Non serve una legge dello Stato, ma un'auto-regolamentazione
Un codice deontologico
contro i titoli xenofobi
di Filippo Rossi
Questo è l’articolo 5 del Codice deontologico dell’Ordine dei giornalisti sulla privacy: «Nel raccogliere dati personali atti a rivelare origine razziale ed etnica, convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere (…) il giornalista garantisce il diritto all'informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto dell'essenzialità dell'informazione…». Così dovrebbe essere, ma così, troppo spesso, non è. “Marocchino stupra ragazza”, “Romeno deruba anziana”, “Tunisino arrestato per spaccio”, “Albanese arrestato per sfruttamento della prostituzione”. E così via. Titoli simili li leggiamo, o li ascoltiamo, ogni giorno. E però quando si tratta di un italiano, si tace. “Tanto è scontato”… Ma allora perché non specificare se l’italiano in questione viene dal Nord o dal Sud, se è di Cosenza, di Varese o di Arezzo? Se è cattolico, ateo o protestante? Se è eterosessuale o omosessuale? La rilevanza ai fini della cronaca, in fin dei conti, è la stessa.
Insomma, il discorso è questo: siamo proprio sicuri che quando si fa informazione su atti di violenza e sopraffazione indicare, soprattutto nei titoli “a effetto” la nazionalità o l’etnia di chi li ha commessi, sia così fondamentale? Il più delle volte, è evidente, si tratta di particolari assolutamente irrilevanti. Ma quei particolari, quelle informazioni, finiscono per accumularsi nell’inconscio collettivo. E poi – più o meno volontariamente – possono essere utilizzate a fini propagandistici o di “bassa politica”, o semplicemente come mattoni per costruire nuovi muri di paura, chiusura e diffidenza. È più di un rischio: è quasi una certezza.
Le norme di auto-regolamentazione ci sarebbero già, ma forse non bastano. Manca la volontà di applicarle. Manca la “cultura”, manca la prassi. Manca la voglia (forse anche il coraggio) di disinnescare un meccanismo ormai consolidato, un circuito “vizioso” tra i media e il loro pubblico. Da disinnescare non per un buonismo di maniera, sia chiaro. Non certo per nascondere la realtà dei fatti, né per occultare la verità. Perché l’importante, in un paese normale, è la giusta pena inflitta da una giustizia che funziona. Non la gogna pubblica, non il rogo purificatore a cui poi, per ironia della sorte, segue – e non di rado – la più completa impunità.
È per questo che sarebbe utile un Codice etico specifico, una Carta dell’Ordine, che stabilisca regole sulla necessità o meno di utilizzare connotazioni etniche nel riportare fatti di cronaca nera. Utilizzo che, a nostro parere, dovrebbe essere – lo diciamo chiaramente – il più possibile limitato. Non può essere certo una legge dello Stato a farlo. Ecco perché riteniamo utile e urgente un’auto-regolamentazione. Lanciamo l’idea, e speriamo che qualcuno la raccolga.
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