25 ANNI DA VESCOVO
In Duomo domenica con Tettamanzi la festa della Chiesa ambrosiana

Martini: l'ultimo giorno è la nostra misura vera

L’arcivescovo emerito di Milano: «Il Discorso della montagna, via che unisce l’umanità»
«C’è un relativismo cristiano da riscoprire: quello che sa leggere ogni cosa a partire da quando il Signore tornerà»

Da Milano Giorgio Bernardelli


Seduto su quella cattedra che lo ha visto pastore per ventidue anni. Ma con lo sguardo in avanti. Addirittura a quel giorno ultimo a partire dal quale il cristiano è chiamato a giudicare ogni cosa. E senza sfuggire il problema dei problemi di oggi: come far vivere insieme le diversità, comprese quelle religiose? Si è celebrato così, domenica sera, nel Duomo di Milano, il «ritorno» del cardinale Carlo Maria Martini. Una Messa di ringraziamento voluta dal suo successore, il cardinale Dionigi Tettamanzi, per rendere grazie insieme dei 25 anni dall'ordinazione episcopale dell'arcivescovo emerito. In una cattedrale gremita di sacerdoti e fedeli, presenti il sindaco Gabriele Albertini, il presidente della Provincia Filippo Penati e il prefetto Bruno Ferrante. «Quale grazia cantiamo oggi in questo nostro Magnificat? - si è domandato durante l'omelia Martini -. Non semplicemente il dono dell'espiscopato: è ancora un fatto esteriore, esposto al rischio di arrugginire. Nemmeno questo splendido popolo ambrosiano, da cui ho ricevuto più di quanto abbia dato». La grazia vera è un'altra: «Mi è stato dato di proclamare la tenerezza di Dio - racconta l'arcivescovo emerito -. Anche a me, povero e debole, il Signore ha concesso di rendere testimonianza alla forza della Sua parola. E quando si rende gloria a Lui, anche un granello di senapa pesa quanto una montagna». Dalla Parola di Dio, allora, non si può che partire anche in questa domenica. È la festa dell'Ascensione, e il pensiero va immediatamente a Gerusalemme. «Dalla mia finestra - racconta - riesco a intravedere sul Monte degli Ulivi il luogo dove è ambientato questo brano. Lo guardo e penso: "Gesù tornerà". Prego che il suo Regno venga, che sia saziata la nostra fame e sete di giustizia; non nei piccoli segni impercettibili, ma nella sua chiarezza definitiva a partire dalla quale leggere le vicende della storia». È una chiave di lettura ultima da tenere sempre davanti. «Si dice giustamente che nel mondo c'è molto relativismo - annota il cardinale Martini -, ma c'è anche un relativismo cristiano: leggere ogni cosa in relazione a questo momento in cui il Signore sarà giudice dei cuori. Allora non ci cureremo più degli applausi o dei fischi, ma le opere degli uomini appariranno nel loro valore. Molte cose si purificheranno». Verso quel giorno ci guidano le parole del Vangelo di Matteo: «Fate discepoli in tutte le nazioni - le traduce il biblista - insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato». Martini si interroga su che cosa vogliano dire oggi. E vi ritrova la chiave nel Discorso della montagna, il cuore dell'insegnamento di Gesù. Sono le beatitudini lo spirito con cui affrontare la questione delle diversità. «Non basta la sola tolleranza, è troppo poco - commenta il porporato -. Nemmeno il tentativo di convertire subito, perché questa parola in certe situazioni e popoli suscita muri invalicabili. Si tratta invece di vivere insieme da diversi fermentandoci a vicenda, in modo che ciascuno sia portato a raggiungere più profondamente la propria autenticità, la propria verità di fronte al mistero di Dio». È appunto questa la forza del Discorso della montagna: «Sono parole che nessuno può rifiutare - spiega Martini -. Parlano di coerenza, di sincerità, rifiuto dell'ambizione, moderazione nel desiderio di guadagno. Toccano ogni cuore, ogni religione, ogni credenza o non credenza». Possono far sperimentare agli uomini di oggi una vicinanza nuova, far avvertire di «avere in comune delle cose profonde e vere, che forse non avremmo scoperto senza questa parola di Gesù. E allora, anche al di là delle differenze etniche, sociali, addirittura religiose e confessionali, l'umanità troverà una sua capacità di crescere nella pace, di vincere la violenza, il terrorismo, di superare le diffidenze reciproche». Lo stesso omaggio a Giovanni Paolo II lo ha dimostrato. «È stato riconosciuto come padre spirituale dell'umanità perché in un mondo globalizzato lui ha pronuncia to parole capaci di toccare il cuore di tutti - commenta l'arcivescovo emerito di Milano -. Guardando le migliaia di persone radunate davanti alla sua salma ho pregato perché ricevessero il dono del discernimento. Perché a poco varrebbe il nostro omaggio se poi Dio non parlasse all'interno di ciascun cuore indicando ciò che dobbiamo fare. È per questo che nel mio ministero ho sempre insistito tanto sull'importanza della lectio divina, la lettura orante della Scrittura per comprendere la volontà di Dio». È l'«instancabile annuncio della Parola di Dio» per il quale, all'inizio della celebrazione, lo ha ringraziato il cardinale Tettamanzi. «Di questa bellissima Chiesa dei santi Ambrogio e Carlo - ha detto a Martini il successore - continui a essere, a pieno titolo, figlio e padre. Noi continuiamo a esserti vicini con l'affetto e la preghiera, e sappiamo di poter contare sulla tua costante preghiera di intercessione a Gerusalemme e nel ritiro di Galloro». L'arcivescovo emerito ha ricambiato con una delle sue immagini bibliche:«In te - ha detto a Tettamanzi - vedo la mansuetudine di Mosé e la facondia di Aronne». Infine il saluto commosso a tutta la diocesi: «È solo insieme che possiamo ringraziare davvero».


Avvenire - 10 maggio 2005