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  1. #21
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    L’intervento di Angelo Tasca, per la destra del PCd’I, fu insolitamente diplomatico e sostanzialmente schierato con la relazione di Zinoviev, mentre Togliatti (Ercoli) intervenuto il 23 giugno, si trovò invece, su alcuni punti, più vicino a talune formulazioni di Radek. Togliatti era infatti preoccupato di rimarcare le differenze con il Bordiga e, probabilmente, ancor più preoccupato che il Bordiga stesso potesse approffittare della nuova lettura “di sinistra” della tattica internazionale, per rilegittimarsi nel partito italiano, dando battaglia alla nuova direzione “di centro”, che dell’Internazionale Comunista stessa (e non certo ancora della maggioranza dei comunisti italiani) era ormai l’espressione.
    Il discorso di Togliatti non fu esente da contraddizioni, come nota anche il suo più recente agiografo, Aldo Agosti: “ Sono oscillazioni e contraddizioni di giudizio riconducibili non soltanto a una conoscenza ancora approssimativa del dibattito internazionale e degli schieramenti che lo connotano – tra l’altro intrecciati spesso strumentalmente con quelli della lotta interna al partito bolscevico – ma anche a una proiezione della situazione italiana, nell’analisi della quale Togliatti lascia intravedere la stessa divaricazione fra una nuova attenzione per le parole d’ordine transitorie e un’insistenza quasi ossessiva sulla necessità di non confondere l’opposizione proletaria con quella borghese e sul persistente pericolo rappresentato dal PSI. La *questione italiana*, in effetti, assorbe gran parte dell’impegno di Ercoli nei lavori del V Congresso. ”.
    Frattanto in Italia, dopo il già illustrato trionfo dei fascisti alle elezioni politiche, era pienamente in atto la crisi conseguente al rapimento e all’assassinio del deputato socialista riformista Giacomo Matteotti che, tra l’altro, aveva accusato pubblicamente i fascisti di intimidazioni e brogli elettorali.
    La notizia della scomparsa di Matteotti sopraggiunse il 14 giugno 1924, la crisi che ne seguì rischiò seriamente di travolgere il governo Mussolini, che del delitto era senz’altro ritenuto responsabile (il famoso discorso parlamentare di veemente attacco al nascente Regime da parte del Matteotti risaliva al 30 maggio 1924).
    Nella sua relazione di chiusura del V Congresso del Komintern lo stesso Zinoviev non potrà fare a meno di fare cenno agli accadimenti in Italia: “ E’ un sintomo evidente dell’approssimarsi di una nuova era in Italia. Ma se veramente la democrazia borghese trionferà di nuovo, questa *democrazia* non sarà più quella del 1920: la classe operaia è cambiata. Essa ha perso le sue illusioni, si è arricchita di esperienza politica. E’ possibile che il regime Mussolini sia soppiantatato da una *democrazia* che non assomiglierà a quella del 1920 e sotto la quale si preparerà la dittatura del proletariato. .
    Più in generale il capo della Terza Internazionale valutava che: “ L’era democratico pacifista è l’indice del deperimento del capitalismo, del suo declino e della sua crisi irrimediabile. Tutto quello che fanno Mussolini o Poincrè da una parte, McDonald ed Herriot dall’altra, favorisce la rivoluzione proletaria. O che essi imbocchino la via della *democrazia* oppure quella del fascismo poco importa. Essi, tutti quanti, portano acqua al mulino della rivoluzione proletaria. “.
    Riguardo alle vicende interne al Partito italiano, il V Congresso della Terza Internazionale si vide ancora di fronte alla “questione Bordiga”.
    Le posizioni dogmatiche e settarie del comunista napoletano, seppur nel contesto della svolta “a sinistra” dell’Internazionale, permanevano di sostanziale opposizione. Bucharin si spingerà sino a definire il Bordiga un “terrorista piccolo borghese”, suscitando l’ovvia reazione dell’italiano: “ se sono tanto antimarxista, terrorista, piccolo borghese, perché volete che prenda la direzione del movimento proletario in Italia? ”.

    [...continua...]

  2. #22
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    La risposta verrà per conto di Zinoviev da Manuil’sky: “ In presenza della critica che uno dei compagni più importanti del Partito italiano, il compagno Bordiga, ha fatto della politica dell’Internazionale Comunista, e constatando che il compagno Bordiga ha trasferito la discussione dal terreno nazionale a quello internazionale, c’è una nuova proposta: il compagno Bordiga, che rappresenta una tendenza nell’Internazionale, sarà nominato uno dei 3 o 4 vice presidenti che saranno aggiunti al compagno Zinoviev. E’ il quinto congresso che prenderà una decisione in merito. Con questa decisione noi domandiamo che il compagno Bordiga, il quale ha criticato la politica dell’Internazionale, impegni la sua responsabilità personale nella direzione dell’Internazionale. “.
    Si trattava di una cooptazione responsabilizzante avente il chiaro fine di neutralizzare e delegittimare l’attività “frazionistica” del Bordiga, nel momento stesso in cui la nuova linea tattica andava incontro, per molti versi, al “sinistrismo” dell’opposizione interna del PCd’I (ancora maggioritaria nella base e nei quadri dirigenti intermedi). Bordiga rifiutò la cooptazione ma alla fine accettò di essere nominato, insieme a Togliatti, membro del Comitato Esecutivo dell’Intenazionale. Questa soluzione di compromesso, che comunque non lo entusiasmava, faceva il paio con la sostanziale rinuncia della sinistra del PCd’I a schierarsi contro la risoluzione generale sulla tattica promossa da Zinoviev e, anche, con l’accettazione di una sostanziale non interferenza con lotte intestine al partito bolscevico, che implicava, quanto meno un rinvio della richiesta di concretizzare l’ipotesi bordighiana della internazionalizzazione della “questione russa”.
    Scrive Paolo Spriano: “ Il V congresso del Komintern ha sostanzialmente, due effetti tutt’altro che omogenei sul PCI. Da un lato incoraggia il suo *sinistrismo* complessivo generale, dall’altro elimina dalla dirigenza il gruppo bordighiano , infine determina la fusione del Partito Comunista con la frazione “terzointernazionalista” (Serrati, Maffi) del PSI, denunciando definitivamente invece la natura “controrivoluzionaria” della direzione di quel partito. Si tratta, evidentemente, di effetti estremamente complessi e contraddittori che non mancheranno di trasmettersi sugli eventi futuri della vita del comunismo italiano.
    Scrive Aldo Agosti: “ Da Mosca la delegazione italiana rientra in patria solo nella seconda metà di luglio: la fase più acuta della crisi politica che fa seguito al delitto Matteotti può dirsi a questo punto chiusa. Scrivendo a Scoccimarro e a Gramsci dalla capitale sovietica, Togliatti aveva dichiarato di approvare *la linea seguita sino ad ora*: dunque sia l’uscita dei comunisti dal Parlamento accanto agli altri gruppi antifascisti, sia il successivo loro distacco dal Comitato delle Opposizioni in seguito al rifiuto di questi di chiamare i lavoratori allo sciopero generale. Ripercorrendo il 30 luglio le tappe della crisi Togliatti scriverà che inizialmente la scelta dell’Aventino aveva avuto * un profondo valore politico *, e che si erano poste *alcune delle premesse di un movimento rivoluzionario*: è perciò probabile che in un primo momento egli abbia condiviso l’ipotesi, che secondo Leonardo Paggi è quella di Gramsci: che cioè *l’opposizione costituzionale possa recuperare, nella lotta contro il fascismo, la fisionomia di una conseguente democrazia rivoluzionaria, capace di impostare un rapporto di utilizzazione e direzione GIACOBINA delle masse popolari*. Ma, di fronte alla diffidenza delle forze aventiniane per ogni forma di mobilitazione popolare […] la sua attenzione tende a spostarsi sulla necessità di *stabilire un legame organico tra il Partito e le masse messe in movimento dall’affare Matteotti* ed egli suggerisce di lanciare la parole d’ordine *della creazione di Comitati d’Azione e di farli sorgere immediatamente, composti naturalmente in principio solo di elementi nostri, ma con lo scopo di raccogliere intorno ad essi la massa degli operai aderenti ad altri partiti operai e senza partito*. In questo progetto, che anticipa i *Comitati operai e contadini*, che il PCI cercherà di costituire a partire dal mese di settembre, già si delinea la preoccupazione di tracciare un netto confine tra l’opposizione PROLETARIA e quella borghese, restituendo alla prima piena capacità di iniziativa politica. ”.
    L’affare Matteotti gioverà comunque, in questa fase, alla politica comunista, diretta saldamente dalla Centrale “ordinovista”, tanto che il Gramsci potrà annotare compiaciuto: “ Un grande passo in avanti è stato fatto dal movimento: il giornale ha triplicato la tiratura, in molti centri i nostri compagni si sono posti a capo delle masse, le nostre parole d’ordine sono accolte con entusiasmo e ripetute nelle mozioni votate nelle fabbriche; in questi giorni credo che il nostro partito stia diventando un vero partito di masse. ”.

    [.........continua.........]

  3. #23
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    Tuttavia, ogni tentativo di costituire un “fronte proletario” autonomo rispetto alle opposizioni “borghesi” fallirà inesorabilmente: non solo il Partito Socialista Unitario turatiano, ma anche il PSI di Nenni, si allineeranno alla direzione delle opposizioni costituzionali, rifiutando la politica proposta dai comunisti. Innanzi a questo dato di fatto e alla constatata “sterilità” dell’opposizione costituzionale (con un evidente, per quanto graduale e prudente, ripresa di controllo della situazione da parte del governo Mussolini), Antonio Gramsci arriverà a dire, in agosto, che l’opposizione aventiniana è un “ semi-fascismo che vuole riformare, addolcendola, la dittatura fascista ”.
    La linea di Gramsci, Scoccimarro e Togliatti ricevette una sostanziale approvazione da Mosca, anche se, riguardo alle mosse tattiche degli italiani la Terza Internazionale osservava polemicamente che “ Non si può conquistare prima la maggioranza della classe operaia grazie alle misure di organizzazione e poi condurla alla lotta. E’ solo nella lotta politica che il partito può raggiungere questo fine. ”. Mosca rimproverava alla direzione del partito comunista italiano di spendere ancora troppe energie nel denunciare la debolezza delle altre opposizioni, mentre avrebbe piuttosto dovuto incrementare la propria attività rivoluzionaria, partecipando con più forza alla lotta antifascista, per prenderne quindi senz’altro la direzione, trascinando con sé, appunto, le grandi masse di lavoratori, anche in iniziative di aperta lotta armata. Per il Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista lo scopo immediato del proletariato italiano doveva essere comunque il rovesciamento del governo fascista.
    Alla metà di ottobre il Comitato Centrale del Partito Comunista d’Italia, dopo consultazioni piuttosto burrascose con la direzione dell’Internazionale, constatando lo “spostamento a destra” della situazione e della stessa opposizione “costituzionale”, criticata in modo sempre più virulento dai comunisti, deciderà di abbandonare definitivamente l’Aventino e di rientrare in Parlamento. In novembre Togliatti protesterà contro il dirigismo del presidium della Terza Internazionale, uso ormai a trasmettere ordini senza discussioni. Mosca in un primo tempo aveva infatti disposto che i comunisti non sarebbero dovuti rientrare in Parlamento da soli, ma la confusione del momento fu diversamente interpretata, nelle varie fasi, dai protagonisti di quelle vicende.
    Qualche giorno prima della decisione, aveva scritto il socialista riformista Filippo Turati ad Anna Kuliscioff: “ I comunisti sono divisi fra loro: alcuni (Gramsci, Maffi e compagni) forse in obbedienza a Mosca, sarebbero propensi a rientrare alla Camera. Se questa tendenza prevale, non saprei se sarebbe un bene o un male per noi: sarebbe un bene, perché dovrebbero liquidarsi, essendo palese che farebbero il gioco del governo; sarebbe un male, perché il governo potrebbe fare funzionare in qualche modo la Camera, avendo l’apparenza di una opposizione nell’aula… ”.

    [........continua..........]

  4. #24
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    Dal canto proprio al Bordiga (che vincerà il congresso comunista della federazione napoletana, nonostante la partecipazione personale del Gramsci in rappresentanza della Centrale Nazionale), l’opposizione del partito all’opportunismo riformista e al blocco aventiniano risultava decisamente insufficiente:
    E’ insensato contrapporre al parlamento fascista il parlamento delle opposizioni che sarà domani l’espressione genuina del potere capitalista e che dovrà denunziare come tale soprattutto per combattere la peste democratica per la quale esso vanterà di avere il consenso al posto della coazione su cui si basa il fascismo.
    Bordiga aveva quindi rifiutato sdegnosamente l’invito formale del Gramsci di collaborare con “la Centrale” per ricostruire la direzione unitaria di Livorno, allineandosi al contempo con la tattica sviluppata dalla Terza Internazionale di Mosca. La sua analisi della situazione partiva dal presupposto teorico che “ La democrazia e la socialdemocrazia sono l’equivalente ideologico e politico del tentativo del capitalismo americano di colonizzare l’Europa [..] Il capitalismo ha compreso che la reazione violenta e brutale non può essere impiegata utilmente per lungo tempo. ”. Il Bordiga, pur riprendendo le tesi classiche di Lenin e Trotzky sul ruolo di democrazia borghese e socialdemocrazia opportunista nella moderna era “imperialista”, non si rendeva conto che la fase definita di “reazione violenta e brutale”, coincidente, in tale ambito teorico, con il fascismo, era tutt’altro che esaurita. Anzi, la reazione “totalitaria” doveva ancora davvero dispiegarsi, e sarebbe durata abbastanza a lungo da trascinare il mondo in una nuova ecatombe. Solo con una nuova guerra mondiale la “democrazia capitalista” avrebbe infatti svolto quel ruolo che egli gli attribuiva, e il “capitalismo americano” sarebbe uscito infine vincitore indiscusso dal confronto.
    D’altra parte l’ipotesi della direzione del Partito Comunista di costituire una fattiva “opposizione rivoluzionaria proletaria” capace di abbattere il fascismo, risultava infine decisamente velleitaria: mancavano le armi, l’organizzazione era globalmente insufficiente e impreparata per compiti “insurrezionali” seri, il controllo poliziesco era stringente e il governo Mussolini aveva ormai superato il suo momento di sbandamento più intenso e volgeva alla stabilizzazione, per poi impegnarsi nella controffensiva decisiva. Nell’autunno del 1924 il numero degli iscritti al Partito Comunista d’Italia era di circa 25.000 persone, almeno al 70% operai delle industrie. La forza del partito era, per quanto relativamente importante, nel difficilissimo contesto esistente, del tutto insufficiente per adempiere ai compiti che il medesimo si era dato in osservanza della linea dettata dalla Terza Internazionale. Inoltre, la campagna di reclutamento di quei mesi turbolenti di vita del PCd’i portò nel partito alcune migliaia di nuovi aderenti, che benché ardentemente antifascisti avevano scarsa confidenza con il marxismo e persino con i più semplici principi rivoluzionari del comunismo. Gli stessi neofiti ignoravano completamente i contrasti esistenti all’interno del partito fra la minoranza nazionale (che ne controllava la direzione centrale, in quanto allineata alla maggioranza mondiale dominata da Mosca) , e la maggioranza nazionale (all’opposizione interna e internazionale e sempre più isolata politicamente).

    Con il discorso del 3 gennaio 1925 il Mussolini, incalzato anche dai suoi “irriducibili”, aveva infine imboccato decisamente la strada, senza ritorno, della fascistizzazione “totalitaria” dello Stato, comportante nell’immediato un primo ed evidente inasprimento delle misure repressive contro le opposizioni. La lettura “a caldo”, data da parte dei comunisti, fu piuttosto miope, ancorata alla ideologica concezione del fascismo e della sua relazione con la classe dominante che il marxismo italiano, sulla base della visione leninista della lotta politica “nell’era imperialista”, aveva fino a quel momento, seppur problematicamente, elaborato. Per il Gramsci, con il discorso del 3 gennaio il Mussolini non mirava che “ a mettere il fascismo in posizione più favorevole in vista di un compromesso che prenda la forma di unificazione di tutte le forze borghesi per escludere in modo permamente le masse lavoratrici da ogni partecipazione alla vita politica. ”. Abbagliati dalla visione classista tradizionale, i comunisti non erano in grado di scorgere, al di là del lato “reazionario”, anche il lato “rivoluzionario” del fascismo, che era ben altro che esaurito con la “messa in scena” della Marcia su Roma dell’ottobre 1922. Il fascismo non si limitava affatto a voler mettere fuori giuoco il “movimento operaio” e il partito comunista, ma intendeva farla finita radicalmente, senza compromessi, con la democrazia costituzionale e con tutti i partiti diversi da quello fascista. Il compromesso a cui era, semmai, disposto con la borghesia, con la monarchia, con la Chiesa, non prevedeva intermediari altri politici e istituzionali, e costituiva una tappa di un “processo rivoluzionario” progressivo che il fascismo voleva attuato ormai da posizioni crescenti di forza e, per dirla con il Mussolini, in modo “totalitariamente” determinato. Sul piano sociale l’utopia fascista subordinava alla Nazione ogni “interesse particolare” o “di classe”, e aspirava ad uno Stato “corporativo” che costituisse infine una “terza via” fra il capitalismo liberale e il collettivismo bolscevico.
    In questo contesto la Terza Internazionale non trovò di meglio da fare che, il 9 gennaio 1925, indirizzare al PCd’I una nota con la quale i comunisti italiani furono invitati ad intraprendere una lotta incisiva contro la direzione socialista, lavorando tra gli iscritti del PSI per portarli nelle fila del partito comunista. L’ex capo del socialismo massimalista Serrati, ormai membro del PCd’I, addirittura sostenne che il PSI di Lazzari rappresentava“ l’ultimo anello della catena di fiancheggiamento del fascismo. ”.

    .............continua.........

  5. #25
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    Scrive Paolo Spriano: “ E’ a questo punto che il Comitato Centrale viene investito da una relazione di Terracini della discussione in corso nel PC russo. La questione del *trockysmo* si è riaperta violentemente nell’ottobre 1924, con la pubblicazione del famoso opuscolo di Trocky LE LEZIONI DELL’OTTOBRE, e sullo sfondo vi è già la scelta fondamentale da fare tra la concezione della *rivoluzione permanente* e quella che Stalin e Bucharin vi contrapporranno del *socialismo in un paese solo*. Ma essa non è ancora esplicita. Quando i comunisti italiani, come quelli di altri paesi, ne discutono – febbraio 1925 – gli elementi della contrapposizione sono lungi dall’essere chiari. Emergono piuttosto altre questioni: quella del frazionismo, quella della posizione di un capo prestigioso in polemica con un organo collettivo di direzione, quella della *bolscevizzazione* del partito […] E’ Gramsci che entra nel merito del dissenso fra Trocky e gli altri, rilevando che le previsioni trotckyste sul supercapitalismo americano (..) sono erronee, da respingere e pericolose. Esse da Gramsci vengono interpretate in un modo che mostra come la questione del *socialismo in un paese solo* non sia ancora affrontata [..] Ciò che preme al gruppo dirigente italiano è però di ribadire con forza un accostamento di metodo (..) fra il contegno di Trocky e quello di Bordiga. ”.
    Iniziò così l’equiparazione fra “trotzkysmo” e “bordighismo”, che costituirà, per un’intera fase della storia del PCI (nel contesto del comunismo internazionale stalinizzato), un paradigma formidabile, sul quale si fonderanno tutta una serie di altre equivalenze e, conseguentemente, di demonizzazioni…..non soltanto propagandistiche, non soltanto verbali.
    Qualche mese dopo, durante una riunione dei massimi organi della Terza Internazionale, Mauro Scoccimarro avrebbe detto che tanto il bordighismo che il trotzkysmo erano caratterizzati da una “articolazione meccanica della dialettica marxista” che essi concretizzavano in un atteggiamento formalistico e in un ingiusto tentativo di colpire la linea “unitaria” dell’Internazionale Comunista e del Partito Comunista Russo [bolscevico], oltre che della Centrale del partito italiano.
    L’8 febbraio del 1925 Amadeo Bordiga mandò al quotidiano comunista “L’Unità” un articolo sulla “Questione Trotzky”, che sarà inviato, dalla direzione gramsciana del partito, a Mosca e pubblicato solo in luglio, nell’ambito di un’aspra campagna contro il bordighismo e contro il trotzkysmo.
    Il comitato esecutivo del PCd’I rispose, di fatto, con una circolare interna, la n* 9 del marzo 1925, in cui si riprendevano gli argomenti della maggioranza del Comitato Centrale del Partito Comunista Russo [bolscevico] guidato da Stalin. Nella circolare si attaccavano duramente le posizioni di Bordiga e si affermava che: “ In un partito bolscevico non devono esistere frazioni e non deve esistere nemmeno uno stato di frazionismo nascosto il quale distrugge le basi dell’unità ideologica e di azione che al Partito è necessaria. “.
    Ancora nel febbraio 1925, intanto, il Gramsci si era nuovamente cimentato in un tentativo di interpretazione della linea posta in atto da Benito Mussolini, attribuendogli l’intenzione di voler fondare un nuovo partito conservatore capace di liberarsi degli elementi squadristici e più turbolenti del fascismo. In questo contesto egli analizzava altresì i rapporti fra il Partito Comunista e il movimento operaio (soprattutto con il sindacato), nel contesto creatosi in concomitanza con la crisi ineluttabile dell’opposizione aventiniana.
    Per il Gramsci, il Partito Comunista doveva prepararsi senza esitazione all’insurrezione, perché l’insurrezione “ diventa l’unico mezzo di espressione della volontà politica delle masse alle quali è tolta ogni altra forma di espressione”. Ma dalla destra del Partito, fu Angelo Tasca a criticare questa impostazione, lamentando la sostanziale “passività delle masse” (come trascinarle quindi alla rivoluzione?) e chiedendo di rilanciare invece l’iniziativa politica nei confronti del partito socialista, in chiara crisi. Ma come già abbiamo ricordato, il 9 gennaio 1925 erano arrivate da Mosca delle direttive sull’atteggiamento da tenersi verso i socialisti, che andavano nella direzione opposta a quella ora auspicata dal Tasca, e che ispiravano invece la tattica proposta dal gruppo Gramsci-Togliatti-Scoccimarro.
    Nelle risoluzioni politiche della maggioranza del Comitato Centrale del PCd’I contro “il bordighismo” e il “trotzkysmo”, si sarebbe perciò trovato sempre di più anche lo spazio per condannare la “deviazione di destra”, identificata senz’altro in Italia con Tasca, Grazidei, Maffi e sostenitori: “Le deviazioni di destra – è stato scritto nella citata circolare n* 9 del marzo 1925 contro “il sinistrismo” del Bordiga – sono tanto più possibili quanto più esistono accanto alla classe operaia e al Partito forze che cercano di esercitare sul proletariato una influenza a favore di altre classi. Questo è in generale il proposito della piccola borghesia e delle formazioni politiche che la rappresentano e la dirigono. All’inizio della crisi Matteotti la deviazione di destra era rappresentata da quei compagni i quali pensavano che il Partito dovesse legare la sua tattica a quella delle Opposizioni borghesi ”.
    Quanto al Grazidei, la Centrale del Partito aveva censurato gli scritti economici dell’esponente della “destra” comunista, giacchè contenevano una confutazione, ritenuta ovviamente inaccettabile, della “teoria del valore-lavoro” di Carlo Marx.
    Tra la fine di marzo e i primi giorni d’aprile del 1925 si tenne a Mosca la riunione del Comitato Esecutivo Allargato della Terza Internzionale Comunista. Ormai l’alleanza fra Stalin e Zinoviev e Kamenev, nella lotta di successione a Lenin, stava inziando a logorarsi, e Stalin stava lanciando la linea del “socialismo in un paese solo”, sulla quale non poteva aspettarsi la convergenza di Zinoviev, coerentemente legato alle formulazioni del “primo bolscevismo” sulla relazione fra rivoluzione russa e rivoluzione socialista mondiale. D’altra parte lo stesso Zinoviev, ancora presidente dell’Internazionale,doveva registrare dalla sua postazione di comando una serie di insuccessi del movimento rivoluzionario che, dopo il V Congresso del Komintern, mettevano seriamente in discussione la linea fino ad allora seguita. Nel suo intervento al Comitato Allargato Zinoviev dovette infatti, tra l’altro, ammettere che ci si era sbagliati sui “tempi della rivoluzione”, come già era accaduto altre volte, persino a Marx e a Lenin. La maggioranza “staliniana” del partito russo era ormai orientata a far propria la visione di una “stabilizzazione relativa del capitalismo”, che ben si sposava con il varo della linea del “socialismo in un paese solo” e con l’invocazione di una maggiore disciplina internazionale e di una maggiore unità del Komintern intorno alla parola d’ordine della difesa dell’Unione Sovietica.

    [.......continua.......]

  6. #26
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    Nel corso della riunione furono trattate le principali questioni all’ordine del giorno del movimento comunista, e in detto contesto si arrivò ad assimilare le cosiddette “deviazioni di sinistra” a quelle “di destra”, per cui anche il bordighismo fu paradossalmente annoverato fra i fenomeni del deviazionismo di destra. Zinoviev disse infatti che “ Gli ultrasinistri iniziano a passare armi e bagagli alla destra, come ha già fatto Bordiga ”. Circa la situazione in Italia Zinoviev constatò che “Il fascismo non è ancora stato superato. Qualche settimana fa, sembrava che le ore di Mussolini fossero contate. In realtà le cose sono andate diversamente. Ma la situazione è vacillante, instabile, e nasconde tutto ciò che si vuole salvo il consolidamento. ”.
    Durante la riunione dell’Esecutivo la questione del fascismo fu affrontata anche, per il partito italiano, da Mauro Scoccimarro: “ Noi procediamo in Italia verso un periodo che sarà caratterizzato dalla sintesi del fascismo e della democrazia, cioè dalla legalizzazione della reazione. Vi sarà una divisione di lavoro tra il fascismo e la socialdemocrazia: i partiti piccolo-borghesi della democrazia saranno il mezzo di collegamento e la via attraverso la quale la plutocrazia e gli agrari manterranno il contatto con i ceti medi piccolo-borghesi. ”. La prognosi di Scoccimarro ricalcava appieno la linea del Gramsci: “ Il perdurare della presente situazione si risolve in un beneficio nostro [..] perché la soluzione rivoluzionaria e la tesi insurrezionale si impone oggi a un numero ben più grande di italiani che non prima.”
    Persisteva pertanto la mancanza di consapevolezza tanto della natura intima del fascismo, quanto del suo rafforzamento e della tendenza in atto verso la costruzione di uno Stato Autoritario con velleità totalitarie che avrebbe fatto piazza pulita di ogni forma di democrazia e di ogni altro partito al di fuori dal Partito Nazionale Fascista.
    Durante la riunione del Comitato Esecutivo Allargato della Terza Internazionale Comunista si registrò anche la defezione di Ruggero Grieco dalla corrente bordighista. Il Grieco, tuttavia, non se la sentì ancora di approvare incondizionatamente le risoluzioni sulla “questione Bordiga” adottate dalla riunione moscovita, per quanto riconoscesse ormai ufficialmente che la linea fino ad allora anche da lui seguita era affetta da gravi errori tattici.
    La riunione di Mosca indicò ancora nella “bolscevizzazione” dei partiti comunisti la via maestra per tutti i membri dell’Internazionale. La bolscevizzazione implicava necessariamente la subordinazione alla direzione dell’Internazionale (saldamente controllata dal partito russo), la lotta ad ogni “frazionismo” e “deviazionismo”. La bolscevizzazione, nei mesi ed anni a venire, corrisponderà sempre più chiaramente ad una stalinizzazione del movimento comunista mondiale, in coincidenza con gli esiti della lotta per il potere all’interno del Partito Comunista dell’Unione Sovietica [bolscevico].

    [.........continua .........]

  7. #27
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    Il tema della bolscevizzazione del Partito Comunista d’Italia fu oggetto della relazione di Antonio Gramsci alla riunione del Comitato Centrale del maggio 1925. Alla discussione non partecipò il Togliatti, in quanto arrestato a Roma il 2 aprile (verrà scarcerato in luglio a seguito di un’amnistia).
    Il discorso del Gramsci, come vedremo e come ci riferisce Paolo Spriano “ parla di *stabilizzazione leninista* dei partiti comunisti. E riaffronta la questione Bordiga [non identificata con quella Trotcky] come un fenomeno, una tendenza provinciale, un rifiuto ad *inquadrarsi in una organizzazione mondiale*.
    [..] E’ qui che Gramsci avanza quelle critiche più profonde al bordighismo, al *primo tempo del PCI*, al suo estremismo […] e giunge alla definizione seguente: * Per le necessità di una lotta senza quartiere che si imposero al nostro Partito fin dalla sua origine, la quale coincise con lo sferrarsi più furioso della reazione fascista – per cui si può dire che la nostra organizzazione fu battezzata dal sangue dei nostri migliori compagni – le esperienze dell’Internazionale Comunista, cioè non solo del partito russo ma anche degli altri partiti fratelli – non giunsero fino a noi, e non furono assimilate dalla massa del Partito altro che saltuariamente ed episodicamente. In realtà, il nostro Partito si trovò ad essere staccato dal complesso internazionale, si trovò a sviluppare la sua ideologia arruffata e caotica sulla sola base delle nostre esperienze nazionali, si creò cioè in Italia una nuova forma di massimalismo .*
    ”.
    Nella sua relazione, Antonio Gramsci, sviluppando la sua analisi articolata della situazione politica, inquadrerà storicamente anche le vicende del comunismo internazionale affermando: “ La crisi attraversata da tutti i partiti dell’Internazionale Comunista dal 1921 ad oggi, cioè dall’inizio del periodo caratterizzato da un rallentamento del ritmo rivoluzionario, hanno mostrato come la composizione generale dei Partiti non fosse molto solida ideologicamente. I partiti stessi oscillavano con spostamenti spesso fortissimi dalla destra all’estrema sinistra con ripercussioni gravissime su tutta l’organizzazione e con crisi generali nei collegamenti fra i partiti e le masse. La fase attuale attraversata dai partiti dell’Internazionale è caratterizzata invece dal fatto che in ognuno di essi si è andato formando, attraverso le esperienze politiche di questi ultimi anni, e si è consolidato, un nucleo fondamentale il quale determina una stabilizzazione leninista della composizione ideologica dei partiti e assicura che essi non saranno più attraversati da crisi e da oscillazioni troppo profonde e troppo larghe.”.
    Ma il 7 giugno 1925 la dissidenza interna della “Sinistra” del PCd’I venne clamorosamente alla ribalta, grazie alla notizia, pubblicata dal quotidiano “L’Unità”, che quattro deputati comunisti: Onorato Damen, Fausto Gullo, Bruno Fortichiari e Luigi Repossi, spalleggiati da altri dirigenti e quadri come Ottorino Perrone, Carlo Venegoni e Ugo Girone avevano costituito il COMITATO D’INTESA della SINISTRA COMUNISTA, immediatamente accusato di intollerabile frazionismo dalla Centrale del Partito. I suoi esponenti vennero perciò sospesi o destituiti da tutte le cariche ricoperte nel Partito e persino minacciati di espulsione. Bordiga, che non aderiva formalmente al Comitato “per ragioni pratiche” ( del resto la sua tendenza all’isolamento da ogni attivismo iniziò ad essere sempre più una caratteristica del suo personale atteggiamento politico nella fase storica che si stava aprendo, da lui definita ormai inappellabilmente “controrivoluzionaria”) indirizzò all’Esecutivo una lettera aperta con la quale solidarizzava completamente con i membri dell’Intesa della Sinistra Comunista, che del resto si ispiravano largamente alle sue posizioni fondamentali.

    [....continua...]

  8. #28
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    Le tesi del Comitato d’Intesa infatti ribadivano, contro l’analisi gramsciana della storia dei primi anni del Partito, che “ La Sinistra riafferma la bontà dell’indirizzo impresso al Partito dalla Centrale eletta dai congressi di Livorno e di Roma e liberamente applicata fino alla sciopero generale del 1922. La politica seguita da allora per volontà dell’Internazionale e di cui questa affidò alla nuova Centrale nominata nell’Allargato del giugno 1923 e riconfermata al V Congresso [dell’Internazionale] con i suoi risultati, ha confermato le opinioni critiche nostre […]. L’azione della Centrale attuale ha la caratteristica generale dell’incertezza, dell’improvvisazione sostituita ad una chiara e ferma direttiva, dell’equilibrio posticcio fra le opinioni occasionali di gruppi eterogenei e per diverse ragioni inadeguati al loro compito di dirigenti, della meccanicità sterile della disciplina messa al posto dell’iniziativa conveniente e del fermo governo del Partito, necessari al lavoro rivoluzionario. Nella crisi Matteotti il Partito esitò e tornò sui suoi passi non sapendo sfruttare la situazione favorevole che permetteva non certo l’abbattimento della borghesia, ma il passaggio del Partito ad una posizione più avanzata e decisa di lotta autonoma della classe operaia […].
    La Sinistra considera poi fermamente che una soluzione soddisfacente della questione del Partito italiano è impossibile al di fuori della soluzione delle questioni internazionali, e ritiene queste già tanto gravi che, senza porre in dubbio il diritto dell’Internazionale a regolare le cose dei singoli partiti, deve considerarsi insufficiente l’escogitare una soluzione empirica e provvisoria dei rapporti fra Partito e Internazionale sulla base di compromessi fra gruppi e peggio fra persone.
    ”. Lo scontro fra la Sinistra Comunista e la Direzione Centrale del Partito Comunista d’Italia, e fra la stessa Sinistra Comunista Italiana e la Direzione dell’Internazionale Comunista, stava per giungere alla sua fase decisiva. Il Partito applicava sempre più spesso e volentieri misure amministrative per conculcare i diritti di espressione e di organizzazione delle tendenze dissidenti, tanto di sinistra che di destra (Questo nel contesto della generale repressione fascista delle opposizioni e in particolare del “sovversivismo” dell’estrema sinistra).
    Il “centralismo democratico”, nel quadro della bolscevizzazione del Partito, era inteso sempre più in modo verticistico, burocratico e ogni dissenso sostanziale con la linea del Partito (dettata fondamentalmente da Mosca, tramite l’Internazionale) era accusato automaticamente di frazionismo. Costituendo un organismo come il “Comitato d’Intesa”, la Sinistra Comunista italiana si prestava suo malgrado a dimostrare come corrette nei fatti le accuse di frazionismo “antipartito” formulate dalla Centrale Nazionale e dalla Terza Internazionale. D’altra parte, senza un organismo di resistenza come il Comitato d’Intesa la stessa "sinistra comunista" temeva di essere rapidamente liquidata senza neppure poter tentare di combattere per la propria visione. Nella sua lettera “alla Centrale” del PCd’I, proprio Amadeo Bordiga sottolineava infatti che “ La costituzione del Comitato d’Intesa [..] era l’unico mezzo per ovviare agli inconvenienti creati dai loro [della Centrale] metodi di Direzione del Partito e per indirizzare nel senso meno pericoloso le reazioni di tutta la periferia contro i sistemi del Centro. ”.


    [continua.......]

  9. #29
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    L’atteggiamento del Bordiga, di solidarietà di principio con il Comitato d’Intesa, rompe per poco tempo e solo parzialmente la sua progressiva estraniazione pratica dalla “concreta attività politica rivoluzionaria”, che sarà sempre più una sua caratteristica peculiare (e che non solo non sarà utile alla battaglia della Sinistra Comunista, ma ne indebolirà comunque la forza). Alla Sinistra Comunista italiana veniva quindi concretamente a mancare sempre più il contributo attivo dell’elemento più capace e prestigioso della corrente “dissidente”, di quello che, fino ad allora, era stato inteso come il suo capo assoluto, anzi, tra “le masse”, ancora per un certo tempo, come il capo effettivo del comunismo italiano tutto intero.
    Relativamente alla costituzione del “Comitato d’Intesa” ricorda Bruno Fortichiari “ In vista del Congresso , e constatato il dilagare senza scrupoli per tutta Italia delle prevaricazioni, della corruzione, dei ricatti esercitati dall’Esecutivo sulla massa dei compagni, al coperto dell’ancora valida autorità della Terza Internazionale, la sinistra cercò in qualche modo di reagire. Organizzava pertanto le proprie forze residue in un *Comitato d’Intesa*.

    Il tentativo della Sinistra Comunista di lanciare la propria controffensiva contro “il Centro” di Gramsci-Togliatti e Scoccimarro, che guidava il Partito per conto di Mosca e della Terza Internazionale, si articolò in una serie di puntualizzazioni critiche alla vulgata “marxista-leninista” che si andava formando sotto il segno della “bolscevizzazione” del partito, riprendendo e sviluppando antiche tesi della tendenza bordighista (e non solo, se si pensa soprattutto al Terracini del III congresso mondiale). Sul piano della formulazioni tattiche la Sinistra Comunista del “Comitato d’Intesa” ribadiva che si trattava di un errore “ ritenere che in ogni situazione si possa con espedienti e manovre allargare la base del Partito fra le masse, in quanto i rapporti fra il Partito e le masse dipendono in massima parte dalle condizioni oggettive della situazione. La controversia fra la sinistra e le altre correnti consiste nell’opinione nostra che le variazioni della situazione non debbano alterare il programma e i metodi fondamentali di organizzazione e di tattica del Partito ”.
    D’altro canto, sosteneva il Comitato d’Intesa “ Il richiamarsi all’esperienza organizzativa russa per trapiantarla in occidente non basta ne’ giova, poiché negli anni dal 1905 al 1917 il Russia il capitalismo era appena agli inizi mentre sviluppato ed imperante era invece il terrore zarista. ”.
    Sul quotidiano comunista “l’Unità” la campagna contro il “frazionismo” della Sinistra Comunista “bordighista” ricalcò largamente i metodi usati dalla direzione staliniana del Partito Comunista Sovietico contro “l’eretico” Trotzky (di lì a poco, accomunato agli stessi Zinoviev e Kamenev, già alleati di Stalin e Bucharin).

    [..continua.....]

  10. #30
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    Alcuni titoli del quotidiano “L’Unità” della tarda primavera ed estate 1925 sono illustrativi del clima: “ I membri del Comitato d’Intesa contro la Internazionale – miseria politica e morale ”, “ Il Partito si rafforza combattendo le deviazioni anti-leniniste (Il Comitato d’Intesa contro lo spirito proletario del Partito e contro le cellule d’officina) ”; “ Contro lo scissionismo frazionistico per l’Unità ferrea del Partito. ”.
    Preso atto di questa campagna, il Comitato d’Intesa della Sinistra Comunista scrisse alla centrale del Partito chiedendo di poter partecipare al dibattito, difendendo sullo stesso quotidiano le proprie posizioni al fine di chiarirne la vera natura.
    Il Comitato Centrale del PCd’I rispose che era inimmaginabile che fosse consentita pubblica attività frazionistica sulla stampa ufficiale del Partito.
    La Centrale del Partito Comunista Italiano giunse, il 16 giugno 1925, all’espulsione di un membro del Comitato d’Intesa, il redattore de “L’Unità” Ugo Girone, scatenando la reazione ferma di Bordiga e del Comitato d’Intesa, che si appellò infine agli organismi direttivi della Terza Internazionale a Mosca.
    Quindi il Comitato Esecutivo del PCd’I riunitosi il 28 giugno 1925 (presenti: Gramsci, Maffi, Morelli, Piccini, Urbani, Landuzzi) discusse sull’attività frazionistica dei bordighiani e deliberò sullo scioglimento del Comitato d’Intesa della Sinistra Comunista, mentre il Comitato Centrale del Partito si cimentò quindi nella redazione di un documento in cui si affermava che, in vista del prossimo congresso, si sarebbe garantita la completa libertà di discussione ma non quella di attività frazionistica: “ I compagni della massa sentono oggi più che mai che esiste un solo punto d’onore per un militante, quello di appartenere all’Internazionale e non a una frazione; che esiste una sola bandiera rivoluzionaria, quella dell’Internazionale Comunista. I disgregatori, i diffamatori del Partito e dell’Internazionale devono essere isolati, devono sentire che intorno a loro non può nascere che disapprovazione e disprezzo. ”.
    Detta risoluzione fu approvata con un telegramma da parte del Presidium della Terza Internazionale Comunista, ove si sottolineava inoltre che “ il compagno Bordiga non può invocare il fatto che egli è membro dell’Esecutivo dell’Internazionale Comunista per sfuggire alla disciplina del proprio Partito. ”. Bordiga, dal canto proprio, smentì immediatamente di essersi nascosto dietro la sua carica di dirigente dell’Internazionale “ qualità al solito impostami e che non rifiutai solo per evitare l’inscenamento di uno dei soliti can-can ”.
    Nei primi giorni del luglio 1925 l’emissario dell’Internazionale, il comunista elvetico Humbert-Droz incontro’ gli esponenti del Comitato d’Intesa e immediatamente dopo intimò loro, anche per iscritto, di sciogliere la frazione della Sinistra Comunista.
    Scrive Bruno Fortichiari: “ I metodi di Stalin, che poi indigneranno Antonio Gramsci – accanito avversario della Sinistra, ma in buona fede – sono applicati contro la Sinistra ” , e a proposito di Humbert-Droz e fatti susseguenti aggiunge: “Questi, che doveva farsi perdonare le sue simpatie per Trotzky, assunse con entusiasmo l’incombenza per compiacere a Stalin: convocati a Milano Repossi, Fortichiari e Damen, li minacciava, a nome dell’Internazionale Comunista, di un provvedimento pubblico di espulsione se non avessero sciolto il Comitato d’Intesa. Posta la condizione formale che tutti i provvedimenti disciplinari contro compagni della Sinistra Comunista sarebbero stati annullati, e che si sarebbe accordata facoltà alla base di liberamente discutere gli argomenti dell’imminente congresso, i promotori dichiararono sciolto il Comitato d’Intesa. Naturalmente le assicurazioni categoriche date da Humbert-Droz venivano completamente rinnegate dall’agente staliniano e dalla Centrale fraudolenta del Partito. La campagna sempre più aspra e vile contro la Sinistra non solo non era sospesa ma era anzi invelenita. Ogni tentativo di contatto con la base era distrutto in partenza. Quando non bastavano la sorveglianza e l’ostilità fascista a creare difficoltà, provvedevano lo zelo e l’impudenza dei burocrati del Partito. ”.

    [...continua......]

 

 
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