Ecco il vero primo passo concreto per combattere questo male..........IL DESIDERIO DI GIOVANNI PAOLO II CHE LUI PER PRIMO LANCIO' COME GESTO CONCRETO INDISPENSABILE...FINALMENTE STA DIVENTANDO REALTA'..........
La decisione di cancellare il debito estero di 18 Paesi
La lotta alla povertà nel mondo passa per le nostre tasche
www.avvenire.it
Gianni Manghetti
La decisione del G8 di cancellare il debito estero - pari a 40 miliardi di dollari - dei 18 Paesi più poveri del mondo, pur non essendo un evento di "portata epocale" come invece indicato con eccessiva enfasi da alcuni membri dello stesso G8, è tuttavia una prima decisione positiva: riconosce che la povertà nel mondo è un problema anche e soprattutto dei Paesi più ricchi. E così, una prima decisione. In effetti, occorre che i Paesi più industrializzati inizino ora ad affrontare, con tutta la coerenza imposta dal suddetto presupposto, le altre tappe necessarie per sradicare realmente la miseria.
Vediamo le principali. Anzitutto, il conseguimento degli obiettivi minimi del Millennium Development Goal: essi prevedono che i Paesi del G8 versino entro il 2015 almeno lo 0,7% del loro Prodotto interno lordo in aiuti ai più poveri. Per l'Italia, in particolare, tale impegno richiederà di quintuplicare nei prossimi anni il proprio apporto, oggi attestato appena ad un misero 0,15%, percentuale che ci relega all'ultimo posto nel mondo tra i cosiddetti Paesi benefattori.
Poi, occorrerà affrontare la questione dell'equità del commercio mondiale con il suo peso ben più schiacciante del debito estero. Qui si gioca, più che sugli afflussi di risorse finanziarie, il destino dei poveri nelle campagne e nelle baraccopoli africane, latino-americane e asiatiche. In effetti, lo sviluppo passa ovunque, ormai e sempre più nel nord come nel sud della Terra, attraverso le esportazioni di ciascun Paese. In particolare, dalle esportazioni di prodotti agricoli nei mercati dei paesi più ricchi dipenderà la vita di centinaia di milioni di contadini del mezzogiorno del mondo.
Un obiettivo, tuttavia, che sta incontrando sulla sua strada enormi ostacoli. Tutti i Paesi industrializzati impongono dazi protettivi sulle importazioni ed erogano consistenti incentivi alle proprie aziende agricole onde consentire loro di sopravvivere e quindi con costi maggiori per i consumatori e per i contribuenti.
Certamente la questione coinvolge il rinnovamento delle nostre aziende agricole, ma non solo: essa tocca, innanzitutto, gli interessi degli occupati (assieme a quelli degli investitori). Forte è il pericolo che una più accesa seppur più equa concorrenza con i Paesi esportatori del Sud aumenti, nel breve periodo, il numero dei nostri disoccupati. Anche dai sindacati, dunque, oltre che dai governi di ogni Paese, viene l'opposizione al commercio equo. Come se ne esce?
Perché occorre uscire da tale circolo vizioso se vogliamo effettivamente dare dignità di vita a tutti gli uomini del mondo. La soluzione è chiara nella sua logica semplicità.
Se tutti accettiamo veramente tale obiettivo come primario, allora tutti dobbiamo caricarcene politicamente e finanziariamente. Ciò implica, si badi bene, addossarsi la sorte dei nuovi disoccupati che si creeranno con il ridimensionamento o finanche con la chiusura delle aziende coinvolte.
In altri termini, è necessario che nel breve periodo quali contribuenti ci si carichi attraverso le imposte di tutti gli oneri conseguenti, nella convinzione che nel medio periodo, quali consumatori, si guadagnerà - grazie ai prezzi più bassi - risorse maggiori di quelle anticipate. Al dunque, questa l'essenza della questione: la fine della povertà nel mondo passa anche dalle nostre tasche o, se si vuole, dai nostri cuori. Ma non è, con ciò, un discorso emotivo, anzi.
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