate chi sono gli infermi, cercateli.
    Così anche noi vi parleremo con più fervore e senza indugi, vedendo dai fatti che non abbiamo gettato il seme sulle pietre e voi stessi sarete ancora più zelanti nell’esercizio della virtù. Come col denaro chi ha guadagnato due monete d’oro, desidera poi raccoglierne e ammassarne dieci o venti, così accade anche con la virtù: chi ha fatto un’opera buona e prestato aiuto ne trae uno stimolo o un incitamento ad agire per compiere altre opere buone.
    Dunque, al fine di servire i fratelli, di ottenere il perdono per i peccati, per avere maggior fiducia, per glorificare il nome di Dio sopra ogni altra cosa, con le mogli, i figli, i servi mettiamoci alla ricerca della preda e secondo la Sua volontà liberiamo dalle reti del diavolo coloro che ha catturati e non smettiamo finché non avremo fatto tutto il possibile, sia che lo vogliano sia che non lo vogliano. Ma è impossibile se sono cristiani che non accondiscendano. Perché non abbiate scuse vi dico ancora questo: se dopo che avrai speso molte parole e fatto tutto il possibile vedrai che quel fratello non cede, portalo dal sacerdote e certo, per la grazia di Dio, lo convincerà e il merito sarà tuo che lo hai condotto per mano.
    Uomini dite questo alle mogli, mogli ditelo ai mariti, i padri ai figli e gli amici agli amici. Sappiano sia i Giudei sia coloro che sembrano uniti a noi, ma condividono i sentimenti dei Giudei, quanto grande è il nostro zelo, la nostra sollecitudine e vigilanza per quei fratelli che vanno da loro. E così i Giudei respingeranno prima di noi quelli dei nostri che li frequentano; dopo di che nessuno cercherà più rifugio da loro e il corpo della Chiesa sarà puro. Dio che vuole salvi tutti gli uomini e che giungano alla conoscenza della verità, vi darà forza per questa caccia e perché li liberiate dall’errore.
    Infine, dopo averci chiamati tutti alla salvezza, Dio ci renderà degni del regno dei cieli, nella sua gloria, perché a Lui appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Così sia.

    Ottava Omelia
    1 - Ecco passato il digiuno dei Giudei, o piuttosto, la loro ubriachezza. Vi è, infatti, una ubriachezza che non è data dal vino, e anche se astemi si può essere ubriachi e dissoluti. Se nessuno, invero, potesse essere ubriaco senza vino il Profeta non avrebbe detto: "Guai a coloro che sono ubriachi e non per il vino" (Isaia XXIX, 9). E se la ubriachezza non fosse possibile senza vino, Paolo non avrebbe detto: "Non ubriacatevi con il vino" (Tess. V, 18). Disse "non ubriacatevi con il vino" come se qualcuno potesse ubriacarsi senza vino. Infatti si può essere ubriachi per l’ira, per sconveniente concupiscenza, per avarizia, per amore della gloria e per altre innumerevoli passioni.
    L’ubriachezza non è altro che la perdita della retta ragione, è delirare, uscire di senno. Può, quindi, essere giustamente giudicato ubriaco non solo chi ha bevuto molto vino, ma anche colui al quale una passione divora l’animo: infatti è ubriaco chi è preso d’amore per la moglie di un altro, chi passa il tempo con le prostitute. E come colui che per aver bevuto troppo vino cammina barcollando, dice parole volgari e scambia una cosa per un’altra, così anche l’impudico, pieno della sua cupidigia come di un vino, non dice parole ragionevoli ma solamente parole oscene, vergognose, volgari e ridicole, vede una cosa al posto di un’altra, senza più discernere quanto ha intorno.
    Se brama violentare quella donna, con l’immaginazione la vede ovunque; è come un uomo istupidito e in preda al delirio che nelle riunioni e nei festini, in ogni momento e in ogni luogo se molte migliaia di persone gli rivolgessero la parola sembrerebbe neppure udirle; ma il suo animo è tanto preso da lei che sogna soltanto il peccato, sospetta di tutto e tutto teme, proprio come un animale prigioniero e stordito. Ugualmente è ubriaco colui che è posseduto dall’ira: anche a lui il viso diventa gonfio, la voce più aspra; gli occhi iniettati di sangue, la mente ottenebrata, la ragione scomparsa; la lingua trema mentre gli occhi guardano di traverso e le orecchie intendono una cosa per un’altra; senza dubbio l’ira è molto più violenta di qualsiasi vino perché la collera colpisce il cervello, solleva una tempesta e produce un’agitazione che non si può calmare
    Ma se chi è dominato dalla concupiscenza e dall’ira è un ubriaco, molto di più lo è l’uomo empio, che bestemmia Dio, respinge la sue leggi e non vuol rinunziare a questa eccessiva ostinazione. Egli è ubriaco e pazzo, in condizioni peggiori di coloro che si danno alle gozzoviglie e sragionano, ma non sembra accorgersene. Perché proprio questo capita con l’ubriachezza, di non capire assolutamente che si agisce in modo turpe.
    Quello che è gravissimo in coloro che hanno perso la ragione, è che mentre sono malati, non capiscono di essere tali: ed è così ora per i Giudei, sono ubriachi e non se ne accorgono.
    Il loro digiuno è passato, è vero, un digiuno più vergognoso dell’ubriachezza; ma noi non allentiamo la sollecitudine per i nostri fratelli e non crediamo che in avvenire possa essere loro importuna. Faremo come i soldati: quando terminata la battaglia, messo in fuga il nemico e tornati dall’inseguimento, non corrono subito alle tende, ma prima ritornati sul posto del conflitto, raccolgono quelli dei loro che hanno perso la vita e li sotterrano.
    Se vedono in mezzo ai morti alcuni che respirano ancora e che non hanno ferite letali, li portano nelle tende e prestano loro molte cure: estratto il ferro, chiamati i medici, deterso il sangue, usati tutti i rimedi e tutte le altre cure, li riportano alla salute. E anche noi, poiché col soccorso della grazia di Dio, abbiamo inseguito i Giudei armando contro di loro i Profeti, ora, che siamo tornati, vediamo se qualcuno dei nostri fratelli è caduto, se qualcuno ha partecipato al digiuno, se qualcuno ha preso parte alle loro solennità.
    Certo non seppelliremo nessuno; al contrario, prendiamo i nostri feriti e curiamoli. Ma mentre nelle guerre ordinarie colui che è caduto e ha reso l’anima non può essere salvato dal compagno e riportato in vita, in questa guerra, in questa battaglia, anche se ha ricevuto una ferita mortale ci è possibile, con l’aiuto della grazia di Dio, riportarlo in vita.
    Questa morte non è, come quell’altra, una morte della natura, ma morte della volontà e dei propositi. E si può suscitare di nuovo la morta volontà, si può persuadere l’anima morta a tornare alla sua vera vita e a riconoscere il suo Signore.
    2 - Avanti fratelli, non stanchiamoci, non abbattiamoci, non perdiamoci d’animo, e nessuno mi venga a dire queste parole: era opportuno prima del digiuno stare in guardia da loro e togliere tutti gli ostacoli, adesso invece che il digiuno è passato, dopo che il peccato è stato commesso, dopo che l’iniquità è stata consumata, a cosa serve agire? Ma se qualcuno sa cosa vuol dire prendersi cura del fratello, sa anche che adesso è più opportuno darsi da fare e usare tutto il nostro zelo. Non basta infatti cercare la salvezza del fratello prima che il peccato sia commesso, ma, in verità, è dopo la caduta che bisogna tendere la mano.
    Infatti se Dio all’inizio avesse agito in tal modo, ci avesse avvisati prima del peccato, e dopo il peccato avesse abbandonato l’uomo e lo avesse lasciato nella perpetua rovina, nessuno di noi si sarebbe salvato. Ma Dio non fece questo: indulgente, amava il genere umano e desiderava vivamente la nostra salvezza. Anzi, proprio dopo il peccato mostra tutta la sua sollecitudine, dal momento che prima del peccato aveva ammonito Adamo dicendogli: "Mangia del frutto di ogni albero del Paradiso. Ma dell’albero del bene e del male non mangiare perché in qualsiasi giorno tu ne avrai mangiato morrai" (Gen. II, 16-17). Affinché Adamo non peccasse, Dio provvide con la facilità della legge, la larghezza delle concessioni, la severità del supplizio e la prontezza del castigo. Non disse infatti: dopo uno, due, tre giorni, ma lo stesso giorno in cui ne mangerete morrete. Usò dunque tutti i modi possibili per avvertire l’uomo di stare in guardia; tuttavia, quando dopo tanta sollecitudine, tanti insegnamenti, esortazioni, favori, Adamo cadde e non obbedì agli ordini divini, Dio non disse: "A che serve? Quale vantaggio aspettarsi? Ha mangiato, è caduto, ha trasgredito la legge, ha ascoltato il diavolo, ha disprezzato il mio ordine, ha ricevuto una ferita mortale, è morto, appartiene alla morte, è incorso nella sentenza di condanna: perché, dopo tutto questo, parlargli ancora?". Ma il Signore non disse nulla di tutto questo, andò subito da lui, gli parlò, lo confortò e gli indicò il rimedio (Gen. III): cioè lavoro e sudore, e non desistette se non dopo aver fatto tutto il possibile, tentato tutto, affinché la natura umana decaduta si risollevasse e, liberata dalla morte, potesse arrivare al Cielo. Dando all’uomo beni più grandi di quelli perduti, mostrò coi fatti al diavolo che non aveva avuto nessun profitto dalle sue insidie e che avrebbe visto di lì a poco gli uomini cacciati dal Paradiso in cielo con gli Angeli.
    Lo stesso fece il Signore con Caino: prima del peccato lo aveva avvertito dicendo: "Hai peccato, stai quieto; egli verrà da te e tu gli imporrai la tua autorità" (Gen. IV, 7). Considera la sapienza e la prudenza di Dio. Tu temi, dice il Signore, che tuo fratello, a causa dell’onore che gli ho accordato, ti spogli delle prerogative della primogenitura, e usurpi il diritto di autorità che ti è dovuto. Infatti era stabilito che i primogeniti fossero più onorati dei figli nati dopo. Stai tranquillo, dice il Signore, non temere, non perderti d’animo per questo: "Egli verrà e tu gli imporrai la tua volontà". Ecco il senso di queste parole: "Conserva i tuoi diritti di primogenitura, ma sii per tuo fratello un rifugio, un sostegno, una protezione, comanda e dominerai su di lui; ma non precipitarti all’omicidio e non lasciarti andare a questa empia uccisione".
    Caino tuttavia non lo ascoltò né si calmò, ma compì questo terribile delitto e colpì alla gola il fratello. E dopo? Disse forse Dio: lo lasceremo vivere? Che utilità ne avremmo? Ha commesso un delitto, ha ucciso suo fratello, ha disprezzato i miei ammonimenti, ha osato commettere un omicidio irreparabile e imperdonabile, dopo tale e tanta mia sollecitudine, insegnamento e consiglio; ha bandito tutto ciò dal suo cuore e ha cambiato idea. Sia dunque in avvenire respinto e abbandonato e ritenuto indegno di qualsiasi mio riguardo.
    No, Dio non disse niente di tutto questo, ma agì. Andò di nuovo da Caino e per ricondurlo sulla retta via gli chiese: "Dov’è tuo fratello Abele?" (Gen. IV, 9-10), affinché non negasse e per portarlo, anche suo malgrado, alla confessione del delitto. Avendo Caino risposto: "Non so", il Signore disse: "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra". I fatti stessi denunziano ad alta voce che sei colpevole di omicidio. E Caino che disse? "È troppo grande il mio peccato perché io meriti il perdono e se mi scacci dalla terra sarò nascosto anche dal tuo cospetto" (Ibid. IV, 13-14). Ecco il significato di questo discorso: ho commesso una colpa delle più gravi, che non merita perdono e che non può essere scusata o condonata, ma se volete vendicarvi per quello che ho fatto, io sarò abbandonato da tutti quando avrò perso il vostro aiuto. E allora il Signore? "Non sarà così" disse. "Se qualcuno ucciderà Caino sarà punito sette volte tante" (Ibid. IV, 15). Non temere, aggiunse, vivrai una lunga vita e se qualcuno ti ucciderà sarà colpito da molti castighi. Infatti il numero sette nella Sacra Scrittura ha il significato di infinite volte.
    Dunque, poiché Caino era già colpito da molti mali, angoscia, tremito, gemiti, profonda afflizione e disfacimento del corpo, chi ti ucciderà e ti libererà da queste catene, dice il Signore, attirerà su di sé la vendetta. Sebbene sembri che quel che dice il Signore sia veramente atroce, Egli mostra al contrario la sua benevolenza. Infatti, volendo portare i posteri a maggior moderazione, escogitò questo genere di castigo perché Caino potesse espiare il peccato.
    Se il Signore lo avesse subito colpito a morte, Caino sarebbe scomparso e con lui anche il suo delitto, che non sarebbe stato per nulla conosciuto dai posteri. Ora invece, poiché gli fu permesso di vivere a lungo con quel tremito, fu maestro, col suo stesso aspetto, a tutti coloro che incontrava e con il vacillare del corpo esortava a non compiere atti simili al suo, per non dover sopportare simili sofferenze; allo stesso tempo anch’egli divenne migliore.
    Certamente il tremito, la paura, la vita trascorsa nell’ansia, il disfacimento del corpo, come una catena che lo teneva legato, non gli permisero di compiere un altro delitto, ricordandogli sempre quello di prima, e intanto indusse il suo cuore alla moderazione.
    3 - Ma dicendo queste cose mi è venuto in mente di proporvi di cercare per quale ragione Caino, dopo aver confessato la sua colpa, condannato il fatto, detto che aveva commesso un delitto troppo grave per ottenere il perdono e che egli non era degno di nessuna scusa, non potè cancellare il peccato. Infatti il Profeta aveva detto: "Confessa per primo le tue iniquità per essere giustificato" (Isaia XLIII, 26). Come mai Caino fu condannato? Perché non fece come comandava il Profeta; infatti il Profeta non disse semplicemente: confessa le tue colpe, ma: "Confessa per primo le tue iniquità". Questo si richiede, questo deve essere fatto. Non devono semplicemente essere confessate le colpe, ma devono essere confessate subito, senza attendere il rimprovero dell’accusatore. Caino, invece, non parlò per primo, ma attese fino a quando Dio lo rimproverò. Anzi, per di più, ai rimproveri rispose negando. Poi quando il fatto fu conosciuto apertamente, allora ammise la colpa, il che non è certo una confessione.
    Perciò tu pure mio caro, se avrai peccato non aspettare che un altro ti accusi, ma prima di essere accusato e denunziato, dichiarati tu stesso colpevole per quanto avrai fatto. Sicché se qualcuno in seguito ti rimprovererà, ciò non varrà a sostituire la tua confessione, ma sarà soltanto una correzione da parte di chi ti accusa. Perciò è stato detto: "Il giusto è il primo ad accusare se stesso" (Prov. XVIII, 17). Quindi non è questo che si richiede, cioè che tu accusi te stesso, ma che tu ti accusi per primo e non attenda da altri il rimprovero. Dopo quel grave rinnegamento, Pietrò subito ripensò al suo peccato e, benchè nessuno lo accusasse, lo confessò e pianse amaramente; lavò quella colpa a tal punto che fu nominato primo fra gli Apostoli e gli fu affidato il mondo intero (Matt. XXVI). Ma quello di cui parlavo, poiché è necessario tornare al nostro argomento, è abbastanza dimostrato da quanto esposto, cioè che non bisogna trascurare i nostri fratelli che hanno sbagliato, né disprezzarli, ma al contrario premunirli prima del peccato, e anche dopo la colpa interessarsi di loro. Così fanno i medici: prima prescrivono e consigliano agli uomini i mezzi per conservare la buona salute e impedire le malattie, poi, se qualcuno trascura le prescrizioni e cade ammalato, non lo abbandonano ma usano allora la massima sollecitudine per liberarlo dal morbo.
    Lo stesso fece Paolo con quell’uomo che aveva commesso lo stupro; dopo quel peccato che è sconosciuto anche presso i Gentili (I Cor. 5), non lo abbandonò, e condusse alla salvezza quest’uomo che dissoluto e ostinato rifiutava ogni freno, non voleva medicine; così lo congiunse di nuovo al corpo della Chiesa. Paolo non disse a se stesso: "A che serve? Quale utile ne verrà? Ha commesso uno stupro, ha peccato e non vuol desistere dall’oscenità, al contrario è pieno di orgoglio e se ne compiace; la sua ferita è inguaribile, lasciamolo dunque e abbandoniamolo". Paolo non disse nulla di simile, ma proprio per questo ebbe per lui ancora maggior sollecitudine; vedendolo precipitare nelle nefande malvagità non cessò di spaventarlo, minacciarlo, punirlo, lui in persona o per mezzo di altri. Nulla tralasciò di fare o tentare finché non lo condusse a riconoscere il peccato e la sua malvagità e fino a liberarlo da ogni macchia.
    Fai anche tu così: imita quel samaritano di cui parla il Vangelo (Luca X, 30) che diede prova di tanta sollecitudine per il ferito; infatti era passato prima di lì un Levita, poi un Fariseo, e né l’uno né l’altro si erano chinati sul ferito, ma senza umanità e crudelmente si erano allontanati, abbandonandolo. Invece il samaritano che non aveva con costui alcun legame, non passò oltre, ma mosso da compassione si fermò, unse le ferite con olio e vino, lo pose sull’asino e lo portò ad un albergo, dove diede del denaro promettendone dell’altro per le cure da prestarsi a quest’uomo con cui egli non aveva nulla in comune. E non disse a se stesso: "Perché mi devo prendere cura di costui? Io sono samaritano, non c’è nulla tra noi, sono lontano dalla città e costui non può camminare. E poi se non potrà resistere alla lunghezza della strada lo porterò morto? E se sarò catturato per l’uccisione sarò forse punito per omicidio?" Sovente per queste ragioni molti passano oltre e vedendo uomini feriti e agitati non si fermano, non perché sia loro gravoso il trasportarli o perché non vogliono versare del denaro, ma perché temono di essere trascinati in giudizio come colpevoli di omicidio. Invece quell’uomo buono e caritatevole non ebbe timore di tutto questo, ma disprezzate queste cose, collocò il ferito sull’asino e lo portò all’albergo; non ebbe paura di tutte quelle considerazioni: né del pericolo, né della spesa e neppure di quello che poteva capitare in seguito. Se dunque un samaritano fu così caritatevole e umano con uno sconosciuto, quale indulgenza otterremmo noi se abbandonassimo i nostri fratelli in mali ben più gravi? Perché questi fratelli che ora hanno digiunato, sono caduti nelle mani dei Giudei, veri predoni, anzi più spietati di tutti i predoni, che colpiscono con i mali peggiori coloro che cadono sotto di loro. Infatti non hanno lacerato le loro vesti, né inflitto ferite ai loro corpi come gli altri predoni avevano fatto al viaggiatore del Vangelo, ma ne hanno ucciso l’anima, e dopo aver colpito i nostri fratelli con infinite ferite, li hanno abbandonati mentre giacevano nell’abisso dell’empietà.
    4 - Dunque, non fingiamo di non vedere tale tragedia né passiamo crudelmente davanti ad uno spettacolo così miserevole, perché se anche altri lo facessero tu non devi farlo, né dirai fra te: sono un secolare, ho moglie e figli, questo tocca ai sacerdoti e ai monaci. Certamente quel samaritano non diceva: dove sono i sacerdoti? Dove sono i Farisei? Dove i dottori dei Giudei? Ma afferrò l’occasione favorevole allo stesso modo di chi si imbatte in una rara selvaggina. E dunque tu, quando vedrai qualcuno malato nel corpo o nell’anima, non chiederti: perché il tale o il tal’altro non l’hanno curato? Ma liberalo dal male e non chiedere ad altri la ragione della loro negligenza. Se tu trovassi per terra dell’oro diresti forse a te stesso: "Perché questo o quello non lo hanno preso?". Perché ti affretti a prenderlo prima degli altri? Abbi gli stessi pensieri per i fratelli caduti, giudicando di aver trovato un tesoro proprio nel prenderti cura di loro. Infatti, se verserai come un olio la parola della dottrina, se li attrarrai con la dolcezza, se li guarirai con la pazienza, essi ti faranno più ricco di qualsiasi tesoro.
    "Colui che trarrà ciò che è prezioso da ciò che è vile sarà come la mia bocca" (Ger. V, 19). Chi potrà essere paragonato a quest’uomo? Quello che nessun digiuno, nessun giaciglio durissimo, nessuna veglia, nessun’altra azione otterrebbe, ebbene questo l’ottiene la salvezza procurata ad un fratello.
    Pensa a quante volte e quanto gravemente hai peccato con la bocca, quante parole sacrileghe hai pronunziato, quante oscenità, quante ingiurie hai vomitato, e allor senza indugio prenditi cura di chi è caduto. Con questa sola azione benefica potrai cancellare ogni colpa. Ma che dico, cancellare? Farai sì che la tua bocca sia come la bocca di Dio. Che cosa può essere equiparato a questo onore? Non sono io a fare questa promessa: Dio stesso lo ha detto. Se salverai qualcuno, ha detto, la tua bocca sarà come la mia, pura e santa. Dunque non trascuriamo i fratelli e non andiamo intorno a chiedere quanti hanno digiunato e quanti sono stati catturati, ma prendiamoci cura di loro. Anche se fossero molti che hanno digiunato, tu, o mio caro, non divulgare l’ignominia, e non rendere pubblica la disgrazia della Chiesa, ma piuttosto portavi rimedio. Se qualcuno dirà: "Molti hanno digiunato", chiudigli la bocca per impedire che questa voce venga divulgata e digli: "Io non ne conosco, ti inganni, uomo, e sbagli; vedendo alcuni caduti dici che sono molti".
    Imponi il silenzio anche ai delatori, non trascurare quelli che sono stati catturati, cosicché per due motivi sia conservata la sicurezza della Chiesa: sia col fare in modo che non sia divulgato questo disonore, sia col riportare nel sacro gregge quelli che erano stati catturati. Dunque, non andiamo qua e là a riferire chi ha peccato, ma affrettiamoci solamente a correggere chi ha peccato. È infatti una pessima abitudine accusare i fratelli e non aver cura di loro, divulgare il male degli infermi e non porvi rimedio. Abbandoniamo dunque questa pessima abitudine, o miei carissimi, infatti può portare dei gravi danni. Vi dirò in qual modo. Qualcuno sente dire da te che molti hanno digiunato con i Giudei e senza fare alcun esame lo dice ad un altro; di nuovo costui senza riflettere lo dice ad un terzo, a poco a poco quindi questa cattiva fama si ingrandisce e ne risulta per la Chiesa una grave vergogna; tutto questo non porta alcun beneficio a quelli che si sono perduti, ma porterà piuttosto gravissimo danno a loro e ad altri. Con tante dicerie, quand’anche fossero pochi noi li faremo diventare molti, renderemmo più deboli quelli che sono ancora in piedi mentre daremmo una spinta a quelli che stanno per cadere. Di più, il fratello che ode dire che sono molti ad aver digiunato, diventerà egli pure più negligente; e ancora, chi è più debole, udito questo, accorrerà dai molti che sono caduti. Non rallegriamoci di questo o di qualunque altro fatto riprovevole, anche se molti sono stati i peccatori, non rendiamoli noti e non diciamo che sono molti; piuttosto chiudiamo la bocca a chi parla e obblighiamolo a tacere. Non venirmi a dire: "Sono molti quelli che hanno digiunato"; se è così, correggine molti. Non ho speso tante parole perché tu accusi molti, ma perché da molti li riduca a pochi; anzi non solo pochi, ma salva anche questi pochi. Quindi non divulgare i peccati, ma guariscili.
    Come quelli che divulgano queste notizie e non pensano ad altro, fanno in modo che sembrino molti quelli che hanno peccato anche se erano pochi; così coloro che obbligano i divulgatori a tacere e impongono loro il silenzio e si prendono cura dei caduti, anche se questi furono molti, facilmente li correggono e non permettono che qualcuno sia danneggiato nella reputazione. Non hai udito quello che disse David quando disperato piangeva la morte di Saul? "Come mai sono stati abbattuti i prodi? Non lo annunziate in Geth, non rendetelo pubblico nelle vie di Ascalone perché non se ne rallegrino le figlie degli stranieri e non ne esultino le figlie degli incirconcisi" (II Re, 1-19-20). Se David non volle che fosse rilevato un fatto così palese perché gli avversari ne avrebbero avuto piacere, tanto più è necessario non svelare i nostri mali alle orecchie estranee, anzi neppure alle orecchie dei nostri: affinché i nemici non ne godano e i nostri, conosciuto il fatto, si perdano di coraggio. Ma è necessario soffocare le dicerie e reprimerle da ogni parte. Non dirmi: "Ma io gli ho raccomandato di tenere per sé la notizia". Come tu non hai potuto tacere, così l’altro non potrà tenerla per sé.
    5 - Non parlo solamente di questo digiuno, ma degli altri innumerevoli peccati. Non prendiamo poi tanto in considerazione se molti si sono lasciati trascinare, ma consideriamo in qual modo possiamo ricondurli a noi. Non dobbiamo ingrandire il successo dei nemici, né diminuire il nostro; non dichiariamo che essi sono forti e noi deboli ma, piuttosto, facciamo tutto il contrario.
    Anche una sola voce spesso può rianimare o abbattere; può sollevare un animo ed infondere un ardore che non era più, o dissolvere quello che c’era ancora. Perciò vi ammonisco, perché secondiate quelle voci che favoriscono la nostra causa e ne mostrano la grandezza ma non quelle che denigrano il sodalizio dei fratelli. Se udremo qualcosa di buono facciamolo conoscere a tutti; se invece sentiremo qualcosa di nocivo e maligno, nascondiamolo fra di noi e facciamo il possibile per farlo sparire. Adesso, dunque, andiamo in giro e, con zelo, indaghiamo ed osserviamo quelli che sono caduti; e anche se fosse necessario entrare in casa, non rifiutiamo di farlo. Se colui che è caduto ti è assolutamente sconosciuto e non ha mai avuto a che fare con te, indaga, cerca accuratamente chi egli abbia come amico o parente al quale obbedisca volentieri, prendilo con te e vai a casa sua e non vergognarti né arrossire. Se tu andassi per chiedere del denaro o per ricevere da lui un favore sarebbe giusto arrossire, ma se vai da lui per curare la sua salute, questo motivo ti libera da ogni colpa. Dopo esserti seduto, parla con lui e l’inizio del discorso sia su altri argomenti, sicché non sospetti il rimprovero, e poi: "Dimmi, approvi i Giudei che hanno crocifisso Cristo e che oggi lo coprono di insulti e dicono che è stato trasgressore della legge?". Certamente, se era stato cristiano, anche se ora è stato mille volte con i Giudei, non sarà capace di dire: "Li approvo", ma si tapperà le orecchie e ti dirà: "Dio non voglia! Parla bene, ti prego".
    Quando lo avrai convinto che siete d’accordo su questo punto, riprendi a parlare dicendo: "Come mai allora comunichi con i Giudei? Come mai partecipi alle loro festività? Come mai hai digiunato con loro?". Dopo aver detto questo, accusa i Giudei di ingratitudine, fai conoscere tutte quelle iniquità che nei giorni scorsi ho esposto alla vostra carità e che sono dimostrate dal luogo, dal tempo, dal tempio e dalle profezie dei Profeti. Mostra come e quanto è inutile tutto quello che fanno i Giudei, i quali mai più ritorneranno al loro stato precedente, e inoltre non possono celebrare i loro riti fuori di Gerusalemme. A tutte queste considerazioni aggiungi l’inferno, il temibile tribunale del Signore, le domande che ci saranno fatte. Digli anche che dovremo rendere ragione di tutti i nostri atti, e che un castigo, certo non piccolo, colpirà coloro che osano commettere queste azioni.
    Ricordagli Paolo quando dice: "Chiunque vuol essere giustificato nella legge è decaduto dalla grazia" (Gal. V, 4), e ancora Paolo, minacciandoli: "Se vi fate circoncidere Cristo non vi servirà a nulla" (idem, 2). Aggiungi anche che la circoncisione, così come il digiuno giudaico, scacciano dal cielo quelli che digiunano anche se avranno fatto innumerevoli opere buone. Digli che se oggi noi ci chiamiamo cristiani è per obbedire a Cristo e non per correre dal nemico. Se egli adduce come scusa certe guarigioni e dice che i Giudei promettono di guarire e per questo va da loro, rivelagli gli inganni, gli incantesimi, gli amuleti e i malefizi. Essi infatti non sanno curare in altro modo, e non curano affatto; Dio ce ne scampi! Anzi, io dirò qualcosa di ancor più sorprendente: se anche risanassero veramente tuttavia sarebbe meglio morire che accorrere dai nemici di Dio per essere guariti. Quale vantaggio vi è sulla terra nel curare il corpo e perdere l’anima? Quale beneficio se, per ottenere qui un sollievo, dobbiamo poi essere gettati nel fuoco infernale? Perché non facciano tali discorsi, ascolta cosa dice il Signore: "Se tra di voi sorgerà un profeta o uno che dica di aver avuto una visione e predìca qualche prodigio o portento, e poi quello che egli ha detto, si verifica; se in seguito egli dirà: "Andiamo dietro agli dei stranieri e serviamoli", non darai ascolto alle parole di quel profeta, perché il Signore Dio vostro vi mette alla prova, per vedere se lo amate con tutto il vostro cuore e con tutta la vostra anima" (Deut. XIII, 1-3). Ecco il significato delle parole del Signore. Se un tale che si proclama profeta vi dirà: "Io posso risuscitare un morto o dare la vista a un cieco, ma dovete sottomettervi a me e adoreremo i demoni e faremo sacrifici agli idoli"; in seguito se colui che ha detto queste cose guarirà il cieco o risusciterà il morto, neppure in questo caso devi credergli, dice il Signore. Perché? Perché Dio per metterti alla prova permise che egli potesse farlo. Non che Dio non conosca il tuo animo, ma per darti l’occasione di provargli che tu ami veramente il Signore. Ora, chiunque ama non si stacca mai dalla persona amata, anche se quelli che vogliono allontanarlo risuscitassero i morti.
    Se Dio disse questo ai Giudei, a ben maggior ragione lo dice a noi che ha condotto ad una migliore sapienza, ai quali ha aperto la porta della resurrezione e raccomanda di non mettere l’amore nelle cose presenti, ma di rivolgere tutte le speranze alla vita futura.
    6 - Ma che mi rispondi? Ti affligge e ti opprime un male del corpo? Non hai ancora sofferto tanto quanto il beato Giobbe, anzi neppure una piccola parte dei suoi mali. Perché dopo aver perso insieme greggi ed armenti, e tutti gli altri suoi beni, fu privato dei suoi figli, e tutto questo accadde in un solo giorno, cosicché non solo la natura delle disgrazie, ma invero anche il loro susseguirsi potevano far cadere questo atleta. Dopo queste disgrazie una piaga mortale coprì le sue membra ed egli vide i vermi uscire in gran numero da ogni parte del suo corpo, ed egli sedette, nudo, nel letamaio, pubblico spettacolo di rovina per quelli che lo vedevano: quel giusto, quel sincero, quel pio, quell’uomo che non commetteva mai azioni cattive. Né i suoi mali finivano qui, ma le sofferenze lo tormentavano giorno e notte e lo assaliva una strana fame nuova ed inattesa. "Il fetore, disse, è diventato il mio cibo" (Giobbe VI, 7) e anche i quotidiani insulti, le smorfie di scherno, i sarcasmi, e le derisioni. Infatti, dice ancora Giobbe, i miei servi e i figli delle mie concubine si sono rivoltati contro di me e nel sonno sono atterrito e agitato da continui pensieri. Per essere liberato da tutti questi mali, la moglie gli diede questo consiglio: "Dì qualche parola contro Dio e morirai" (Giobbe II, 9). Cioè disse a Giobbe: dì una bestemmia e sarai immediatamente liberato. E allora? Forse il consiglio della moglie fece cambiare quel sant’uomo? Niente affatto, anzi avvenne il contrario e divenne più fermo nel suo proposito, tanto da rimproverare la moglie. Egli infatti, avrebbe sopportato maggiori tormenti, sofferto le più gravi afflizioni, resistito pazientemente a innumerevoli mali piuttosto che ottenere con la bestemmia il sollievo a tanti dolori. Similmente si comportò quell’uomo (Giov. V) che fu infermo per trentott’anni e che ogni anno si recava alla piscina e, ogni anno, non riusciva ad avvicinarsi e a ritrovare la salute: per di più ogni anno vedeva che altri erano risanati perché avevano molti che si occupavano di loro, mentre egli che mancava di aiuto rimaneva sempre paralizzato. Tuttavia mai fece ricorso agli indovini, né andò a cercare gli incantatori, e non si appese gli amuleti, ma attese l’operato divino. E finalmente ottenne quella meravigliosa e straordinaria guarigione.
    Anche Lazzaro (Luca XVI) lottò tutta la vita con la fame, con la malatia, con la solitudine, non soltanto per trentotto anni, ma in ogni momento della sua vita e spirò giacendo sulla soglia del ricco, disprezzato, deriso, e affamato, fatto cibo per i cani: infatti il suo corpo era così debole da non poter respingere i cani che si gettavano su di lui e leccavano le sue piaghe. Tuttavia anch’egli non cercò l’incantatore, non si legò al collo gli amuleti, non fece ricorso agli impostori, non chiamò gli stregoni, non usò nessuna di queste arti proibite, ma preferì morire con questi mali piuttosto che venir meno, anche in piccola parte, alla sua fedeltà a Dio. Che perdono chiederemo noi che, mentre quelli sopportarono tanti mali, per una febbricola o per una leggera ferita corriamo alla sinagoga e chiamiamo in casa avvelenatori ed impostori? Non hai udito quanto dice la Sacra Scrittura? "Figlio mio, se ti disponi a servire il Signore prepara il tuo animo alla tentazione: fa che sia retto il tuo cuore e sii costante; sii fedele a Dio nella malattia e nella povertà. Invero come l’oro è provato dal fuoco così l’uomo sarà purificato dalla umiliazione" (Eccles. II, 1-5).
    Se tu frustassi il tuo servo ed egli dopo aver ricevuto trenta o cinquanta colpi immediatamente rivendicasse la sua libertà, o si sottraesse al tuo dominio, e si rifugiasse presso altri che ti odiano e li istigasse contro di te, dimmi, potrebbe chiedere scusa? Perché è compito del padrone punire il servo. Non soltanto per questo, ma anche per quest’altra ragione: se il servo voleva fuggire doveva farlo non andando dai nemici o da chi odiava il padrone, ma dagli amici e parenti. Quindi, anche se ti sembrerà di essere punito da Dio non rifugiarti dai suoi nemici, i Giudei, per non provocarlo ancor più contro di te, ma ricorri ai suoi amici, ai martiri e ai santi che si sono resi graditi a Dio e che godono di molta considerazione presso di Lui.
    Ma perché mai parlo di servi e padroni? Un figlio non può fare questo: castigato dal padre rompere i legami con lui. Poiché tanto le leggi naturali che le leggi stabilite dagli uomini comandano che, anche se il padre lo colpisce con le verghe, lo allontana dalla mensa, lo caccia di casa, o lo punisce in qualsiasi altro modo, tutto deve essere sopportato pazientemente; né al figlio è concesso il perdono se non avrà obbedito e tollerato. E se il figlio castigato si lamentasse a lungo piangendo, udrebbe da tutti queste parole: "È tuo padre che ti ha percosso, è tuo signore, ha il diritto di trattarti come vuole e occorre sopportare tutto pazientemente". Quindi i servi sopportano i padroni, i figli i genitori, anche se puniscono troppe volte e ingiustamente; e tu perché non sopporti che ti corregga Dio, il più legittimo di tutti i padroni, che ti ama più di un padre e che nulla fa mosso dalla collera ma ogni cosa fa per il tuo bene? Ma appena sei colpito da un leggero malanno immediatamente rinunci al suo dominio, corri dai demoni e ti rifugi nella sinagoga. Qual perdono vorresti ottenere? In qual modo sarai in grado di rendere di nuovo il Signore benevolo verso di te? Anzi nessuno, avesse pure tanto prestigio quanto Mosè, potrebbe intercedere per te. Non vi è nessuno che possa fare questo. Non odi quello che Dio disse a Geremia a proposito dei Giudei? "Non pregare per questo popolo, anche se Mosè e Samuele si presentassero davanti a me non li esaudirò" (Ger. VII, 16; XV, 1). Poiché vi sono peccati indegni di qualsiasi indulgenza e che non possono essere perdonati. Perciò non provochiamo tanto sdegno! Se anche sembrasse che a qualcuno la febbre si è calmata con gli incantesimi, e in realtà non la calmano affatto, tuttavia essi metterebbero nella nostra coscienza una febbre ben più violenta, e ogni giorno la ragione ti tormenterebbe e la coscienza ti flagellerebbe dicendo: sei stato empio, ti sei comportato in modo iniquo, hai violato l’alleanza con Cristo; per un piccolo malanno hai sacrificato la fede.
    Ora, tu solo sei stato colpito da questo male? Non vi sono forse altri colpiti da mali ancora più gravi del tuo? Tuttavia nessuno di loro osò tanto; tu solamente, vile e dissoluto, hai immolato la tua anima.
    Come ti difenderai davanti a Cristo? Come lo implorerai nelle preghiere? Con qual coscienza, adesso, andrai in Chiesa? Con quali occhi guarderai il sacerdote? Con quale mano toccherai la Sacra mensa? Con quali orecchie ascolterai la lettura delle Sacre Scritture?
    7 - Ecco ciò che dice la ragione ogni giorno per mezzo di rimorsi pungenti che sferzano la coscienza. Che guarigione è mai questa se dentro di noi tanti pensieri ci accusano? Se, per breve tempo, tu ti facessi forza e non cedessi a coloro che vorrebbero celebrare un certo incantesimo o bendarti il corpo, ma anzi tu li buttassi fuori di casa insultandoli, subito riceveresti dalla tua coscienza molto sollievo. Se anche tu bruciassi di una febbre mille volte più forte, la tua coscienza ti porterà un sollievo migliore e più giovevole di qualsiasi acqua o rugiada. Infatti, come dopo aver ritrovato la salute per mezzo dell’incantesimo sarai più sofferente di coloro che sono tormentati dalla febbre perché rifletti sulla gravità del peccato; così dopo aver respinto quegli empi, anche se hai la febbre o soffri di molti mali, starai meglio di un uomo sano, perché la mente esultante, l’animo contento e gioioso, e la coscienza ti lodano e ti approvano dicendo: "Coraggio, coraggio, o servo di Cristo, uomo fedele, atleta della fede che hai preferito la morte piuttosto che venir meno ad essa" e in quel giorno starai con i martiri. Come, invero, i martiri preferirono i colpi di flagelli e le torture per arrivare alla gloria, così anche tu, oggi, hai preferito essere flagellato e torturato dalla febbre e dalle ferite piuttosto che ricevere gli empi incantesimi e gli amuleti; nutrito da questa speranza, non sentirai neppure i dolori che ti assalgono. Infatti se questa febbre non ti porterà via, un’altra lo farà certamente e se non moriamo oggi, tuttavia più tardi moriremo. Abbiamo ricevuto un corpo mortale non per cedere all’empietà delle passioni ma per condurlo alla fede. Infatti la nostra corruttibilità e questo stesso corpo mortale, se saremo stati sobrii, saranno per noi fonte di merito e in quel giorno ci offriranno molta fiducia, anzi, non solo in quel giorno, ma anche nella vita presente. Se tu caccerai di casa insultandoli quegli incantatori, molti dopo aver udito quanto hai fatto ti loderanno e ti ammireranno, dicendosi l’un l’altro: "Il tale pur soffrendo ed essendo malato non cedette alle innumerevoli esortazioni, agli inviti e ai consigli di coloro che volevano persuaderlo ad operare magie ed incantesimi, ma rispose: "Meglio è morire che abbandonare la fede"". Coloro che udranno applaudiranno e colpiti da ammirazione glorificheranno il Signore.
    Questo non sarà per te un onore maggiore di qualunque statua? Più glorioso di qualunque immagine? Più insigne di qualunque tributo di stima? Tutti ti loderanno, tutti esalteranno la tua contentezza, tutti ti glorificheranno. Di più essi stessi diverranno migliori, e a loro volta emuleranno il tuo esempio e imiteranno la tua forza d’animo: e se qualcun altro agirà in questo modo, tu ne avrai il premio, perché tu sei stato l’autore del suo zelo. Non soltanto seguiranno le lodi alla buona azione, ma anche un pronto sollievo del male, sia che la tua straordinaria volontà abbia ottenuto da Dio una grande benevolenza, sia che tutti i santi, rallegrandosi del tuo coraggio, abbiano pregato per te di tutto cuore. Se tali sono quaggiù i premi per questo coraggio, pensa alle corone che riceverai lassù quando Cristo, alla presenza degli angeli e degli arcangeli, verrà a prenderti per mano e condurti in mezzo all’assemblea e a tutti quelli che ascolteranno dirà: "Quest’uomo, mentre era divorato dalla febbre e mentre molti lo esortavano a liberarsi dal male, per rispetto del mio nome, per timore, per non offendermi in alcun modo, respinse tutti coloro che promettevano la guarigione con gli incantesimi, li cacciò fuori con ignominia, scegliendo di morire piuttosto che perdere il mio amore".
    Se coloro che diedero da bere o da mangiare o da vestirsi saranno accolti da Cristo, a maggior ragione lo saranno quelli che scelsero di sopportare la febbre a causa di Lui; donare del pane o delle vesti non è la stessa cosa che sopportare una lunga malattia, anzi questo è molto più meritevole. E quanto più grandi saranno la fatica e i dolori sopportati, tanto più splendida sarà anche la corona. Meditiamo queste considerazioni sia che siamo sani, sia che siamo malati e parliamone tra di noi. E se ci capiterà una volta di essere colpiti da un’insopportabile febbre, diciamo a noi stessi: "Se fossimo trascinati in tribunale per una contesa contro di noi e condannati ad essere appesi e i nostri fianchi lacerati, non sarebbe forse necessario sopportare ciò pur senza alcun vantaggio e nessun compenso?". Riflettiamo ora su questo: se la ricompensa per la pazienza sia abbastanza grande da sollevare un animo abbattuto. "Ma, forse mi dirai, la febbre è ben molesta!". Allora mettila a confronto con le fiamme dell’inferno che eviterai certamente se vorrai tollerarla con molta pazienza. Ripensa a quanto hanno sopportato gli Apostoli, rifletti come i giusti sono sempre stati tribolati, ricorda il beato Timoteo che per l’infermità sin dall’adolescenza non riusciva a respirare ed era colpito da continue malattie, tanto che Paolo parlandone disse: "Bevi anche un pò di vino per il tuo stomaco e per le tue frequenti infermità" (I Tim. V, 23). Se Timoteo, quel giusto, quel santo che ebbe una grande autorità, che resuscitò i morti, che scacciò i demoni, che guarì innumerevoli mali, soffrì tanto crudelmente, quale giustificazione avresti tu che ti agiti e vieni meno per mali passeggeri? Non hai udito quanto dice la Scrittura: "Perché Dio castiga colui che ama e sferza ogni figlio che accoglie"? (Prov. III, 12; Ebr. XII, 6). Quanti hanno desiderato di ricevere la corona dei martiri? Ecco la corona dei martiri è qui pronta. Non si ha martirio soltanto se al comando di sacrificare agli idoli scegli la morte, ma è anche certamente martirio quando si osserva una legge le cui conseguenze possono portare alla morte.
    8 - Perché tu comprenda queste verità, ricorda in qual modo morì Giovanni Battista, per qual ragione e in che modo Abele. Né l’uno né l’altro videro l’incenso o un idolo posto sull’altare, o fu loro comandato di immolare ai demoni; ma il primo fu decapitato soltanto per aver rimproverato Erode, il secondo fu ucciso per aver onorato Dio con un sacrificio più gradito di quello di suo fratello. Sono forse privati della corona del martirio? Chi osa affermarlo? Al contrario il modo in cui trovarono la morte basta a persuadere tutti che essi hanno il primo posto tra i martiri.
    Se chiedi di conoscere anche il giudizio divino su di loro, ascolta quanto dice Paolo e le parole che pronunzia sono senza dubbio ispirate dallo Spirito Santo; infatti Paolo stesso ha detto di sé: "Credo di avere anche io lo Spirito di Dio" (I Cor. VII, 40). Che dice dunque di quei due?
    Incomincia da Abele che avendo offerto a Dio un sacrificio più gradito di quello di Caino, per questo fu messo a morte. Paolo passa poi alla serie dei Profeti sino a Giovanni e dice: "Alcuni sono morti uccisi dalla spada altri invece sono morti per le torture" (Ebr. XI, 37). Dopo aver ricordato molti e diversi modi di morte aggiunge: "Anche noi, circondati come siamo da sì gran numero di martiri, dopo aver gettato ogni impedimento corriamo nell’arena con la pazienza" (Ebr. XII, 1).
    L’Apostolo chiama martiri Abele, Noé, Abramo, Isacco e Giacobbe, infatti costoro sono morti per il Signore. In questo stesso senso Paolo esclama: "Muoio ogni giorno" (I Cor. XV, 31), non perché sia morente, ma perché avrebbe di sua volontà sopportato pazientemente la morte. Così, se tu avrai respinto gli incantesimi, i veleni, gli inganni e morirai di malattia sarai veramente un martire in quanto, mentre ti promettevano di curare il male con mezzi empi, hai scelto di morire con la fede. Queste cose le diciamo contro quelli che si agitano e vanno proclamando che i demoni guariscono.
    Inoltre, perché tu ben comprenda che questo non è vero, ascolta quello che Cristo dice del diavolo: "Egli era omicida fin dall’inizio" (Giov. VIII, 44). Dio dice che è un omicida e tu corri da lui come da un medico? Se tu fossi accusato, dimmi, quale scusa potresti portare, tu che credi che si possa prestar fede alle imposture dei Giudei piuttosto che alle sentenze di Cristo?
    Mentre invero Dio dice: è omicida, i Giudei al contrario dicono: può curare le malattie, rifiutando assolutamente la sentenza divina; tu poi accettando quei loro malefici e incantesimi, con i soli tuoi atti mostri che meritano più fede le parole di costoro che quelle di Cristo, anche se non lo dici apertamente.
    Se il diavolo è omicida è chiaro che lo sono ugualmente i demoni che lo servono. Anche questo ci insegnò Cristo con i fatti, quando permise che entrassero con violenza nella mandria di porci e tutti precipitarono in mare; perché si comprendesse che i demoni avrebbero fatto lo stesso agli uomini, che sarebbero stati immediatamente affogati se Dio lo avesse permesso. Ma Cristo stesso glielo impedì e proibì loro di fare questo e i demoni dichiararono di accettare il dominio sui porci. Ma se non risparmiarono i porci certamente non si sarebbero astenuti dal far del male agli uomini se ne avessero avuto il potere (Luca VIII, 32 e segg.).
    Dunque, o mio diletto, non lasciarti trascinare dalle loro menzogne, ma resta saldo nel timor di Dio.
    Come fai a entrare nella Sinagoga? Perché se segnerai con la croce la tua fronte, svanirà l’influenza nefasta che risiede nella sinagoga, ma se al contrario non ti segnerai, getterai subito le tue armi sulla soglia e il diavolo ti colpirà con innumerevoli mali e ti trascinerà via nudo ed inerme. Ma che importa a noi il parlarne? Tu stesso giudichi che è un peccato gravissimo correre in quel luogo scellerato e lo rende evidente il modo con cui ci vai. Cerchi, infatti, di avvicinarti di nascosto, proibisci a servi, amici e vicini di riferirlo ai sacerdoti, e se qualcuno lo riferisce ti irriti. Ma non è forse una grande follia voler ingannare gli uomini, e osare un tale misfatto, spudoratamente, mentre Dio ti vede, Dio che è presente in ogni luogo? Ma non temi il Signore? Allora tieni conto dei Giudei; con che occhi li guarderai, con che bocca parlerai se, mentre confessi di essere cristiano, tuttavia corri alla sinagoga e implori la loro opera? Non pensi alle risate, al sarcasmo, allo scherno, alla vergogna, alla derisione, al disonore con cui ti copriranno, se non pubblicamente, certo nel loro intimo?
    9 - Perciò dimmi, si può tollerare tutto questo? Forse tutto questo si può sopportare? Anche se fossimo minacciati di mille morti, o dovessimo soffrire gravissimi dolori, non sarebbe meglio sopportare pazientemente tutti i mali piuttosto che diventare oggetto di scherno e di riso da parte di questi scellerati, e in più vivere con la coscienza sporca? Non dico tutto questo soltanto perché lo ascoltiate, ma perché voi guariate quelli che sono tormentati da questo male.
    Come accusiamo quelli di essere deboli nella fede, così accusiamo voi di non voler correggere quelli che sono deboli.
    Infatti non è questo che ti viene chiesto, mio caro, che tu venga soltanto per ascoltare quanto diciamo; è una colpa non far seguire all’ascolto della dottrina le opere buone: poiché se sei cristiano, per imitare Cristo devi agire secondo le sue leggi. Cristo stesso che fece? Non chiamò a sé i malati standosene tranquillo a Gerusalemme, ma percorreva città e villaggi curando entrambe le malattie: quelle dell’anima e quelle del corpo. Certo avrebbe potuto, stando in un sol luogo, chiamare tutti a sé ma egli non lo fece, per insegnarci con l’esempio ad andare in giro a cercare quelli che sono in pericolo. Questo pure ci insegnò con la parabola del buon pastore (Luca XV, 4-6). Infatti non stette tranquillo con le altre novantanove pecore ad attendere che tornasse la pecora smarrita, ma andò a cercarla, la trovò e dopo averla trovata se la caricò sulle spalle e la riportò all’ovile. Forse i medici non agiscono anch’essi in tal modo? Non obbligano i malati che giacciono a letto ad andare alla loro casa, ma accorrono essi dai malati.
    Fai anche tu così, o mio caro, sapendo che la vita presente è breve e che se non ci procuriamo dei meriti, non avremo speranza di salvezza. Una sola anima che avremo guadagnato può cancellare il peso di innumerevoli peccati, e in quel giorno può essere il prezzo della salvezza dell’anima nostra.
    Rifletti: perché i Profeti, perché gli Apostoli, perché i giusti, perché sovente gli angeli sono stati mandati? Perché lo stesso Figlio di Dio è venuto? Non è forse per salvare gli uomini? Non è forse per riportare quelli che si erano perduti? Fai anche tu così secondo le tue forze e dedica ogni cura e sollecitudine a ricondurre quelli che si sono allontanati. Io non smetto di esortarvi ad ogni mio discorso; sia che siate attenti sia che non facciate attenzione, io non rinuncerò a ripeterlo. Poiché il Signore ci prescrisse questo obbligo, sia che ascoltiate sia che non ascoltiate, eseguiremo questo incarico. Invero, se ascolterete e metterete in pratica quello che diciamo, noi lo faremo con molta gioia, se invece trascurerete le nostre parole e resterete inoperosi, lo faremo con molta tristezza. Per la vostra mancata obbedienza non abbiamo nulla da temere in quanto abbiamo fatto tutto quello che dipendeva da noi, ma sebbene noi non corriamo alcun rischio, perché abbiamo fatto tutto quanto ci era possibile, tuttavia ci addolora che in quel giorno siate accusati. Infatti sarà per voi senza pericolo l’aver ascoltato, se faranno seguito le buone opere. Ascolta con quali parole il Cristo, accusando i dottori che occultavano la dottrina, insegnava ai suoi discepoli. Dopo aver detto: "Dovevi deporre il mio denaro presso i banchieri", aggiunge: "Al mio ritorno lo avrei ritirato con gli interessi" (Matt. XXV, 27). Egli mostra che chi riceve l’insegnamento (e questo è il deposito del denaro), dopo che ha ascoltato deve farlo fruttificare, come se dovesse restituirlo al padrone. Il frutto della dottrina non è altro che l’esecuzione di opere buone. Dunque noi abbiamo deposto il nostro denaro nelle vostre orecchie, ed è necessario che voi ne rendiate il frutto al Signore, cioè la salvezza dei vostri fratelli.
    Perciò se tratterrete queste parole che vi sono state dette senza farle fruttificare, temo che vi sarà inflitta la stessa pena che fu data all’uomo che aveva sotterrato il talento. Fu gettato, mani e piedi legati, nelle tenebre esteriori, perché non aveva fatto profittare altri di quello che aveva udito. Se non vogliamo soffrire come lui, imitiamo quello che ricevette cinque talenti e quello che ne ricevette due, anche se sarà necessario impiegare parole, denaro, fatiche e anche preghiere, o qualsiasi altro mezzo per la salvezza del prossimo; non rifiutiamoci, affinché moltiplicando in ogni modo, ciascuno per la sua parte, il talento che Dio ci ha dato, possiamo intendere quella beata voce: "Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò autorità nel molto; entra nella gioia del tuo Signore" (Matt. XXV, 21). Che sia possibile a noi ottenerla per la grazia e la carità di Nostro Signore Gesù Cristo, per il quale e con il quale siano al Padre gloria e onore insieme allo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Così sia.
    Lorenzo Proia
    Responsabile Ufficio Stampa Lega Nord Toscana
    Coordinatore Zoonale GnP
    Vice Coordinatore Movimento Giovani Toscani

  3. #3
    Gioventù Universitaria
    Data Registrazione
    14 Jun 2005
    Località
    Roma giovuniv.giovani.it
    Messaggi
    1,777
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)
    Lorenzo Proia
    Responsabile Ufficio Stampa Lega Nord Toscana
    Coordinatore Zoonale GnP
    Vice Coordinatore Movimento Giovani Toscani

  4. #4
    Forumista senior
    Data Registrazione
    09 Jun 2009
    Messaggi
    4,094
     Likes dati
    0
     Like avuti
    1
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    ti ringrazio di tutto.

  5. #5
    Moderatore
    Data Registrazione
    31 Mar 2009
    Località
    Cermenate (CO)
    Messaggi
    23,258
     Likes dati
    134
     Like avuti
    264
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito La prosa cattolico-integrale di Monsignor Benigni

    "Regno" e "impero" della Chiesa



    La Chiesa e la civiltà hanno, senza dubbio, un loro elemento proprio, indifferente all’altra: la questione dommatica se lo Spirito Santo proceda da o per il Figlio, è estranea alla civiltà; lo stabilimento del telefono internazionale è estraneo alla Chiesa. Ciò avviene perchè in questa avvi un elemento dommatico, assoluto e trascendente; e nella civiltà entra un elemento semplicemente tecnico.

    Peraltro tutto ciò non toglie nè diminuisce affatto il grande principio: la vera religione è la base ed il presidio della vera civiltà, perchè la vera religione è la vera moralità senza di cui la civiltà non può essere che parziale e materiale, quindi manchevole nel più e nel meglio della vita sociale.

    La civiltà vera e perfetta risulta da un insieme organico di principii e di fatti morali e materiali: insieme oltremodo complesso e molteplice, che va dal retto funzionamento dell’autorità politica e domestica sino alla rete delle pubbliche comunicazioni ed al buon servizio della nettezza urbana. Ma quanto varrebbe per meritare il titolo di civile ad un popolo, che in esso l’igiene e l’agiatezza raggiungessero la perfezione esistente nel palazzo di un miliardario nord-americano, se in quel popolo mancasse la moralità; sicchè le sue istituzioni, leggi ed usanze fossero immorali od anche amorali, cioè facessero o lasciassero trionfare l’immoralità? Un tal popolo darebbe lo spettacolo di una di quelle stalle signorili, dove ammiransi la pulizia, la comodità, il lusso in cui vivono eleganti e costose bestie da tiro e da corsa.

    Dunque la parte più nobile della civiltà, che è la vita morale dei popoli e degli individui, perchè sia logica e stabile, deve fondarsi su di un principio superiore al devenire ed al volere umano, alla vece assidua di partiti e di sistemi che si succedono al governo di una società civile. E ciò solo può darlo la religione la di cui moralità parte direttamente da Dio, verità e giustizia assoluta, immanente, immutabile, a cui ogni uomo, ogni popolo, ogni tempo debbono inchinarsi e sottostare.

    Il naturale sentimento dei popoli fu sempre concorde nel riconoscere questa verità fondamentale della civiltà; onde l’età antichissima, l’antica, la media lo riconobbero solennemente e stabilmente lo praticarono; e la stessa età moderna, che ha voluto eliminare la religione come una base dal suo sistema sociale, e così spesso la combatte, pure non può esimersi di fatto da tutta la tradizione e da tutta la coscienza umana; onde ancor oggi i sovrani trovano indispensabile di fondare il loro principio di autorità non solo sulla volontà — spesso cotanto ondulatoria e sussultoria — delle nazioni, ma anche, e prima, sulla grazia di Dio.

    Ecco perchè la religione è l’anima della civiltà, e tutto il resto non è che il corpo. E se questo vale in genere per la religione, tanto più vale per il cristianesimo e per la sua storica organizzazione, la Chiesa.

    La Chiesa — in uno spazio che dura almeno, da Costantino alla rivoluzione francese, quindici secoli — è stata ufficialmente e realmente la madre, la nutrice, la tutrice della civiltà europea, cioè della più alta civiltà umana. Ed oggi, dopo più di un secolo di fiera lotta mossa dal paganesimo (già morto e sepolto in una sua forma storica, nè morto nè sepolto nella sua essenza) dell’ultima forma, il "laicismo", — oggi, nonostante la crisi anticristiana della nostra società, l’anima del cristianesimo (giova ripeterlo) sopravvive indomita in cento criterii, in cento fatti sociali, e non solo nelle formole ufficiali cui or ora accennavamo.

    Oggi, la grande lotta sta, appunto, tra il principio cristiano ed il pagano che dividono le menti e i cuori, ed agitano i consigli dei politici, gli studi dei filosofi, le tendenze delle folle. A noi cattolici sta dinanzi il radioso programma così opportunamente rievocato da Pio X: restaurare tutto in Cristo, tutta quanta la società, tutta quanta la civiltà. Questo significa la ripresa efficace dell’antica intuizione cristiana, che fece dire genialmente al vetusto autore della lettera a Diogneto: "quel che nel corpo è l’anima, lo sono nel mondo i cristiani"; significa la speranza di rialzare nella pienezza della verità il grido trionfale: Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera. Ciò vuol dire che la vita sociale della Chiesa deve tornare ad essere il fondamento morale della società, il criterio fondamentale della civiltà.



    Ad ottenere questa restaurazione cristiana, senza dubbio è indispensabile una duplice restaurazione: — della vita religiosa presso i fedeli, il che costituisce la vita interna e spirituale, il regno della Chiesa — e dell’influenza sociale della Chiesa stessa, il che forma la sua vita esterna, sociale propriamente detta, il suo impero.

    Oggi che tanto si parla e si fa dell’imperialismo, è bene intendersi sulla questione che le parole "regno" ed "impero" della Chiesa ci sembrano esprimere esattamente.

    Già da tempo si è usata l’espressione "impero della Chiesa" od "impero di Cristo"; ma in senso affatto relativo con cui si è inteso dire che Cristo e la Chiesa sua regnano su varie genti, sparse per tutto il mondo.

    Ma il senso proprio d’impero indica il dominio (comando: imperium) su "altre genti", non il totale dei "cittadini" per quanto sparsi nel mondo, che insieme forma la civitas, e quando questa civitas è monarchica come nella Chiesa cattolica, forma il regno. I cinesi cattolici, gli esquimesi cattolici, gli zulù cattolici non formano, a ver dire, l’impero della Chiesa, ma solo fan parte del suo regno, nè più e nè meno dei latini, dei germani, degli anglo-sassoni cattolici: imperocchè le genti più strane dell’etnologia non sono differenziate da altre nel regno della Chiesa. In una parola i cattolici, qualsiansi, formano la "città", il "regno", della Chiesa.

    L’"impero" di lei deve perciò riguardare i non cattolici, e la società e civiltà in genere; come l’imperium della Roma classica era costituito dai non romani.

    L’impero della Roma cristiana, della Roma cattolica e papale, si è esplicato e si esplica in tutta la irradiazione della sua vita esterna. La sua forza e il suo prestigio intellettuale e morale, la sua influenza diretta e indiretta nel mondo, il suo peso che preme, vogliano o no, nella bilancia de’ suoi stessi nemici: ecco, propriamente, l’impero della Chiesa.



    Attraverso gli annali della Chiesa [...], noi vedremo chiaramente, insistentemente, dominare una legge storica per cui i successi e i disastri dell’impero della Chiesa segnano i successi e i disastri del suo regno; cioè la sua maggiore o minore vitalità esterna va di pari passo con quella interna: e ciò è naturale, perchè una è la forza che agisce dentro e fuori, ed una è l’umanità in cui si esplica.



    Da tali solenni lezioni della storia, una pratica conseguenza s’impone indiscutibile: per assecondare, rafforzare e diffondere la restaurazione religiosa, spirituale, della società, cioè il regno della Chiesa, bisogna rafforzare e diffondere la sua azione esterna, la sua vita sociale, il suo impero. Il che è quanto dire: bisogna così infondere coraggio ai nostri, e rispetto ai nemici, nel terreno comune della vita sociale; bisogna che i cattolici, clero e popolo, non si lascino sorpassare, nel loro complesso, dal complesso degli avversarii nelle manifestazioni multiformi della civiltà, dalle scienze astratte alle amministrazioni locali.

    È necessario che ci facciamo forti anche al di là dei muri dei nostri templi, se vogliamo che questi siano sicuri e rispettati; — che il clero sia stimato anche come dotto, pratico, diligente, civile, se vogliamo più libero ed efficace il suo ministero religioso; — che, sotto la nuova forma dei tempi nuovi, si torni a convincere i nostri avversari come, nella vita sociale, senza di noi cristiani essi valgano a far ben poco, e contro di noi anche meno. La restaurazione di questo "impero" sociale è una necessità pratica per restaurare il regno spirituale della religione: tale "impero" — come una corazza ed una corona, difesa e gloria degli antichi eroi — deve cingere il corpo mistico di Cristo, la sua Chiesa.

    Tale è l’insegnamento che ci dà la storia ecclesiastica, doppiamente "maestra della vita", perchè storia, e perchè della Chiesa.

    Monsignor Umberto Benigni



    ***

    Storia Sociale della Chiesa, vol. I, La preparazione. Dagli inizi a Costantino, Vallardi, Milano 1906, pp. XIII-XVIII.

  6. #6
    Moderatore
    Data Registrazione
    31 Mar 2009
    Località
    Cermenate (CO)
    Messaggi
    23,258
     Likes dati
    134
     Like avuti
    264
    Mentioned
    2 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Umberto Benigni

    Le sètte del satanismo
    Nella storia delle aberrazioni umane a forma religiosa v'è, meno rara che non si creda, quella della suggestione, dello ammaliamento simile a quello famoso del serpe che attira l'uccello. Non per nulla Satana è il Serpente!

    Nella evoluzione millenaria del satanismo è posteriore il luciferianismo o satanismo intel-lettualistico, del "non serviam", anima di certe sètte moderne. Più antico, più tenace, più continuato di spora in spora, è il satanismo, che diremo impressivo, nato da una suggestione di ribellione o di disperazione morale e sociale, senza un predominio di razionalismo filosofante.

    Donde e come nascessero le organizzazioni a tipo popolare del satanismo nell'Occidente medievale, non è facile ritrovare. Senza dubbio, il Medioevo era tutto pervaso dal sentimento della presenza, in lotta, di Cristo e dell'Anticristo in questo mondo, donde il citato "Christus nobiscum; state". Tanto ciò è vero che ne abbiamo una prova analoga nel figurato linguaggio popolare: donde le frasi correnti del "povero diavolo" e del "buon diavolo" applicato ad un buonuomo, oltre "il diavolo non è nero quanto si dipinge", ecc.

    Quindi in un ambiente tanto saturato dall'idea del diavolo presente ed operante, era non difficile una deviazione, per quanto mostruosa.

    Se la spinta demagogica deviò il sentimento religioso e cristiano verso il "Cristo rosso", tale spinta più violenta e più malvagia doveva immettere gruppi di allucinati e disperati verso il culto del Demonio, il condannato, il disperato, l'oppresso....

    Ed ecco certi gruppi di lollardi di Boemia organizzati nel culto segreto del "Maltrattato", dell'"Ingiustamente oppresso". Per loro Satana rappresentava l'eversione dell'ordine esistente dei preti, dei signori e dei ricchi per l'instaurazione di un ordine sociale egualitario, di pura demagogia.

    Ed ecco la vera efficienza eversiva di quello che per se stesso è un fenomeno di patologia religiosa ossessionante individui o gruppi ristretti: esso era una fetida fogna che immetteva nella inondazione eversiva dell'ordine sociale.

    Il fatto che spiccasse in Boemia un gruppo satanico, fa pensare a quel paese d'incrocio tra Oriente ed Occidente, che vede la punta nord-ovest dell'apostolato di Cirillo e Metodio, come poi la fila dei mercanti armeni e bulgari arrecanti il neomanicheismo del Dio Buono e del Dio cattivo, i quali poi continuavano dal Danubio al Reno, dal Reno al Rodano seminando le organizzazioni eversive contro l'ordine religioso e civile.

    D'altronde il satanismo popolaresco faceva centro a tutta una tregenda di stregoni e di streghe, ereditati dalla più remota antichità barbarica.

    Non entreremo nella selva selvaggia del dilagare, spesso isterico e lunatico, dello stregonismo con relativa vendita dell'anima al diavolo. I giudizi contro le streghe davanti da giudici i quali non scendevano dalla luna, sebbene erano uomini del loro ambiente e momento storico. Tanto ciò è vero che non solo l'"oscuro" medioevo ma la "illuminata" rinascenza umanista e la sua sorellastra la riforma protestante gareggiarono di zelo per abbruciare le streghe.

    In conclusione il satanismo popolaresco, propriamente organizzato in sètte segrete demagogiche, pullulava di tentacoli della magia nera che se non era una organizzazione completa, era per lo meno una scuola che organizzava riti e formole e frenesie che si tramandavano fedelmente tra gli adepti. E sotto le diverse forme del satanismo il demonio rappresentava la ribellione radicale contro tutto l'ordine sociale, e non solo quello passeggero d'allora, ma le sue basi permanenti.

    Ed il satanismo delle classi superiori?

    Superiori, con netta distinzione. Tali erano, nel senso intellettuale, i cenacoli istruiti dall'esoterismo studioso: e tali erano, nel semplice senso di gerarchia sociale, i signori che non avevano cultura riguardante la materia.

    Più tardi, nella pienezza e nel tramonto della rinascenza, vi poterono essere uomini di alto rango e di studi esoterici: tale fu il cosiddetto Barbebleue, cioè il maresciallo de Rais, vero satanista. Egli si divertiva a minacciar di morte un povero tapino se non bestemmiava, e quando il terrorizzato aveva bestemmiato, subito lo uccideva per assicurarsi di aver mandato un'anima al diavolo. Ma non meno satanista egli era, quando uccideva fanciulli e fanciulle con tale raffinata ipocrisia e crudeltà, che in mezzo all'orripilante sua confessione, il giudice domenicano inorridito si alzò di scatto e andò a coprire l'immagine del Crocifisso perché non fosse offesa l'immagine divina dall'aspetto di quel demonio.

    Ed egli studiava freneticamente i libri magici ed alchimistici.

    Invece altri signori per nulla cultori di "scienze" esoteriche, cadevano, non meno dei popolani nel satanismo.

    Celebre è il caso della setta satanica del Bafometo (il demonio sotto il simbolo noto del Caprone) installata in seno all'Ordine dei Templari. Ne parleremo meglio a suo tempo: qui basterà riassumere il caso indubitabile malgrado le bollenti polemiche dei contraddittori.

    La cosa ha una chiara fisionomia. La vita dei signori crociati nei feudi conquistati ad una dinastia o ad un Ordine assolutamente guerriero, diventava una vita d'ambiente: la lussuria e la crudeltà del barbaro Oriente. Intanto per gerire i beni immobiliari e mobiliari con una popolazione così diversa e che non comprendeva la vita, nonché la lingua, dei nuovi padroni, come questi non capivano quella, s'imponeva l'intermediario, gastaldo e sensale, che capisse i due popoli oltreché le due lingue. Fu uno dei colpi più fortunati d'Israele. Come eruditi ebrei avevano servito ai pensatori arabi le traduzioni ed i sunti della filosofia e mistica greca, pagana e cristiana, – così il traffichino israelita fece da passerella tra il franco e il germanico signore e la popolazione arabo-siriana. Carlo V diceva che un uomo vale tanti uomini quante lingue sa; perciò gli ebrei valevano per quattro.

    Così il mercante millenario d'affari e di donne colla sua molteplice gestione di cui buona parte era inconfessabile, tenne sempre più in mano la vita vissuta dai signori crociati; e quando questi erano riuniti in una vita comune, la sua mano adunca e duttile entravavi da tutte le parti. Per l'ennesima volta rammentiamo la cinica confessione del talmudico Darmstetter sull'ebreo che penetrato nella corte gaudente di Federico II vi fischiava, antico serpente, le bestemmie contro Cristo ch'egli aveva suggerito, tanti secoli prima, al filosofo greco Celso. È facile dedurre che co-sa doveva accadere nei lontani palazzi e nelle fortezze templarie!

    Fu facile in quell'ambiente iniettare il satanismo a rudi sanguinosi e lussuriosi baroni i quali, scesi sempre più in basso nella loro vita a cui Maometto prestava l'harem e la sodomia senza toglier loro il vino, arrivavano al momento in cui la loro coscienza vi poneva il quesito fondamentale, indelebile anche se assopito per un tempo, nella morale religiosa. Anche l'aberrazione ha la sua logica: il cristiano cavaliere del Tempio per la liberazione dei Luoghi Santi dall'Islam, ingolfato in una vita che anche da saggi mussulmani doveva giudicarsi per immonda, doveva dirsi un giorno: o vivo da cristiano o rinnego il cristianesimo. I peggiori rinnegavano: e siccome "è umano odiare chi tu hai offeso", come dice l'amaro Tacito, così l'apostasia diventava livore verso il Cristo tradito, donde la sostituzione del Bafometo-Anticristo alla immagine del Redentore.

    Ecco la psicologia della setta satanica, compenetratasi nell'Ordine del Tempio. La sentenza di Clemente V fu equa e pratica, quando sciolse l'Ordine troppo contaminato per essere redento; ed impose alla massa dei disciolti templari un esame giudiziario davanti al tribunale episcopale della rispettiva provincia a cui il templario doveva presentarsi dentro un anno. Se il tribunale riconosceva che la vita dell'inquisito non dava materia a condanna, egli se ne andava libero e poteva avere un assegno da vivere sui beni sequestrati dell'Ordine disciolto.

    Che il marcio satanista fosse vasto e profondo nel Tempio, i fatti che seguirono lo fecero toccare con mano.

    I reprobi, quelli che avevano a temere il tribunale ecclesiastico, si strinsero sempre più in setta, emigrando in paesi più lontani – in Inghilterra e di là in Iscozia – per meglio sfuggire all'inquisizione sulle loro gesta.

    Li animava l'odio non verso Clemente V e Filippo il Bello, ma contro il papato e la corona cristianissima. Quando nel 1717 nacque colla Gran Loggia di Londra la odierna massoneria, le due sètte "scelte" dei signori Templari e degl'intellettuali Rosacruciani dettero un largo elemento (non tutto, ché restano l'Ordine Templario e l'Ordine della Rosa-Croce nella loro condizione di sètte scelte, esoteriche) il quale elemento si fuse dietro la facciata dei franchi-muratori. Ed ecco che il fratello, dopo essere passato per lo scenario muratorio con il Tempio, l'architetto Hiram, la cazzuola e la squadra, all'improvviso – se arriva a quel grado – smette lo scenario muratorio ed entra in quello della Cavalleria. L'ammesso al grado massonizzato di Cavaliere, il novizio si trova davanti ad un altare su cui vede due teschi, uno colla tiara, uno colla corona. Sono i simboli di un Clemente V e di un Filippo il Bello non ancora morti, tantoché egli deve trafiggere con un colpo di pugnale. Sono la Chiesa e la Monarchia.

    Questo Cavaliere si chiama Santo (Sacro), e pugnalati i teschi, alza il ferro al cielo pronunziando: "Vendetta, Signore"!

    Ebbene, questo è il Cavaliere Kadosc' che pronunzia le parole: Nekam, Adonai! – Sono le tre parole ebraiche le quali corrispondono alle suddette santo, vendetta, Signore. Perché quei cavalieri occidentali si chiamano e parlano in ebraico?! – L'Istruttore satanico volle lasciare sull'empio rito la sua marca di fabbrica.

    È inutile insistere sulla propaganda, diremmo automatica, fatta dalla vita e dalla eventuale parola del templario satanizzato sia quando restava tra i suoi in Oriente sia quando tornava in Occidente. Daltronde lo stretto vincolo della setta nefanda fece di questa un nucleo perenne d'infezione che arrivò colla fusione del 1717 ad un'azione mondiale. Attraverso i secoli la setta conservò come una eredità di famiglia l'odio demoniaco verso la Corona gigliata ("Lilia pedibus destine") e la Tiara. Fu un puro caso od un ultimo colpo viperino della setta che permeava il governo e più il suo retroscena, quando la famiglia reale di Francia condannata allo sterminio, fu chiusa nel Tempio cioè nell'antico monastero de' templari a Parigi, e Clemente V, nella persona del suo successore Pio VI, fu tratto a morire nel vilipendio della prigionia, sul suolo di Francia?

    Esula per poco dal nostro tempo – ché si riferisce agli inizi del Quattrocento – la corruzione e decadenza dell'Ordine Teutonico. Dopo avere strenuamente combattuto in Terrasanta (l'Ordine fu una specie di Tempio teutonico), tornato in patria, estese i suoi grandi possessi oltre la frontiera germanica, in paese slavo. Anche là la corruzione del costume, causa determinante della sua decadenza definitiva, dovè innestarsi con defezioni della fede così radicali da valere per sataniche. La tradizione, raccolta in un magnifico poema da Myszkiewicz, parla del gran maestro Wallenrod come di un traditore a Cristo ed al suo Ordine. Fu sotto il suo maestrato che i Cavalieri Teutonici già fusi coi Portaspada ebbero uno sconquasso che fu irreparabile.

    Altri Ordini crociati si salvarono da simili abissi, come i benemeriti Cavalieri dell'Ospedale di S. Giovanni (giovanniti, – di Rodi, – di Malta). Ma il Levante è un tale dissolvente per razze ed istituzioni come quelle rappresentate nell'Oriente delle Crociate, che per lo meno una rilassatezza, annullante o quasi la forza cristiana degli Ordini militari, era il pericolo incombente su tutti. E quando non si adorava Bafometo, per lo meno non lo si combatteva più come si doveva.

    Altre organizzazioni sataniche erano certamente tra la borghesia, a cominciare dal mondo dell'arte. Abbiamo visto i franchi muratori spargere di figure satiriche contro la gerarchia, i preti, i monaci, le monache le mille volute dello stile ogivale. I pastori spirituali con teste di lupi, le monache in atteggiamenti sconci, erano la banale e sguaiata scorza del tronco maledetto al quale forse molti della scorza non pensavano, ma che non era perciò meno reale.

    Un campione tipico dell'arte satanizzata è il quadro dell'Annunziata esposto recentemente [1933?, ndc] al Burlington House, a Londra. Il quadro viene dalla Chiesa di S. Maria Maddalena, ad Aix in Provenza e rimonta tra il tempo avignonese ed il tempo seguente. V'è tale un lusso di simbolismo satanico, da non potersi dubitare che esso venga da un bestiarium e da un herbarium esoterico, enciclopedia di simbolismo demoniaco, indizio di una setta organica. Dall'arcangelo con le ali di gufo, alla scimmia (Satana "scimmia di Dio") che intercetta il raggio divino che va alla Vergine, dai pipistrelli incastrati nei trifogli che fanno ornamento all'arco da cui si svolge il portico, fino al tradizionale vaso da fiori ove fiorisce il simbolico giglio, cui il pittore satanico ha aggiunto tre piante magiche, il basilico, la digitale e la belladonna. Ed il gesto della mano benedicente dell'Eterno, e di quella salutante dell'arcangelo è un gesto d'insulto immondo. E si noti che il tema scelto per accumularvi tanta ignominia, è quello dell'Annunciazione, il fatto iniziale della Redenzione. La pittura fu compiuta in quella Provenza che con la Linguadoca fu saturata dalle sètte anticristiane, di cui il catarismo che fu "albigesismo" colà, era un centro con i più vari tentacoli, parecchi dei quali debbono essere sfuggiti alla documentazione storica. Una religione che riconosce un Dio del Bene ed un Dio del Male, avviava tutto un mondo ribelle e degenerato al culto di quest'ultimo; donde il fatto presumibile, perché naturale, che altri gruppi satanisti venuti in contatto del grande movimento cataro, vi confluissero.

    Concludiamo constatando che le organizzazioni sataniste, pur restando, come è loro natura, relativamente ristrettive, contribuirono sensibilmente, data la virulenza del loro veleno, alla eversione delle basi dell'Ordine sociale alla fine del Medioevo.





    Testi e studi

    La documentazione e la letteratura medievale e rinascentistica, come la seguente fino al Settecento è abbondante, troppo abbondante, per la farraggine di materiale acritico fino all'assurdo che vi si condensa. Si potrebbe chiamare la biblioteca del noce di Benevento. La leggenda della mirabolante potenzialità ed attività stregonesca era una vera cortina di fumo dietro cui operava il vero, tacito, spesso cerebrale satanismo.

    Manca ancora un prospetto critico (immane lavoro) del satanismo assoluto e del satanismo relativo dei secoli cristiani, eredità maledetta dell'occultismo orientale infiltrato nel mondo greco romano.

    Citiamo, fra tanti lavori moderni l'importante del LAENEN [Introduction à l'histoire paroissiale du diocèse de Malines. Les institutions - Bruxelles, Dewit 1924; Hist. de l'eglise métropolitaine de St. Rambaut à Malines - Malines, Godenne 1919-20; Hexenprocessen -] sui processi delle streghe; — fonti e studi sulle streghe e sui loro processi medievali: I: HANSSEN [Quellen und Untersuchungen zur Gesch. des Hexen wesens im Mittelalter - Bonn, Giorgi 1901]; — la Chiesa e la stregoneria: I. FRANCOIS [L'Eglise et la sorcellerie - Paris, Nourrit 1910]; — la magia e la stregoneria in Francia, nel medioevo e nell'ancien régime: de CAUZONS [La magie et la sorcellerie en France - Paris, Dorbon 1910]. Vedi qui appresso Gilb. MURRAY.

    Un recentissimo lavoro di O. A. ERICH [Die Darstellung des Teufels in der christlichen Kunst - Berlin, Deutscher Kunstverlag 1931] sulla rappresentazione del demonio nell'arte cristiana, offre un materiale di raffronto per comprendere il simbolismo analogo degli artisti satanisti. Difatti vi è stata un'evoluzione nel simbolismo demoniaco, evoluzione che è seguita istintivamente dai satanisti. Valga ad es. il fatto che col XII secolo il demonio rappresentato fino allora (quando non si "maschera") con una figura più o meno umana, storpiata in ghigni e contorzioni da "posseduti" passa al simbolismo delle corna e delle zampe del fauno, grosse unghie di belva per poi (sec. XIV e XV) prendere le ali di pipistrello, e divenire esso stesso una bestia malefica o quanto meno di "malaugurio" come la nottola stessa, od una scimmia, ecc. Ed eccolo sotto questi simboli nel quadro satanico dell'Annunziazione d'Aix (di cui una fotografia ed una sommaria descrizione è stata data dal "Giornale della Domenica").

    SATANISTI LOLLARDI di Boemia: interessanti pagine nell'acuto studio di Gilbert MURRAY [Satanism and the World Order - London , Allen 1920] sull'essenza e lo sviluppo del settarismo satanico nel mondo, compreso il coefficiente che più a noi interessa, del sovversivismo sociale.

    Il rogo di Cecco d'Ascoli (a Firenze 1327, come mago): G. BOFFITO [Perché fu condannato al fuoco l'astrologo Cecco d'Ascoli (a Firenze 1327) - Roma, Prop. Fide 1900] — La condanna di una strega, 1250: L. ZDEKAUER [La condanna di una strega (1250) - Bull. storia patria XXVI (1924) pp. 107 ss.].

    Per i Templari v. nel vol. seg. a Clemente V.

    Per i Cav. Teutonici cfr. ZIESEMER [Wirtschaftsordnung des Elbinger Ordenshauses - "Sitzungsber. der Altertum-sgesell. Preussen" XXVI (1923) pp. 76 ss]. — La leggenda del gran maestro Wallenrod è stata magnificamente cantata dal grande poeta polacco MYSZKIEWICZ; per quanto un poema moderno non sia un documento storico, pure lo citiamo perché rappresenta, sia pur romanzato ma vivo tutto un ambiente, come "I promessi sposi" dànno della Milano spagnuola una visione romanzata ma viva e vera nel suo insieme.


    Mons. Umberto Benigni
    "Storia Sociale della Chiesa"
    Vol. V - La crisi medievale
    Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi, Milano 1933

 

 

Discussioni Simili

  1. Interessi bibliografici
    Di Folgore nel forum Destra Radicale
    Risposte: 7
    Ultimo Messaggio: 15-02-07, 19:21
  2. Suggerimenti bibliografici
    Di Ichthys nel forum Regno delle Due Sicilie
    Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 06-04-04, 23:30
  3. approfondimenti sul kossovo
    Di benfy nel forum Politica Nazionale
    Risposte: 1
    Ultimo Messaggio: 19-03-04, 20:46
  4. 666: approfondimenti
    Di Otto Rahn nel forum Esoterismo e Tradizione
    Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 14-02-03, 00:56
  5. orizzonti bibliografici...
    Di Mjollnir nel forum Etnonazionalismo
    Risposte: 9
    Ultimo Messaggio: 08-11-02, 13:36

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito