Amici miei
Il nemico del mio nemico è amico mio. Tradotto: basta parlar male di Berlusconi e dei disastri economici generati dalle politiche della destra per essere applauditi dal centrosinistra. L'elenco degli amici si infittisce mano a mano che i conti italiani precipitano e i mitici parametri europei vengono sfondati: Confindustria, Banca d'Italia, Eurostat, Bce. E adesso anche l'Ocse torna utile per dire che così non si può più andare avanti. Che l'economia italiana stia andando a rotoli non c'è dubbio, persino Berlusconi è ormai costretto ad ammetterlo. Siamo in recessione, i lavoratori dipendenti l'avevano già capito prima che lo decretasse l'Ocse. L'Italia non è competitiva sui mercati mondiali, anzi ha perso in quattro anni il 25% di competitività e anche questo lo si era intuito. Deficit e debito pubblico vanno su, il prodotto interno lordo diminuisce insieme al potere d'acquisto dei salari, come conferma l'ormai famosa «crisi della quarta settimana», che vuol dire che in tanti non arrivano a fine mese a mettere insieme il pranzo con la cena.
Fin qui siamo tutti d'accordo. Il problema nasce quando si passa dalla diagnosi alla prognosi. Per l'Ocse il costo del lavoro in Italia è troppo alto e dev'essere tagliato: ma non sarà che uno degli elementi della specificità della crisi italiana - ben più grave di quella che attanaglia l'intero vecchio continente - sta nella riduzione dei consumi provocata dalla contrazione dei salari? E che consiglio è quello di abbassare il costo del lavoro per recuperare competitività, quando si ha a che fare con paesi in cui non ci sono limiti alla flessibilità e allo sfruttamento? Ci sarà sempre un paese più a sud e più a est in cui il lavoro costerà meno e i diritti saranno più compressi.
Poi, gli «amici» confindustriali dei nemici di Berlusconi dicono che sì, il paese è in declino, le industrie chiudono e tra poco resteremo competitivi solo con pizza e ombrellone (Tremonti permettendo e non vendendo le spiagge). Certo, ma i padroni non hanno proprio nessuna responsabilità? Non sono forse loro i maestri della finanziarizzazione e della delocalizzazione della produzione verso lidi più ospitali, con meno lacci e lacciuoli?
Il paese in cui viviamo è più povero e più ingiusto di quello, tutt'altro che idilliaco, ereditato da Berlusconi nel 2001. Un paese in cui i lavoratori che al tempo del centrosinistra erano degli omissis ora vengono colpevolizzati, su di loro e su quelli che una volta si chiamavano ceti medi si scaricano le conseguenze della crisi per salvaguardare e accrescere i privilegi delle classi più agiate, quelle che ci hanno ridotto in queste condizioni. Flirtare con i tanti interessati suggeritori che sostengono una medicina peggiore della malattia - più liberismo, più ingiustizie dunque, e anche minori consumi - è un suicidio. Dagli amici ci guardi dio.
Ps. Secondo l'Ocse, prodigo di buoni consigli all'Italia quanto preoccupato per il nostro futuro, le elezioni del 2006 potrebbero rappresentare un ostacolo al consolidamento fiscale del «sistema paese». Detto fatto: aboliamo le elezioni. Non dispiacerebbe neppure a Berlusconi.
LORIS CAMPETTI