| Martedì 18 Ottobre 2005 - 14:15 | Stefano Vernole |

Solo pochi giorni fa, il Presidente russo Vladimir Putin ha deciso che ritornino i colbacchi di astrakhan per gli alti ufficiali delle Forze Armate, una tradizione di epoca zarista abolita 11 anni fa.
Il caratteristico colbacco di pelliccia (la “papakha”) sarà grigia per generali e colonnelli dell’esercito, mentre gli ammiragli e i capitani della marina avranno diritto ad un cappello di astrakhan nero con visiera e a colletti dell’uniforme particolarmente eleganti.
Un ritorno alla tradizione che non vuole soltanto rendere più appetibile la professione di ufficiale, che ultimamente attrae in Russia sempre meno giovani, ma anche restituire alle Forze Armate una dignità storicamente molto alta.
La crisi dell’esercito dura ormai da qualche anno ed è dovuta a varie cause: l’assenza di un vero corpo di sottufficiali, indispensabile per la preparazione delle reclute più giovani, la mediocrità delle regole di sicurezza nell’utilizzo delle armi, l’eccessiva severità degli addestramenti e le carenze della giustizia militare.
Nel 2003, il ministro della Difesa russo attribuiva il 35% delle morti nelle caserme a suicidi, il 23% alla non osservanza delle regole di sicurezza e il 10% alle norme di condotta dei veicoli.
L’apparato militare di Mosca vive al di sopra delle proprie possibilità, in quanto continua ancora a mantenere dozzine di ministeri e servizi che rappresentano circa tre milioni di persone, con uno stanziamento di bilancio pari però a quello di una nazione come la Francia.
E questo malgrado negli ultimi dieci anni il solo Ministero della Difesa abbia perduto circa 2,4 milioni di uomini.
In passato, l’Armata Rossa era un immenso esercito di coscritti e costituiva la principale istanza di socializzazione per i differenti popoli dell’Impero sovietico, ma mentre negli anni Ottanta era il 70% dei giovani che prestava servizio militare, nell’attuale Federazione russa è appena il 10% a svolgere l’obbligo di leva.
Oggi Putin ha comunque reintrodotto nei licei l’educazione militare obbligatoria e ridato fiato alla ROSTO (Organizzazione tecnica e sportiva della Difesa), evoluzione della DOSAAF sovietica, che gioca un ruolo importante nell’orientamento delle giovani generazioni verso l’uniforme.
Accanto alla ROSTO sono presenti varie associazioni paramilitari tra le quali spicca l’Unione dei Sottomarini, presieduta dall’ammiraglio Tchernavin ex capo di stato maggiore della Marina, che ha lo scopo di sviluppare uno spirito patriottico tra i giovani e conta circa 9000 membri.
Alle elezioni presidenziali del 2000 si calcola che circa l’80% dei militari abbia votato per Putin, confermando così lo storico orientamento delle Forze Armate russe verso candidati politici intenzionati a difendere il prestigio nazionale.
La campagna elettorale dell’attuale capo del Cremlino era stata infatti centrata sull’intransigenza contro i secessionisti ceceni e sulla necessità per la Russia di recuperare il proprio ruolo di grande potenza.
I cd. “siloviki”, cioè i membri delle strutture di forza (il termine deriva dal russo “sila”), rappresentano secondo i calcoli di alcuni analisti (Hérodote, 2/2005) circa il 26% dell’amministrazione putiniana (addirittura il 50% se ci si riferisce al solo staff presidenziale), con una massiccia presenza soprattutto nei ministeri a vocazione economica.
Malgrado questi numeri, Vladimir Putin ha sempre mantenuto un forte controllo sulle loro prerogative e pur a fatica ha comunque superato le numerose ritrosie della lobby militare alle sue decisioni politiche, in particolare la contrarietà all’apparente riallineamento di Mosca verso gli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.
Dall’affondamento del Kursk fino alla strage di Beslan, il Presidente russo non ha mai esitato ad esautorare quegli ufficiali che contravvenivano alle sue decisioni o che avevano dimostrato scarsa affidabilità, come nel caso del comandante di stato maggiore, il generale A. Kvachnin.
Putin non persegue dunque una logica di casta o d’istituzione ma una visione personale, secondo la quale bisogna imporre il suo potere grazie a uomini sicuri, restituendo altresì alla Russia il ruolo da grande potenza che le spetta.
Questo spiega anche il notevole rafforzamento del Centro nei rapporti con le varie regioni della Federazione russa, troppo spesso indifese di fronte alla corruzione dei capi locali.
A causa dell’enorme frammentazione e della forte concorrenza che caratterizza le Forze Armate, Mosca sembra così immune dal pericolo di un possibile colpo di Stato dei militari, che necessiterebbe di un’intesa strategica sia sulla loro sorte sia sul futuro della nazione.
Il pericolo maggiore per Putin risiede invece nella resistenza operata da alcune strutture dei “siloviki”, che temono ogni ristrutturazione volta a mettere in pericolo la propria situazione personale e gli antichi privilegi.
Un ostacolo che egli sembra comunque in grado di superare.

Stefano Vernole