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Come nel film “E’ già ieri” di Antonio Albanese, che ogni giorno rivive quello precedente, riparte il dibattito sul concorso esterno in associazione mafiosa. Un reato che non dà fastidio a nessuno finchè non ne viene accusato qualcuno: a quel punto si comincia a discutere di abolirlo o di riformarlo. Era già accaduto quando furono indagati i vari Andreotti, Carnevale, Mannino, Contrada. Ora siamo all’ennesimo replay mentre si riaprono le indagini su Berlusconi e si chiude il processo d’appello a Dell’Utri. Secondo Il Foglio, il concorso esterno “è un reato surreale” e “va soppresso” perché “serve a una magistratura faziosa” per “processare chiunque sulla base di un flatus vocis”. Sul Giornale di famiglia Paolo Granzotto parla di “mostruosità giuridica che non compare nel nostro Codice penale e in nessun altro codice penale al mondo, nemmeno in quello della Cambogia di Pol Pot e dell’Uganda di Idi Amin Dada”, perché consente di processare la gente per “un caffè al bar”. Dotte disquisizioni accompagnate con omaggi postumi a Falcone e Borsellino, che mai avrebbero fatto ricorso a quest’obbrobrio.

Si attende ad horas l’editoriale di un “terzista”, uno a caso, del Corriere della sera che sdogani l’idea fuori del partito azienda col contributo di qualche “garantista” del Pd. Tutte posizioni legittime, ci mancherebbe. Purchè si lascino in pace Falcone e Borsellino, primi sostenitori del concorso esterno come l’unica arma contro le collusioni dei colletti bianchi che, pur non facendo parte organica della mafia, le hanno garantito lunga vita. I due giudici lo scrissero nero su bianco - plasmando la figura giuridica del concorso esterno (già presente in alcune sentenze della Cassazione di metà 800 sul brigantaggio) - nella sentenza-ordinanza del processo “maxi-ter” a Cosa Nostra il 17 luglio 1987: “Manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono - eventualmente - realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili - a titolo concorsuale - nel delitto di associazione mafiosa. Proprio questa ‘convergenza di interessi’ col potere mafioso… costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa Nostra e della sua natura di contropotere, nonché,correlativamente,delle difficoltà incontrate nel reprimerne le manifestazioni criminali”. Del resto fu proprio Falcone a definire i delitti Mattarella, Dalla Chiesa e La Torreomicidi in cui si realizza una singolare convergenza di interessi mafiosi e di oscuri interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica, fatti che presuppongono un retroterra di segreti e inquietanti collegamenti che vanno ben al di là della mera contiguità e debbono essere individuati e colpiti se si vuole davvero voltare pagina”. Oggi per molto meno verrebbe accusato di colpo di Stato e guerra civile. La mafia gli ha risparmiato l’estremo oltraggio.



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