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29/4/2005
FEDE E PARI DIGNITA'
Religioni, pene uguali per chi le offende
Per la Corte Costituzionale è illegittimo l'articolo del codice penale che stabilisce pene più severe per le ingiurie alla religione cattolica. Il caso sollevato dal Tribunale di Verona nel corso di un processo contro Adel Smith, che in tv aveva offeso Chiesa e Papa.
Chi offende la religione cattolica va punito alla stessa stregua di chi insulta altri culti. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo l'articolo 403 del codice penale nella parte in cui stabilisce un trattamento sanzionatorio più severo (reclusione fino a 2 anni e da 1 a 3 anni) per le offese alla religione cattolica rispetto alla diminuzione della pena disposta dall'articolo 406 per le offese contro altri culti «ammessi» nello Stato italiano.
Il caso dinanzi alla Consulta è stato sollevato dal Tribunale di Verona nel corso di un processo a carico di Adel Smith, il presidente dell'Unione musulmani d'Italia che durante una trasmissione televisiva aveva usato parole ingiuriose nei confronti della Chiesa cattolica, del Papa e del cardinal Biffi.
Secondo il giudice veronese, il «più grave» trattamento sanzionatorio previsto per le offese alla religione cattolica determina «una inammissibile discriminazione nei confronti delle altre confessioni religiose»: norma che viola «gli articoli 3 e 8 della Costituzione che sanciscono, rispettivamente, i principi dell'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzione di religione e dell'eguale libertá di tutte le religioni davanti alla legge».
Un ragionamento condiviso dai giudici della Consulta che, nel dichiarare l'illegittimitá costituzionale della norma contestata, richiamano precedenti pronunce e sottolineano: «Le esigenze costituzionali di eguale protezione del sentimento religioso che sottostanno alla equiparazione del trattamento sanzionatorio per le offese recate sia alla religione cattolica, sia alle altre confessioni religiose, giá affermate da questa Corte nelle sentenze n. 329 del 1997 e n. 327 del 2002, sono riconducibili, da un lato, al principio di eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di religione sancito dall'articolo 3 della Costituzione, dall'altro al principio di aicitá o non-confessionalitá dello Stato, che implica, tra l'altro, equidistanza e impalrzialitá verso tutte le religioni, secondo quanto disposto dall'articolo 8 della Costituzione, ove è appunto sancita l'eguale libertá di tutte le confessioni religiose davanti alla legge».