LA POLEMICA
Dopo 40 anni e nonostante i tanti libri usciti, il maggior evento cattolico del Novecento non ha ancora trovato una ricostruzione davvero obiettiva
Vaticano II: quando lo storico non concilia
Ruini: serve una cronaca «in positivo», che non presenti quelle assise come una rottura col passato E il vescovo Marchetto firma una raccolta che fa «contrappunto» all'opera diretta da Alberigo
Di Gian Maria Vian
Quarant'anni dopo la chiusura del Vaticano II, è ancora da scrivere una storia del più grande avvenimento religioso del Novecento al di sopra delle parti. I libri e gli studi pubblicati finora sono ovviamente numerosissimi: diverse centinaia i volumi, molte migliaia i contributi in riviste scientifiche. E se in questa bibliografia non mancano le storie complessive della straordinaria assemblea celebrata dal 1962 al 1965, nessuna di esse può tuttavia essere paragonata a quello che forse è il più riconosciuto modello storiografico in questo ambito, cioè la ricostruzione del concilio di Trento (1545-1563) del grande storico tedesco Hubert Jedin (1900-1980), uscita tra il 1949 e il 1975 e pubblicata in Italia (Morcelliana) in 5 volumi.
A parlare nuovamente di storiografia relativa al Vaticano II - tema molto dibattuto negli ultimi anni e non solo tra gli specialisti - sono stati venerdì a Roma il cardinale vicario Camillo Ruini, il presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche Walter Brandmüller, il senatore Francesco Cossiga e lo storico Andrea Riccardi, tutti concordi nel riconoscere che manca una storia dell'ultimo concilio. Occasione dell'incontro in Campidoglio è stata la presentazione di un volume di Agostino Marchetto (Il Concilio Ecumenico Vaticano II, Libreria Editrice Vaticana, pp. 407, 35 euro): che non è naturalmente la storia mancante, ma un «contrappunto per la sua storia» attraverso 52 contributi - quasi sempre recensioni - pubblicati tra il 1989 e il 2003, più sei inediti. E la raccolta risulta vivace, ricchissima d'informazioni, puntuta.
L'autore, canonista e storico di formazione - allievo di Michele Maccarrone e molto vicino a Romana Guarnieri, la studiosa erede di Giuseppe De Luca scomparsa nel 2004 - ha studiato soprattutto la storia del primato romano, esercitandosi nel genere letterario delle recensioni critiche, come quelle raccolte nel 2002 nel monumentale Chiesa e Papato nella storia e nel diritto (Libr eria Editrice Vaticana): scritti brevi, più congeniali a un ecclesiastico che alla storia non è mai riuscito a dedicarsi a tempo pieno, in quanto prima diplomatico al servizio della Santa Sede e ora arcivescovo segretario del dicastero vaticano che si occupa dell'emigrazione.
Ma perché questo volume è un «contrappunto»? A spiegarlo con chiarezza è stato soprattutto il cardinale Ruini, perché l'autore di questa raccolta si è contrapposto ai 5 volumi della Storia del concilio Vaticano II (1965-2001) diretta da Giuseppe Alberigo e curata in Italia per il Mulino da Alberto Melloni, opera certo importante ma che, sia pure «in modo un po' scherzoso», è paragonabile a quella scritta dal servita Paolo Sarpi sul concilio di Trento e pubblicata a Londra nel 1619: cioè una ricostruzione brillante e di parte. A questa rispose il gesuita Pietro Sforza Pallavicino con una Istoria (1636-1637), molto più documentata ma non meno appassionata e parziale, evocata con un filo d'ironia da Brandmüller, convinto però che per arrivare a uno Jedin del Vaticano II non si dovrà aspettare tre secoli.
E di una storia «in positivo» dell'ultimo concilio vi è bisogno, ha insistito Ruini, che ha respinto con nettezza la presentazione del Vaticano II come di una «cesura», novità assoluta che avrebbe rotto con la storia precedente della Chiesa. Una concezione che fu del tutto estranea a chi il concilio volle e convocò - emblematico è in proposito quanto disse Giovanni XXIII aprendo le assise conciliari l'11 ottobre 1962 - come estranea è stata ai suoi successori, da Paolo VI (per esempio nell'importante discorso del 18 novembre 1965) a Giovanni Paolo II. Dei molti testi dedicati al Vaticano II dal pontefice appena scomparso il cardinale vicario ha ricordato l'inizio dell'enciclica Dives in misericordia (1980) e la lettera apostolica (1994) Tertio millennio adveniente (18-23), mentre dell'allora cardinale Ratzinger ha citato i «ricordi» conciliari compres i nello scritto La mia vita (appena ripubblicato da San Paolo), che arriva al 1977, quando il professore che partecipò al concilio come giovane teologo fu nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga e creato cardinale da Paolo VI.
La novità del Vaticano II sta nel ritorno alle fonti bibliche e patristiche - peraltro preparato da una lunga stagione di studi - e nell'attenzione a un «versante antropologico» illuminato dalla cristologia, tema sviluppato nella Gaudium et spes (22) e caro al teologo Ruini. Chiuso poco prima dell'esplosione della contestazione e della lunga crisi dell'ultimo trentennio del Novecento, il concilio non ha ovviamente avuto le preoccupazioni di difendere la Chiesa dalle bufere successive e ha potuto invece «serenamente» riflettere sull'aggiornamento con il quale ha completato il Vaticano I (1869-1870). Preparando così una sintesi futura. Inconsistenti - e nei fatti quasi estinte - sono dunque secondo il cardinale vicario le interpretazioni del Vaticano II come rottura, e quelle che vogliono rintracciarvi contrapposizioni tra un «evento» che supererebbe le «decisioni», se non addirittura tra «spirito» e «lettera» del concilio. Confermando così le critiche che da tempo stanno contrastando ricostruzioni - come quella della «scuola bolognese» che si richiama a Giuseppe Dossetti - senza dubbio importanti e utili ma troppo ideologiche.