L'interista è il simbolo di un'Italia in divenire
Da Balotelli, lezioni di italiano
di Angelo Mellone
In altri tempi i cori e le ingiurie contro Mario Balotelli non avrebbero avuto luogo semplicemente perché Balotelli è figlio della nuova Italia dove i nuovi italiani saranno anche prodotto di un crogiuolo multietnico. Per cui i cori dementi, gli ululati cretini, ma anche le reazioni incipriate al becerume, sono il riflesso pavloviano di un’Italia che già non esiste più, l’Italia che prestava al mondo le braccia, il cuore e il cervello dei nostri nonni che emigravano, l’Italia dei paralumi di ceramica retti da inservienti col turbante e la pelle scura, l’Italia che lottava oltreoceano per evitare che i propri connazionali venissero considerati una razza inferiore.
Il giudice sportivo ha comminato una giornata di squalifica al campo della Juventus, col Lecce si giocherà a porte chiuse. La decisione è sacrosanta da un punto di vista formale, eppure non dobbiamo impedirci di affrontare una questione ancora più profonda. Il razzismo come categoria analitica, nel caso del giovanissimo giocatore dell’Inter, al netto di alcuni suoi atteggiamenti irritanti che non interessano né noi né il contenuto di questo articolo, c’entra nella misura in cui restiamo schiavi di immagini del passato. Il razzismo, o tutt’al più la xenofobia, possono riguardare l’odio e il disprezzo per l’altro da sé, per il diverso, per popolazioni che stanno fuori dai confini della nostra cittadinanza. Ma Balotelli è italiano, parla italiano e pensa italiano, è un italiano di nuova leva. Non è un immigrato da integrare in un lungo calendario generazionale, ma un italiano perfettamente assimilato.
All’ennesimo coro fuori luogo, Mario ha mostrato agli imbecilli scanzonatori il tricolore. Quasi tutti pensano che intendesse mostrare lo scudetto vinto dall’Inter, in una dialettica tutta calcistica, ma noi preferiamo pensare che abbia voluto esibire, in modo plateale, il simbolo della sua italianità. Ecco, i cori di sabato sera mostrano e dimostrano che c’è ancora un’Italia spaventata del suo futuro, impaurita del fatto che la nostra nazione continuerà a possedere negli anni a venire la vocazione di luogo di incontro di culture, civiltà, etnie, portandole a riassunto ogni volta in una maniera creativamente differente. È la stessa Italia che ci piace poco quando affronta il problema delle classi multietniche nelle scuole col puro metro della convivenza tra gli italiani e gli “altri”, molti dei quali di qui a poco avranno passaporto italiano e magari faranno il servizio militare nell’esercito nazionale. È la stessa Italia che, nel dibattito politico, evita il problema di confrontarsi con l’immagine di una nazione multietnica e multireligiosa, che si illude che i processi migratori siano un fenomeno reversibile, che rifiuta di ragionare sulla sfida cruciale e decisiva di quale sarà l’identità nazionale dell’Italia futura, quale sarà il sostrato culturale comune degli italiani, quali saranno i codici di cittadinanza che dovranno definire chi sta dentro e chi sta fuori la nostra identità nazionale.
Volente o nolente, Balotelli, come – restando in ambito sportivo – Andrew Howe, sono simboli plastici di questa Italia in divenire, e sulle loro spalle sta anche il compito, per nulla facile, di essere testimoni di una nuova stagione nazionale. Vorremmo che, idealmente, Balotelli si rivolgesse ai suoi contestatori ululanti in questo modo: state zitti, sennò la prossima volta vi do lezioni di italiano.
20 aprile 2009
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