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  1. #11
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    purtroppo mi prefiggo di mettere in luce i dettagli.......e la cosa mal si combina con la sintesi. La farò nelle conclusioni

  2. #12
    SENATORE di POL
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    ....continuazione....

    Durante l’esecutivo del Komintern del febbraio/marzo 1922, Trotzky aveva ironizzato nei confronti di quei “comunisti di sinistra” che, ormai scopertamente, affermavano che i dirigenti bolscevichi tenevano più agli interessi contingenti dello Stato sovietico che a quelli del movimento internazionale. Trotzky aveva ribattuto sarcasticamente affermando che, se così fosse stato, si sarebbe dovuto emendare le condizioni di ammissione all’Internazionale “ escludendo quei partiti che avessero l’avventura di prendere il potere ” . Dopo la battuta di spirito, Trotzky aveva cercato di confutare il punto di vista degli “estremisti di sinistra”, sostenendo che il gruppo dirigente bolscevico era ben cosciente della stretta relazione fra i successi della rivoluzione russa, la sua difesa, e l’avanzata della rivoluzione mondiale. La tattica del fronte unito metteva ora i partiti comunisti occidentali nella necessità di operare, per strappare le masse a socialisti e socialdemocratici, in unità non solo con la base operaia di tali organizzazioni, ma anche con i vertici, offrendo loro piattaforme comuni di lotta idonee a “smascherarli” quali opportunisti antirivoluzionari.
    I comunisti italiani erano tutt’altro che convinti della praticabilità di questa linea e la accolsero (solo per disciplina) con evidente sospetto e disagio, e subito si impegnarono a darne un’interpretazione applicativa sostanzialmente depotenziante e strettamente legata al loro rifiuto di “sporcarsi le mani” mediante collaborazioni con i “socialtraditori” dirigenti del partito socialista. La persistente rigidità della visione dei comunisti italiani sulle questioni tattiche, che subiva la netta influenza dell’impostazione bordighiana, metterà presto in rotta di collisione la direzione del Partito Comunista d’Italia con quella dell’Esecutivo della Terza Internazionale Comunista.
    Un altro elemento importante da sottolineare, per comprendere la formazione ideologica del comunismo italiano in questi suoi primi passi, elemento che non è disgiunto dal sostanziale rifiuto del “fronte unico” dall’alto, ideato dai bolscevichi per l’Internazionale, è rappresentato dall’analisi della situazione politica italiana e dalle sue immediate prospettive, nonché dell’effettivo ruolo del fascismo.
    Anticipando in qualche modo, se vogliamo paradossalmente, le valutazioni sul “socialfascismo” della tarda prima fase della gestione staliniana del movimento comunista internazionale, Amadeo Bordiga riteneva sostanzialmente che fascismo e socialdemocrazia fossero due facce della stessa medaglia e che fossero destinati a convergere sempre di più, nella misura in cui pareva ormai evidente a tutti la rinuncia, da parte dei socialisti, di ogni velleità rivoluzionaria e il loro adagiarsi nel gradualismo riformista e nella difesa delle istituzioni rappresentative borghesi.
    Per Lenin la “repubblica democratica” era il “miglior involucro politico possibile” per la dittatura capitalistica, e questa affermazione teorica, strettamente connessa con la visione marxista dei processi economici e politici dell’era “dell’imperialismo”, era sostanzialmente condivisa, in questo periodo, dal Bordiga. Ma il Bordiga da questa premessa teorica ne faceva discendere l’assunto che la borghesia italiana, nel contesto dato, non aveva alcun motivo per abbandonare il proprio “miglior involucro”, ossia di gettare la “maschera” democratica, per assumere quella di una dittatura apertamente reazionaria. Per il Bordiga, pertanto, la borghesia stava usando l’arma delle squadracce fasciste per rintuzzare la lotta di classe del proletariato con la violenza e l’arma del riformismo socialista per depotenziare dall’interno la spinta rivoluzionaria del proletariato dirottandola su obiettivi minimi e compatibili con il sistema borghese. Fascismo e Socialdemocrazia erano destinati a trovare un accordo, e il “riformismo in camicia nera” della “reazione” squadristica era pronto a convergere con quello socialista, egemone nel sindacato e nel movimento operaio organizzato, garantendo alla borghesia la conservazione del proprio sistema sociale, politico e istituzionale. Il Gramsci, che in un primo tempo non aveva idee molto diverse, sebbene espresse in una formulazione meno “dottrinaria”, avvertì pero’ che non era da escludersi che la borghesia, ad un certo punto (se vogliamo, come “controrivoluzione preventiva” e per risolvere le proprie contraddizioni) optasse per una dittatura reazionaria usando la forza dello squadrismo fascista del Mussolini.
    In ogni caso per i comunisti italiani la possibilità che la forma dello “Stato borghese” mutasse, e vi fosse un’alternanza fra forma democratica e dittatura aperta, non era poi di fondamentale importanza, in quanto la rivoluzione proletaria aveva comunque il compito di distruggere lo Stato capitalistico (quale che fosse il regime istituzionale e di governo) e di instaurare la “dittatura rivoluzionaria” rossa. Il problema della democrazia politica “borghese” era pertanto, al più, inteso come correlato alla natura del terreno dello scontro finale fra borghesia e proletariato e come indice del livello di agibilità politica per il movimento operaio organizzato. Soprattutto il Bordiga era particolarmente preoccupato di non incentivare, nella classe operaia, le già persistenti “illusioni democratiche”, da qui la sua particolare insistenza sulla natura antidemocratica del movimento comunista e la virulenza del suo rifiuto di ogni compromesso con le “istituzioni del nemico”.
    Anche il Gramsci condivideva l’idea che, democratico o meno, lo Stato in regime capitalistico fosse una “dittatura di classe” della borghesia, ma se da un lato il minor rigore dottrinale e la sua interpretazione idealistica del marxismo gli permettevano di concepire la dialettica dello scontro di classe in modo sostanzialmente dinamico, con elementi gradualistici (giustamente intesi dal Bordiga come assai discutibili sul piano della teoria marxista “ortodossa”, così come “restaurata” dai bolscevichi), dall’altro convergevano progressivamente con la maggior duttilità tattica richiesta proprio da Mosca, soprattutto in quella fase.
    Senza dilungarci sulle antiche divergenze fra ordinovisti gramsciani e soviettisti bordighiani sulla natura e funzione dei “Consigli di Fabbrica”, sul ruolo della cultura e dell’educazione (e in origine, conseguentemente, anche sul ruolo del partito rivoluzionario proletario), basterà ricordare che l’originaria idea gramsciana della rivoluzione socialista prevedeva la formazione, ancora in regime capitalistico, di istituzioni di “contropotere” operaio (i Consigli di Fabbrica), che progressivamente dovevano crescere, scontrarsi con lo Stato capitalistico e sostituirlo. Per il Bordiga ciò rappresentava, da un lato, un cedimento verso una visione gradualistica e idealistica della lotta per il potere e, dell’altro, un’oggettiva sottovalutazione del ruolo insostituibile del partito comunista. Il “consigliarismo” di Gramsci era inteso dai bordighiani, come erede delle velleità sindacalrivoluzionarie ed operaiste (Produttivistiche) e portatore di una mancata rottura profonda con l’impostazione ideologica gradualistica, seppur radicalizzata alquanto, del vecchio socialismo riformista. D’altra parte il rigido dottrinarismo del Bordiga ne faceva, di fatto, un continuatore “estremista” del rivoluzionarismo massimalista fatto di principi e proclami, ed era destinato dal canto proprio ad una sostanziale impotenza rivoluzionaria e quindi ad involvere apertamente in settarismo.

    ...... continua ...................

  3. #13
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    La riunione dell’Esecutivo allargato dell’Internazionale che abbiamo ricordato (febbraio/marzo 1922), si concluse con una risoluzione che tra l’altro affermava: “ L’Internazionale Comunista ha la sua concezione fondamentale dei compiti della classe operaia nell’attuale periodo rivoluzionario. Essa proclama che soltanto la dittatura del proletariato e il sistema sovietico possono far uscire il mondo dall’anarchia capitalistica. Ma sa anche che la via che conduce alla battaglia finale passa attraverso lo schieramento unitario delle masse operaie contro gli attacchi della borghesia; perciò è pronta a partecipare ad una conferenza internazionale [con le altre organizzazioni mondiali, politiche e sindacali del movimento operaio, compresi i riformisti] che si metta al servizio dell’unità d’azione del proletariato. ”.
    La delegazione comunista italiana, guidata dall’ordinovista Terracini, votò una mozione di minoranza che respingeva l’invito dell’Internazionale Socialista di convocare la conferenza unitaria. Insieme agli italiani votarono i francesi e lo spagnolo Gonzales. Dopo il voto, la minoranza “latina” contraria alla conferenza unitaria, in quanto contraria alla tattica del “fronte unico dall’alto”, dichiarò di sottomettersi alla disciplina manifestando la solidale fedeltà all’organizzazione mondiale comunista. Zinoviev si dichiarò soddisfatto.
    Immediatamente dopo a questa importante riunione del vertice del Komintern, fu convocato (marzo 1922) il secondo congresso del Partito Comunista d’Italia.
    Scrive Paolo Spriano che “ Il secondo congresso del PCd’I è in realtà il primo ”, infatti “ l’assemblea al Teatro San Marco a Livorno, il 21 gennaio 1921, non era andata al di là di una manifestazione politica e di un primo inquadramento organizzativo. ”.
    Ancora Spriano ci ricorda che “ le *Tesi di Roma* sulla tattica sono destinate a dettare regole precise e destinate a guidare di per sé l’azione. “. Infatti, il congresso dei comunisti italiani del marzo 1922 fu importante soprattutto per l’approvazione di dette “tesi sulla tattica”, scaturite da un’elaborazione “unitaria”, in cui era evidentissimo il ruolo dominante della corrente bordighiana all’interno del gruppo dirigente. I redattori del documento,scritto senz’altro ben prima del congresso, furono certamente Amadeo Bordiga (soprattutto) e Umberto Terracini.
    La natura dottrinaria, astratta e la chiara preoccupazione di fornire all’organizzazione “organica” comunista una “bussola” contro il pericolo (avvertito ossessivamente soprattutto dal Bordiga) di una nuova “degenerazione” opportunistica del partito proletario, costituirono i fili conduttori più evidenti delle Tesi.
    [ http://web.infinito.it/utenti/c/comm...teromit.htm#I. ]


    Molto dura fu la reazione dell’esecutivo della Terza Internazionale alle tesi sulla tattica dei comunisti italiani: “ Le tesi della direzione del Partito dimostrano che essa non ha superato l’infantilismo, la malattia di un radicalismo acerbo e sterile, il quale si risolve in una paura settaria del contatto con la vita reale, in una mancanza di fiducia nelle proprie forze e nelle tendenze rivoluzionarie della classe operaia, proprio quando questa entra in lotta, anche se per scopi transitori. L’esecutivo ha fiducia che il CC del Partito [italiano] capirà queste debolezze e farà tutto il possibile per superarle. Deve cominciare col cambiare le sue tesi. Sarà meglio per il partito accontentarsi delle tesi del III congresso [mondiale] e di quelle dell’Esecutivo allargato [dell’Internazionale], rinunziando all’elaborazione di tesi proprie, le quali costringerebbero l’Esecutivo dell’IC a polemizzare pubblicamente e nel modo più aspro contro la concezione del CC italiano. . Queste parole, dovute probabilmente alla penna del dirigente bolscevico Karl Radek (in collaborazione con Trotzky), sono di per sé molto eloquenti. Ma altrettanto importante è un passaggio della lettera in cui, a commento di talune asserzioni teoriche (considerate non a torto oscure) delle tesi italiane sulla tattica comunista, si affermava duramente che queste “ si avvicinano di più alle frasi vuote della sociologia borghese che al marxismo ”.
    Al congresso di Roma del Partito Comunista d’Italia partecipo’ anche una delegazione dell’Internazionale Comunista (guidata da Humbert-Droz) che relazionò dettagliatamente a Mosca, giungendo infine alla conclusione che il Bordiga, insieme eventualmente ad altri membri del gruppo dirigente del comunismo italiano, dovesse al più presto recarsi nella capitale della Russia sovietica per i chiarimenti necessari. Humbert-Droz rilevò che le uniche vere “opposizioni” allo spirito delle “Tesi di Roma” erano state rappresentate da Bombacci e Presutti (che si ponevano decisamente dalla parte delle posizioni “frontiste” dell’Internazionale) e da Grazidei e Tasca (che pur accettando le impostazioni tattiche del “fronte unico politico” dell’Internazionale, conservavano qualche riserva in relazione alla particolare situazione politica italiana).
    Paolo Spriano rileva che al congresso di Roma fu rinnovato “ il blocco tra bordighiani ed ex ordinovisti, legati anche, per ora, come si è visto, da comuni convinzioni tattiche, senza dire che il Bordiga appare, anzitutto agli occhi di Gramsci, come ancora insostituibile alla testa del Partito. , eppure proprio la decisione congressuale di destinare il Gramsci a Mosca, quale rappresentante dei comunisti italiani nell’Esecutivo della Terza Internazionale, contribuirà a mutare, di lì a non molto, la storia del Partito Comunista d’Italia. Per il resto, il Congresso di Roma confermò una certa sottovalutazione generale del “pericolo fascista” (a pochi mesi dalla marcia su Roma!), ancora avvertito maggiormente dal Gramsci rispetto ai bordighiani, e confermò altresì il gruppo dirigente uscito da Livorno, con Bordiga, Terracini, Fortichiari, Grieco e Repossi rieletti all’Esecutivo.
    Le tensioni fra la direzione del PCd’I e il Komintern erano destinate ad accrescere ancora, complice anche la rottura, ai primi di ottobre del 1922, durante il congresso socialista, fra i massimalisti e i riformisti del PSI, con il rilancio da parte della Terza Internazionale dell’idea, già messa in campo da mesi, di un tentativo di recupero della sinistra socialista alla causa del comunismo, con le conseguenti prospettive, sgraditissime alla maggiorana del PCd’I, di una fusione.


    ...continua.....

  4. #14
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    Al congresso socialista Treves accusò apertamente l’Internazionale Comunista di essere ormai diventata uno strumento della politica estera dello Stato Russo, opinione del resto (in buona parte) condivisa anche da taluni prestigiosi esponenti della sinistra massimalista (come fu dimostrato dall’intervento del Vella). Alla fine, il partito socialista risultò spaccato in due metà quasi equivalenti e Turati, Treves e Matteotti guidarono la scissione riformista che portò alla fondazione del Partito Socialista Unitario Italiano. Giacomo Matteotti fu eletto segretario del nuovo partito del riformismo socialista.
    Nel panorama politico italiano le tendenze fondamentali della sinistra “operaia” erano ormai quattro: Quella del già Partito Socialista Riformista Italiano (riformisti di destra o “tripolini” o bissolatiani), il Partito Socialista Unitario Italiano (riformisti turatiani), il Partito Socialista Italiano (massimalisti con la componente terzointernazionalista guidata dal Serrati), il Partito Comunista d’Italia (rivoluzionario, filosovietico, guidato al momento ancora dal Bordiga). A questi si devono aggiungere ancora i sindacalisti rivoluzionari (anarcosindacalisti) dell’Unione Sindacale Italiana, i comunisti libertari del Malatesta e le altre formazioni e correnti di tradizione anarchica.
    Mentre una folta delegazione del partito comunista italiano (affiancata da una delegazione socialista massimalista) partiva per il IV Congresso Mondiale della Terza Internazionale, ovviamente convocato a Mosca, Benito Mussolini diventava (a seguito della cosiddetta “la rivoluzione delle camicie nere” del 28 ottobre 1922), il nuovo capo del Governo del Regno d’Italia. Un fatto che, oltretutto, contribuirà a propria volta ad accentuare i contrasti fra la dirigenza “di sinistra” dei comunisti italiani e il movimento mondiale, guidato in modo sempre più saldo e fermo dai bolscevichi russi.
    Al Quarto Congresso del Komintern Lenin tenne, non senza grande fatica (in quanto già gravissimamente malato), il suo ultimo discorso pubblico da dirigente del movimento comunista mondiale. La preparazione della successione, all’interno dei vertici del bolscevismo,stava iniziando a concretizzarsi con le prime dure scaramucce fra i più alti esponenti del Partito sovietico. Nulla trapelava ancora però nell’Internazionale, e l’unità ideologica e politica del gruppo dirigente del Partito Comunista Russo appariva ancora sufficientemente salda, così come indiscutibile era tuttora il prestigio di Leone Trotzky nella Terza Internazionale Comunista.
    Scrive Paolo Spriano: “ Il IV congresso dell’Internazionale Comunista registra la ritirata generale del movimento rivoluzionario in Europa e il successo della controffensiva reazionaria, che si è sviluppata dalla Spagna alla Polonia, dall’Italia alla Germania, dalla Cecoslovacchia ai paesi balcanici. ”. La viva preoccupazione dei bolscevichi per questa situazione era evidentissima e la relazione fra il riflusso del movimento mondiale e la contemporanea ritirata “verso il mercato” della rivoluzione russa fu sottolineata soprattutto da Lenin. Il tema della sua relazione era infatti: “ Cinque anni di Rivoluzione Russa e le prospettive della rivoluzione mondiale” , e nel corso del discorso Lenin insistette, non a caso, sulla necessità, per tutti i comunisti, di imparare al meglio l’arte della ritirata.
    Nelle tesi sulla tattica il IV congresso mondiale comunista approvò una risoluzione in cui, fra l’altro, si sosteneva che “ La politica offensiva della borghesia contro il proletariato, quale si manifesta in maniera più evidente nel fascismo internazionale, è in rapporto strettissimo con l’offensiva del capitale sul terreno economico […]. L’aspetto caratteristico del fascismo italiano, il fascismo classico che a un certo momento ha conquistato tutto il paese, consiste nel fatto che i fascisti non sono soltanto gruppi di combattimento decisamente controrivoluzionari e armati fino ai denti, ma cercano, con una demagogia di tipo sociale, di crearsi una base di massa, tra i contadini, nella piccola borghesia e anche in certi settori del proletariato, usando abilmente, per i loro scopi controrivoluzionari, le delusioni causate dalla sedicente democrazia […]. Uno dei compiti principali dei partiti comunisti è di organizzare la resistenza al fascismo internazionale, di mettersi alla testa di tutto il proletariato nella lotta contro le bande fasciste e di attuare energicamente anche su questo terreno la tattica del fronte unico; qui i metodi illegali sono assolutamente indispensabili. Ma la folle scappatoia del fascismo è l’ultima arma della borghesia. [..] ”.


    ....continua............

  5. #15
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    Tra i motivi di scontento dei vertici dell’Internazionale verso il comportamento della direzione dei comunisti italiani, vi era stato l’atteggiamento che questa aveva tenuto nei confronti del fenomeno degli “arditi del popolo”. A detto movimento, sorto in modo semi-spontano per contrastare le squadre d’azione fasciste e le loro violenze contro le organizzazioni del “movimento operaio” e “popolare”, avevano aderito inizialmente molti militanti comunisti di base, insieme a lavoratori socialisti, anarchici, sindacalisti-rivoluzionari, “senza partito”, repubblicani. Alcune squadre di arditi avevano scelto per sé i nomi di “Lenin”, “Trotzky” o anche “Tolstoj”. Il Partito Comunista, nonostante il diverso avviso di taluni suoi prestigiosi dirigenti (tra cui il Grazidei, ma anche il Gramsci), aveva decretato l’ostracismo verso il movimento con l’argomentazione che i comunisti dovevano inquadrarsi esclusivamente nelle organizzazioni militari di partito e che quello degli “arditi del popolo” costituiva un movimento “parziale”, costituitosi su una piattaforma essenzialmente “difensiva” e in quanto tale non rivoluzionaria. Le tesi del IV congresso sul fronte unico (anche nella lotta “illegale” alle “bande fasciste”) non lasciavano dubbi sulla ben diversa concezione tattica che i bolscevichi avevano della questione, come già avevano avuto occasione di manifestare in precedenza, anche con un certo sarcasmo sulla tendenza dei comunisti italiani di osservare con “la lente di ingrandimento” la percentuale di marxismo riscontrabile nei vari movimenti sociali prima di decidere che atteggiamento assumere nei loro confronti.
    Il IV congresso mondiale della Terza Internazionale impose alle sezioni nazionali di sbandierare come “parola d’ordine di propaganda generale” quella del “ governo operaio ”, intesa come “ inevitabile conseguenza di tutta la tattica del fronte unico. “.
    Per l’Internazionale Comunista il “governo operaio” rappresentava un qualcosa a metà fra un espediente tattico e un obiettivo transitorio, concepito comunque al fine “ di concentrare e scatenare le lotte rivoluzionarie ” partendo da un’ipotesi di programma “di governo” che doveva prevedere l’armamento dei lavoratori, il disarmo delle bande controrivoluzionarie, l’instaurazione del controllo operaio sulla produzione e “ nel fare cadere sui ricchi il peso determinante delle tasse e nel fiaccare la resistenza della borghesia controrivoluzionaria ”.
    Per la maggioranza del PCd’I più ancora che inaccettabile, questa risoluzione risultava addirittura incomprensibile. Soprattutto per la “logica matematica” con la quale ragionava l’ingegner Bordiga anche quando si cimentava a maneggiare i principi della dottrina marxista rivoluzionaria. Per il Bordiga (sulla base dei presupposti teorici da Lenin più volte enunciati) o ci si trovava innanzi alla dittatura della borghesia o alla dittatura del proletariato, tertium non datur. Dunque o il “governo operaio” era un altro nome per designare la dittatura del proletariato comunista o era una forma mascherata della “dittatura borghese”, che i comunisti non potevano non contrastare a fondo. Ciò anche al fine di non alimentare illusioni gradualistiche nella classe operaia (dandole ad intendere che vi fosse altra via per giungere alla propria emancipazione che quella delineata chiaramente della dottrina ortodossa di Marx e Lenin sulla rivoluzione violenta e la dittatura di classe). Ma la Terza Internazionale, senza rigettare nulla della visione teorica comune, sosteneva che, nell’ottica della conquista alla causa della rivoluzione socialista della maggioranza del proletariato, i comunisti “ sono pronti a marciare anche con operai socialdemocratici, cristiani, senza partito, sindacalisti, che non abbiano ancora compreso la necessità della dittatura del proletariato. I comunisti sono anche disposti, in certe condizioni e con determinate garanzie, ad appoggiare un governo operaio non comunista ”. Le forme di governo operaio paventate del Komintern, sostenevano le tesi, “ non sono ancora la dittatura del proletariato; non costituiscono ancora una necessaria forma di transizione verso la dittatura ma possono costituire un punto di partenza per la conquista di tale dittatura. La dittatura completa del proletariato non può essere realizzata che con un governo operaio composto da comunisti. ”.

    .................. continua ..................

  6. #16
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    La discussione nella delegazione dei comunisti italiani fu particolarmente accesa riguardo alla decisione che, in modo preconfezionato dai bolscevichi, il IV Congresso mondiale assunse sulla “questione italiana”, imponendo senza troppe cerimonie la fusione del PCd’I con i massimalisti del PSI in un nuovo Partito Comunista Unitario d’Italia.
    La risoluzione dell’Internazionale Comunista faceva esplicito richiamo alla necessità di una “ rapida fusione di tutte le forze rivoluzionarie del proletariato , soprattutto in conseguenza della “ vittoria della reazione fascista ”, ma questo non era sicuramente l’unico motivo della decisione, né senza il successo della “marcia su Roma” la deliberazione imposta dai bolscevichi sarebbe stata molto diversa. Della fusione fra i due partiti (dopo l’esclusione dal PSI di coloro che comunque avessero ritenuto di rifiutare ancora le 21 condizioni del II congresso mondiale) la risoluzione del IV congresso fissava addirittura il limite temporale, e cioè “ entro il 15 febbraio 1923 ”.

    Questa sorta di imposizione del Komintern non era quindi rivolta soltanto alla delegazione comunista, guidata dal Bordiga, ma anche ai socialisti. Veniva infatti costituito autoritativamente un “comitato organizzativo” presieduto da Zinoviev (o da altro membro dell’esecutivo mondiale) con il Bordiga e il Tasca in rappresentanza del PCd’I e il Serrati e il Maffi in rappresentanza del PSI. Bordiga che dichiarò di sottomettersi disciplinatamente al Komintern e che pertanto si accingerà a tacere in Italia, evitando di reiterare anche lì le sue note convinzioni pubblicizzando i dissensi con la Terza Internazionale, rifiuta però di far parte della commissione, nonostante i reiterati inviti di Zinoviev. All’interno della delegazione italiana le posizioni sono variagate, e Gramsci e Scoccimarro pur facendo parte della maggioranza capeggiata da Bordiga se ne distanziano con alcune iniziative tese ad evitare che il nuovo partito unificato cada in mano alla minoranza di destra del PCdI e ai massimalisti del PSI.
    Scrive Paolo Spriano che “ Dopo tre settimane di discussione Zinoviev riesce ad elaborare, e a far approvare, un progetto di fusione che sono in parte le condizioni poste dal partito italiano la cui maggioranza, formalmente ricompostasi, si piega all’inevitabile dopo nuove proteste e resistenze.
    Del resto proprio mentre i russi si dimostravano preoccupati soprattutto per l’ostinazione della maggioranza dei comunisti italiani, in Italia Pietro Nenni guidava l’opposizione alla fusione creando addirittura un comitato per la difesa del PSI e della sua autonomia.
    Come ricorda Bruno Fortichiari: “ Mentre nelle campagne e nelle città d’Italia il fascismo dilaga, uccide e distrugge, rientrano le delegazioni comunista e socialista dal IV Congresso. E salta l’accordo di Mosca, perché la parte centrista e di destra del PSI si rivolta [..]. Nelle circostanze anzidette il governo scatena un’imprevista offensiva contro il PCd’I. Tra gli ultimi giorni di gennaio e i primi giorni del febbraio 1923, a Roma, sono arrestati Bordiga, Berti, Gnudi ed altri. […] Palmiro Togliatti non è arrestato. In quel momento egli è l’unico elemento del Comitato Centrale presente a Roma e ha la direzione del giornale del Partito. [..] Nel marzo 1923 interviene un rappresentante dell’Internazionale che chiama Togliatti e Scoccimarro a far parte dell’Esecutivo del Partito. Fortichiari e Repossi ne sono esclusi *perché su di loro pende un mandato di cattura*. La designazione era dovuta a Gramsci, in quel periodo di tempo ancora a Mosca, ed era chiaro che si coglieva l’occasione per defenestrare la sinistra dei congressi di Livorno e di Roma. Contemporaneamente Tasca e Grazidei, della destra revisionista, entrarono nel Comitato Centrale. ”.
    Nel Partito Socialista l’ala massimalista più radicale, favorevole alla fusione con i comunisti e al ritorno nella Terza Internazionale (e per questo detta “terzointernazionalista” o dei “terzini”), risultò minoritaria al congresso straordinario del partito. Essa si raccoglieva sostanzialmente intorno alla leadership di Serrati, Fabrizio Maffi e Zanetta.
    Del fallimento della fusione fu attribuita la responsabilità, da parte dei bolscevichi e dei vertici della Terza Internazionale, all’atteggiamento ostruzionistico della maggioranza del Partito Comunista d’Italia.

    ........continua............

  7. #17
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    Durante l’estate del 1923 la riunione dell’Esecutivo del Komintern si trasformò, sulla questione italiana, in una sorta di processo alla direzione del PCd’I. Processo che si concluderà con la sostituzione d’autorità di gran parte del gruppo dirigente restante (ossia non caduto nelle mani della polizia di Mussolini o impegnato a Mosca). Alcuni dei designati all’esecutivo, ancora in capo alla vecchia maggioranza del blocco fra bordighiani e ordinovisti (Fortichiari e Togliatti) esitarono, ma furono infine convinti a prendere il loro posto da Antonio Gramsci, che restò a Mosca (in quanto colpito, in Italia, da mandato di cattura). Tasca (per la minoranza comunista) e Maffi (per i socialisti terzointernazionalisti) attaccarono dal par loro la maggioranza del Partito Comunista, affiancando le accuse de “gli inquisitori” bolscevichi.
    Per Bordiga questo “colpo di mano” attuato da Mosca fu un boccone amaro e costituì la prova di uno scivolamento anche dell’Internazionale Comunista verso l’opportunismo. E’ un fatto che costituì l’inizio della fine di ogni autonomia reale del partito comunista italiano dalle direttive sovietiche,e ciò fino agli anni settanta e alla segreteria di Enrico Berlinguer.
    In ogni caso, l’Esecutivo dell’Internazionale Comunista aveva preso delle misure organizzative nei confronti del PCd’I che rivestiranno un’importanza decisiva per lo sviluppo successivo della vita del partito. Scrive Spriano “ Dalla riunione di giugno Gramsci sorte come un coimputato al processo intentato al vecchio gruppo dirigente. Eppure egli inizia, subito dopo questa assise, un’evoluzione politica che lo farà apparire come *l’uomo dell’Internazionale* nei confronti dei compagni italiani riluttanti ad accettarne le decisioni organizzative. .
    Nel frattempo la salute di Lenin si era assai aggravata e, di fatto, il vecchio capo bolscevico era già stato messo definitivamente fuori combattimento dalla malattia (non era più in grado ne’ di scrivere, ne’ di parlare). L’unità del massimo gruppo dirigente del Partito Comunista della Russia era ora, per la prima volta, seriamente scossa dalla lotta di successione apertasi fra i capi. L’ascesa di Stalin era decisamente già iniziata (anche se non così appariscente all’esterno) ed ora egli stava costituendo un’alleanza importante quanto assolutamente transitoria con Zinoviev (il capo della Terza Internazionale) e Kamenev, contro Trotzky (il quale aveva iniziato a denunciare fenomeni e pericoli di degenerazione del regime sovietico, sostenendo infine la necessità di un “nuovo corso”). Stalin ricopriva la carica di Segretario Generale, di per sé con compiti organizzavi gestionali non strettamente politici, e da quella posizione privilegiata manovrava al meglio contro i suoi avversari per conquistare il partito. Era riuscito a neutralizzare anche la lettera di Lenin al congresso bolscevico, redatta fra il dicembre 1922 e le prime settimane del 1923, l’ultimo atto politico significativo del vecchio leader, che tra l’altro chiedeva la rimozione di Stalin da quella carica.
    Tornando all’Italia, nei mesi successivi si completò il processo di rottura della vecchia maggioranza del PCd’I (espressa dall’egemonia bordighiana sul blocco costituito con Terracini, Gramsci e la maggior parte dei vecchi “ordinovisti”, salvo il “destro “ Tasca). Bordiga, nella prima fase ancora in carcere, tendeva a rifiutare sempre più qualsiasi collaborazione con la nuova direzione e a consigliare i suoi compagni di tendenza di fare altrettanto. Togliatti oscillava ancora fra l’influenza dei bordighiani e il nuovo orientamento del Gramsci, ma lentamente scivolava sempre più verso questo ultimo, così come anche Montagnana, Scoccimarro, lo stesso Terracini.

    - continua .........

  8. #18
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    Fallito il tentativo della fusione con il PSI, la nuova direzione comunista cercò di portare verso il partito almeno la minoranza “terzointernazionalista” di Serrati e Maffi. La tattica del fronte unico e del “governo operaio” venne attuata in condizioni difficili, nel clima repressivo imposto dal governo fascista, dove ancora la direzione del PSI dimostrava, di fatto, di tenere più a mantenere relazioni unitarie con i riformisti del PSU che non con i comunisti.
    In omaggio comunque alle parole d’ordine frontiste del partito, fu fondato un nuovo quotidiano “degli operai e dei contadini”, controllato strettamente dai comunisti ma rivolto, nelle intenzioni, a tutti coloro che si ponevano nell’ottica di far blocco di classe contro la borghesia e il fascismo. Il quotidiano fu quindi chiamato “L’Unità” . Contemporaneamente fu deciso di stampare nuovamente la rivista “L’Ordine Nuovo”, questa volta non più di tendenza… ma di Partito.
    Nel frattempo il primo processo ai dirigenti del partito comunista intentato durante il potere mussoliniano, si svolse ancora completamente con le regole del giuoco del vecchio stato liberale. Bordiga si difese in modo molto brillante, aumentando la propria popolarità nella base del partito, e alla fine la corte mandò tutti assolti giacchè non si potevano processare i comunisti in quanto tali, e mancavano le prove effettive della loro attività sediziosa, non risultando sufficienti, a tale fine, le mere opinioni rivoluzionarie documentate dall’accusa.

    Nell’ottobre 1923 fallì l’ennesimo tentativo rivoluzionario del partito comunista tedesco, causando un ulteriore duro colpo alle illusioni bolsceviche sulla rivoluzione in occidente. Anche in conseguenza di ciò si produsse subito dopo una certa “svolta a sinistra” nella tattica politica del Komintern.

    Il 30 novembre 1923 la Camera dei Deputati italiana si trovò a dover dibattere su quello che, dai cronisti dell’epoca, era stato chiamato ….”il patto con il diavolo”, ossia la ripresa delle relazioni diplomatiche fra l’Italia, governata da Mussolini e la Russia, ormai bolscevica da 6 anni.
    Mussolini sostenne che: “ L’Italia ritiene che sia giunta l’ora di considerare nella sua attuale realtà i nostri rapporti con la Russia. Noi prescindiamo dalle sue condizioni interne nelle quali, come Governo, non intendiamo entrare come non ammettiamo interventi estranei nelle cose nostre, siamo quindi disposti ad esaminare la possibilità di una soluzione definitiva .
    Del resto il DUCE del Fascismo, ben prima della marcia su Roma, in occasione di un primo accordo commerciale fra Italia e Russia Sovietica (ottobre 1921) , aveva sostenuto: “ La possibilità e, domani, l’utilità di questi accordi, è in relazione con il fatto che oramai la Russia è uno stato perfettamente capitalistico e che il cosiddetto governo comunista è, in realtà, un governo borghese come tutti gli altri […] L’accordo italo-russo è da salutare come un altro passo verso la pace generale europea. (su “il Popolo d’Italia” del 2 novembre 1921).
    Tornando al 30 novembre 1923, un certo scalpore fu suscitato dall’intervento, ben poco ortodosso in tutti sensi, in cui alla Camera si cimentò il deputato e dirigente comunista Nicola Bombacci.
    Bombacci interloquì, nel suo discorso, più volte con il Mussolini, facendosi sostenitore al contempo della posizione Russa e dell’interesse italiano nell’accoglierla e invitando il Mussolini dal guardarsi da taluni membri del suo stesso governo (in particolare il Federzoni) che avevano tutta l’intenzione di sabotare l’intesa italo-sovietica. Dimostrandosi a conoscenza di documenti russi, che il Duce del Fascismo non aveva ancora avuto modo di consultare (e dimastrando altresì di parlare direttamente per conto di Mosca, ad insaputa dei suoi medesimi compagni di Partito) il Bombacci si spinse però molto oltre, anzi troppo, anche sul piano ….ideologico, quando si soffermò a parlare “ dell’incontro fra le due rivoluzioni ”. Togliatti definì “vaneggiamenti” tali affermazioni del Bombacci, che scatenarono infatti disordini sia tra i banchi della maggioranza fascista che tra quelli dei comunisti. Successivamente il Comitato Centrale del Partito Comunista d’Italia condannò come “ripugnanti” le parole di Bombacci sulle “due rivoluzioni”, ma da Mosca l’appoggio al leader rivoluzionario non venne sostanzialmente meno.
    Sta di fatto che l’Italia di Mussolini fu il primo paese capitalista dell’occidente a riconoscere diplomaticamente la Russia bolscevica.

    [....continua..........]

  9. #19
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    A proposito del discorso scandaloso di Bombacci, ricorda Bruno Fortichiari, prestigioso esponente della sinistra del partito: “ L’enormità del discorso del parlamentare del PCd’I era tale che l’Esecutivo del partito stesso non aveva potuto astenersi dall’intervenire. Aveva invitato Bombacci a dimettersi da deputato, ma questi si era giustificato dimostrando di avere agito d’intesa con l’ambasciatore sovietico. Sta di fatto che l’Esecutivo aveva confermato la sua decisione punitiva verso Bombacci; questi era ricorso all’Esecutivo dell’Internazionale e il presidente Zinoviev aveva annullato la delibera dell’Esecutivo del PCd’ì. Questi precedenti davano materia alla propaganda fascista per accentuare lo smarrimento fra gli avversari di ogni ceto, ma servivano brillantemente a mettere alla berlina i compagni negli stessi ambienti proletari. ”.

    Sul finire del gennaio 1924 morì Lenin.
    In vista delle elezioni politiche dell’aprile 1924, sulla base delle direttive dell’Internazionale di Mosca e della tattica del fronte unico, il Partito Comunista propose la formazione di un blocco elettorale di unità proletaria al PSI e al PSU, i quali però rifiutarono. Soprattutto il Matteotti fu irremovibile, per i riformisti, nel respingere fermamente e completamente tutte le proposte dei comunisti. Ma anche il Nenni e il Vella per il PSI difesero le posizioni di autonomia del loro partito massimalista. Solo la minoranza terzinternazionalista del PSI, ridotta ad un gruppo di sempre minore rilievo, fu infine convinta a presentare liste insieme ai comunisti. Bordiga rifiutò di fare il capolista, accentuando ancora le sue critiche alla nuova direzione del Partito voluta da Mosca e alla stessa Internazionale: “ Io non sarò deputato – disse Bordiga a Togliatti – e più presto farete i vostri progetti senza di me; meno fatica farete e meno tempo perderete. ”.
    Il “listone” del blocco nazionale, guidato dai fascisti, ottenne oltre 4,3 milioni di voti, e unitamente ad altra lista filo-fascista, raggiunse quasi il 67% dei consensi. Il partito popolare ebbe 637.000 voti, il PSU riformista ne ebbe 415.000, il PSI massimalista 341.000, “L’Alleanza per l’unità proletaria” costituita da comunisti e socialisti terzinternazionalisti d’estrema sinistra guadagno’ 268.000 voti , i repubblicani ne presero 133.000 e i liberaldemocratici di Amendola 75.000 circa. Le elezioni si erano svolte, in molti luoghi, in un clima di aperta intimidazione da parte delle camicie nere e il Matteotti pagherà, di lì a poco, con la vita la coraggiosa denuncia di brogli elettorali.
    Ai primi di maggio del 1924 si svolse clandestinamente, a Como, un convegno consultivo del PCd’I che vide la partecipazione di 67 fra alti e medi dirigenti comunisti, fra cui 11 membri del Comitato Centrale. La sinistra, rappresentata al meglio dal Bordiga, ottenne infine 41 voti, contro i 9 della destra capeggiata da Tasca e gli 8 del centro di Gramsci e Togliatti (che era il relatore). Scrive Bruno Fortichiari che “ nonostante l’esito inequivocabile del convegno di Como non ci furono modifiche al Centro direttivo del PCd’I. Rimanevano al timone i piloti squalificati di una minoranza più che mai decisa a valersi della copertura dell’Esecutivo dell’Internazionale Comunista e preoccupata soltanto di edulcorare le pretese di questo organismo in modo di evitare uno scontro al momento opportuno con la base. Questa prudente ambiguità non poteva tuttavia durare a lungo. A Mosca stringevano i tempi. Stalin, segretario del partito bolscevico, era ormai in grado di influire pesantemente sull’Internzionale Comunista. ”.
    Da parte sua il Togliatti aveva dichiarato: “ Noi non ci meravigliamo che la maggior parte degli intervenuti si sia pronunciata a favore della cosiddetta *sinistra*. Quantunque siamo la maggioranza del Comitato Centrale siamo i primi a riconoscere che la maggioranza del Partito non potrà mettersi sul nostro terreno se non dopo che la discussione avrà reso possibile a tutti i compagni di superare il verbalismo privo di senso che spinge molti, anche se sono d’accordo con le cose che noi diciamo, a schierarsi contro di noi perché credono che il dovere di un buon militante comunista è quello di essere sempre *a sinistra*.

    [.........continua............]

  10. #20
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    I comunisti italiani nell’Internazionale dopo Lenin

    La conferenza di Como designò, tra l’altro, la delegazione dei comunisti italiani che avrebbe partecipato, di lì a poco, al V Congresso della III Internazionale Comunista (giugno 1924); il primo congresso mondiale tenutosi dopo la morte di Lenin. Rispetto alle manifestazioni precedenti, questa volta i rappresentanti italiani erano meno numerosi: Bordiga, Togliatti, Tasca, Grieco, Mersù, Gnudi, Perrone, Betti, Venegoni, Teresa Recchia, Legnetti, Fugazza, Bibolotti, La Camera, Massini, Terracini, e, in rappresentanza dei “terzini”, Maffi, Serrati. Gramsci fu trattenuto a Roma dalla “crisi Matteotti” . Per la prima volta Palmiro Togliatti si trovò nel “paese del Socialismo” e per la prima volta aveva l’occasione di partecipare a riunioni di alto livello con i capi del comunismo sovietico e del movimento rivoluzionario internazionale.
    Nella sostanza, il Quinto Congresso de Komintern determinò, rispetto al precedente, una generale “svolta a sinistra” , con una ripresa della polemica contro la socialdemocrazia: (“ i fascisti sono la mano destra e i socialdemocratici sono la mano sinistra della borghesia ” dirà il presidente del Komintern Gregorio Zinoviev). Fu conseguentemente data una interpretazione più restrittiva della tattica del “fronte unico” lanciata dal IV Congresso mondiale. Il Fronte Unico era ora visto essenzialmente come “fronte dal basso” e la parola d’ordine del “governo operaio”, era ormai interpretata come un mero “ metodo di agitazione, di propaganda e di mobilitazione delle masse…uno pseudonimo della dittatura del proletariato. . La lotta di successione a Lenin, nel partito bolscevico, stava subendo una fase di apparente calma. Infatti Trotzky fu ancora chiamato, con tutti gli onori, alla presidenza del Congresso (non sarà però rieletto nell’Esecutivo dell’Internzionale, in quanto sostituito…da Giuseppe Stalin). Eppure dalla tribuna del congresso lo scontro fu soprattutto fra dirigenti bolscevichi, e segnatamente tra la maggioranza guidata da Zinoviev, protagonista della predetta “virata a sinistra” e Karl Radek, che si fece difensore della linea del IV congresso : “ Il senso della nostra tattica del fronte unico – disse Radek – deriva dal fatto che siamo realmente e onestamente preparati a fare un tratto di strada insieme con qualsiasi partito operaio che voglia battersi, quel tratto che un partito è disposto a percorrere insieme a noi ”.
    Al di là delle formulazioni tattiche, il nodo delle divergenze fra Zinoviev e Radek era rappresentato da una diversa valutazione della congiuntura (ove per Zinoviev la situazione permaneva rivoluzionaria e non vi era traccia di quella stabilizzazione del capitalismo sostenuta dalla socialdemocrazia) e delle ragioni della sconfitta dell’ennesimo tentativo rivoluzionario in Germania.
    Significativo fu l’intervento di Amadeo Bordiga che, approfittando della nuova interpretazione della tattica del “fronte unico” e del nuovo significato attribuito alla parola d’ordine del “governo operaio”, si spinse a chiedere,a nome della Sinistra Comunista d’Italia, un’aperta autocritica e una condanna, in quanto “deviazione di destra”, delle formulazioni che al IV Congresso del Komintern erano risultate maggioritarie e vincenti: “ I lavoratori dei paesi fuori dalla Russia soviettista – disse il Bordiga - sanno ciò che è la dittatura del proletariato….Io domando semplicemente una sepoltura di terza classe per la tattica e per la parola del governo operaio ”.
    Per Bordiga, nella sostanza, senza un’aperta denuncia degli errori passati non vi era alcuna garanzia che l’Internazionale evitasse di ricadervi in futuro. Perciò agli inviti ammiccanti di Zinoviev di rinunciare al frazionismo internazionale, Bordiga rispose che il dilemma posto dal capo del Komintern “o Bordiga o l’Internazionale” sarebbe stato ridicolo se….preso seriamente, ma che si rendeva senz’altro utile una maggior centralizzazione dell’Internazionale a condizione che questa avvenisse su una base di rigore ideologico marxista e della chiarezza intransigente nelle formulazioni della tattica rivoluzionaria.
    Bordiga rivendicava inoltre il primato dell’Internazionale sullo stesso Partito Comunista Russo (irritando non poco i bolscevichi): “ E’ nell’Internazionale che esso deve trovare la maggior forza di cui ha bisogno per traversare questa situazione veramente difficile nella quale gli sforzi dei nostri compagni che la dirigono sono davvero ammirabili , andando in decisa controtendenza rispetto alla linea che, con la parola d’ordine della “bolscevizzazione dei partiti comunisti”, il Quinto Congresso della Terza Internazionale stava intraprendendo come completamento del processo di subordinazione progressiva dell’organismo mondiale rivoluzionario al Partito Comunista del primo “Stato Operaio” del mondo.

    [.... continua .......]

 

 
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