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Discussione: Focus Ambiente

  1. #1
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    Arrow Focus Ambiente

    Speciale Ambiente

    Destra Sociale.Org lancia il suo “Speciale Ambiente”. Lo speciale, un insieme di articoli specifici sulla molteplicità dei temi legati all'ambiente è in continuo aggiornamento.

  2. #2
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    Post La storia infinita del protocollo di Kyoto

    Fonte: DestraSociale.org

    Speciale Ambiente - La storia infinita del protocollo di Kyoto

    Firmato nella cittadina giapponese nel 1997, il Protocollo e’ stato finalmente ratificato dai 141 Paesi aderenti ed e’ entrato in vigore lo scorso 16 febbraio. Il Protocollo di Kyoto impegna i paesi industrializzati e quelli ad economia di transizione (i paesi dell’Est Europa) ad una riduzione delle emissioni dei principali gas ad effetto serra del 5,2% entro il 2012. l'Italia dovrà far abbassare le proprie emissioni di gas serra del 6,5% rispetto ai livelli del 1990, ma proprio nel periodo 1990-2003 c’e’ stato un incremento del 3% medio annuo dei consumi energetici e sono aumentate di circa il 10% le emissioni dei gas serra, mentre in Europa si e’ avuta una diminuzione del 10% sui consumi e del 2,5% sulle emissioni dei gas climalteranti.

    Gli obiettivi dell’Italia per tentare il riequilibrio energetico della terra partiranno dal
    settore dei trasporti, con l'eliminazione nel periodo 2005-2009 delle auto circolanti immatricolate prima del 1996 che hanno emissioni superiori a 160 gr.CO2/km. e dalla promozione dell'uso dei biocarburanti. Nel settore energetico i migliori risultati sono attesi dalla diffusione della piccola cogenerazione (generazione combinata di energia elettrica ed energia termica) distribuita di elettricità e calore; dalla espansione della capacità di produzione di energia da fonti rinnovabili e dall'incremento dell'efficienza dei motori industriali. Nel settore dei rifiuti saranno potenziate la produzione di energia dai rifiuti stessi e l'eliminazione del metano dalle discariche. Nel settore dell'industria chimica saranno completamente eliminate le emissioni di protossido di azoto. Nel settore forestale, l'aumento e la migliore gestione delle aree forestali e boschive consentirà un incremento della capacità di assorbimento del carbonio atmosferico.

    Alcuni gas presenti nell' atmosfera generano l' effetto serra, cioè intrappolano il calore irradiato dalla terra impedendone l'uscita nello spazio esterno, proprio come il vetro intrappola il calore in una serra.
    Questo fenomeno, normalmente naturale e benefico (senza l' effetto serra la terra sarebbe di almeno 15 gradi C più fredda), sta assumendo maggiore importanza a causa dell' aumento di concentrazione di questi gas (gas ad effetto serra, detti anche "gas-serra") aumento del quale siamo responsabili quotidianamente. I principali sono: l'anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il protossido di azoto (N20), gli idrofluorocarburi (HFC), i perfluorocarburi (PFC), l'esafluoruro di zolfo (Sf6).
    Questa concentrazione esagerata di calore, che modifica la temperatura terrestre, comporta degli inevitabili effetti a livello meteorologico; con l’incremento della temperatura vi e’ un conseguente aumento dell’evaporazione, per cui si ritiene che, a livello globale, l’inasprimento dell’effetto serra porterà ad una crescita delle precipitazioni e ad una maggiore frequenza delle tempeste di forte intensità, che provocano i ben noti disastri ecologici e nella peggiore delle ipotesi la morte di migliaia di persone, colpite dalle sempre più frequenti calamità naturali.

    L'assenza degli Usa e della Russia hanno penalizzato per molti anni il lancio operativo dell'accordo, rimasto a lungo tempo "sospeso". Nel 2002 avevano ratificato l'atto già 55 paesi senza però coprire il 55% della produzione globale di emissioni di gas serra. Solo dopo la ratifica della Russia nel settembre 2004 si e’ superato finalmente il limite minimo previsto del 55% e data operatività al Protocollo. Restano, in ogni caso, ancora fuori paesi come Australia e Stati Uniti, rei di non aver ratificato l'accordo per paura di danneggiare il proprio sistema industriale… Questa, come tante altre questioni nelle quali sono gli Stati Uniti ad essere l’ago della bilancia - dovendo spesso decidere sulle sorti del nostro pianeta - e’ tra le più scottanti visto che in ballo ci sono le solite lobby industriali che, con la ratifica del Protocollo, perderebbero molti dei loro privilegi, le aziende petrolifere in primis e di conseguenza anche l’industria bellica… Purtroppo proprio gli Stati Uniti d'America sono il principale emettitore di gas serra con una quota del 36,1% sul totale! Commentare sarebbe superfluo.

    Francesca Di Rocco

  3. #3
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    Post L'ambientalismo di destra: FARE VERDE

    Fonte: DestraSociale.org

    L'ambientalismo di destra: FARE VERDE

    Fare Verde nasce nel 1986 per iniziativa di alcuni giovani di Roma appartenenti al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del MSI, dopo una riflessione, già avviata dal settembre 1985, sulla necessità di affrontare il tema ambientale anche da “destra”.

    Il primo manifesto, le prime iniziative vengono realizzate subito dopo l’incidente di Chernobyl (aprile 1986) e sono dedicate all’uscita dell’Italia dal nucleare ed alla critica del modello di sviluppo ad alta intensità energetica. Il primo manifesto, a proposito dell’incidente di Chernobyl, riporta una frase di F. Nietzsche tratta da “La Nascita della Tragedia” (Chi con il suo sapere precipita la Natura nel baratro dell’annientamento, deve sperimentare la dissoluzione della Natura anche su se stesso), marcando la “provenienza” dell’associazione. Nello stesso anno, Alex Langer, nella prefazione al libro “La politica dei Verdi”, sottolinea come i valori del movimento verde siano una sintesi di valori e idealità sia di sinistra che di destra.

    La prima pubblicazione (1987), intitolata “Ecologia: una questione di civiltà” è incentrata sul superamento del modello di sviluppo capitalista e consumista.
    Nel febbraio 1987, l’associazione si dota di un proprio statuto autonomo e l’esperienza comincia ad estendersi ad altre città. Continua la mobilitazione antinucleare in vista del referendum dell’ottobre 87 con assemblee in scuole e università (non senza difficoltà dovute alla provenienza politica dell’associazione), cortei e partecipazione ai blocchi delle centrali di Latina e Montalto di Castro.

    Nel 1988-89, Fare Verde è presente in 15 località e allarga il proprio impegno ad altri temi ambientali, in particolare i rifiuti.

    Nel 1991 si celebra la prima “assemblea nazionale” (che da allora in poi si terrà almeno ogni due anni in conventi o ostelli del centro Italia) e parte il tesseramento nazionale.
    Viene individuato nel volontariato per l’ambiente lo strumento caratterizzante l’associazione che si baserà esclusivamente sul volontariato dei propri aderenti. Cominciano ad aderire all’associazione giovani che non provengono da “destra” ma condividono il principio del volontariato e della critica al modello di sviluppo.

    Sempre nel 1991 si svolge, in Sardegna, il primo campo antincendio che da il via ad un’esperienza di volontariato che dal 1992 (in particolare sui Monti Aurunci) verrà ripetuta fino ad oggi con campi di prevenzione e intervento antincendio in collaborazione con la Protezione Civile ed il Corpo Forestale.

    Nel 1992 viene organizzata per la prima volta, nel Lazio, l’iniziativa “Il mare d’inverno”: riprendendo il titolo dalla canzone di Enrico Ruggeri, l’operazione, oltre alla pulizia di un tratto di spiaggia nell’ultima domenica di gennaio, intende richiamare l’attenzione sui problemi dell’ecosistema marino lontano dalla stagione balneare proprio in contrasto con la visione utilitaristica (antropocentrica) della Natura di cui ci si occupa solo quando “fa comodo” all’uomo (nel caso del mare con l’arrivo della stagione balneare). L’operazione consente di svolgere un’azione di monitoraggio delle forme di inquinamento sulle spiagge. Proprio sulla base dei rilievi svolti nel corso de “Il mare d’inverno” è partita la campagna per mettere fuorilegge i cotton fioc non biodegradabili in plastica. Nel 2005, si è arrivati alla tredicesima edizione dell’iniziativa che si è svolta in circa 60 località in quasi tutta Italia.

    Nel 1993, rispondendo ad un bando del Comune di Roma, viene realizzata la prima iniziativa con un Ente pubblico: la guida, “Risparmia la Terra, disintossica la tua città” è presentata da un’introduzione del Sindaco Francesco Rutelli.
    Anche l’iniziativa “Dove passano i nuovi barbari” abbina volontariato (sorveglianza, monitoraggio e pulizia delle aree che subiscono il “rito” del pic-nic del Lunedì di Pasquetta) e sensibilizzare i gitanti per contrastarne comportamenti dannosi per l’ambiente (abbandono di rifiuti, accensione di fuochi, accesso con le auto su aree verdi, inquinamento acustico ecc.)

    Dal 1994 è iscritta al Registro Regionale del Lazio delle associazioni di volontariato.
    Sempre nel 1994 con l’assemblea di Montevarchi si ufficializza l’indipendenza dai partiti e dal Polo di destra. Dopo il primo discorso di Berlusconi da Presidente del Consiglio alla Camera in cui afferma che per privilegiare lo sviluppo economico, si dovrà “attendere per affrontare i problemi ambientali”, Fare Verde, nel mese di giugno, organizza, proprio in una sala della Camera dei Deputati, un convegno dal titolo “L’ambiente non può attendere”.

    Nel 1995 esce il primo numero di “x Fare + Verde”, il bimestrale dell’associazione che esce tuttora, distribuito per abbonamento postale. Tra gli argomenti del primo numero il boicottaggio alla Francia per la ripresa degli esperimenti nucleari bellici nel Pacifico. Il giornale, in 16 pagine, è senza pubblicità ed oltre alle iniziative di Fare Verde, si occupa di sviluppo sostenibile, consumi equi e solidali, rapporto nord sud del Pianeta ed approfondimento culturale in campo ambientale (in uno degli ultimi numeri è stata ospitata un’intervista ad Edward Goldsmith, Vandana Shiva).

    Nel 1996/97 Fare Verde partecipa alla campagna “Produrre ed acquistare meno rifiuti” promossa dal Forum Verde “Risorse e Rifiuti” composto da varie associazioni e movimenti ambientalisti di base coordinati da Michele Boato.

    Nel 1997 viene presentata al Ministero dell’Ambiente la documentazione per essere riconosciuta come associazione ai sensi dell’art.13 della legge 349/86: Fare Verde è presente in 13 regioni e conta oltre 2000 aderenti. Nel 1999 l’apposito comitato del Ministero dell’Ambiente esprime parere favorevole al riconoscimento ma il decreto arriverà solo nel 2003.

    Ancora nel 1997 inizia la battaglia per liberare le spiagge italiane dagli indistruttibili “cotton fioc”: dapprima con campagne di educazione ambientale realizzate con amministrazioni locali per il corretto utilizzo degli scarichi domestici. In seguito, dopo numerose azioni di pressione sul legislatore, tra cui una petizione al Parlamento consegnata al Presidente della Commissione Ambiente del Senato, Giovanelli, con l’art.19 della legge 93/01, Fare Verde vince questa battaglia raggiungendo la messa al bando dei bastoncini non biodegradabili a partire dall’ottobre 2002.

    Nel 1999 viene attivato il sito internet dell’associazione. Questo passaggio influirà gradualmente in modo sempre più determinante sulla comunicazione verso l’esterno dell’associazione e all’interno tra i gruppi locali e nell’organizzazione del lavoro. Dal 2001, oltre a raccogliere tramite il medesimo sito web, l’adesione di singoli, alcuni gruppi locali si formeranno sulla base di contatti avvenuti inizialmente tramite posta elettronica.

    Sempre nel 1999, l’assemblea di Fare Verde elegge Presidente dell’associazione, Fabrizio Vincenti (di Lucca)e Francesco Greco Vicepresidente (dalla provincia di Brindisi).

    Ancora dal 1999, con la partecipazione di alcuni volontari di Fare Verde alla gestione di un campo profughi a Kavaje in Albania nel quale si occupavano della raccolta dei rifiuti, prende il via un ulteriore percorso di volontariato che intende sostenere la crescita e la formazione di fasce giovanili di paesi in via di sviluppo o ad economia in fase di transizione. Il Kosovo è la regione in cui prendono il via una serie di iniziative che vedono Fare Verde arrivare anche alla costituzione di Fare Verde Kosova che, tra l’altro nel 2003 2004, realizzerà alcune iniziative di carattere ambientale nelle scuole locali ed in particolare sul risparmio energetico (se vi occorrono informazioni più dettagliate su questo aspetto potremo farvele avere ).

    Dal 2001 prende il via un nuovo impegno: la promozione della diffusione del recupero della frazione organica dei rifiuti tramite raccolta differenziata e compostaggio domestico. Dal 2001 al 2003 le prime iniziative si svolgono in collaborazione con alcuni Enti Locali (tra cui la Provincia di Roma) ma tavoli informativi con distribuzione di materiale e di sacchetti di compost di qualità si tengono in tutta Italia.

    Nel 2003, nell’assemblea di Villetta Barrea viene modificato lo Statuto nella versione attualmente aggiornata (e che vi alleghiamo).

    Nel 2004 Fare Verde riceve il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali per un’iniziativa, dal titolo “Meno rifiuti in città più qualità in campagna” che si svolge in quasi cento località e si avvale della collaborazione della Scuola Agraria del Parco di Monza, del Consorzio Italiano Compostatori e della Coldiretti. Finalità della campagna è quella di diffondere la raccolta differenziata della frazione organica, la pratica del compostaggio domestico e l’impiego del compost di qualità in agricoltura e nella manutenzione del verde pubblico cittadino.

    Attualmente Fare Verde è presente in 14 Regioni : Trentino Alto Adige, Veneto, Lombardia, Emilia R., Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna.

  4. #4
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    Post La Basilicata, l'ambiente... il petrolio

    Fonte: DestraSociale.org

    La Basilicata, l'ambiente... il petrolio

    Basilicata: 600 mila abitanti circa, disoccupazione intorno al 13%, una regione dimenticata e arretrata, dove però la vita sembra ancora genuina come un tempo, dove la gente è sempre accogliente e, in alcuni paesi, c’è abbastanza fiducia da “lasciare la porta aperta”. L’ agricoltura sembra essere il cuore pulsante di questa regione e il turismo ne risalta le bellezze: dallo splendido mare di Maratea ai Sassi di Matera, passando per Melfi, guidati dal Falco di Svevia, e Venosa, città di Orazio e del vino, attraversando l’Appennino Lucano con i vari paesini arrampicati sulla roccia. Poi c’è la Val d’Agri: boschi, ruscelli e prati a perdita d’occhio.

    Carmine è uno dei 600 mila, vive a Viaggiano, nel cuore della Val d’Agri. I suoi occhi, ormai segnati dall’età, guardano la vallata dove un tempo sorgeva l’azienda che con la sua famiglia aveva avviato, poi…

    Negli anni ’80 degli studi hanno rivelato la presenza, nel sottosuolo della Val d’Agri, di un giacimento petrolifero. Quello che per molti era semplice petrolio, si è rivelato invece un olio “ottimo” in un giacimento enorme, pare infatti che sia il più grande dell’Europa continentale, il sesto a livello mondiale, e quella che era una regione arretrata è di colpo diventata il Texas Italiano.

    Qui la saggezza popolare è maestra di vita e si sa che “chi lascia la strada vecchia per quella nuova sa cosa lascia ma non sa cosa trova” e Carmine la sua azienda non la voleva lasciare ma con i figli ormai sistemati e la promessa di una nuova era per la regione non si poteva dire di no. Ma questa è già storia recente, perché nel 1992 il Ministero per l’Ambiente decide di dar vita al Parco Nazionale della Val d’Agri, per tutelarne le bellezze, incentivarne il turismo (molte di quelle zone, grazie alla CE, sono infatti diventati SIC, Siti di Importanza Comunitaria), ma la definitiva realizzazione del Parco e la definizione dei confini, spetta alla Regione Basilicata e ai Comuni che ne dovrebbero far parte e ad oggi ancora non se n’è fatto niente.

    Nel 1998 Governo (D’Alema), Regione Basilicata ed ENI stipulano degli accordi con cui il Governo autorizza l’Ente Nazionale Idrocarburi a procedere con le operazioni di estrazione, e la Regione firma invece un Protocollo d’intesa che prevede, oltre alle royalties ai singoli comuni, politiche di sostegno, da parte dell’ENI ovviamente, alle attività economiche, alle politiche ambientali e alla concessione di energia a basso costo per far crescere l’economia locale e garanzie per l’ambiente e per i ritrovamenti archeologici.
    Inizia così il lavoro dell’ENI che può procedere senza che ci siano limitazioni di alcun tipo alla sua attività: il Parco non è stato realizzato e il fatto che alcune zone rientrino nei SIC non preoccupa affatto i petrolieri.

    All’inizio del 2002, in un intervista sul tema per la trasmissione Report, il presidente della giunta regionale, appoggiato da Verdi, Rifondazione e ambientalisti-moralisti vari, afferma che l’attività estrattiva non porta assolutamente un danno paesaggistico, non toglie spazio all’agricoltura e aggiunge che: ”una attività estrattiva gestita con l'uso delle migliori tecnologie disponibili non costituisce fattore di incompatibilità con lo sviluppo turistico, con lo sviluppo agricolo e con la tutela della salute dei cittadini.”, e l’Assessore Ambiente e Territorio afferma: ”Abbiamo ottenuto più di altri. E ancora non c'è sul territorio un esempio di chi ha ottenuto più della Basilicata nelle relazioni con le compagnie.”. Vediamo.
    I lavori iniziano con le indagini geosismiche: si tratta di far esplodere 20-25 kg di gelatina a una profondità di 20 metri. Queste esplosioni vengono avvertite dagli abitanti dei comuni vicini, sia per i boati che per i movimenti sussultori che provocano. Alla fine di queste indagini molte case risulteranno danneggiate, pozzi prosciugati, profondi solchi lasciati nel terreno, alberi tagliati, pezzi di tubi sparsi per le campagne, cariche inesplose lasciate nei corsi d’acqua, e se non bastasse queste indagini sono state svolte anche nei SIC, dove non si può raccogliere nemmeno un fiore.

    I responsabili di eventuali danni chi sono, l’ENI o la società incaricata di effettuare le indagini? Qui c’è una nota curiosa: la prima società era una S.r.l. poi inglobata da un’altra azienda con capitale miliardario che in fine ha venduto il settore che si occupava di indagini geosismiche ad una terza S.r.l. con capitale sociale di 26 milioni. Traduzione: se i danni dovessero superare i 26 milioni, i danneggiati non verrebbero risarciti.

    A questo punto ce ne sarebbe già abbastanza per mandare via l’ENI e tenersi il petrolio, come hanno fatto diversi comuni in Italia, ma la Regione e molti sindaci invece continuano a ritenere quella del petrolio un’occasione d’oro per la popolazione lucana.

    Iniziano quindi le estrazioni, a Viggiano viene realizzato un Centro Olio per la raccolta e il primo trattamento del petrolio. L’aspetto è abbastanza sgradevole,soprattutto per chi, come Carmine, era abituato, affacciandosi alla finestra, a vedere prati verdi e casette. Enormi tubi che si intrecciano, serbatoi e una fiaccola sempre accesa per bruciare i gas di scarico. L’odore pungente e disgustoso dei gas che bruciano ha addirittura costretto alcuni allevatori e agricoltori della zona ad abbandonare tutto anche per i danni fisici che questi gas possono provocare.

    Ma le ricadute economiche promesse stentano a farsi vedere, anche perché gli impiegati nei pozzi o nel Centro Olio vengono tutte da fuori, i pochi ragazzi del posto assunti dall’ENI vengono mandati a casa dopo pochi mesi, in barba agli accordi firmati con la Regione, che dal canto suo non presta la minima attenzione ai problemi che i cittadini ormai a gran voce lamentano.

    Gli unici che traggono vantaggio dal petrolio sono gli autotrasportatori che portano il greggio dal Centro Olio di Viggiano alla raffineria di Taranto, ma dopo pochi anni viene realizzato l’oleodotto Viggiano-Taranto e anche gli autotrasportatori si trovano senza lavoro.

    A questo punto il sogno di una nuova era crolla come un castello di carte: gli incidenti che si verificano al Centro Olio e l’assenza di un sistema di monitoraggio, con il conseguente inquinamento di una delle zone più belle e feconde della regione, la mancanza di lavoro per i tanti giovani che continuano quindi a emigrare e la quasi totale mancanza di rispetto da parte dell’ENI e degli amministratori locali verso il popolo lucano, spinge ad una seria riflessione sui benefici dello sfruttamento del petrolio.

    Ci sono ancora alcune questioni che bisogna far conoscere.
    All’interno della Comunità Europea c’è un’istituzione, la Banca Europea per gli Investimenti, che finanzia, con tassi di interesse molto vantaggiosi, progetti di sviluppo anche oltre i confini comunitari. L’ENI ha ricevuto dalla BEI in poco più di cinque anni (1996-2002) ben 607 milioni di euro. I soldi della BEI provengono ovviamente dalle tasche dei cittadini dell’ Unione e quindi anche dagli abitanti della Val d’Agri: oltre il danno la beffa!

    Nella primavera del 2002 uno scandalo tangenti ha coinvolto gran parte degli amministratori e degli imprenditori locali, hanno tremato i palazzi della Regione, ma quegli stessi uomini sono ancora li freschi di riconferma, ma hanno tremato palazzi ben più importanti, si è fatto il nome di qualche onorevole e anche di più ma tutto è poi finito in una bolla di sapone.

    Gli organi di informazione non hanno mai dato importanza alla questione; strano considerando che per vent’anni tra il 6 e il 15% del petrolio che useremo in Italia proverrà dalla Basilicata il cui territorio e` per il 70% interessato alle estrazioni. Gli unici che sporadicamente si sono occupati del problema sono stati Libero, Il Manifesto, L’Unità e pochi altri giornali e la trasmissione Report, a livello locale il Tg3 regionale non ha mai denunciato le illegalità commesse dall’ENI e le inadempienze della Regione. Degli incidenti se ne parla dopo molti giorni e non c’e` servizio sul petrolio che non esalti le qualità del sistema di monitoraggio ambientale. Interessante, visto che questo sistema non esiste, lo dimostra il fatto che nel 2002 la Regione ha chiesto all’ARPA di "adottare tutte le misure atte a garantire un costante monitoraggio della qualità dell'aria”.

    Carmine, come tanti abitanti del posto, in casa ha un’immagine della Madonna Nera di Viaggiano, un tempo protettrice della regione, e ne ricorda perfettamente la storia: un tempo gli abitanti del posto erano attirati dal fumo dei gas che bruciavano in cima alla montagna, vi si avvicinarono e nella spaccatura della terra che sprigionava quei fumi trovarono la statua della Santa, che oggi si trova nel Santuario della Madonna Nera a pochi metri da una centrale dell’ENI.

    Fa riflettere il fatto che secoli fa proprio in una crepa in cui scorreva petrolio i cittadini abbiano trovato una Madonna di colore nero, forse un segno di Dio per un popolo di briganti e di poveri. Purtroppo pero` i cittadini Lucani hanno trovato, secoli dopo, anche le facce di bronzo dei loro amministratori, asserviti ai poteri forti al punto di rinunciare a proteggere i loro amministrati e le bellezze della loro terra per non ostacolare gli interessi delle multinazionali del petrolio e tradire le idee per cui hanno sempre detto di combattere.

    Stefano Dubla

  5. #5
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    Post Nucleare? Almeno parliamone...

    Fonte: DestraSociale.org

    Nucleare? Almeno parliamone...

    Il 20 Gennaio scorso, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, intervenendo all’inaugurazione della linea elettrica San Fiorano-Robbia, si è espresso sul problema della produzione energetica nel nostro Paese affermando che una legislatura non basta “per poter impostare un piano energetico nuovo che ri-sponda anche alla domanda che pende sul nostro sistema, cioè quella dell'uti-lizzo o meno della produzione nucleare di energia”.
    Il problema, a differenza di quello che pensa Massimo D’Alema, che ha dichiarato: “Quella di Silvio Berlusconi sul nucleare è una battuta inquietante, non serve a niente, serve solo a suscitare polemiche, non riduce il costo dell'e-nergia e non fa fare un passo in avanti al Paese”, è reale e semplice: gli Italiani pagano la bolletta più alta d’Europa, l’energia prodotta in Patria (solo l’87% del totale) non basta a soddisfarne la richiesta, il referendum del 1987 e la conseguente assenza di centrali nucleari nel nostro Paese non ci proteggono dagli ipotetici rischi derivanti dalle centrali presenti immediatamente oltre confine e si è costantemente esposti al rischio di black-out.

    Certo, queste considerazioni non bastano per pronunciarsi a favore dell’utilizzo del nucleare per produrre energia, quindi andiamo per gradi, cercando di capire cos’è e come viene prodotta l’energia nucleare, quali sono (se ci sono) i rischi, quali i vantaggi, insomma cerchiamo una volta per tutte di saperne di più.

    I costituenti del nucleo dell’atomo sono tenuti insieme da legami molto forti e l’energia responsabile di questi legami è appunto detta energia nucleare. Per mezzo di determinate reazioni nucleari, parte di questa energia può essere liberata all’esterno per poi essere raccolta e convertita in un’altra forma di energia.

    Dalla metà del Ventesimo secolo, quando è iniziato lo sfruttamento dell’energia nucleare per la produzione di energia elettrica, si è ritenuta questa fonte una valida alternativa alle cosiddette fonti non rinnovabili e grazie ai suoi costi rela-tivamente bassi molti Paesi hanno investito e continuano ad investire sul nu-cleare al punto che i reattori nucleari oggi funzionanti nel mondo sono ben 430 e se molti Paesi ancora puntano su questa fonte di energia è grazie ai vantaggi economici che se ne ricavano, un dato su tutti: nella combustione del petrolio 1 kg di combustibile produce una quantità di calore equivalente a circa 1.6 ki-lowattora, in una tipica reazione nucleare la stessa quantità di uranio 235 pro-duce una quantità di calore equivalente addirittura a 18.7 milioni di kilowattora!

    Nonostante questi enormi vantaggi, ci sono da considerare i costi e i tempi necessari per la realizzazione delle centrali e il cosiddetto “decommissioning” cioè le operazioni di decontaminazione e smantellamento dei reattori dopo 25 anni di attività, a causa della eccessiva radioattività assorbita dalla struttura.

    A incutere davvero timore nella gente è però il pericolo di disastri nucleari.

    Il 26 aprile 1986 a Chernobyl uno dei quattro reattori nucleari della centrale dell’ex Unione Sovietica esplose e si incendiò, i danni causati dall’incidente furono enormi e le fredde terre dell’Ucraina ancora risentono degli effetti dannosi di quei giorni. Il disastro però ebbe una grande influenza anche sull’opinione pubblica, grazie anche alle manipolazioni politiche che se ne fecero e l’anno seguente in Italia infatti si votò un referendum il cui esito fu la messa al bando delle centrali nucleari.

    In realtà pochi sapevano e tuttora pochi sanno le vere cause del disastro di Chernobyl rese pubbliche da un rapporto dell’agosto seguente. A seguito di un esperimento non autorizzato sul reattore, si verificarono due esplosioni che fecero saltare via il tetto del reattore e incendiarono il nucleo. La scarsa manutenzione e la totale assenza di attenzione resero l’incidente ancora più grave: se solo la centrale fosse stata incapsulata in un edificio di contenimento, come lo erano già all’epoca tutte le centrali occidentali, si sarebbe evitata o almeno ridotta sensibilmente la diffusione di materiale radioattivo. I morti in quel disastro furono 30, 135 mila gli sfollati nel raggio di 1600 km.

    Il più grande disastro nucleare di tutti i tempi risulta ora, alla luce dei fatti, più chiaro e meno drammatico di quello che si immagina, e per di più è evidente che la causa fu un errore umano (non vale quindi l’equazione “centrale=disastro=morte”).

    Quello di Chernobyl non fu però l’unico incidente: in Pennsylvania nel 1979, un errore di manutenzione e una valvola difettosa crearono dei problemi al reattore di Three Miles Island, tuttavia il piano di emergenza funzionò perfettamente, il reattore si spense e il sistema di raffreddamento entrò in funzione ben prima che qualsiasi danno potesse verificarsi. Quest’ultimo esempio e la conoscenza delle cause dell’incidente di Chernobyl dovrebbero bastare per tranquillizzare l’opinione pubblica sui così temuti rischi di incidenti, a fugare ogni dubbio sottolineo che le vittime dell’incidente nella centrale dell’ex URSS furono 30, una quantità di gran lunga inferiore alle circa 2000 vittime che il 9 ottobre del ’63 persero la vita nel disastro del Vajont.

    Il problema principale è però quello della produzione di scorie radioattive e del loro immagazzinamento a lungo termine. Dato tecnico: per scorie radioattive si intende l’insieme dei materiali che in qualche modo sono entrati nel processo di produzione dell’energia nucleare e che sono quindi caratterizzati da una forte radioattività destinata a conservarsi in questi corpi per tempi lunghissimi (dell’ordine di centinaia di migliaia di anni).

    Per rendere nel tempo immuni queste scorie, è necessario stiparle in appositi siti geologici e questo rappresenta un altro insormontabile problema per il popolo Italiano, costituito principalmente da consumatori irrazionali: vogliamo servizi efficienti al massimo ma non ci piace pagarli, consumiamo energia in maniera disordinata e non vogliamo farci carico di ciò che questo comporta, non facciamo la raccolta differenziata e ci ribelliamo se ci dicono che è necessario realizzare nuove discariche. Ma la disinformazione che regna su questi temi è tanta, una considerazione su tutte (ad uso e consumo dei Verdi): ogni giorno un comune reattore nucleare produce 3.2 kg di scorie, in trent’anni fanno circa 30 tonnellate; a parità di energia erogata, i rifiuti prodotti da un impianto di combustione del carbone ammonterebbero a circa 8 milioni di tonnellate. È da sottolineare che la soluzione di un massiccio riutilizzo del carbone è particolarmente indicata da Romano Prodi ora che, alleato di Rifondazione, Verdi & Co., non può più ritenersi nuclearista come una volta.

    Per quanto il problema delle scorie sembri il termine ultimo su cui bisogna con-frontarsi per accettare (o rifiutare definitivamente) il nucleare come risorsa del futuro, c’è da mettere in risalto l’impegno che la ricerca sta mettendo nella de-finizione di nuove reazioni che non siano caratterizzate dall’emissione di scorie: le reazioni di cui abbiamo parlato fino ad ora sono più propriamente dette rea-zioni di fissione, cioè reazioni in cui si ottiene energia (e scorie) dalla scissione di un atomo in due atomi di diverse sostanze, tuttavia esistono delle reazioni che effettuano il processo inverso. Le reazioni di fusione nucleare, in cui si fon-dono due atomi per formarne uno solo, sono caratterizzate dall’emissione di quantità molto inferiori di scorie con radioattività molto bassa ma anche dalla emissione di una minore quantità di energia.

    È opinione personale che si debba puntare su questo tipo di reazioni pulite, sebbene sono molti i problemi ad esse legati come quello relativo alle eccessive temperature necessarie per fondere gli atomi (tecnicamente, per vincere le forze di repulsione dei nuclei dei due atomi di partenza), temperature che fonderebbero qualsiasi materiale e quindi anche quello costituente il reattore. L’energia necessaria ad attivare una reazione di fusione sarebbe quindi molto maggiore di quella ottenuta.

    La strada è, come facilmente si intuisce, molto lunga e anche un po’ in salita, serve un nuovo modo di pensare per uscire dal bigottismo ideologico che ci mostra rosso ciò che in realtà è bianco, serve un impegno di tutti per tutelare con coscienza e conoscenza la nostra salute e il nostro Paese, serve uno sforzo dei Governi per un investimento a lungo termine di cui l’Italia ha bisogno per poter guardare con speranza al futuro, perché se c’è una cosa che manca ed è sempre mancata sono proprio gli investimenti per rendere migliore non il no-stro domani ma quello dei nostri figli.

    È su questo tema che l’Italia può dimostrare di non essere una potenza in de-clino, è grazie ai successi che la ricerca otterrà in questo campo (come in tanti altri) che forse si riuscirà a contenere la fuga dei cervelli e a ridare lustro ai no-stri scienziati, è grazie al nucleare, ed ai vantaggi economici che esso compor-ta per i privati e soprattutto per le imprese, che davvero si può sperare in una crescita economica, culturale e civile dell’Italia.

    Stefano Dubla

  6. #6
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    Post Europa e ambiente:la Politica torni protagonista

    Fonte: DestraSociale.org

    Europa e ambiente:la Politica torni protagonista

    La tutela dell’ambiente passa oggi più che mai da Bruxelles. Ma l’Unione Europea non riesce a tradurre i principi di high policy, contenuti nei suoi trattati istitutivi, in normative cogenti ed efficaci. Una prassi tecnocratica contro cui urge un forte contraltare politico.

    L’Ambiente è entrato, tardi, a far parte delle politiche comunitarie. La “Direzione Generale dell’ambiente” è nata, solo, nei primi anni ottanta. La ricerca di regole comuni su questo argomento, inizialmente, era finalizzata alla creazione del mercato unico. Diversa, allora, era la sensibilità ambientalista dei paesi membri; perciò il possibile conflitto tra paesi che adottavano misure più cogenti ed atri più permissive poteva creare un ostacolo all’integrazione economica.

    Il punto di svolta, però, è segnato dall’approvazione dell’Atto Unico Europeo. La nuova stella polare del legislatore diventa, ora, il principio dell’azione preventiva e il principio risarcitorio secondo l’assunto che chi inquina paga. Tutto, dunque, faceva pensare ad un’Europa che volesse incorporare la tutela dell’ecosistema nella politica economica del Vecchio Continente, dando vita ad uno sviluppo sostenibile. La realtà si tratta di una palese smentita di quanto detto finora. Oggi, purtroppo, gravi difficoltà impediscono l’attuazione dei provvedimenti più significativi.

    Veniamo al dunque: qual è il vero tallone d’Achille della politica ambientale comunitaria?
    L’Unione, purtroppo, adotta direttive-quadro molto elastiche che preparano l’assalto alla diligenza da parte delle lobby più potenti che fanno di tutto per renderle inefficaci. Una deregulation selvaggia sulla pelle degli europei. Proviamo a fare qualche esempio pratico.

    La Eco-Label è la cosiddetta etichetta ambientale che è concessa alle imprese più attente al rispetto dell’ambiente. Ma a stabilire chi deve ricevere l’ambito riconoscimento sono le “organizzazioni europee di standard” società private di consulenza, finanziate dai gruppi industriali più forti. Si profila, così, un inquietante conflitto di interessi. La definizione degli standard tecnici, a cui è affidata in concreto la protezione ambientale passa, dunque, la responsabilità pubblica a processi decisionali privatistici dove le grandi multinazionali la fanno da padrone. Un altro fronte caldo è quello dei dossier. Il funzionario compie le sue scelte sulla scorta delle informazioni ricevute. Ma inutile dirlo il dossier, stilato da un rinomato centro di ricerca per conto di una corporation, avrà un peso maggiore della ricerca di un docente ecologista di un anonimo ateneo. Il rischio preconizzato da Hannah Arent della definitiva capitolazione della politica di fronte alla tecnocrazia è altissimo. In questo quadro, dipinto a tinte fosche, ci chiediamo se sia ancora possibile un altro approccio per la tutela dell’ambiente che tenga conto degli “interessi diffusi”.

    Il Programma di azione intitolato “Ambiente 2010: il nostro futuro la nostra scelta”, ci fornisce qualche risposta. Certo, oggi, è impossibile dire se quest’ennesimo proclama d’intenti darà gli effetti sperati, ma possiamo registrare importanti novità. Una su tutte: il nuovo sistema europeo di scambio delle quote di emissione. Tradotto in parole povere: le imprese che producono emissioni superiori alla soglia autorizzata, dovranno acquistare quote di emissioni da imprese che sono riuscite a rispettare i nuovi limiti. Il nuovo sistema da concreta attuazione al giro di vite dei Governi dell’Unione contro il cambiamento climatico.

    Dal 1° gennaio 2004, infatti, vigerà un limite massimo di CO2 per tutte le industrie europee. Il programma costituirà un importante precedente, sarà la lampante dimostrazione che le imperanti logiche privatistiche possono essere bilanciate da idee politiche forti. Si aprono, pertanto, nuove prospettive per la tutela ambientale: essa non sarà più un ostacolo ad una crescita economica senza limiti ma una significativa variabile di uno sviluppo ecocompatibile.

    Salvatore Recupero

  7. #7
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    Post Liguria: cronaca di uno stupro ambientale

    Fonte: DestraSociale.org

    Liguria: cronaca di uno stupro ambientale

    La Liguria, per sua natura morfologica, e' volta ad un' esistenza, che in passato è stata a volte gloria, a volta mera sopravvivenza, marittima. Le Alpi che nascono a Ponente fondendosi con gli ultimi residui di cime Appenniniche, cingono il territorio ligure sull' omonimo mare, facendo dimenticare o ignorare la pianura padana con i suoi traffici e commerci.

    Buon senso avrebbe voluto che l'economia della Liguria crescesse e si sviluppasse fondandosi sull' armonia necessaria e possibile tra sviluppo e tutela dell' ambiente; purtroppo cosi' non è stato, e la bilancia, negli ultimi decenni, ha visto pendere il piatto sempre dalla parte della devastazione del territorio ligure.

    Come in un manuale Cencelli dell' ecohorror, Democrazia Cristiana e Pci sono stati egualmente complici della distruzione del territorio: le zone cosiddette "bianche" ovvero il levante genovese ed il ponente della regione, hanno subito cementificazioni irrazionali: case su case ad uopo dei turisti, costruite sull' assenza di piani regolatori che ha consentito di incastrare ville e condomini su spiagge purissime e su strapiombi incontaminati, ed anche piccole cittadine caratteristiche hanno visto devastata la loro geografia, in nome del cemento: non a caso è nato un neologismo "Rapallizzazione" proprio ad indicare come si puo' rovinare una citta'!

    Laddove invece il Pci ha potuto allungare le sue lunghe grinfie, ha pensato bene di rendere il panorama simile a quello della periferia urbana di qualche citta' sovietica: industrie deturpanti nelle prossimita' di Genova e Savona ed edilizia popolare dove stipare la manovalanza operaia e farla incazzare sempre di piu'.

    Tutto ciò è andato avanti per anni, tra situazioni paradossali come le alleanze tra i sindacati e i gruppi industriali volti a difendere le acciaierie Ilva che accolgono chi arriva in treno a Genova da ponente, mentre solo il centrodestra ha avuto il coraggio, una volta tanto, di parlare di dismissione delle aree industriali e loro riconvertimento in attivita' sostenibili, anche perche' in talune zone della Liguria, come ad esempio i quartieri circostanti le succitate acciaierie, vi è il tasso di morti per tumore ai polmoni piu' alto d'Italia. Lo stesso accade in ValBormida, nell' entroterra Savonese, dove ora Burlando ha deciso di ampliare le industrie carbonifere, creandone un polo regionale: la gente ringrazia sentitamente. Altro esempio, Vado Ligure, che vanta una promenade chilometrica con una spiaggia stupenda che nulla avrebbe da invidiare alla vicina Costa Azzurra: bene, mettiamoci un bel porto industriale ed una centrale elettrica: non sia mai che possa svilupparsi altrimenti un' economia turistica alternativa a quella industriale o portuale.

    E gli esempi potrebbero proseguire ancora e ancora.
    La Liguria possiede meraviglie naturali che poche altre regioni possono vantare: incastonate tra mari e monti si celano alcune perle di incomparabile bellezza ambientale: le cinque Terre, capo Noli, il Parco dell' Adelasia, su di esse da sempre vi sono gli occhi torvi degli speculatori: non lasciamo che le mani sporche di cemento le raggiungano. Un partito di destra, di destra sociale, dovrebbe servire anche a questo.

    Alessandro Parino

  8. #8
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    Post Campania, se "l'ambientalismo di destra" riabilita quello di sinistra

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    Campania, se "l'ambientalismo di destra" riabilita quello di sinistra

    È legge il decreto sull'emergenza rifiuti in Campania (decreto 17 febbraio 2005, n.14). Il decreto recita misure urgenti per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania Sono autorizzate le necessarie iniziative di adeguamento tecnico-funzionale degli impianti. Il decreto prevede inoltre norme di accelerazione delle procedure di riscossione, il supporto all'azione del Commissario delegati, interventi relativi al settore delle bonifiche. Ancora una volta il Governo nazionale ha dovuto correre ai ripari in merito alla fallimentare gestione della Giunta Bassolino in merito all?emergenza rifiuti in Campania. Tale emergenza invita a riflettere su diversi aspetti, quello più elementare e cioè che dopo anni di commissariamento la situazione è solamente peggiorata e questo la dice lunga sulle capacità gestionali e manageriali della classe dirigente che si è cimentata fino ad oggi con questo problema. Poi, il fatto che la criminalità organizzata ha messo, in parte, le mani sul controllo di attività quali la realizzazione e la gestione delle discariche abusive che costituivano, l'unica vera alternativa all'invasione dei luoghi abitati da parte delle montagne di immondizia.

    Infine, la sostanziale difficoltà a gestire le masse, portate allo stremo dalla situazione di emergenza, ma che, allo stesso tempo, non vogliono nuove discariche o la riapertura di quelle esistenti, né la realizzazione di termovalorizzatori che, da qui agli anni prossimi, potrebbero risolvere in gran parte i problemi.

    Insomma la Campania è obbligata a contare sulla disponibilità delle altre regioni italiane e su paesi come la Germania, se non vuole trasformarsi in una immensa discarica. Come ha affermato il Ministro dell'Ambiente Altero Matteoli, «ci vorranno anni e anni per riuscire a smaltire tutte queste balle, accumulate nel tempo». Insomma, i responsabili di questa emergenza, coloro che hanno, per anni, preso sotto gamba il problema, che non sono stati in grado di pianificare strategicamente la questione rifiuti, nonché la stessa camorra, che ci ha speculato, non sono colpevoli solamente per l'emergenza stessa, ma hanno creato un danno all'intera comunità, anche sul piano dell'immagine della Nazione.

    Proprio gli esponenti di quella sinistra che tanto tuona contro il Governo Berlusconi, ha espresso una classe dirigente dimostratasi completamente inefficiente sul piano dello smaltimento dei rifiuti. Esattamente quel Bassolino, già sindaco di Napoli ed ora riconfermato Governatore della Campania. Ma, la cosa più grave è che, a parte il grido del gruppo regionale di Alleanza Nazionale ed in particolare le denuncie dell?on. Salvatore Ronghi, giustamente indignato dal comportamento di chi, per anni, è stato l'unico incaricato di gestire la situazione, nessuno ha denunciato questo atto di "resa incondizionata" di fronte alla Campania e all'Italia, da parte di un uomo delle Istituzioni. Così, il centrodestra, o meglio la destra, ambientalisticamente "becera" sta togliendo le castagne
    dal fuoco ad una sinistra ambientalisticamente "corretta" ed un giorno, magari neanche troppo lontano, a forza di episodi di questo tipo, si capirà finalmente, che la sinistra con l'ambiente non ha proprio niente a che fare.

    Il guaio è ch'è fastidioso governare non costruendo solamente, ma soprattutto cercando di riparare ai danni degli altri; proprio di coloro, tra l'altro, che si ritengono una manna per il nostro Sud.

    Stefano Albamonte

  9. #9
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    Predefinito Intervista a Fabrizio Vincenti, Presidente di Fare Verde

    Fonte: DestraSociale.org

    Intervista a Fabrizio Vincenti, Presidente di Fare Verde

    Fabrizio Vincenti, Presidente di Fare Verde. Non possiamo non partire dal suo predecessore: Paolo Colli. Lei ha raccolto il suo testimone e Fare Verde oggi vive un passaggio significativo nel proprio percorso che parte dal 1986.
    Dire Paolo Colli significa dire Fare Verde. Paolo ha creato, sviluppato, creduto nell'associazione dedicandosi ad essa fino all'ultimo. Se oggi Fare Verde è un interlocutore con una sua credibilità, con venti anni di battaglie spesso scomode, con un giornale edito da dieci anni, con iniziative nazionali ed internazionali di livello, con una presenza in sedici regioni, con un radicamento ed una sua classe dirigente è certo merito di tanti, ma soprattutto di Paolo. Il compito che abbiamo davanti è complesso, ma non ci spaventiamo di certo. Del resto Fare Verde non ha mai avuto una vita facile.

    Nel 1986 il disastro di Chernobyl: oggi, nel 2005, si torna a discutere sulla possibilità che il nucleare sia una forma di energia necessaria per soddisfare il fabbisogno energetico dell'Italia, Paese che già preleva energia dai paesi più vicini, come ad esempio dalla Francia. A distanza di quasi vent'anni parlare di nucleare in Italia è possibile oppure no?

    Credo si tratti di un dibattito truccato. In realtà, nemmeno i sostenitori dell'energia nucleare pensano che ci siano reali prospettive per una ripresa del nucleare in Italia. Troppi problemi: scorie, costi elevatissimi, impatto sull'opinione pubblica, tempi di realizzazione lunghi per un paese normale, figuriamoci per il nostro che ha spesso tempi biblici. Il vero business per i grandi gruppi (e le loro lobbies) è all'estero, dove si è iniziato ad esportare nucleare. In Italia, invece, la parolina magica è termovalorizzatore alias incenerimento dei rifiuti.

    Da parte di chi è sostegno delle centrali nucleari in Italia ci sono due argomentazioni su tutte: l'aumento del fabbisogno energetico da un lato e la presenza di centrali nucleari straniere molto vicine al nostro paese. Cosa ne pensa?

    Partirei dalla prima: ma è così automatico che a fronte di un aumento della domanda di energia si debba rispondere con l'aumento della offerta? Credo ci siano più di una ragione per non pensarlo, a costo di demolire qualche luogo comune. Innanzitutto, la risposta più evoluta tecnologicamente e più conveniente si chiama riduzione degli sprechi. Un dato per aprire gli occhi: in Italia, dove
    il riscaldamento pesa per circa un terzo sul consumo totale di fonti fossili, per riscaldare le case si impegano tra i 150 e i 200 chilowattora per metro quadro l'anno contro i 70 della Germania, che non gode certo di condizioni climatiche favorevoli..... Non è stato fatto niente per coibentare le case, per
    dotarle di sistemi all'avanguardia nei risparmi energetici. Eppure le innovazioni tecnologiche disponibili possono consentire di ridurre i consumi fino al 50%. Sicuramente servirebbe una progettualità, il coraggio di sfidare potentati economici ed una voglia di agire con buon senso che non è facile da riscontrare nelle classi dirigenti italiane. Quanto alla vicinanza con le centrali nucleari straniere, non possiamo certo esigere che le rimuovano gli altri paesi; sarà il tempo a farlo, perchè questa fonte di energia è perdente, costosa e pericolosa: nel frattempo incrociamo le dita, perché i rischi sono sempre dietro l'angolo, come ci insegnano gli incidenti nucleari anche nei paesi
    considerati tecnologicamente "evoluti".

    Sicuramente una delle posizioni vincenti per il futuro sarà l'utilizzo dell'energia pulita: l'energia solare su tutte. In Germania esiste una cultura sull'energia solare - e piu' in generale sull'energia pulita - ben più radicata rispetto a quella italiana. E paradossalmente la Germania si trova geograficamente in una posizione più svantaggiosa rispetto all'Italia. Secondo lei in Italia esiste oppure no una mancanza di cultura di questo tipo? Ritiene
    che oggi il dibattito culturale sull'ambiente e sull'energia pulita sia soddisfacente?


    Assolutamente no. Lo accennavo in precedenza: mi pare che ci sia tanto da fare e spesso l'informazione che arriva all'opinione pubblica è incompleta, per non dire di peggio. Le faccio un esempio, cercando di demolire un altro luogo comune: chi pensa di introdurre le energie rinnovabili, come sostitutive delle attuali non rinnovabili ( e tra gli ambientalisti purtroppo ve ne sono parecchi)
    mantenendo inalterati i consumi e l'attuale sistema oligopolistico di distribuzione dell'energia, racconta favole. In Germania, che lei giustamente cita, l'installazione di pannelli solari è avvenuta a valle di un progetto organico che ha visto tra i suoi pilastri la riduzione degli sprechi, attraverso lo sviluppo di tecnologie adeguate e la creazione di un mix di fonti rinnovabili e assimilate che consentisse alle fonti meno convenienti economicamente nel breve periodo (il solare) di essere sostenute da tecnologie come la cogenerazione (ovvero la generazione contemporanea di energia elettrica e termica da un solo processo di combustione) già redditizie. In Italia si va, come in molti altri settori, sulla scorta della emotività e dopo i black out del 2003 si sono sprecate le riflessioni, spesso venate di demagogia. I problemi, ovviamente, sono rimasti intatti e di uno straccio di progettualità seria non si vede nemmeno l'ombra.

    Parliamo del Meridione: l'energia solare potrebbe essere un punto di forza e soprattutto di ripartenza per questa zona dell'Italia. In un periodo come questo, in cui tutti si lamentano della scarsita' delle risorse e' meglio investire sul Ponte dello Stretto o sull'energia pulita?

    La risposta è semplice visto che per trovare un beneficio per la comunità nazionale il presidente Berlusconi ha dovuto fare riferimento all'innegabile vantaggio delle rapide traversate notturne sul ponte per i fidanzati separati dallo stretto... E' semplicemente inutile, dannoso, una violenza che mi auguro non trovi mai sbocco definitivo. Non mancano peraltro i rischi geologici e sismici, naturalmente sottovalutati, come dimostra anche un recente studio dell'Università di Cosenza. Mi chiedo: ma hanno mai visto lo stato dei servizi pubblici del sud Italia, la rete di infrastrutture settecentesche che è presente in queste zone? E in queste condizioni il ponte è una priorità? Si
    tratta dell'ennesima cattedrale nel deserto, dell'ennesima occasione perduta di investire saggiamente una valanga di denaro pubblico. Quanto al solare per il Meridione, dipende da come verrà gestito. Mi spiego: sempre per tornare al caso Germania, è bene precisare che lo sviluppo del fotovoltaico è avvenuto senza finanziamenti a fondo perduto sui costi d'investimento. Chi li ha voluti li ha pagati, ma ha goduto e gode di incentivi per i chilowattora riversati sul sistema energetico nazionale nelle ore in cui la domanda è maggiore. Il vantaggio è duplice: da un lato sarà interesse dei privati produrre sempre di più energia dai pannelli, massimizzando l'efficienza degli stessi; dall'altro
    riversando i chilowattora nelle ore di punta si evita di costruire centrali per soddisfare solo i picchi di domanda.

    Il Protocollo di Kyoto firmato nel 1997 e' entrato in vigore lo scorso 16 febbraio. Qual e' la sua considerazione sul protocollo di Kyoto? Gli USA, il principale emettitore di gas serra (il 36,1%), ha deciso di non partecipare. Non le sembra che il Protocollo di Kyoto possa diventare una sorta di palliativo senza grandi risultati?

    Il protocollo, che è stato firmato in extremis anche dalla Russia, è un palliativo utile, è un primo passo sia pur insufficiente. Secondo gli esperti, le diminuzioni per produrre risultati sensibili dovrebbero essere molto più consistenti di quelle previste dal documento. Eppure, si sono resi necessari anni ed anni di negoziati per partorire un risultato minimo che vede poi molti
    paesi firmatari ben lontani da quanto previsto dagli accordi. L'Italia, tanto per restare in casa nostra, che ha l'obiettivo di ridurre del 6,5% le emissioni le ha addirittura incrementate del 7% dal 1997 ad oggi. Per non parlare degli Usa che, in modo totalmente miope, non intendono arretrare di un passo su quella che è una linea di consumi che sta portando alla bancarotta il pianeta. Il caso del protocollo Kyoto è forse meglio di altri l'esempio di come si cerchi di ridurre la velocità del treno in corsa non comprendendo che è la direzione in cui si muove ad essere profondamente errata.

    Il grosso dell'inquinamento viene soprattutto dalle automobili: oggi si parla di biocarburanti. In cosa consistono? La FIAT, ad esempio, sperimentò le prime applicazioni con l'idrogeno addirittura fra gli anno 60 e gli anni 70. Eppure i primi ad investire nell'idrogeno pare siano giapponesi e tedeschi. In Italia a che punto stiamo?

    Di biocarburanti come dice lei si parla da decenni, la stessa FIAT aveva negli anni settanta sviluppato motori a biogas poi accantonati per far posto a modelli molto più commercializzabili nel breve periodo. E così che si sono perse occasioni. In compenso gli aiuti di stato, magari mascherati da incentivi, non sono mai mancati, ma quanto ad innovazione zero virgola zero, se si eccettuano
    le produzioni di macchine a bassi consumi (per esempio elettriche) da presentare come specchietti per le allodole. Intano la BP (British Petroleum) si è trasformata in Beyond Petroleum, per rimarcare, anche nell'acronimo, le nuove frontiere aziendali e molte case automobilistiche si stanno attrezzando per ridurre al massimo i consumi di petrolio o sostituirli almeno in parte con
    altro. Sull'idrogeno ho personalmente qualche perplessità: si tratta non di una fonte energetica, ma di un vettore energetico ed il saldo economico ed ambientale non è così positivo come talvolta fanno apparire.

    Il problema inquinamento e' fondamentale nella grandi citta': il trasporto pubblico non potrebbe funzionare esclusivamente con energia alternativa? E le domeniche ecologiche? Favorevole o contrario?

    Le città soffrono di molti mali legati al trasporto, ma siamo di fronte al tentativo di risolvere qualcosa di impossibile: ovvero, dato uno spazio fisico delimitato ed una rete stradale che non può essere estesa all'infinito, cercare di gestire milioni di spostamenti individuali giornalieri. Detto questo, il trasporto pubblico ha molte pecche, a partire dal parco veicolare vetusto, ma il decentramento e la dispersione abitativa pesano tantissimo sull'impossibilità di garantire un servizio pubblico efficiente. Il problema non si limita agli spostamenti casa-lavoro, ma investe il sistema commerciale impostato, ormai, sulla grande distribuzione che genera flussi veicolari a numerosi chilometri di distanza da dove è ubicata. Tra i possibili rimedi per limitare i danni
    ambientali sicuramente i mezzi con carburanti a basso impatto sono scarsamente sfruttati. Le considerazioni di un generale sottutilizzo (frutto evidentemente di politiche di traino insufficienti anche da parte degli Enti pubblici) valgono per il metano, il gpl e agli altri carburanti a basso impatto (biodiesel, bio-etanolo, emulsioni di gasolio), che hanno una rete distributiva praticamente
    inesistente. Resta un mistero come l'Italia possa far crescere il misero 4,58% di veicoli che utilizzano carburanti alternativi, verso percentuali che le stesse normative europee ci impongono.
    Le idee, avendo il coraggio di applicarle, ci sarebbero, basti pensare al caso di Londra dove le concentrazioni di veleno erano tra i picchi europei e gli ingorghi hanno un valore economico tra i 2 e i 4 milioni di sterline a settimana solo in termini di tempo perso.Si sono rimboccati le maniche ed hanno progettato nuove linee su ferro, aumentando la capacità di trasporto della metropolitana. Dall'altra hanno imposto un pedaggio di 5 sterline al giorno a chi entra in centro con la macchina. In un anno il traffico si è ridotto del 30 per cento e l'inquinamento del 12 per cento. E nello stesso tempo il servizio pubblico è migliorato facendo registrare la più alta crescita di passeggeri dalla seconda guerra mondiale. Ha presente la metropolitana di Roma nelle ore di punta e i disservizi relativi? Ecco la differenza tra programmare e fare maquillage politico. Quanto alle domeniche ecologiche, rimosse dal ministro Matteoli, pur avendo tutto sommato un costo contenuto, sono favorevole come mezzo di sensibilizzazione e di riscoperta della pedonalità degli spazi pubblici. Se si pensa che siano un mezzo per combattere l'inquinamento siamo fuori strada.

    Oggi il ministero dell'Ambiente e' in quota AN: si ritiene soddisfatto del lavoro svolto in questi quattro anni?

    Lo ritengo decisamente negativo. Il ministro Matteoli ha dato seguito alle poco confortanti premesse che hanno caratterizzato la sua prima apparizione nel governo del 1994. E' difficile trovare posizioni condivisibili nel suo operato e nel suo modo di concepire l'ambiente: dalla legge delega che ha esautorato il Parlamento su tutta la materia ambientale per riservarlo ad un gruppo di esperti di sua nomina; all'atteggiamento tiepido per non dire parecchio discutibile sugli ogm; al tentativo di svuotare, di fatto, la raccolta differenziata per sviluppare una pletora di inceneritori sparsi su tutto il territorio nazionale. In tal modo, si sono contraddette sia le direttive europee, che il decreto Ronchi, che prevedono gli inceneritori solo a valle di un processo virtuoso dove il risparmio, il riuso e il riciclaggio delle materie sono fondamentali. Peccato. Mi fermo qui, preferisco evitare accanimenti terapeutici.

    Come giudica le direttive provenienti dall'Unione Europea sia sul fronte ambiente che da quello dell'energia?

    Abbastanza positivo, anche se spesso sono contraddittorie e non potrebbe essere altrimenti, visti gli interessi in gioco. Sempre più spesso l'azione lobbistica avviene in sede europea e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: talvolta vengono emanati direttive e regolamenti sicuramente in linea con una difesa seria dell'ambiente, altre volte molto meno. Prenda il caso degli ogm: è stato approvata una legislazione nel suo complesso vicina al principio di precauzione, ma in materia di brevetti, ad esempio, è parecchio insoddisfacente e più vicina al modello americano di diffusione incontrollata, ma protetta giuridicamente degli ogm.

    Quali sono del battaglie ambientaliste ed ecologiche per il futuro su cui intende fare un appello?

    Partirei proprio dagli ogm: credo sia tra le emergenze più rilevanti per l'intero pianeta, le ripercussioni per la biodiversità potrebbero essere davvero irreparabili se dovessero svilupparsi in campo aperto coltivazioni ogm sulla base di quanto già avviene negli Stati Uniti e in pochi altri paesi. Altra nota dolente è costituita dall'acqua che è una risorsa drammaticamente carente in molte parti del mondo: sono in molti a sostenere l'idea che, dopo le guerre del petrolio, potrebbero arrivare quelle per il controllo dell'acqua. Più in generale, gli squilibri nord sud e la messa in discussione di questo modello di sviluppo credo siano le vere emergenze ecologiche, sociali e politiche di questi
    anni.

    Omar Kamal

  10. #10
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