Concorrenza e farmaci, si può dare di più
Stefano Capri
L’introduzione di elementi di concorrenza in sanità è irta di difficoltà, in quanto l’efficienza economica va perseguita tenendo conto dell’equità. È per questo che il mercato con le sue consuete regole offre un’assistenza sanitaria ottima per pochi negli Stati Uniti, mentre la sua assenza permette una sanità sufficientemente buona per tutti in Italia. Ma i margini per recuperare efficienza esistono e vanno sfruttati anche nel nostro paese. L’ambito dei farmaci non rimborsati dal Servizio sanitario nazionale è uno di questi.
La spesa dei cittadini per i farmaci
A partire dalla metà degli anni Novanta la spesa a carico dei cittadini per i farmaci ha avuto un andamento in crescita, come effetto in parte delle politiche di contenimento della spesa farmaceutica pubblica e in parte delle abitudini di consumo. La spesa pubblica per i farmaci è aumentata del 55 per cento da circa 9mila miliardi di euro del 1992 ai 14mila miliardi di euro del 2004, mentre la spesa privata (escluso i ticket) è aumentata del 155 per cento, passando da circa 2mila miliardi di euro nel 1992 a circa 5.100 miliardi di euro nel 2004. Sensibile è stato l’aumento negli ultimi anni.
Il decreto "sconti in farmacia"
Il ministro della Salute Francesco Storace ha autorizzato i farmacisti ad applicare uno sconto fino al 20 per cento sui prezzi dei farmaci non rimborsati, cioè di fascia C, e nello stesso tempo ne ha bloccato i prezzi per due anni. È una misura che va nella giusta direzione, ma insufficiente e per certi versi contraddittoria, oltreché in ritardo.
Forse pochi ricordano che già nel novembre del 1997, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, presieduta da Giuliano Amato, aveva pubblicato "L’indagine conoscitiva nel settore farmaceutico", dove si rilevava l’esistenza di alcuni ostacoli che impedivano la concorrenza nei mercati farmaceutici, non giustificati dall’interesse generale.
Poiché queste categorie di farmaci sono pagate direttamente dal cittadino, l’applicazione di regole di concorrenza non può che beneficiare i consumatori, senza alcun rischio di vederne diminuita l’equità all’accesso. Poiché possono praticare uno sconto, i farmacisti spingeranno alla concorrenza i distributori (i grossisti), i quali saranno interessati a offrire a prezzi più bassi il loro servizio pur di avere numerose farmacie come clienti. Non solo, ma questa liberalizzazione alla fine della catena distributiva del farmaco, avrà effetti anche sui comportamenti dei produttori. Non potendo più contare sul prezzo fisso al consumo, le imprese farmaceutiche saranno scoraggiate dall’attuare comportamenti collusivi, in quanto verrà meno la certezza della stima di fatturato calcolata come prezzo per volumi (se i prezzi variano nel territorio, è più forte la concorrenza anche tra i produttori).
Una manovra a metà strada
Tuttavia, perché la manovra è limitata a una sola parte dei farmaci non rimborsati, quelli senza obbligo di prescrizione (Sop) e quelli da banco (Otc, dall’inglese "over the counter")? Non si conoscono ragioni razionali per questa scelta, che lascia fuori dal provvedimento i farmaci con obbligo di prescrizione, oltre il 60 per cento di quelli in fascia C. Si riduce così il possibile beneficio per i consumatori ad almeno la metà degli oltre 800 milioni di euro all’anno promessi dal ministro. La spesa per i farmaci ai quali si potrà applicare uno sconto ammontava nel 2004 a 2.040 milioni di euro, mentre quella per i farmaci esclusi dal decreto Storace è stata di 3.035 milioni di euro.
Per quanto riguarda il blocco dei prezzi per due anni, vale a dire la possibilità di fissare liberamente i prezzi dei farmaci in fascia C solamente una volta ogni ventiquattro mesi, è una misura fortemente limitativa del mercato, e probabilmente avrà effetti negativi in futuro: le imprese farmaceutiche saranno indotte ad aumenti di prezzo in proporzioni inadeguate alle condizioni del mercato per poter recuperare i mancati guadagni.
Bloccati dagli interessi corporativi?
Se si volessero perseguire coerentemente politiche di deregulation nel settore farmaceutico, sarebbe auspicabile il ricorso a tutti gli strumenti a disposizione del legislatore. Ad esempio, per rafforzare la concorrenza fra i punti di vendita dei farmaci e di conseguenza aumentare il risparmio per le tasche dei cittadini, andrebbe finalmente concessa la vendita dei farmaci senza obbligo di prescrizione e da banco al di fuori delle farmacie, in alcune tipologie di supermercati e centri commerciali. Ma anche questo era già stato proposto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nelle conclusioni di un’indagine conoscitiva sugli ordini professionali.
Rimane difficile immaginare una crescita dell’efficienza e dell’equità del nostro sistema economico se non si inizierà a smantellare gli interessi delle tante corporazioni che sottraggono risorse al paese a vantaggio delle rendite private.