Avvenire, 12-07-2005
Intervista
Parla Rémi Brague, filosofo e islamista: «Seguendo il Corano si può anche arrivare agli attentati»
Europa, quale islam?
«Noi non siamo affatto in cerca di identità:ne abbiamo già una, dobbiamo solo riaffermarla»
Da Parigi Daniele Zappalà
Le stragi di Madrid e Londra, i dubbi attorno a una Carta Ue spesso giudicata economicista o laicista, la difesa della vita contro i nuovi scientismi. Fenomeni diversi, diversissimi. Ma che interrogano con forza e allo stesso tempo l'idea di Europa che abbiamo già o a cui cerchiamo di approdare. Ne parliamo col filosofo e storico francese Rémi Brague, la cui lunga ricerca intellettuale ha focalizzato le invarianti e il "nuovo" del Vecchio continente.
Professor Brague, la minaccia terrorista - soprattutto quella islamista - può influenzare l'identità europea?
«Solo indirettamente. E spero che gli europei non si contenteranno di ripetere, come si fa sempre: "non facciamo confusione fra gli immigrati musulmani, pacifici nella loro grande maggioranza, e gli islamisti". Questo è vero, ma non basta. Spero che gli europei prenderanno coscienza del fatto che le fonti dell'islam (Corano, Hadith, Vita di Maometto) purtroppo contengono, anche se la maggioranza dei musulmani non lo sa, tutto ciò che occorre per giustificare questi attentati. E che questo islam originario è assolutamente incompatibile con il progetto europeo. Occorre una riforma dell'islam dall'interno».
L'Europa, si dice spesso, è alla ricerca di un'identità. Condivide?
«Non amo troppo l'espressione. L'identità, la si possiede già, la si è ricevuta. Se si cerca un'identità, il rischio è di rappezzarsene una con ogni pezzo a disposizione. Cominciamo a fare l'inventario di ciò che abbiamo già. E soprattutto sforziamoci per appropriarcene».
Le idee di persona e di integrità della persona sono dei punti salienti dell'identità europea?
«Salienti, certo, ma non fondamentali. Nel senso che queste idee si fondano su credenze di base. Ad esempio, l'idea che la nostra esistenza sulla terra è unica. Se si crede alla reincarnazione, la persona non è che il riflesso passeggero della continuità profonda dell'anima, e ciò che sono è la conseguenza di ciò che sono stato. Ho dunque meritato tutto ciò che mi capita, e non serve aiutarmi se soffro: impedire di espiare la mia vita sarebbe ostacolarmi per quella successiva. Altro esempio: l'idea secondo la quale le persone sono uguali malgrado i loro diversi talenti e atteggiamenti. Essa suppone uno sguardo che va al di là di tutte queste differenze. Non vedo come potrebbe essere cosa diversa dallo sguardo di Dio. Senza queste credenze, le idee molto nobili vagano in aria. Non si può a lungo attingere dal pozzo senza nominare ciò che le fonda».
In proposito, che sguardo porta sul mancato riferimento alle radici cristiane nella Carta Ue?
«Sono molto preoccupato. A rischio di fare della storia, occorreva chiamare le cose col loro nome, e nominare il giudaismo e il cristianesimo. Non se ne è parlato per ragioni "magiche": si voleva esorcizzare il cristianesimo facendo come se non esistesse. Ciò mi fa paura, perché riscrivere il passato è tipico dell'ideologia. Si pensi a 1984 di Orwell…».
Crede che i sostenitori della laicità alla francese che ha ispirato la Carta Ue mantengono la tentazione di espellere il fatto religioso dalla vita sociale?
«Certo!».
Si vuole fare l'Europa attraverso un motore economico. Perché, invece, si crede così poco a "motori culturali" come l'insegnamento della storia europea, la creazione di media transnazionali, l'insistenza sulle lingue?
«L'idea di far avanzare l'Europa attraverso la cultura torna frequentemente. Vi sono tentativi concreti come il programma Erasmus. Non il dibattito sterile sull'identità europea. Io stesso sono felice di poter insegnare a Parigi e a Monaco di Baviera. Occorre ancora di più e gli esempi citati sono buoni. Quanto alle lingue, occorrerebbe fare dell'inglese la seconda lingua straniera obbligatoria, dunque dopo un'altra che si potrebbe scegliere a piacimento. E dare a tutti coloro che parlano una lingua neolatina conoscenze sufficienti sulle altre perché possano almeno comprenderle passivamente».
L'insistenza sul volano economico può comportare rischi nella ricerca di un f utura dimensione europea comune?
«L'economia non è meno nobile della cultura. A condizione che la razionalizzazione della produzione dei beni non sia separata dalla loro equa ripartizione. Come detto, occorre far attenzione quando si parla di "valori". Facciamo un esperimento: smettiamo di chiamare "valori" la famiglia, lo Stato di diritto, ecc. Utilizziamo la vecchia parola molto semplice di "beni". Tutto cambia. Si smette così di opporre i singoli valori e le altre cose buone: merci, garanzie sociali, raffinatezza dei costumi. Al posto dei valori che un soggetto decide di porre, abbiamo dei beni che brillano da soli e che ci illuminano. Al posto di avvertire i valori come un pesante "super-io", godiamo dei beni, lasciamoci nutrire da essi e assimiliamoci ad essi. Al posto di avere ciò per cui occorre morire, prendiamo ciò che fa vivere».
Anche in Europa, le biotecnologie investono il campo della vita umana, oltre che animale e vegetale. I popoli europei chiedono principi etici, come è accaduto col referendum italiano. L'inizio di un nuovo umanesimo europeo "dal basso"?
«Non sono un profeta, non mi chieda presentimenti. Ma lo spero, e questo referendum è un buon segno. Ma attenzione! Non occorre collocarsi troppo in basso e confondere la difesa dell'ambiente con il rispetto della persona, la vita umana con quella animale e vegetale».
Una nuova unità dell'Europa sprovvista di una forte dimensione spirituale è pensabile?
«Sfortunatamente sì! Ma sarebbe ancora l'Europa?»