Nelle intercettazioni telefoniche di Giovanni Consorte, patron dell’Unipol, pubblicate con una tempestività ormai non più sorprendente dal Corriere della Sera, si evince quello che già tutti sapevano: tra il mondo della finanza e quello della politica si intreccia un reticolo di rapporti e di familiarità assai denso e corposo.
Era prevedibile che tale intreccio – con relativo accenno agli omissis – sarebbe stato portato alla luce nel corso della battaglia che si sta combattendo e nella quale i propalatori di intercettazioni vogliono esercitare una regia neppure troppo occulta. E infatti è avvenuto.
In realtà il fatto che chi tenta un’operazione finanziaria complessa, i cui interlocutori sono spesso soggetti istituzionali, cerchi un qualche sostegno nell’ambito della politica, non dovrebbe scandalizzare più di tanto.
L’idea che il mondo degli interessi e quello delle questioni pubbliche siano separati da una specie di frontiera invalicabile, se non è ingenua, è ipocrita.
In altri paesi queste relazioni sono istituzionalizzate attraverso il riconoscimento formale delle lobby, che hanno appunto la funzione di informare il mondo politico degli interessi dei vari gruppi imprenditoriali e viceversa.
In sostanza lì si riconosce un dato della realtà, cioè che l’interesse generale non è il contrario degli interessi particolari, ma è la risultante dei loro conflitti.
Da noi, invece, si continua a esibire la retorica di una politica estranea agli interessi e volta solo alla ricerca di un illusorio
“bene comune”, come se questo fosse un dato assoluto e obiettivo, e non fosse invece soggetto a interpretazioni contrastanti, che sono poi la base della competizione tra formazioni e programmi politici alternativi.
E’ per corrispondere a questa visione moralistica di una politica estranea agli interessi reali, cioè alla realtà, che ora nel centrosinistra si è riaperta la “questione morale”, con tanto di proposizione di un “codice etico”, che vada oltre quelli penale e civile.
In una situazione in cui esponenti di quasi tutti i partiti, e segnatamente di quelli di centrosinistra, sono implicati nel reticolo di relazioni (lecite) tra economia e politica, com’è ampiamente confermato dalle conversazioni telefoniche di Consorte, questo codice etico ha solo il senso di un modestissimo espediente propagandistico.
La grande idea moralizzatrice di Romano Prodi, insomma, sembra ridursi a un brodino, alimento adatto al gruppetto di ottuagenari che gliel’ha chiesto.

Ferrara su il Foglio

saluti