Alfred Métraux
MAGIA E STREGONERIA
Molti haitiani, nel loro desiderio di lavare il vodu dalle imputazioni delle quali è stato spesso tacciato, si oppongono vigorosamente al culto dei loa e alla magia. Tale distinzione è valida solo se si attribuisce alla parola «magia» il senso restrittivo di magia nera o stregoneria. In altri termini: il voduista considera come «magico» ogni rito compiuto con intenzione malvagia, con o senza il concorso dei loa. Questo criterio, essenzialmente morale, non potrebbe essere adottato qui; noi consideriamo magica qualsiasi manipolazione di forze occulte, qualsiasi utilizzazione delle virtù o proprietà immanenti alle cose o agli esseri, qualsiasi tecnica attraverso la quale il mondo soprannaturale si lascia dominare, regolare c utilizzare a fini personali. Presa in questo senso, la magia è inestricabilmente mischiata a quello che ci si ostina a definire «religione vodu». Le pubbliche cerimonie di omaggio agli dèi comportano sempre elementi che rivelano magia che né preghiere, né offerte, né sacrifici riescono a mascherare. Reciprocamente, la magia prende in prestito dalla religione tradizionale una parte del rituale e si colloca sotto l’invocazione dei loa. Infatti numerosi loa venerati nei santuari più «puri» hanno la funzione di vigilare sull’efficacia dei riti magici. La formula «Petro è magia», cara agli hungan, significa semplicemente che le arti magiche appartengono particolarmente a questa categoria di spiriti.
Il gran maestro degli incantesimi e dei sortilegi è Legba- petro, invocato sotto il nome di Padron Crocicchio o semplicemente «Crocicchio». In effetti gli incroci stradali sono abituale teatro dei «lavori» dei maghi; le manciate di terra ivi prelevate entrano come ingredienti in una quantità di incantesimi, malefici o benefici. Alcuni loa, ad esempio i Simbi, favoriscono la magia bianca; altri proteggono e aiutano gli stregoni. I riti di magia, in virtù delle leggi della magia imitativa, dovrebbero agire meccanicamente. Ma sono efficaci solo se, preventivamente, ci si è accattivati Padron dei Cimiteri Barone-Sabato: il più potente stregone non potrebbe uccidere la propria vittima se Barone non ne avesse «tracciato il contorno della tomba». La medicina praticata dagli hungan partecipa di questa ambiguità. Un «trattamento» comporta generalmente interminabili preghiere, appelli agli spiriti protettori, offerte e sacrifici, tutte azioni la cui natura è eminentemente «religiosa»; mentre viceversa la cura propriamente detta, con il suo rituale simbolico, le prescrizioni complicate, i riti d’eliminazione, appartiene alla magia più banale.
Come nessuna frontiera precisa potrebbe essere tracciata tra ciò che è religioso e ciò che è magico, così il ruolo del prete difficilmente si distingue da quello del mago, anzi persino dello stregone. Il boko, o stregone, altri non è se non un hungan che «serve con le due mani», un «negro mazi- maza» (uomo dalla doppia faccia) che in apparenza svolge le sue mansioni sacerdotali, ma che non esita, se gli conviene, a ricorrere a dei «loa comprati». Spinto dall’istinto del lucro, favorisce, con procedimenti illeciti, la cupidigia dei suoi clienti e persino le loro vendette personali. Gli hungan degni di questo nome conoscono tutte le tecniche della stregoneria, in quanto sono costantemente chiamati a sventarle, ma, per onestà, si astengono dall’impiegarle. Non si allontanano da questa linea di condotta che per proteggere un cliente minacciato da uno stregone o smascherare un criminale. L’hungan che strega un ladro o un assassino non incorre nella riprovazione che invece colpisce il collega che, con gli stessi mezzi, fa perire un innocente. In conclusione, non sono tanto le «conoscenze» e la natura delle funzioni che differenziano l'hungan dallo stregone, quanto l’uso che egli ne fa. Un hungan è «come un emporio: contiene un mucchio di mercanzie... ». [1]
Haiti merita dunque il titolo di « isola magica » che Seabrook le ha attribuito, non a causa del suo fascino di terra tropicale, ma perché era, ai suoi occhi, il paese degli stregoni e degli spiriti? Le storie di morte e sangue raccolte da questo scrittore mal s’accordano con l’allegria e la gentilezza del contadino haitiano, col suo acuto senso del comico e il suo gusto per lo scherzo. Seabrook però non ha inventato nulla. Le scene di magia nera che ha descritto con tanta vivacità, le morti misteriose, l’inquietante mondo dei boko, dei lupi mannari e degli zombi che rievoca, sono tratti da racconti assolutamente normali, che si sentono ancora oggi, nelle campagne e nei quartieri popolari di Port-au-Prince. Seabrook ha attinto a piene mani da un folklore che, sull’argomento, è di una ricchezza sconcertante. Ma credenze e pratiche «folkloristiche» non sono sempre forme gentili di superstizione. Per innumerevoli persone sono fonte di serie inquietudini e causa di grandi spese; seminano discordia tra parenti e vicini, alimentano odi tenaci che a volte sfociano nell’omicidio. L’uomo del popolo è persuaso dell’efficacia della magia. È anche convinto che, tra la gente che frequenta, molti conducano una doppia esistenza, una normale e pacifica, l’altra criminale e demoniaca. La profonda insicurezza, che è il destino della maggior parte dei contadini e degli operai, li predispone a praticare la magia e a credersi preda di forze occulte. Sin dalla più tenera età l’haitiano ha inteso parlare di lupi mannari, di stregoni e di spiriti maligni. Ne deriva in tutta la società haitiana un certo malessere e una tendenza a dare credito alle storie più stravaganti; ci si esime dal cedervi completamente, ma ci si chiede se, dietro a tutte quelle diavolerie, non ci siano vecchi «segreti africani» che permetterebbero agli hungan e ai boko di sfidare la nostra povera scienza. Abbandonato a se stesso, privo di grandi possibilità d’istruirsi o d’allargare il proprio orizzonte, il contadino rimane confinato in un mondo dove forze mistiche intervengono a ogni istante.
Bisogna guardarsi dall'immaginare tutti gli «abitanti» sul tipo del primitivo ossessionato dalla magia. Molti di essi oppongono a queste credenze se non un atteggiamento scettico almeno una sana indifferenza. Non negano l’esistenza dei sortilegi, ma non se ne preoccupano oltre misura. Disgraziatamente, la società rurale non manca di nevrotici, o semplicemente di spiriti inquieti e malinconici, sempre pronti a insinuare che una malattia non è data dal « buon Dio », che intorno a un incidente vi sono circostanze sospette e che un decesso si è prodotto in condizioni anormali. Sono costoro che, con le allusioni alla «gente cattiva», approfittano dell’inquietudine o dell’angoscia per seminare il dubbio e risvegliare i più assurdi sospetti. Chi è stato colpito dalla disgrazia presta un orecchio troppo attento a discorsi del genere. Non è forse il dolore più sopportabile quando si trasforma in odio? Nella vita quotidiana, la minaccia di incantesimi, sortilegi o fatture non è che una preoccupazione aggiunta a quelle create dalla siccità o dal prezzo delle banane e del caffè. Almeno la magia ha il vantaggio di essere un male contro il quale l’uomo non è interamente impotente. Ci se ne può proteggere con amuleti, con «droghe», con «gradi» e anche confidandosi ai loa. Questi vegliano sul servo fedele e l’avvertono se qualcuno ha fatto «una cattiveria» (un sortilegio) ai suoi danni. La magia ha proliferato ad Haiti un po’ come le erbacce in una radura tropicale.
Sino alla riforma del codice penale (1953), la pratica della magia era punita in virtù dell’articolo 405, redatto come segue: «Chiunque faccia uangas, caprelatas, vaudux, compèdre, macandale o altri sortilegi, sarà punito con la reclusione da tre a sei mesi e con una ammenda da sessanta a centocinquanta piastre. Ogni danza o qualunque altra pratica di natura a tenere vivo nella popolazione lo spirito di feticismo e di superstizione, sarà considerata come un sortilegio e punita con le medesime pene». II secondo paragrafo di questo testo, che data dal 1864, è sovente stato invocato contro la pratica del vodu ma, nello spirito dei redattori, è evidentemente alla stregoneria che mira. Dopo l’epoca coloniale si è esagerato il numero e la potenza occulta dei maghi. Ma è fuor di dubbio che ancora oggi molta gente ad Haiti è dedita alla magia nera e vi è incoraggiata da autentici professionisti di tale arte. I sortilegi che si vedono ai quadrivi, le tracce di misteriose cerimonie che si scoprono nei cimiteri, i passaporti clandestini, gli oggetti sequestrati negli humfò durante la campagna antisuperstizione e, ogni tanto, strani e inesplicabili delitti, provano che, anche se numerose storie d’incantesimi e avvelenamenti sono prodotti di immaginazioni morbose, tuttavia la pratica della magia nera esiste.
1. Herskovits, Life in a haitan valley pag. 222
Alfred Métraux, Il vodu haitiano (Einaudi, pag. 267 e seguenti)