http://www.avvenireonline.it/Approfo...i/20040413.htm
Intervista al Rabbino Rosen (13 aprile 2004)
«A me rabbino ha detto: sei la mia radice»
di Giorgio Bernardelli
Inizierà ufficialmente il suo ministero proprio mentre il mondo ebraico celebra Pesah, la Pasqua. Ed è una coincidenza che il biglietto inviato ieri al Rabbino capo di Roma ha reso ancora più significativa. Anche da Gerusalemme si guarda con grande attenzione ai primi passi di Benedetto XVI. Ce lo conferma rabbi David Rosen, uno dei protagonisti del dialogo tra il Vaticano e i «fratelli maggiori» incoraggiato in questi anni da Giovanni Paolo II. «Conoscete il detto – scherza –: se hai due ebrei ci sono tre opinioni... Generalmente parlando, però, la reazione del mondo ebraico è positiva perché gli atteggiamenti di Benedetto XVI nella promozione del dialogo e le sue condanne dell’antisemitismo sono state sempre molto chiare. Ci si aspetta che vada avanti nella direzione indicata da Giovanni Paolo II».
Ha dei ricordi personali del nuovo Papa?
L’ho incontrato tante volte. La prima fu quindici anni fa, l’ultima ad Assisi nel 2002, in occasione della giornata di preghiera per la pace. Nel febbraio 1994, poi, poche settimane dopo la firma dell’accordo che ha reso possibili relazioni diplomatiche piene tra il Vaticano e la Santa Sede, organizzammo un congresso qui a Gerusalemme con la presenza di 600 leader cristiani ed ebrei di tutto il mondo. Fu proprio l’allora cardinale Ratzinger a tenere l’intervento principale. Ricordo perfettamente le sue prime parole: la storia delle relazioni tra cattolici ed ebrei – disse – è piena di lacrime e sangue. Il buio ha avuto il suo momento culminante ad Auschwitz. Ma quel momento – aggiunse subito – ha reso la riconciliazione e il ristabilimento di buone relazioni tra di noi più urgente che mai.
Che cosa deve al teologo Ratzinger il dialogo ebraico-cristiano?
Per il dialogo tra cattolici ed ebrei uno dei documenti recenti più importanti è stato quello pubblicato nel 2001 dalla Pontificia Commissione biblica con il titolo «Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana». Fu proprio Ratzinger a dare l’imprimatur a quel testo e a stendere un’introduzione molto significativa. È un documento che sottolinea la centralità del popolo ebraico e delle sue Scritture per il cristianesimo. Ma ha anche un passaggio molto interessante sulla nostra convinzione che il Messia non sia ancora venuto. La descrive come parte essa stessa del piano divino per la salvezza dell’uomo: l’attesa ebraica, si dice, ricorda come il mondo non sia stato ancora pienamente redento. È un’idea affascinante. Non dimentichiamo che una delle maggiori accuse che in passato i cristiani hanno rivolto a noi ebrei è stata il fatto di non aver riconosciuto il vero Messia. Era diventata una giustificazione per atti terribili. Ora, nel documento della Pontificia Commissione biblica, questo stesso atteggiamento è interpretato come qualcosa di positivo. Significa che la grande trasformazione teologica ormai è avvenuta.
L’allora cardinale Ratzinger, però, nel 2000 firmò anche la dichiarazione «Dominus Iesus» che fu contestata duramente da alcune voci ebraiche.
È vero, ci furono reazioni negative. Però bisogna anche ricordare che in seguito proprio lui pubblicò un articolo sull’Osservatore Romano riguardo alla comune eredità di Abramo nostro padre. In quel testo diceva chiaramente che nella Dominus Iesus si affrontava il tema del rapporto con le altre fedi. E siccome l’ebraismo sta alla radice della fede cristiana, non rientra nella stessa categoria. Anche questa è un’affermazione molto interessante. Già quando lo incontrai la prima volta, quindici anni fa, dialogammo a lungo sulla teologia. E a un certo punto mi disse: «Tutto ciò che ha un significato religioso per te, lo ha anche per me, perché tu sei la mia radice».
Quali ulteriori passi il dialogo ebraico-cristiano potrebbe compiere sotto papa Benedetto XVI?
Come ho detto, non credo ci siano grandi questioni teologiche ancora da affrontare. Penso anche che sulla Shoah noi ebrei non dobbiamo aspettarci passi in avanti rispetto al documento del 1998 «Noi ricordiamo». Rimarrà anche il giudizio diverso rispetto a Pio XII. Ragionando in termini realistici, dunque, la mia speranza maggiore è che Benedetto XVI invii ai cattolici un’istruzione in cui si dica che gli insegnamenti di Nostra Aetate e tutto ciò che ne consegue devono essere parte integrante dell’educazione di ogni cattolico e in maniera speciale della formazione dei sacerdoti. Perché dove ci sono comunità ebraiche che vivono accanto a comunità cattoliche, l’interiorizzazione del nuovo atteggiamento è facile. Ma dove ci sono solo grandi comunità cattoliche (penso all’America Latina, all’Africa o a certe zone dell’Asia) molti cattolici non sanno neppure che cosa sia la Nostra Aetate.
Appena eletto Benedetto XVI ha risposto con un messaggio all’augurio espresso dalla Comunità ebraica di Roma.
È stato un gesto molto bello. Anche i giovani ne hanno capito subito la portata. Tra l’altro inizia con la benedizione che utilizziamo ogni giorno nella nostra liturgia. Penso sia una dimostrazione della sua familiarità con noi. Già queste parole dicono il desiderio di valorizzare la nostra comune radice.
Dopo Montini e Wojtyla si aspetta che anche Papa Ratzinger venga in visita a Gerusalemme?
Non sono profeta, né figlio di profeta. Ma spero di sì.