La parola “concorrenza” è moneta spesa con sempre maggiore disinvoltura in Italia. Non passa giorno che non vengano accesi ceri, che non si straccino vesti, perché le strette maglie corporative che avvolgono il nostro Paese s’allentino. Finalmente la necessità di maggiore competizione s’è radicata nel dibattito politico, come una freccia dall’arco scocca vola veloce di bocca in bocca, planando sulle labbra più insospettabili. Tutti sembrano essersi convertiti alla religione della concorrenza. La notizia dovrebbe rallegrare per primi noi adepti di più lungo corso. Se non fosse per una piccola, italianissima contraddizione. Mentre si dà fiato alle trombe, e ci si sfrega le mani pregustando i frutti di una più concorrenza in questo o quel settore, il nostro Parlamento continua imperterrito a sfornare norme che la competizione non solo non la tutelano, ma la ostacolano.

Non solo le barriere di ieri restano in piedi. Se ne fabbricano di nuove. Un piccolo esempio: la riforma del condominio, su cui il Parlamento rimetterà le mani ora, con la conclusione della pausa estiva, prevede la nascita di un “Elenco pubblico degli amministratori di condominio”, presso le Camere di Commercio. Come abbiamo fatto, noi tutti proprietari o inquilini, a farne senza fino ad oggi, è un bel mistero. All’elenco dovrà iscriversi chiunque ambisca ad amministrare un condominio. Inclusi quei semplici condomini che si limitano a prendersi cura del proprio. I quali dovranno corrispondere un diritto di segreteria che garantisca le spese di gestioni dell’elenco. Cioè: prima mi inserite in un “elenco” di cui io non sento il bisogno, poi mi presentate il conto.

Di per sé, questa norma è tristemente destinata a passare inosservata. E che sarà mai, un “elenco” in più? Ma attenzione. Da una parte, pone in essere un nuovo ente para-pubblico, le cui spese vengono riversate prima sugli amministratori e poi, presumibilmente, sugli stessi condomini. Spese che, se conosciamo un poco questo Paese, andranno ad ingrassare col tempo. Dall’altra, però, si mira ad ottenere un obiettivo più ambizioso: la restrizione del numero degli amministratori di condominio, con la sopravvivenza dei soli “professionisti”. Si conta sulla diffidenza per l’iscrizione ad un elenco pubblico, per impedire dolcemente, senza ricorso per ora ad un albo ad hoc, ai condomini di amministrarsi da sé, magari con un amministratore a turno. E’ una barriera all’entrata gelatinosa, occulta.

La libertà di fare amministrare il proprio condominio non è una gran libertà, lo sappiamo. La libertà di amministrarlo senza essere iscritti ad un elenco apposito, neppure. Perché negarcele, però? Dove sta il beneficio? E perché, soprattutto, limitare una professione, preparandosi così al fenomeno familiare che segue alla limitazione dell’offerta, ovvero l’aumento dei costi per i fruitori di un servizio?

La concorrenza non è un’ideologia. E’ una gara dove, se si vuole che vincano i migliori, bisogna lasciare che chiunque possa e voglia scenda in campo. E’ bello sentirla rimbombare nei discorsi di uomini di Stato e condottieri d’impresa, ci dà l’illusione di esserlo davvero, un Paese normale. Poi uno inciampa sull’elenco pubblico degli amministratori di condominio, e che dire?

da Il Tempo, 6 settembre 2005

di Alberto Mingardi