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    Predefinito 9 maggio (2 gennaio) - S. Gregorio Nazianzeno

    Eravamo ad Atene, partiti dalla stessa patria, divisi, come il corso di un fiume, in diverse regioni per brama d’imparare, e di nuovo insieme, come per on accordo, ma in realtà per disposizione divina.

    Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi inducevo a fare altrettanto anche altri che ancora non lo conoscevano.

    Molti però già lo stimavano grandemente, avendolo ben conosciuto e ascoltato in precedenza. Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fra tutti coloro che per studio arrivavano ad Atene, era considerato fuori dell’ordine comune, avendo raggiunto una stima che lo metteva ben al di sopra dei semplici discepoli. Questo l’inizio della nostra amicizia; di qui l’incentivo al nostro stretto rapporto; così ci sentimmo presi da mutuo affetto.

    Quando, con il passare del tempo, ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l’amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l’uno per l’altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale.

    Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d’invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l’emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo.

    Sembrava che avessimo un’unica anima in due corpi. Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l’uno era nell’altro e con l’altro.

    L’occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù, e vivere tesi alle future speranze e comportarci come se fossimo esuli da questo mondo, prima ancora d’essere usciti dalla presente vita. Tale era il nostro sogno. Ecco perché indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all’amore della virtù. E non ci si addebiti a presunzione se dico che eravamo l’uno all’altro norma e regola per distinguere il bene dal male. E mentre altri ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita, per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani.

  2. #2
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    Predefinito Dai Discorsi di san Gregorio Nazianzeno.

    Sermo XXVIII, 17, in PG 36, 47.

    Che cosa sia Dio nella sua natura e nella sua sostanza, nessuno l’ha mai scoperto né mai lo scoprirà. Se dovrà capitare che sia scoperto un giorno, lascio investigare e discutere questo a coloro che ne hanno voglia.
    A mio parere, l'uomo lo potrà scoprire allorché questa nostra sostanza di aspetto e di natura divina (intendo dire la nostra mente e la nostra ragione) si sarà unita all'essere che a lei è imparentato; quando cioè l'immagine sarà risalita al suo modello, del quale ora essa ha brama.
    Questo mi sembra il punto su cui si sta indagando con tanto impegno, cioè che noi conosceremo un giorno tanto quanto siamo stati conosciuti. Per ora, invece, è soltanto un esiguo rivolo quello che giunge fino a noi; è una specie di piccolo lampo che proviene da una gran luce.
    Anche se uno ha conosciuto Dio, come affermano certi passi della Scrittura, lo ha conosciuto tanto da apparire più luminoso di un altro che non ha ricevuto un'uguale illuminazione. E chi è stato più grande di un altro, è stato creduto perfetto, perché commisurato non alla realtà ma solo in confronto di ciò che i suoi simili hanno raggiunto.

  3. #3
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    Predefinito Dai Discorsi di san Gregorio Nazianzeno.

    Oratio 38, 9-11, in PG 36, 311.

    Alla bontà di Dio non bastava affatto muoversi unicamente nel seno della contemplazione di sé, perché la sua natura esige di espandersi e di comunicarsi per condividere i suoi benefici. Così Dio prima concepì le potenze angeliche e celesti. Questa concezione fu attuata dal Verbo e completata dallo Spirito. In tal modo vennero creati questi esseri di luce, riflessi e ministri dello splendore primordiale.
    Sono essi pura intelligenza, fuoco immateriale e incorporeo? Posseggono anche un'altra natura? Bisognerebbe esserne più vicini per poter giudicare. Comunque sono spiriti alieni dal male e attratti solo dal bene, com'è naturale per chi sta attorno a Dio. Essi godono per primi del fulgore divino, mentre gli esseri inferiori ne hanno solo una luce velata.
    Sono però incline a pensare che questi spiriti non siano veramente incorruttibili, ma soltanto difficili a corrompersi. Penso a Lucifero, il portatore di luce; l'orgoglio lo ha mutato in tenebra, da cui ha preso la natura e il nome, e con lui tutte le potenze ribelli a Dio. Queste creature fuggendo il bene produssero il vizio e lo propagarono a noi.

    Dopo aver creato il mondo degli spiriti celesti, di cui si è balbettato qualcosa, Dio vide che la sua prima opera era bella. Egli concepì allora un mondo visibile e materiale; formò e plasmò il cielo, la terra e tutto ciò che vi è contenuto. Ogni parte è lodevole per la sua eleganza, ma più stupenda è l'armonia, l'ordine sereno che regna sul tutto. Ciascuna realtà concorda meravigliosamente con l'altra, e tutte con l'insieme globale, così da costituire la ricca e varia decorazione di un unico mondo.
    Con la creazione del mondo materiale, Dio ci mostra la sua capacità di creare non soltanto una realtà simile alla propria, ma anche un'altra, assolutamente diversa. Le essenze prossime alla Deità, infatti, sono dotate di spirito e possono partecipare dell'unico spirito. Ma quale affinità ci può essere tra creature sensibili o inanimate e Dio stesso?
    Vi odo dire: "Che ci importano questi discorsi? Entra in argomento! Siamo impazienti di udir parlare della festa che oggi ci raduna!". Non temete, vi arrivo. Ma l'oggetto della mia riflessione, che mi infervora, mi obbligava a rifarmi un poco più a monte.

    In principio, la realtà spirituale e quella sensibile erano ancora indipendenti, restavano racchiuse nei loro confini; come tacite lodatrici, e araldi veementi manifestavano la grandezza del Verbo artefice. Nessuna connessione, nessun rapporto vi era tra quei due mondi. La bontà divina non aveva ancora svelato tutti i tesori del suo ricco talento e della sua infinita sapienza.
    Ma quando il Verbo si degnò di mostrare in un solo vivente la dimensione visibile e quella invisibile, creò l'uomo. Modellò il suo corpo con la terra creata in precedenza e vi soffiò il proprio spirito, che la Scrittura chiama anima intellettuale e immagine di Dio.
    Iddio collocò l'uomo sulla terra, il microcosmo nel grembo del macrocosmo: un angelo nuovo, un adoratore composito, che sperimenta la natura visibile ed è iniziato a quella intelligibile. Re delle realtà terrene, ma suddito di quelle celesti, essere effimero e immortale, sensibile e intelligente, posto tra la grandezza e l'umiltà, spirito e carne ad un tempo. Spirito, per la grazia; carne, per la superbia. Spirito, perché egli sussista e proclami la gloria del benefattore; carne, perché soffra e il dolore freni la superbia infatuata della propria grandezza. Un vivente immerso quaggiù e contemporaneamente chiamato lassù, già divinizzato per la sua tensione verso Dio, in un sommo mistero.
    Lo splendore di questa verità ci appare ancora velata, ma ci guida a comprendere e patire la luce di Dio, per essere degni di lui che ci ha plasmato e ci dissolverà, per ricrearci più sublimi.

  4. #4
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    Posto un'altra biografia di S. Gregorio di Nazianzio dal sito del Vaticano, in occasione della recente riconsegna delle sue reliquie, assieme a quelle di S. Giovanni Crisostomo, al Patriarcato di Costantinopoli:


    San Gregorio di Nazianzo



    Gregorio (330-389/390) fu un uomo di grandi amicizie. L'amico per eccellenza fu Basilio, conosciuto prima durante l'adolescenza a Cesarea di Cappadocia, e poi ad Atene, dove i due si erano recati a perfezionare i loro studi. “Sembrava che fossimo un'anima sola in due corpi” (Discorsi 43, 20), scriverà più tardi rievocando quegli anni. L'affetto tra i due non venne mai meno, anche se conobbe, come sovente accade nell'amicizia, momenti di grande tensione. La personalità forte ed energica di Basilio si scontrava con quella di Gregorio, dotato di un animo poetico, emotivo, propenso alla solitudine e alla contemplazione.

    Basilio diede vita a una comunità monastica ad Annisoi, nel Ponto, ma Gregorio, che pur aveva aderito al progetto di vita concepito insieme negli anni ateniesi, lo abbandonò e preferì tornarsene nella casa paterna sognando di poter condurre una vita più solitaria e ritirata. Verso la fine del 361, o l'inizio del 362, venne, suo malgrado, ordinato presbitero dal padre, Vescovo di Nazianzo. “Mi piegò con la forza” (Autobiografia 348), scrive ricordando quell'evento. Reagì a quella violenza nel modo che gli era più usuale: con la fuga. Poi, dopo alcuni mesi, assunse in piena obbedienza il suo ministero, accettando, come più volte gli accadrà nel corso della vita, di essere condotto là dove non voleva andare (cf. Gv 21, 18).

    A distanza di una decina d'anni, sarà lo stesso Basilio, che pure conosceva così bene i suoi sentimenti, a imporgli la consacrazione episcopale. Basilio, eletto Vescovo di Cesarea nel 370, si era visto costretto dalla politica ariana dell'imperatore Valente a moltiplicare il numero delle diocesi dipendenti da Cesarea, in modo da assicurare un certo numero di Vescovi fedeli a Nicea, che fossero in grado di fronteggiare l'avanzata dell'arianesimo. Gregorio, contro ogni suo desiderio, fu ordinato Vescovo di Sasima, un paesino di frontiera tra la Cappadocia prima e la Cappadocia seconda, nel quale, a dire il vero, non entrerà mai. Avrebbe dovuto entrarci con le armi in pugno, poiché Sasima, insignificante sotto l'aspetto pastorale, si trovava in una posizione strategica da un punto di vista economico e politico ed era contesa da un altro Vescovo ariano.

    Ma Gregorio continua a sostenere l'amico Basilio con la sua amicizia; come era intervenuto, anni prima, a mettere pace tra lui, ancora presbitero e il Vescovo Eusebio, così, durante gli anni dell'episcopato, lo difende da chi lo accusa di essere troppo prudente nel proclamare la divinità dello Spirito Santo, e lo consola con le sue numerose lettere. Nel 379 Basilio muore e Gregorio, malato, non può essere accanto all'amico.

    Nel 380, l'imperatore Teodosio chiamò Gregorio a Costantinopoli a guidare la piccola comunità cristiana fedele a Nicea e in questa città, Gregorio pronunciò i cinque discorsi che gli meritarono l'appellativo di “Teologo”. Ma Gregorio stesso precisa nei suoi scritti che la teologia non è “tecnologia”, non è un'argomentazione umana, ma nasce da una vita di preghiera, da un dialogo assiduo con il Signore. In qualità di Vescovo di Costantinopoli, Gregorio partecipò al concilio del 381 e, dopo la morte di Melezio che ne aveva guidato la prima parte, fu chiamato alla presidenza. Le sessioni conciliari furono quanto mai tribolate: i sostenitori dei due candidati alla presidenza della Chiesa di Antiochia non trovavano una via d'intesa; e lo stesso Gregorio fu accusato di occupare illegittimamente la sede di Costantinopoli, poiché era già stato nominato Vescovo di Sasima. Si ripeteva, ancora una volta, quello che già un tempo Gregorio aveva proclamato con parole accorate: “Abbiamo diviso Cristo, noi che tanto amavamo Dio e Cristo! Abbiamo mentito gli uni agli altri a motivo della Verità, abbiamo nutrito sentimenti di odio a causa dell'Amore, ci siamo divisi l'uno dall'altro!” (Discorsi 6, 3). Gregorio, confessandosi incapace di fare opera di comunione, lascia il concilio. “Lasciatemi riposare dalle mie lunghe fatiche, abbiate rispetto dei miei capelli bianchi ... Sono stanco di sentirmi rimproverare la mia condiscendenza, sono stanco di lottare contro i pettegolezzi e contro l'invidia, contro i nemici e contro i nostri. Gli uni mi colpiscono al petto, e fanno un danno minore, perché è facile guardarsi da un nemico che sta di fronte. Gli altri mi spiano alle spalle e arrecano una sofferenza maggiore, perché il colpo inatteso procura una ferita più grave ... Come potrò sopportare questa guerra santa? Bisogna parlare di guerra santa così come si parla di guerra barbara. Come potrei riunire e conciliare questa gente? Levano gli uni contro gli altri le loro sedi e la loro autorità pastorale e il popolo è diviso in due partiti opposti ... Ma non è tutto: anche i continenti li hanno raggiunti nel loro dissenso, e così Oriente e Occidente si sono separati in campi avversi” (Discorsi 42, 20-21). È il mese di giugno del 381. Nell'autunno del 382 accetta la guida della comunità di Nazianzo: vi resta un anno e poi si ritira in solitudine ad Arianzo, dove proprio lui, uomo della Parola, trascorre un'intera Quaresima in assoluto silenzio, quale segno e monito che la parola era stata svilita, ridotta a chiacchiera vana e ad arma da usare contro l'altro. Negli anni compose il poema Sulla sua vita, una rilettura in versi del suo cammino umano e spirituale, e numerose poesie. Nulla sappiamo degli ultimi anni di solitudine e di preparazione all'incontro con il Signore, che avvenne verso il 390; forse in questi versi sono racchiusi i suoi sentimenti: “Fu soltanto tirannia? Sono venuto al mondo. Perché sono sconvolto dai flutti tempestosi della vita? Dirò una parola audace; sì, audace, ma la dirò. Se non fossi tuo, o mio Cristo, quale ingiustizia!” (Poemi II, 1, 74).

    Gregorio è un uomo mite, un uomo di pace, che ha lottato lungo tutta la sua vita per fare opera di pace nella Chiesa del suo tempo, tribolata e divisa dalla controversia ariana, dalle rivalità e gelosie tra i pastori; ma è anche un uomo che con audacia evangelica sa vincere la sua timidezza, il suo carattere incline al silenzio per proclamare la verità senza paura. Scrittore fecondo, ha composto numerosi Discorsi: i 45 giunti fino a noi sono stati pronunciati per la massima parte a Costantinopoli, negli anni 379-381 e comprendono i 5 discorsi teologici, le invettive contro Giuliano, alcune omelie liturgiche, alcuni panegirici, i discorsi di circostanza in cui difende il suo operato, l'addio a Costantinopoli e i discorsi sulla povertà. Oltre alle numerose lettere, da lui stesso pubblicate, Gregorio compose 17.533 versi in 185 opere poetiche, un'attività che ha qualcosa di prodigioso a prescindere dai risultati artistici che può aver conseguito. Molte di queste poesie sono autobiografiche. Il poema più lungo (1949 versi) è quello dedicato alla narrazione della propria vita dalla nascita alla partenza da Costantinopoli. Aveva scritto: “Servo della Parola io aderisco al ministero della Parola; che io non consenta mai di esserne privato. Questa vocazione io l'apprezzo e la gradisco, ne traggo più gioia che da tutte le altre cose messe insieme” (Discorsi 6, 5). E ancora: “Ho lasciato tutto il resto a chi lo vuole, la ricchezza, la nobiltà, la gloria, la potenza ... abbraccio solo la Parola” (Discorsi 4, 10).

    Il numero dei panegirici pronunciati in onore di Gregorio testimonia eloquentemente il culto di cui godette nella tradizione bizantina. I sinassari celebrano la sua festa il 30 gennaio nel gruppo dei tre “gerarchi”, insieme con Basilio e Giovanni Crisostomo, ma lo commemorano più solennemente, e da solo, il 25 dello stesso mese. L'introduzione del culto di Gregorio in Occidente è meno documentata. Nel calendario latino è festeggiato il 2 gennaio insieme a san Basilio.

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    Sempre dal sito del Vaticano:

    Le reliquie di S. Gregorio di Nazianzo nella Basilica Vaticana

    San Gregorio, Arcivescovo di Costantinopoli, Dottore della Chiesa per i latini e chiamato "il Teologo" dagli orientali, morì intorno all'anno 390 e fu deposto nel suo villaggio natale vicino a Nazianzo in Cappadocia (nell'odierna Turchia), dove si era ritirato per la vita contemplativa. In epoca successiva le sue spoglie mortali furono traslate e venerate a Costantinopoli.

    La traslazione delle reliquie a Roma è strettamente legata alla storia del monastero delle benedettine di Santa Maria in Campo Marzio e del contiguo oratorio di San Gregorio "di Nazianzo". La tradizione vuole che alcune monache bizantine di Santa Anastasia a Costantinopoli, per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste degli imperatori Leone III (717-741) e Costantino V (741-775), si rifugiarono a Roma, portando con sé le venerate reliquie di San Gregorio.

    Dalla chiesa di Santa Maria in Campo Marzio le reliquie vennero trasferite, molto probabilmente all'epoca del papa Leone III (795-816), nel vicino oratorio, che fu quindi denominato “San Gregorio”. Un documento del giugno 986 riporta il nome dell’abbadessa Anna del monastero di Santa Maria e di San Gregorio Nazianzeno, "qui ponitur in Campo Martio". Per tutto il medioevo le reliquie del Santo Dottore ebbero una continua venerazione presso questo monastero.

    Il papa Gregorio XIII (1572-1585), portando a compimento la prima cappella aperta al culto nella nuova Basilica Vaticana, la inaugurò il 12 febbraio 1578, I domenica di Quaresima, collocandovi l'immagine della "Madonna del Soccorso", già venerata nell'antica Basilica. Desiderando, inoltre, il medesimo pontefice arricchire il massimo tempio della cristianità con reliquie di santi insigni della Chiesa, richiese alle monache di Santa Maria in Campo Marzio di poter trasportare nell’erigenda Basilica Vaticana le preziose ossa di San Gregorio di Nazianzo, verso cui nutriva una profonda devozione e ammirazione. Al fine di favorire la non facile cessione da parte delle monache, il papa lasciò ad esse una reliquia appartenente al braccio del Santo.



    La solenne traslazione avvenne l’11 giugno del 1580 e il maestro dei cerimonieri pontifici Francesco Mucanzio tramandò una dettagliata descrizione di quella memorabile cerimonia. Gregorio di Nazianzo fu così il primo Santo a essere deposto e venerato ufficialmente nella nuova Basilica Vaticana, vicino all’Apostolo Pietro.

    Le venerate reliquie, poste all’interno di un antico scrigno di rame, richiuso con i sigilli del papa Gregorio XIII e collocato, a sua volta, entro una cassa di legno rivestita di un prezioso tessuto, furono allora celate in fondo alla muratura dell’altare della cappella Gregoriana, dove ancora oggi sono custodite.



    Il 19 agosto 2004, per volontà del Santo Padre Giovanni Paolo II, l’altare venne aperto e fu prelevata dallo scrigno di rame una cospicua parte delle reliquie di San Gregorio di Nazianzo per farne dono al Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I.

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    Per le valutazioni circa la riconsegna delle reliquie, avvenuta lo scorso 27 novembre 2004, rinvio QUI e QUI.

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    Predefinito Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo

    Disc. 14 sull'amore verso i poveri, 23-25; PG 35, 887-890

    Riconosci l'origine della tua esistenza, del respiro, dell'intelligenza, della sapienza e, ciò che più conta, della conoscenza di Dio, della speranza del Regno dei cieli, dell'onore che condividi con gli angeli, della contemplazione della gloria, ora certo come in uno specchio e in maniera confusa, ma a suo tempo in modo più pieno e più puro. Riconosci, inoltre, che sei divenuto figlio di Dio, coerede di Cristo e, per usare un'immagine ardita, sei lo stesso Dio!

    Donde e da chi vengono a te tante e tali prerogative? Se poi vogliamo parlare di doni più umili e comuni, chi ti permette di vedere la bellezza del cielo, il corso del sole, i cicli della luce, le miriadi di stelle e quell'armonia ed ordine che sempre si rinnovano meravigliosamente nel cosmo, rendendo festoso il creato come il suono di una cetra?.

    Chi ti concede la pioggia, la fertilità dei campi, il cibo, la gioia dell'arte, il luogo della tua dimora, le leggi, lo stato e, aggiungiamo, la vita di ogni giorno, l'amicizia e il piacere della tua parentela?

    Come mai alcuni animali sono addomesticati e a te sottoposti, altri dati a te come cibo?

    Chi ti ha posto signore e re di tutto ciò che è sulla terra?

    E, per soffermarci solo sulle cose più importanti, chiedo ancora: Chi ti fece dono di quelle caratteristiche tutte tue che ti assicurano la piena sovranità su qualsiasi essere vivente? Fu Dio. Ebbene, egli in cambio di tutto ciò che cosa ti chiede? L'amore. Richiede da te continuamente innanzitutto e soprattutto l'amore a lui e al prossimo.

    L'amore verso gli altri egli lo esige al pari del primo. Saremo restii a offrire a Dio questo dono dopo i numerosi benefici da lui elargiti e quelli da lui promessi? Oseremo essere così impudenti? Egli, che è Dio e Signore; si fa chiamare nostro Padre, e noi vorremmo rinnegare i nostri fratelli?

    Guardiamoci, cari amici, dal diventare cattivi amministratori di quanto ci è stato dato in dono. Meriteremmo allora l'ammonizione di Pietro: Vergognatevi, voi che trattenete le cose altrui, imitate piuttosto la bontà divina e così nessuno sarà povero.

    Non affatichiamoci ad accumulare e a conservare ricchezze, mentre altri soffrono la fame, per non meritare i rimproveri duri e taglienti già altra volta fatti dal profeta Amos, quando disse: Voi dite: Quando sarà passato il novilunio e il sabato, perché si possa vendere il grano e smerciare il frumento, diminuendo le misure e usando bilance false? (cfr. Am 8, 5).

    Operiamo secondo quella suprema e prima legge di Dio che fa scendere la pioggia tanto sui giusti che sui peccatori; fa sorgere il sole ugualmente per tutti, offre a tutti gli animali della terra l'aperta campagna, le fontane, i fiumi, le foreste; dona aria agli uccelli e acqua agli animali acquatici; a tutti dà con grande liberalità i beni della vita, senza restrizioni, senza condizioni, senza delimitazioni di sorta;

    a tutti elargisce abbondantemente i mezzi di sussistenza e piena libertà di movimento. Egli non fece discriminazioni, non si mostrò avaro con nessuno. Proporzionò sapientemente il suo dono al fabbisogno di ciascun essere e manifestò a tutti il suo amore.

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    Predefinito Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo

    La nascita di Cristo, 7.

    Dio è sempre stato, è e sarà. Ovvero, per dir meglio, sempre è. Infatti «era» e «sarà» sono particelle del nostro tempo e dell’effimera natura. Egli, al contrario, è colui che sempre è. D’altronde, lui stesso si presenta così quando pronuncia l’oracolo a Mosè sul monte (cf. Es 3,14).

    Egli racchiude infatti in se stesso tutto ciò che esiste, senza essere limitato, da parte sua, da nessun principio e da nessuna fine: uno sconfinato e interminabile mare di essere, al di là d’ogni concetto di tempo e di spazio. Il pensiero umano può soltanto abbozzarne una vaga immagine, certamente inadeguata e imprecisa, percependo non già quanto in lui si trova, ma quanto lo circonda. Raccogliendo così, una dopo l’altra, le impressioni che se ne ricavano, si perviene a un simulacro di verità che sfugge e sparisce ancor prima di essere posseduto e compreso, illuminando e purificando la nostra parte più nobile con la rapidità di un fulmine balenante davanti agli occhi.

    Secondo la mia opinione, egli ci attrae a sé nella misura in cui noi siamo in grado di comprenderlo (infatti, ciò che non può essere assolutamente compreso, nessuno lo desidera né cerca di raggiungerlo). Nella misura in cui si mostra incomprensibile alle nostre facoltà, egli suscita la nostra ammirazione verso di lui. L’ammirazione, a sua volta, fa nascere un desiderio più intenso e, se lo ricerchiamo, egli ci purifica e, purificandoci, ci dà un aspetto divino: una volta che siamo divenuti tali, egli si intrattiene con noi, come con i suoi intimi.

  9. #9
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    Predefinito Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo

    Discorsi teologici, 1, 1-3

    Celebrare le lodi della divinità o le vie del Dio immenso, governatore dell’universo, è, per l’uomo spinto dall’impulso dello spirito, come attraversare un mare sconfinato a bordo di una zattera o slanciarsi verso il cielo trapunto di stelle con delle piccole ali. Neppure gli spiriti celesti hanno la forza di adorarlo in modo adeguato. Tuttavia, spesso Dio preferisce al dono di una mano troppo ricca l’offerta di una più povera, ma amica. Per questo farò sgorgare il mio canto con piena fiducia...

    C’è un solo Dio, senza principio, senza causa. Un solo Dio che non è limitato da nessun altro essere che lo preceda o lo segua. Egli è cinto di eternità, infinito; immenso padre di un Figlio unigenito immenso e buono, non subisce nella generazione del Figlio alcuna limitazione come la subiscono gli esseri umani, perché egli è spirito. Dio unico, ma «altro» - non però per la divinità - è il Verbo di Dio, che è del Padre sigillo vivente. Egli è il solo Figlio di Colui che non ha principio, l’assolutamente unico dell’unico. Egli è identico a colui che è il bene sopra ogni bene; anche se il Padre resta totalmente colui che genera, il Figlio nondimeno è l’autore e il padrone del mondo, forza e intelligenza del Padre...

    Il tempo esisteva ben prima di me, ma non vi è tempo prima del Verbo, il cui Padre è al di là del tempo. Fin da quando era il Padre, che è senza principio e che raccoglie in sé tutto il divino, fin da allora è anche il Figlio che ha nel Padre il suo principio atemporale, come il fulgore del sole ha per origine il suo globo di risplendente bellezza. Tutte le immagini sono tuttavia inadeguate alla grandezza di Dio... In quanto Dio, in quanto Padre, Dio è Padre immenso. La massima gloria viene a lui dal fatto che la sua adorabile divinità non ha principio. Non è però inferiore la grandezza del Figlio che riceve da un Padre così grande la sua origine ... .

    Tremiamo davanti alla grandezza dello Spirito Santo. Anch’egli è ugualmente Dio e per mezzo suo conosciamo Dio. Lo Spirito è Dio che si manifesta, colui che fa nascere Dio quaggiù. Onnipotente, egli effonde molti doni. Ispiratore del coro dei santi, è colui che dà vita agli abitanti del cielo e della terra, colui che siede sull’alto trono. Procede dal Padre, è forza di Dio e agisce di proprio impulso. Lo Spirito non è Figlio - unico infatti è il dolce Figlio di colui che solo è l’altissimo - tuttavia non è al di fuori della divinità invisibile, ma gode della stessa gloria.

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    Predefinito Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo

    Discorso 31, 25-27

    Nel corso dei secoli, due grandi rivoluzioni hanno sconvolto la terra, le chiamiamo i due Testamenti. L’una ha fatto passare gli uomini dall’idolatria alla Legge; l’altra dalla Legge al Vangelo. Un terzo sconvolgimento è predetto: quello che dalla terra ci trasporterà in cielo, dove non c’è né movimento né agitazione.

    Questi due Testamenti hanno presentato lo stesso carattere. E quale? Quello di non aver trasformato tutto immediatamente dal primo inizio del loro apparire. E perché? Per non costringerci con la forza, ma per persuaderci. Perché ciò che è imposto non è duraturo, come accade quando si vuole fermare forzatamente il corso dei fiumi o la crescita delle piante. Invece quello che è spontaneo è più durevole e più sicuro. L’uno è subìto per forza, l’altro è voluto da noi. L’uno manifesta una potenza tirannica, l’altro ci mostra la bontà divina...

    L’Antico Testamento ha manifestato chiaramente il Padre, oscuramente il Figlio. Il Nuovo Testamento ha rivelato il Figlio e lasciato trapelare la divinità dello Spirito. Oggi lo Spirito vive in mezzo a noi e si fa conoscere più chiaramente.

    Sarebbe stato pericoloso predicare apertamente il Figlio quando la divinità del Padre non era riconosciuta; e, quando la divinità del Figlio non era ammessa, imporre - oso dire - come in soprappiù, lo Spirito Santo. In questa maniera i credenti, come persone appesantite da troppi cibi, o come coloro che fissano il sole con occhi ancora deboli, avrebbero rischiato di perdere ciò che invece avrebbero avuto la forza di portare. Lo splendore della Trinità doveva dunque brillare attraverso successivi sviluppi, o come dice Davide, «per gradi» (Sal 83,6) e con una progressione di gloria in gloria ...

    Vedi come la luce ci viene a poco a poco. A nostra volta dobbiamo rispettare l’ordine in cui Dio si è rivelato a noi, non svelando tutto immediatamente e senza discernimento, senza tuttavia tenere nulla nascosto fino alla fine. Perché Il primo modo sarebbe imprudente, l’altro empio. L’uno rischierebbe di ferire i lontani e l’altro di allontanarci dai nostri fratelli.

    Voglio aggiungere ancora questa considerazione che forse è venuta in mente a molti, ma che mi sembra un frutto della mia riflessione. Il Salvatore conosceva certe realtà, ma riteneva i discepoli incapaci di portarle, nonostante l’insegnamento che avevano ricevuto; perciò le teneva nascoste. E ripeteva che lo Spirito, quando sarebbe venuto, avrebbe spiegato ogni cosa. Penso che tra queste verità ci fosse pure la divinità dello Spirito Santo: si sarebbe manifestata chiaramente in seguito, quando, dopo la risurrezione del Salvatore, gli animi sarebbero stati maturi per comprenderla.

 

 
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