ECONOMIA
Un atto coraggioso
L'integrazione economica è una scelta tecnica e anche politica





I processi economici procedono rapidamente, i mercati finanziari si globalizzano. Se la politica intende ricoprire un ruolo regolativo e di indirizzo si deve organizzare di conseguenza, fornendo risposte che sappiano superare i confini nazionali. "L'integrazione economica non è solo una scelta tecnica, ma un coraggioso atto politico", spiega al SIR l'economista Franco Mosconi , docente dell'Università di Parma, dove è titolare della Cattedra Jean Monnet. Nella città italiana, scelta per ospitare l'Agenzia per la sicurezza alimentare dell'Ue, è stato avviato un dibattito sul suo "futuro europeo" e l'ateneo ne è un centro nevralgico. Mosconi ha appena pubblicato con la casa editrice universitaria Mup un saggio intitolato "Le nuove politiche industriali nell'Europa allargata".



Spesso si imputa un difetto d'origine all'integrazione continentale: quello di essere fondata su eminenti interessi economici anziché sui "valori" o sulla "cultura" o sulla solidarietà tra i popoli. Condivide questa obiezione?


"Direi di no. Considerando la prospettiva storica, l'integrazione muove i primi passi nel secondo dopoguerra con un obiettivo principale e urgente: la pace. Ne consegue la grande intuizione politica dei 'padri fondatori', che si traduce in decisioni istituzionali per avvicinare i singoli Paesi che fino a qualche anno prima si erano sparati alle spalle. Il processo unitario prende poi la via concreta dell'economia, la quale assume progressivamente il ruolo di motore dell'Europa comunitaria: pensiamo all'abbattimento delle barriere doganali, alla libera circolazione dei lavoratori, delle merci e dei capitali, alla costruzione del mercato unico fino alla moneta unica. Potremmo affermare che l'economia è stata sia essenziale che prevalente nell'avviare e rafforzare la costruzione della 'casa comune'. Resta però un quesito essenziale: gli interessi economici sono strumentali per arrivare all'integrazione politica oppure essi esauriscono il nostro stare assieme?".



Qual è il suo parere a riguardo?


"A mio avviso in questo mezzo secolo che ci separa dall'avvio della Comunità del carbone e dell'acciaio sono stati realizzati molti passi in avanti anche sul versante politico-istituzionale. Eppure una unione politica non esiste ancora: ci sono troppi 'vuoti' in campo giuridico, istituzionale, culturale e manca una politica estera unica. L'economia ha contribuito a far crescere il benessere, è stata un fattore di sviluppo e di pacificazione. Ma ciò non basta: oggi abbiamo bisogno di un 'colpo d'ala', di tornare al progetto originario dell'integrazione. Inoltre vorrei una Unione in grado di agire sullo scacchiere mondiale. Si muove in questa direzione il Trattato costituzionale: non è perfetto, ma certo rappresenta un nuovo traguardo".



Tornando all'economia: quali i risultati raggiunti, quali quelli mancati?


"Come al solito possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Di positivo abbiamo due grandi idee, trasformatesi in successi: il mercato interno e la nascita dell'euro. Di fronte a un'economia che si globalizza, noi oggi disponiamo di un campo da gioco più ampio e competitivo: abbiamo una maggiore coesione tra i settori produttivi e una moneta più forte per affrontare le sfide che giungono dagli Stati Uniti, dai colossi asiatici, dal Sud America… La moneta unica, poi, è il naturale coronamento del mercato unico. L'euro non è solo un fattore tecnico; esso rappresenta a sua volta un atto politico chiaro, è segno della volontà condivisa di procedere assieme".



E il bicchiere mezzo vuoto?


"In questo senso richiamerei i settori in cui il mercato interno non è ancora completato: cito solo l'organizzazione delle professioni, gli appalti pubblici, i servizi finanziari, la fiscalità. I singoli Stati hanno tenuto in piedi delle barriere che turbano la libera concorrenza. Inoltre manca un complessivo coordinamento delle politiche economiche. Qualcosa in questo senso è stato fatto per la Politica agricola comune (per la quale, però, spendiamo dieci volte in più che per la ricerca): comunque alla stessa Pac non basta un maquillage, specialmente se deve diventare un elemento per riequilibrare le economie dei paesi occidentali e di quelli orientali dell'Ue".



Cosa vede nel futuro dei Venticinque?


"Sono convinto che siamo di fronte a una lunga transizione, che non sarà indolore. L'inclusione dei nuovi Paesi membri richiederà tempo e molti investimenti. Inoltre l'Ue dovrà decidersi a investire nelle risorse umane e nella ricerca. Occorrerà forse prevedere una divisione dei ruoli e una maggiore specializzazione in campo economico e produttivo tra Est e Ovest. In questo senso la Strategia di Lisbona è essenziale: la sua recente rivisitazione ne ha limitato gli obiettivi, adeguandola all'attuale contesto di recessione. L'importante è non perdere di vista il binomio su cui essa si regge: competitività e coesione sociale. L'economia europea ha bisogno di scommettere sul nuovo, restando un fulcro dell'integrazione politica e sociale dell'Unione".



Agenzia Sir